Una recente sentenza del Tribunale capitolino introduce un concetto che va letto con molta cautela, interpretato alla luce della giurisprudenza di legittimità e rapportato ad una lettura sistematica che la pronuncia sottende ma non esplicita in maniera netta, potendo essere causa di fraintendimenti.
Tribunale Roma sez. V, 21/01/2020, n.1274: “In tema di condominio negli edifici, principio generale è che anche in assenza di uno strumento di misurazione, non può aversi riparto delle spese in quote uguali in quanto la delibera, che di tal guisa disponga, viola la disposizione di cui all’art. 1123 c.c. che prevede che, salvi i casi di deroga contrattuale, le spese devono essere ripartite in base alle quote di partecipazione. Donde la potenziale nullità della delibera che tale diverso criterio preveda peraltro per un tempo indeterminato. Tuttavia va evidenziato che se tale criterio di riparto in violazione di legge sia stato adottato in via continuativa con la consapevole accettazione dei condomini che hanno approvato tutti i precedenti bilanci, si può dire che, in via consuetudinaria, il criterio è da considerarsi legittimo. Infatti il consenso alla deroga ad un criterio di legge può manifestarsi, oltre che per via negoziale, anche per comportamenti concludenti costanti ed inequivoci che tengano luogo del negozio senza la forma scritta in considerazione del fatto che le tabelle (che costituiscono lo strumento del riparto) non debbono essere redatte per iscritto ab substantiam”
La chiave di lettura è in quel “costanti e inequivoci” che il giudice romano associa ai comportamenti, e che si rifanno in modo estremamente sintetico a quella giurisprudenza di legittimità che ha chiarito che il pagamento dei riparti non è condotta sufficiente a ritenere tacitamente accettata la deroga al criterio ma deve sussistere una condotta inequivocabile che induca a ritenere che il condomino paghi consapevole che il criterio di riparto adottato sia diverso da quello previsto ex lege: in tal senso Cass. civ. III, n. . ci. sez. II, 09/08/1996, n.7353: ” L’efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell’art. 1123, comma 1, c.c., si deroga al regime legale di ripartizione delle spese non si estende, in base all’art. 1372 c.c., agli aventi causa a titolo particolare degli originari stipulanti, a meno che detti aventi causa non abbiano manifestato il loro consenso nei confronti degli altri condomini, anche per fatti concludenti, attraverso un’univoca manifestazione tacita di volontà, dalla quale possa desumersi un determinato intento con preciso valore sostanziale.”
E’ quanto, assai condivisibilmente, ribadisce Cass.civ. sez. II 15 ottobre 2019 n. 26042, pronuncia che – dopo un’ampia disamina ricognitiva della disciplina conseguente alla pronuncia nomifilattica delle sezioni unite del 2010 – ribadisce che eventuali prassi invalse nel condominio non valgono a costituire l’idonea convenzione che, a mente dell’art. 1123 comma I c.c., può utilmente derogare i criteri di legge.
“Quanto innanzi considerato – concernente la forma delle tabelle millesimali – non investe l’altra questione della forma della “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 c.c., comma 1, u.p., che – come chiarito dalla giurisprudenza – comporta la ripartizione in via non negoziale tra gli interessati, in deroga rispetto a quella legale da riflettersi nelle tabelle millesimali non aventi natura negoziale, delle spese che i condomini di un edificio sono tenuti a sopportare (recentemente, per incidens, Cass. n. 23688 del 06/11/2014 e n. 27233 del 04/12/2013; ex professo, senza riferimento al problema della forma, Cass. n. 7300 del 26/03/2010 e n. 1848 del 25/01/2018).
In relazione, tuttavia, alla diversa funzione – generale normativa e programmatica, da un lato, per una singola gestione o spesa, dall’altro – che la “diversa convenzione” può assumere, nonché in relazione alla sua efficacia (reale o personale, con quanto ne consegue in tema di trascrivibilità e estensibilità agli aventi causa a titolo particolare degli originari stipulanti, in difetto di specifico consenso) e alla sua possibile revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c., non sono indifferenti i problemi di forma, oltre che quelli di adozione unanime o non unanime.
Venendo, dunque, al caso di specie” poiché come emerge dalle concordi prospettazioni delle parti e dalla sentenza impugnata il condominio ha operato l’addebito all’Egea s.r.l. (la cui porzione residua di proprietà nel condominio non inclusa in tabella in quanto originariamente sinistrata) “prescindendo dalle tabelle” e secondo criteri di prassi in base a tacita adesione, quanto considerato dalla corte d’appello (alla p. 10 della sentenza impugnata) secondo cui sono irrilevanti “le prassi in concreto seguite non rispettose delle tabelle, ritenendosi del tutto irrilevante anche il consenso tacito dei condomini, pur consolidato nel tempo”, “sino a quando (le tabelle in essere) non vengano modificate da una valida deliberazione”, è conforme al principio di diritto sopra enunciato. “
Il Tribunale della Spezia, con una recentissima sentenza (Trib. La Spezia 23 maggio 2019 n. 329, giudice. dr.ssa Sebastiani) riprende orientamenti consolidati di legittimità, respingendo la domanda dell’attore – che agiva contro il condominio per vedersi riconosciuta una porzione del parcheggio condominiale – e riconsocendo a costui, proprietario di un fabbricato limitrofo, unicamente azione di risarcimento nei confronti del costruttore che – avendo edificato entrambi gli edifici – aveva usato gli indici costruttivi del primo al fine di stipulare la necessaria convezione urbanistica per il secondo, indicando quali aree destinate a parcheggio quelle già asservite per il primo fabbricato condominiale.
Osserva il tribunale che “ con il primo atto di sottomissione è stata asservita un’area di mq. 227 alla realizzazione di uno spazio adibito a parcheggio ai sensi della l. n. 765/1967 per il costruendo fabbricato, oggi Condominio di v. T.
Tuttavia, in realtà l’area asservita è stata materialmente spostata, evidentemente nel corso di edificazione dell’edificio condominiale, in diversa posizione, corrispondente a quella attuale, avente le medesime dimensioni e cioè mq. 227 e sempre all’interno della proprietà del costruttore.
… Con il secondo atto di sottomissione, datato 17.5.1989, indispensabile per poter realizzare la costruzione ove si trova l’unità abitativa oggi in proprietà degli attori da parte della O. s.p.a. (soprastante i box già in precedenza realizzati), sono state asservite dal geom. M. un’area di mq. 80,47 a parcheggio privato, un’area di mq. 24,15 a parcheggio pubblico ed un’area di mq. 270 destinata a verde, alla stregua della L. 122/89.
Risulta tuttavia dalla documentazione in atti, e in particolare dalle risultanze della CTU, integralmente condivisibili, che con tale secondo atto di sottomissione il M. ha asservito a parcheggio pubblico e privato e ad area verde una porzione di terreno in parte già asservita con atto di sottomissione precedente (risalente a tredici anni prima), in parte comunque non asservibile in quanto materialmente già destinata a parcheggio e zona di accesso al parcheggio del Condominio fin dall’epoca di realizzazione di questo
Del resto non è dato sapere come l’area asservita a parcheggio pubblico potesse essere realizzata all’interno di un‘area completamente recintata e chiusa da cancello.
… Le risultanze peritali escludono peraltro inequivocabilmente che possa esservi contestualità nell’utilizzo tra le aree asservite per l’edificazione della casa bifamiliare nell’atto di sottomissione del 1989 e l’area adibita a parcheggio condominiale (comprensiva ovviamente dell’area di manovra) in uso perpetuo ai condomini del Condominio v. T. : infatti l’area adibita a parcheggio pubblico in base all’atto di sottomissione del 1989, se effettivamente realizzata, precluderebbe l’accesso dal cancello carraio del parcheggio condominiale, mentre l’area di parcheggio privato andrebbe a occupare il necessario spazio di manovra dei condomini del Condominio convenuto, che parcheggiano in quell’area i loro veicoli dall’epoca di realizzazione dell’edificio condominiale ed in virtù del primo atto di sottomissione .
Conseguentemente non essendo mai venute ad esistenza le aree oggetto di atto di asservimento del 1989, in adesione a quanto statuito dalla Suprema Corte da ultimo con sent. n. 13210/2017, non può farsi luogo ad alcuna tutela ripristinatoria a favore degli attori, ai quali non è mai stato trasferito alcun diritto su dette aree, poiché inesistenti, e potendo gli stessi unicamente ottenere una tutela risarcitoria.
La suprema Corte ha infatti precisato, in motivazione della citata sentenza, che “in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stataadibita a un uso incompatibile con la sua destinazione: qualora lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinato-ria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso (Cass., Sez. Il, 22 febbraio 2006, n. 3961; Cass., Sez. Il, 7 maggio 2008, n. 11202).”
Né potrebbe sostenersi che gli attori abbiano in ogni caso il diritto di parcheggiare nella zona occupata dai parcheggi condominiali (comprensivi di area di manovra, come finora utilizzati), ovvero alla costituzione di un vincolo pertinenziale tra il proprio immobile ed altra porzione di area esterna, atteso che “il riconoscimento giudiziale del diritto reale di uso degli spazi destinati a parcheggi può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative” (Cass, Sez. Il, 11 febbraio 2009, n. 3393 e, da ultimo, Cass. ord. n. 3842 del 16.2.2018) “
La proprietà delle aree interne o circostanziali ai fabbricati di nuova costruzione su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, può essere acquistata per usucapione, non comportando tale vincolo indisponibilità, inalienabilità e incommerciabilità.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 marzo – 22 aprile 2016, n. 8220 Presidente Matera – Relatore Scarpa
Una massima semplice per una vicenda assai complessa in fatto e in diritto. Il fatto: “Gli attori assumevano di aver acquistato dalla costruttrice S.r.l. Edilizia Egeria i loro rispettivi appartamenti in un complesso di tre edifici, siti in (…) ed aventi accesso da Via (omissis), da Via (omissis), e da Via (omissis) ; e che la S.r.l. Edilizia Egeria, in violazione dei cinque patti d’obbligo presentati al Comune per ottenere la licenza edilizia, non aveva destinato a parcheggio l’area di mq. 6.354,90, sottostante gli edifici e i cortili, avendo in detto spazio costruito posti auto, box e sottonegozi alienati a condomini degli edifici stessi. Aggiungevano gli attori che contro la S.r.l. Edilizia Egeria essi avevano iniziato altro giudizio, in esito al quale la Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 388/1992, aveva accertato il loro diritto reale all’uso dell’area destinata a parcheggio e condannato la S.r.l. Edilizia Egeria al rilascio della stessa. Poiché, nonostante le numerose richieste inoltrate agli attuali possessori, non era stato possibile ottenerne la consegna dell’area, la citazione era volta, in attuazione della citata sentenza, a conseguire la condanna dei convenuti al relativo rilascio… Costituitosi il contraddittorio, i convenuti in via preliminare chiedevano il rigetto della domanda, eccependo che la richiamata sentenza della Corte di Appello, svoltasi contra la S.r.l. Edilizia Egeria, era loro inopponibile, in quanto rimasti estranei a tale giudizio. Nel merito, i convenuti deducevano d’aver utilizzato le porzioni immobiliari, rispettivamente acquistate, secondo la destinazione urbanistica di cui alle licenze edilizie, ovvero alle concessioni in variante o in sanatoria, e aggiungevano che per tutte le porzioni era stata rilasciata la conforme certificazione di abitabilità. In via riconvenzionale, i medesimi convenuti chiedevano, quindi, che fosse accertato l’avvenuto acquisto per usucapione delle rispettive porzioni immobiliari, ai sensi dell’articolo 1159 c.c. ovvero dell’articolo 1158 c.c.; in via subordinata, domandavano che venisse determinata l’integrazione del prezzo d’acquisto, ovvero l’indennità loro spettante per la perdita del diritto sui locali acquistati.”
Le questioni di diritto risolte sono molteplici.
In primo luogo la Corte rileva che ove all’epoca dei fatti sussistesse regime vincolistico in ordine al trasferimento non può applicarsi la disciplina più favorevole intervenuta successivamente: “Basta ribadire, in proposito, come, secondo il costante orientamento di questa Corte, l’art.12, comma 9, della legge 28 novembre 2005, n. 246, che ha modificato l’art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ed in base al quale gli spazi per parcheggio possono essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari, non ha effetto retroattivo, né natura imperativa; ne consegue che nei casi in cui, come quello in esame, al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina risultassero già stipulati gli atti di vendita delle singole unità immobiliari, trova applicazione la disciplina anteriore, di cui al citato art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 (Cass. 5 giugno 2012, n. 9090; Cass. 1 agosto 2008, n. 21003).”
In secondo luogo si afferma l’assolutezza del vincolo di destinazione che può essere fatto valere, alla stregua di un diritto reale, nei conforti di qualunque terzo: “ il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dall’art. 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il testo introdotto dalla legge 6 agosto 1967 n. 765, art. 18, norma di per sé imperativa, non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, le cui clausole difformi sono perciò sostituite di diritto dalla medesima norma imperativa. Tale vincolo si traduce in una limitazione legale della proprietà, che può essere fatta valere, con l’assolutezza tipica dei diritti reali, nei confronti dei terzi che ne contestino l’esistenza e l’efficacia. Pertanto coloro che abbiano acquistato le singole unità immobiliari dall’originario costruttore – venditore, il quale, eludendo il vincolo, abbia riservato a sé la proprietà di detti spazi, ben possono agire per il riconoscimento del loro diritto reale d’uso direttamente nei confronti dei terzi ai quali l’originario costruttore abbia alienato le medesime aree destinate a parcheggio. In un tale giudizio (qual è quello in esame), intercorrente tra gli acquirenti degli immobili illegittimamente privati del diritto all’uso dell’area pertinente a parcheggio ex art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ed i terzi che abbiano acquistato porzioni di tale area, la nullità dei negozi stipulati dai primi, nella parte in cui sia stata omessa tale inderogabile destinazione, con conseguente loro integrazione “ope legis”, è rilevabile anche “incidenter tantum”, sicché non deve necessariamente correlarsi alla verifica della sussistenza e dell’opponibilità, in via immediata o, appunto, riflessa, di un giudicato conseguito nei confronti dell’originario costruttore – venditore. Come pure, in un giudizio così congegnato, non si impone nemmeno che sia convenuto il costruttore – venditore, pur spettando a questo l’eventuale diritto (personale) a conseguire l’integrazione del prezzo di acquisto da coloro che agiscano per ottenere il riconoscimento del loro diritto d’uso sugli spazi vincolati a parcheggio (Cass. 14 novembre 2000, n. 14731; Cass. 25 marzo 2004, n. n. 5755).”
Ulteriore statuizione sussiste circa la natura del vincolo di destinazione e la legittimazione della sola P.A. a variarne natura e caratteristiche per i profili di rilievo pubblicistico: “Per la concreta attuazione, invece, della costituzione del diritto reale di uso per parcheggio, soltanto in assenza di relativa previsione nell’atto concessorio, o nel regolamento condominiale, o negli atti di acquisto dei singoli appartamenti, è consentito chiedere al giudice tale identificazione (Cass. 11 agosto 1997, n. 7474). Ai fini del rispetto del vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dall’art. 41 sexies citato, infatti, il rapporto tra la superficie delle aree destinate a parcheggio e la volumetria del fabbricato, così come richiesto dalla legge, va effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della concessione edilizia. La rimozione del vincolo a parcheggio sulle aree individuate in sede di rilascio della concessione edilizia come condizione essenziale per lo stesso rilascio, può tuttavia avvenire tramite una nuova concessione in variante, al fine di trasferirlo su altre zone riconosciute idonee. L’art. 41 sexies della Legge urbanistica opera, pertanto, come norma di relazione nei rapporti privatistici e come norma di azione nel rapporto pubblicistico con la P.A., la quale non può autorizzare nuove costruzioni che non siano corredate di dette aree, costituendo l’osservanza della norma condizione di legittimità della licenza (o concessione) di costruzione, e alla quale esclusivamente spetta l’accertamento della conformità degli spazi alla misura proporzionale stabilita dalla legge e della loro idoneità ad assicurare concretamente la prevista destinazione. “
Di grande interesse anche la notazione circa la natura dell’atto con cui il costruttore vincola quelle aree e il diritto dei condomini ad azionare i diritti derivanti, che può trarre origine non direttamente dall’atto amministrativo ma da una eventuale disciplina negoziale che lo recepisca: “l’atto con il quale un proprietario costruttore si sia impegnato nei confronti del Comune, ai fini del rilascio della concessione edilizia, a conferire una particolare destinazione a determinate superfici, non è riconducibile alla figura del contratto a favore di terzi, di cui all’art. 1411 c.c., sia perché non costituisce un contratto di diritto privato, sia perché non ha neppure la specifica autonomia e natura di fonte negoziale di un regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, caratterizzandosi, piuttosto, come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento concessorio finale, dal quale promanano soltanto poteri autoritativi della P.A. e non la possibilità per i terzi privati di accampare diritti sulla sua base. Ne consegue che, per il rispetto dell’obbligo di destinazione assunto dal proprietario-costruttore, salva l’ipotesi che esso sia stato trasfuso in una disciplina negoziale all’atto del trasferimento della singola unità immobiliare da lui realizzata, i singoli condomini non hanno alcuna azione, fermo il diritto al risarcimento del danno qualora l’inosservanza dell’obbligo concreti una violazione delle norme urbanistiche (Cass. 20 novembre 2006, n. 24572; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2742).
Infine la statuizione relativa alla usucapione, che deve essere ritenuta ammissibile anche per tali beni e avrebbe anche effetto estintivo del vincolo “La Corte d’appello ha, in estrema sintesi e facendo salve le diversità delle singole posizioni scrutinate, riconosciuto in favore degli appellanti principali ed incidentali l’acquisto dei rispettivi beni per usucapione decennale, fermo restando il vincolo di destinazione a parcheggio. Ora, questa Corte ha effettivamente più volte riconosciuto come “la proprietà delle aree interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, può essere acquistata per usucapione, non comportandone tale vincolo indisponibilità, inalienabilità e incommerciabilità” (Cass. 15 novembre 2002, n. 16053; Cass. 7 giugno 2002, n. 8262). Tale possesso utile a fini di usucapione decorre in danno del proprietario dal momento dell’atto di acquisto, essendo soltanto a far tempo da esso possibile considerare distintamente il diritto dominicale (trasferito) e quello al parcheggio (non trasferito) sull’area destinata a parcheggio. Non è stata oggetto di censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha riconosciuto l’usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c. in favore degli appellanti. La soluzione adottata avrebbe dovuto indurre, in verità, ad affrontare il profilo della configurabilità dell’usucapione decennale, ai sensi dell’art. 1159 c.c., in favore di colui che abbia acquistato, come nella specie, un’area di parcheggio asseritamente vincolata al diritto d’uso “ex lege”, quanto, in particolare, alla sussistenza del requisito del titolo idoneo a trasferire la proprietà, trattandosi di atto nullo per contrarietà a norme imperative (cfr., in senso contrario all’ammissibilità, Cass. 24 maggio 2013, n. 12996). La questione è tuttavia sottratta all’esame di questa Corte giacché, come detto, non oggetto di gravame. Ora, è evidente che la ravvisata usucapione in favore dei terzi acquirenti dell’area di parcheggio, a differenza di quanto afferma la sentenza della Corte di Roma, avrebbe effetto estintivo anche del vincolo pubblicistico di destinazione, in forza dell’efficacia retroattiva reale dell’usucapione stessa.”
La sentenza è densa di moltissimi spunti di riflessione ed affronta ancora diverse questioni, assai rilevanti, così che – per coloro che siano interessati al tema – se ne consiglia comunque la lettura integrale.