E’ quanto ribadisce una recente sentenza capitolina (Trib. Roma 9.10.2023 n. 14299), che ha dichiaro nulla la delibera che, in deroga al regolamento condominiale contrattuale e all’art. 66 disp. att. c.c., aveva stabilito che le assemblee future potessero essere convocate via email.
“Al riguardo, l’art. 72 disp. att. c.c. prevede l’inderogabilità, da parte del regolamento di condominio, dell’art. 66 disp. att. c.c., il quale, al terzo comma, indica in via tassativa le modalità di invio dell’avviso di convocazione (posta raccomandata, PEC, fax o consegna a mano), non ricomprendendo tra le stesse la convocazione via e-mail.
Nel caso di specie, la delibera di convocazione delle future assemblee tramite e-mail ordinaria (punto 2 o.d.g.) risulta non solo essere contraria a norma dichiarata espressamente inderogabile (ossia l’art. 66 disp. att. c.c.) ma anche allo stesso regolamento di condominio (la cui natura contrattuale è stata riconosciuta dallo stesso convenuto), il quale, per le ragioni sopra esposte, non potrebbe essere modificato dai condomini, neppure in via convenzionale, con il risultato di derogare a tale norma di legge.”
interessante pronuncia del Tribunale spezzino (Trib. La Spezia 24 marzo 2021 n. 175 giudice Sebastiani), che afferma l’obbligo degli eredi di comunicare all’amministratore le vicende successorie relative all’unità immobiliare in condominio, non avendo costui particolari oneri di accertamento e potendo, in difetto di comunicazione, legittimamente convocare il defunto.
Certamente la pronuncia solleva l’amministratore da accertamenti che spesso non sono ne semplici né di sicura efficacia, anche se richiama giurisprudenza di legittimità antecedente alla novella del 2012 e che dunque non teneva conto degli specifici oneri in capo all’amministratore oggi previsti dall’art. 1130 comma I n. 6 c.c. in ordine ai registri di anagrafe.
“In materia di condominio, la Suprema Corte, discostandosi da un risalente e non univoco orientamento, ha già da tempo affermato il principio secondo cui è onere dell’erede comunicare all’amministratore il decesso del condomino e l’accettazione dell’eredità, con assunzione in capo a sé dei diritti ed obblighi condominiali.
Conseguentemente “l’amministratore il quale sia a conoscenza del decesso di un condomino, fino a quando gli eredi non gli manifesteranno la loro qualità, non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca, non sarà tenuto ad inviare alcun avviso (così Cass. sez. II sent. n. 6926 del 22 marzo 2007).
La Corte, con la citata sentenza ha anche precisato che l’obbligo di avvisare tutti i condomini ai fini di una valida costituzione dell’assemblea, alla stregua dell’art. 1136 comma 6 c.c., deve ritenersi adempiuto quando risultino convocati tutti i condomini noti all’amministratore.
Tale principio è stato poi ribadito da plurime pronunce di merito (fra le altre Trib. Roma n. 22422 del 2.12.2016, Trib. Salerno sez. I n. 199 del 18.1.2019, Trib. Roma sez. V n. 6847 del 4.5.2020) ed è condiviso anche da questo giudicante.
Non può infatti essere posto a carico dell’amministratore, pur a conoscenza del decesso di un condomino, l’onere di effettuare ricerche per accertare se la successione apertasi a seguito del decesso sia legittima o testamentaria, chi siano i chiamati e se questi abbiano accettato o meno l’eredità e ciò a maggior ragione nel caso in cui la qualifica di erede non risulti da atti pubblici idonei (quali le certificazioni catastali relative all’immobile e non anche ad. Es. le dichiarazioni di successione).”
in ordine agli oneri oggi imposti all’amministratore in tema di anagrafe condominiale il giudice spezzino sembra invece darne una condivisibile lettura dinamica e funzionale, ritenendo che – a fronte di attività di ordinaria indagine e di richiesta informazioni – non si possano pretendere dall’amministratore laboriose ricerche e adempimenti che, talvolta, comportano esiti infruttuosi laddove le vicende successorie non siano state correttamente e tempestivamente curate dagli eredi sotto il profilo della pubblicità:
“Risulta in atti che l’amministratore, appresa l’esistenza del testamento che istituiva erede la (…), ha inviato a quest’ultima, a mezzo legale, lettera raccomandata con la quale si comunicava l’esistenza di debiti condominiali a carico della defunta (…) e si chiedeva alla (…) di comunicare o meno l’avvenuta accettazione dell’eredità: una prima missiva, datata 4.11.2014, è stata inviata sia al presunto domicilio dell’attrice (in S. v. (…)) ove non è stata ritirata e quindi è stata rimessa al mittente per compiuta giacenza; una seconda missiva, di identico contenuto, è stata inviata alla (…) presso la residenza anagrafica ((…) v. (…)), ove è stata regolarmente ritirata in data 4.12.2014.”
ed ancora
“Quanto alla delibera condominiale assunta in data 27.2.2016, si rileva quanto segue.
A tale data non risulta che la (…), pur avendo provveduto a trascrivere presso la Conservatoria dei RR.II. (in data 18.5.2015) la dichiarazione di successione a suo favore e il successivo atto di permuta stipulato in data 19.11.2015 con la (…) s.r.l. avente ad oggetto alcune delle unità immobiliari ereditate (trascritto in data 7.12.2015), avesse ancora comunicato al Condominio la propria accettazione di eredità e quindi l’assunzione della qualità di condomina (né in tale contesto sarebbero state esigibili da parte dell’Amministratore ulteriori ricerche presso la Conservatoria dei RR.II., da ripetersi in vista di ogni successiva convocazione dell’assemblea condominiale).”
E’ quanto ha stabilito la Corte d’Appello di Genova con sentenza 4 maggio 2021 n. 501, decidendo sull’impugnativa di delibera di un condomino che sosteneva di aver ricevuto una busta contenente il solo avviso di convocazione della assemblea ordinaria e non anche quella della assemblea straordinaria.
Il Tribunale di Savona e poi la Corte genovese hanno respinto la domanda, rilevando che incombeva al destinatario l’onere di fornire la prova del diverso contenuto della raccomandata
In tal senso si pone consolidato orientamento di legittimità: «spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente» (Cassazione, ordinanza 15762/2013 del 24 giugno 2013; Cassazione, ordinanza 13877/2011 del 23 giugno 2011; Cassazione 8409/2009 del 7 aprile 2009; Cassazione 10536/2003, del 3 luglio 2003; Cassazione 10849/2006 dell’11 maggio 2006 e Cassazione 10388/2014 del 13 maggio 2014).”
Prosegue la pessima prassi di annunciare in conferenza stampa provvedimenti legislativi, che vengono poi pubblicati in Gazzetta Ufficiale diversi giorni dopo.
Il 13 maggio 2020 il consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Rilancio (con l’altra discutibile prassi di denominare i provvedimenti normativi con nomi propri), nel quale sarebbero contenute due norme di rilievo per il mondo condominiale.
Dalle bozze reperibili in internet risulterebbe la seguente formulazione
“Art.212-ter Modifiche all’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18
1. All’articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni:
…
b) dopo il comma 21, sono aggiunti i seguenti: “21-bis. Quando il mandato dell’amministratore è scaduto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto o scade entro tre mesi dalla stessa alla data, l’incarico dell’amministratore è rinnovato per ulteriori sei mesi dalla scadenza in deroga a quanto previsto dall’articolo 1129 del codice civile, fermo il diritto dei condomini di procedere alla revoca nella prima assemblea successiva al rinnovo.
21-ter. In deroga a quanto stabilito dall’articolo 1130, comma primo, numero 10), del codice civile, il termine per la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale annuale con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è differito di 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile”.
La scarsa tecnica legislativa che ha caratterizzato i provvedimenti dell’era covid affligge anche queste disposizioni che, da un lato, sono volte a prorogare i poteri dell’amministratore in scadenza in questo periodo (a fronte della difficoltà, laddove non se ne ritenga sussistente un vero e proprio divieto, di convocare assemblee) e, dall’altro a estendere il termine per la convocazione della assemblea per l’approvazione del rendiconto, fissato in 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio a mente dell’art. 1130 n. 10 c.c.
Giova osservare che la norma dispone di fatto una proroga, che tuttavia definisce rinnovo (che invece presuppone il decorso di un nuovo rapporto contrattuale). Trattandosi di proroga straordinaria disposta ex lege, è da ritenere che l’amministratore mantenga intatti tutti i poteri (e il diritto al compenso) e non solo quelli ordinari previsti in caso di protrazione del mandato ex art. 1129 comma VI c.c.
La proroga decorrerà dalla data di scadenza dell’incarico originario.
Ancor meno felice appare la formulazione della norma sull’estensione del termine per l’approvazione dei rendiconti, che prevede che l’ampliamento di dodici mesi non decorra dalla scadenza del termine di cui all’art. 1130 n. 10 c.c. ma dalla chiusura del rendiconto, nascendo così già assai monco rispetto a quelle chiusure che si collocano alla fine del 2019.
Una recente pronuncia del Tribunale capitolino (Trib. Roma Sez.V 4 maggio 2020 n. 6847) appare interessante per l’amministratore che si trovi a gestire mutamenti nella compagine condominiale: il Giudice romano afferma che l’amministratore è tenuto a convocare i soggetti che risultano dai registri di anagrafe tenuti debitamente aggiornati, senza necessità di compiere ogni volta particolari ricerche immobiliari ed essendo onere dei condomini interessati comunicare eventuali mutamenti di titolarità.
è stato più volte sostenuto, in giurisprudenza, che, nell’ipotesi di subingresso nella titolarità di una porzione particolare di edificio condominiale, affinché il nuovo proprietario si legittimi, di fronte al condominio, quale avente diritto a partecipare alle assemblee, occorre almeno, pur nel silenzio della legge al riguardo, una qualche iniziativa, esclusiva dell’avente causa o concorrente con quella del dante causa, che, in forma adeguata, renda noto al condominio detto mutamento di titolarità.
È ben vero, tuttavia, che (secondo il perspicuo chiarimento fornito da Cass., 30 aprile 2015, n. 8824): «come è stato affermato in più occasioni da questa Corte (sent. n. 7849 del 2001, n. 2616 del 2005, in coerenza con il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5032 del 2002), alle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condòmini, cioè i veri proprietari e non coloro che si comportano come tali senza esserlo.Nei rapporti tra il condominio e i singoli partecipanti allo stesso, infatti, mancano le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini.
D’altra parte, e in generale, la tutela dell’apparenza del diritto non può essere invocata da parte del soggetto (nel nostro caso dal Condominio) che abbia trascurato di accertare l’effettiva realtà sui pubblici registri, contro ogni regola di prudenza. Del resto, il regime giuridico di pubblicità rappresenta un limite invalicabile all’operatività del principio dell’apparenza: pubblicità e apparenza sono, infatti, istituti che si completano l’un l’altro, rispondendo alle medesime finalità di tutela dei terzi di buona fede; ma, proprio per ciò, stesso alternativi. La tutela dell’apparenza non può tradursi in un indebito vantaggio per chi abbia colpevolmente trascurato di accertarsi della realtà delle cose, pur avendone la concreta possibilità». Orbene, quantunque non si possano, certamente, intendere i menzionati precedenti nel senso di affermare l’esistenza (fin quando non vi sia un’adeguata comunicazione dell’avvenuto mutamento di titolarità) di una legittimazione sostitutiva giustificata dall’apparenza (tale, cioè, che l’“ex” proprietario, da un lato, possa, a buon diritto, continuare a reclamare per sé lo status di condomino – con le annesse prerogative in ordine alla convocazione e alla partecipazione alle assemblee –; dall’altro, possa continuare a essere perseguito, anche giudizialmente, dall’amministratore per il pagamento dei contributi condominiali), nondimeno il “nuovo”, che (e fin tanto che) abbia omesso di assolvere l’onere di segnalare il proprio subingresso nella posizione dominicale, non può pretendere il riconoscimento della sua qualità dal Condominio e, soprattutto, dolersi di non essere stato invitato a partecipare all’assemblea ordinaria, impugnandone – soltanto se e quando gliene venga data formalmente “notizia” – le deliberazioni in merito alle spese condominiali (cfr. Cass., 29 maggio 1998, n. 5307).
L’attore ex art. 1137 cod. civ., infatti, ha pur sempre l’onere di dimostrare il vizio di cosostituzione: nel senso, però, non già di non aver materialmente ricevuto la comunicazione cui aveva senz’altro diritto (perché sarebbe, semmai, il condominio a dover provare di avergliela inviata – cfr., e pluribus, Cass. ord., 14 settembre 2017, n. 21311; Cass., 21 ottobre 2014, n. 22685 – e di averla recapitata al suo indirizzo – cfr. Cass., 25 marzo 2019, n. 8275 –), ma di essere egli effettivamente tra coloro che (a norma dell’art. 1136, 6° comma, cod. civ.) deve constare siano stati regolarmente invitati alla riunione, poiché il compito istituzionale dell’amministratore, da un lato, può considerarsi assolto e il procedimento di convocazione dell’assemblea, dall’altro, può considerarsi corretto, allorché l’invito alla partecipazione sia stato rivolto a tutti coloro (non già che siano stati individuati – in vista di ogni assemblea – con una puntuale ed esaustiva consultazione dei registri immobiliari, ma) che risultano nel registro anagrafico dei condòmini, adeguatamente tenuto e regolarmente aggiornato secondo le variazioni, di volta in volta, comunicate da chi ne abbia il titolo e l’onere ovvero, comunque, acquisite, con l’uso della normale diligenza, da chi lo gestisce e ne ha la custodia.
Nel caso particolare, poi, del decesso del condomino, poiché, fra l’altro, non sarebbero sufficienti (per l’individuazione dei chiamati e – men che meno – degli eredi) neanche la notizia dell’apertura della successione o l’esame della relativa denunzia (che non implica accettazione della delazione ex lege o ex testamento) né si può ritenere sussistente, in capo all’amministratore, un dovere di provocare la nomina di un curatore dell’eredità giacente, è onere di chi sia subentrato, mortis causa, nella qualità di condomino in luogo del defunto (con la conseguente assunzione dei diritti e obblighi correlativi) darne idonea comunicazione, in mancanza della quale, pertanto, egli non può denunziare il vizio di costituzione dell’assemblea condominiale, così come convocata dall’amministratore sulla base dei dati in suo possesso (costui, anzi – secondo Cass., 22 marzo 2007, n. 6926 –, pur essendo «a conoscenza del decesso di un condomino, fino a quando gli eredi non gli manifesteranno la loro qualità, non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca, non sarà tenuto a inviare alcun avviso» ovvero – così la più risalente Cass., 29 luglio 1978, n. 3798 – invierà «l’avviso all’ultimo domicilio» noto, dove si possa verosimilmente trovare qualcuno – successore oppure no – in grado di portare l’avviso a conoscenza degli interessati, «sincerandosi, quindi, della [avvenuta] ricezione dell’avviso» medesimo «da parte di persona addetta a quel domicilio», senza che poi rilevi che la persona consegnataria lo recapiti effettivamente agli eredi)
La pronuncia affronta anche il tema della irrilevanza dei vizi di annullabilità della delibera, non tempestivamente impugnata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, tema contiguo a quello più controverso della rilevabilità d’ufficio della nullità della delibera in quella sede e del possibile contrasto di giudicati fra relativo al giudizio di opposizione a decreto e di impugnazione della delibera, questioni rimesse alla valutazione delle Sezioni Unite nello scorso autunno.
L’ampia rassegna giurisprudenziale, richiamata dal Tribunale romano sul primo aspetto, può rendere interessante la lettura dell’intero provvedimento.
Un’interessante ed articolata sentenza capitolina (Trib. Roma sez. V 12 marzo 2019 n. 5363) affronta il tema del conflitto di interesse, portato da uno dei condomini che ha espresso il proprio voto in assemblea (una società che ha votato favorevolmente all’abbandono di una causa nella quale era parte contro il condominio), e la contestazione relativa allo spostamento del luogo di celebrazione di assemblea durante lo svolgimento della stessa.
CONFLITTO DI INTERESSI – il Tribunale romano osserva, condivisibilmente ed in linea con l’orientamento di legittimità, che non è sufficiente addurre la sussistenza di conflitto in capo ad uno dei condomini votanti (che può ma non deve astenersi in quella sede) ma è anche necessario provare che quel voto persegua interessi extracondominiali e dannosi per la compagine comune: “Ne deriva pertanto che l’invalidità della delibera discende non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione: il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio”.
ASSEMBLEA _ la vicenda è curiosa e la decisione del giudice, anche se assai rigorosa, appare giustamente garantista e motivata. L’assemblea è convocata nell’androne condominiale am – dopo pochi minuti dall’inizio – per il freddo e la scomodità si sposta in un vicino bar. una condomina, arrivata nell’androne poco dopo il trasferimento del consesso ad altra sede, ritiene che la riunione non si tenga e si allontana richiedendo via mail spiegazioni all’amministratore, che risponde tempestivamente ma sembra non comunichi a costei che è ancora in tempo a partecipare, di talchè il giudice ritiene irrimediabilmente pregiudicato il diritto del singolo e violato l’art. 66 disp.att. cod.civ.
la sentenza è decisamente ampia e merita lettura integrale
Cass. civ. sez. II 25 marzo 2018 n. 8275 afferma che è onere dell’amministratore provare di aver inviato tempestivamente la convocazione ed incomba invece al condomino, che intenda contestare l’irrituale convocazione, allegare di averla ricevuta tardivamente senza sua colpa.
La pronuncia non appare di felicissima stesura e potrebbe apparire contraddittoria laddove, da un lato, ritiene onere del condominio fornire prova dell’effettivo pervenimento dell’avviso presso il destinatario e, dall’altro, che l’amministratore sia tenuto a dimostrare solo di averlo inviato.
In realtà l’intero testo della motivazione riafferma l’onere del mittente di dar prova di aver fatto pervenire il plico tempestivamente presso il destinatario (distinguendo l’ipotesi dell’invio della convocazione da quello del verbale); è solo l’infelice parte finale che sembra limitare gli oneri probatori di colui che convoca, anche se in realtà la lettura dell’intera sentenza rende chiaro che rimane onere del condominio dar prova di aver fatto pervenire la convocazione nella sfera giuridica del destinatario tempestivamente e rimane invece onere di costui dimostrare di non averne avuto conoscenza, per fatto a lui non imputabile.
E’ dunque opportuno che l’interprete accorto non si abbandoni alla facile lusinga che sia sufficiente dimostrare la spedizione nei termini, poichè neanche l’odierna pronuncia legittima simile lettura.
“Per costante orientamento di questa corte (ex multis, Cass. 26 settembre 2013 n. 22047), la invocata disposizione dell’art. 66 disp. att. c.c., viene interpretata nel senso che essa esprime il principio secondo cui ogni condomino ha il diritto di intervenire all’assemblea del condominio e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare.
Viene, inoltre, affermata la necessità che l’avviso di convocazione sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine, ivi stabilito, di almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza, avendo riguardo quale dies ad quem alla riunione dell’assemblea in prima convocazione. Con la conseguenza che la mancata conoscenza di tale data, da parte dell’avente diritto, entro il termine previsto dalla legge, costituisce motivo di invalidità delle delibere assembleari, ai sensi dell’art. 1137 c.c., come confermato dal nuovo testo dell’art. 66 disp. att. c.c., comma 3, introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, a nulla rilevando, ai fini della tempestività dell’avviso, né la data di svolgimento dell’assemblea in seconda convocazione, né che la data della prima convocazione fosse stata eventualmente già fissata dai condomini prima dell’invio degli avvisi.
La medesima giurisprudenza, peraltro, qualifica l’avviso di convocazione atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall’applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari – quale atto unilaterale recettizio, per cui esso rinviene la propria disciplina nell’art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell’atto è parificata alla conoscibilità, in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione all’indirizzo del destinatario e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza.
Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., degli atti recettizi in forma scritta giunti all’indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo dell’atto nel luogo indicato dalla norma.
L’onere della prova a carico del mittente riguarda, in tale contesto, solo l’avvenuto recapito all’indirizzo del destinatario, salva la prova da parte del destinatario medesimo dell’impossibilità di acquisire in concreto l’anzidetta conoscenza per un evento estraneo alla sua volontà (cfr., per una fattispecie in tema di comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea di un condominio, Cass. 29 aprile 1999 n. 4352).
Dall’anzidetto quadro normativo viene fatto derivare l’ovvio corollario per cui, se è vero che per ritenere sussistente, ex art. 1335 c.c., la presunzione di conoscenza, da parte del destinatario, della dichiarazione a questo diretta, è necessaria e sufficiente la prova che la dichiarazione stessa sia pervenuta all’indirizzo del destinatario, tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata non consegnata per l’assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell’agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi.
Nel senso di cui innanzi si esprimono i precedenti consolidati di questa corte, che il collegio decidente condivide (v. di recente Cass. 3 novembre 2016, n. 22311, in fattispecie condominiale; v. altresì i numerosi precedenti in altre materie, soprattutto lavoristica, agraria e locatizia, anche ivi richiamati: Cass. 31 marzo 2016 n. 6256; Cass. 15 dicembre 2009 n. 26241; Cass. 5 giugno 2009 n. 13087; Cass. 24 aprile 2003 n. 6527; Cass. 27 luglio 1998 n. 7370; Cass. 1 aprile 1997 n. 2847; oltre numerose sentenze non massimate, o non massimate sul punto che rileva, tra le quali ad es. Cass. 4 agosto 2016 n. 1633).
A fronte del predetto orientamento consolidato si pone, in senso contrario il solo precedente di Cass. 14 dicembre 2016 n. 25791 che – emesso in materia condominiale ma in riferimento al diverso termine posto dall’art. 1137 c.c., per l’impugnazione delle delibere assembleari, decorrente per gli assenti dalla comunicazione – ha ritenuto: a) che l’avviso di tentata consegna da parte dell’agente postale, non contenendo l’atto cui si riferisce, non equivalga a sua comunicazione, né può quindi reputarsi che l’atto sia giunto all’indirizzo del destinatario per gli effetti dell’art. 1335 c.c.; b) che, mancando nel regolamento postale una disciplina analoga a quella della L. n. 890 del 1982, art. 8, l’interprete debba applicare il principio di effettiva conoscenza e non la presunzione di conoscibilità di cui all’art. 1335 c.c., altrimenti ponendosi il risultato interpretativo in contrasto con l’art. 24 Cost., trattandosi di una comunicazione – si ripete, del verbale delle deliberazioni dell’assemblea del condominio nei confronti degli assenti – da cui decorre il termine decadenziale per l’esercizio della impugnazione in sede processuale; c) che, quindi, debba farsi applicazione analogica delle disposizioni di cui alla L. n. 890 del 2002, art. 8, adattate tenendo conto del fatto che – non trattandosi di notifica di atto giudiziario – il servizio postale non prevede, per gli invii ordinari, la spedizione di una raccomandata con la comunicazione di avvenuto deposito ma solo il rilascio di avviso di giacenza. La considerazione della natura isolata del predetto precedente (che peraltro, dal punto di vista della percezione dei valori costituzionali sottesi, si pone in dissonanza implicita con Cass. 23 settembre 1996 n. 8399, decisione che, come detto, aveva in particolare valorizzato la possibilità per il destinatario di dare prova contraria rispetto alla presunzione ex art. 1335 c.c.) e, soprattutto, della circostanza che esso concerne fattispecie non pienamente sovrapponibile a quella in esame, induce a non ritenere sussistente il contrasto diacronico di giurisprudenza dedotto dal procuratore generale in udienza pubblica.
In particolare, in ordine ai caratteri distintivi della questione giuridica esaminata in detto precedente (relativa alla disciplina del termine di impugnazione ex art. 1137 c.c., della delibera di assemblea di condominio) rispetto a quella oggetto della presente controversia (relativa alla disciplina del termine dilatorio ex art. 66 disp. att. c.c., per la convocazione dell’assemblea del condominio), può essere sufficiente sottolineare che, nel primo caso, dalla comunicazione dell’atto (verbale assembleare) decorre un termine decadenziale per proporre un’azione giudiziaria mentre, nel secondo caso, dal pervenimento dello stesso (convocazione di assemblea) decorre un termine dilatorio meramente condizionante la validità della deliberazione, la quale ultima soltanto potrà essere impugnata in giudizio, previa ulteriore comunicazione di essa o partecipazione del convocato all’adunanza: sussistono, dunque, “ragionevoli differenze”, correlate alla presenza solo nella prima fattispecie di possibili pregiudizi, per effetto dell’avverarsi della decadenza, all’esercizio della tutela giurisdizionale (tema su cui, in effetti, il precedente n. 25791 del 2016 cit. si sofferma nella formulazione della ratio decidendi). Ne deriva che, al limite, detto precedente n. 25791 del 2016 introduce una cesura nella catena giurisprudenziale concernente il computo dei termini decadenziali per l’esercizio di azioni giudiziarie decorrenti dalla ricezione dell’atto (per stare ai precedenti citati, v. taluni di quelli in materia lavoristica), ma non in quella (cui pertiene la fattispecie in esame, oltre altre nei precedenti citati) in cui non decorrano – almeno in via immediata e diretta – termini della specie, bensì termini di altre tipologie (sul punto v. precedente in termini, Cass. 22 novembre 2017 n. 23396).
Va riaffermato, dunque, quale principio di diritto, che in tema di condominio, con riguardo all’avviso di convocazione di assemblea ai sensi dell’art. 66 disp. att. c.c., (nel testo ratione temporis vigente), posto che detto avviso deve qualificarsi quale atto di natura privata (del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall’applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari) e in particolare quale atto unilaterale recettizio ai sensi dell’art. 1335 c.c., al fine di ritenere fornita la prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedenti l’adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle deliberazioni, è sufficiente e necessario che il condominio (sottoposto al relativo onere), in applicazione della presunzione dell’art. 1335 c.c., richiamato, dimostri la data di pervenimento dell’avviso all’indirizzo del destinatario, salva la possibilità per questi di provare di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata (cui il testo dell’art. 66 disp. att. c.c., affianca, nel testo successivo alla riforma di cui alla L. 11 dicembre 2012, n. 220, altre modalità partecipative), e questa non sia stata consegnata per l’assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell’agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (quali il momento in cui la lettera sia stata effettivamente ritirata o in cui venga a compiersi la giacenza). Precisazioni ulteriori derivano dalla considerazione dell’applicazione della disciplina della regolamentazione postale, avuta presente in precedenti pronunce e costituita ratione temporis dal decreto del ministro dello sviluppo economico 01/10/2008 (recante “approvazione delle condizioni generali per l’espletamento del servizio postale universale”), cui è succeduta la delibera 385/13/CONS del 20/06/2013 dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il regolamento (nei due testi, che sul tema dell’art. 31, non presenta variazioni) contempla, con terminologia impropria, non vincolante sul piano civilistico, che “il mittente resta proprietario dell’invio sino al momento della consegna” e che egli, prima della consegna, ha titolo a chiedere la restituzione dell’invio o la modifica della destinazione o del destinatario. Il riferimento alla “consegna” è nel senso della preclusione alla possibilità di restituzione del plico al mittente al momento dell’emissione dell’avviso di giacenza ove la consegna sia stata comunque tentata, anche se non effettuata, in caso di assenza del destinatario, per cui una volta emesso l’avviso di giacenza, gli invii restano in giacenza (nel caso in esame, per trenta giorni) a disposizione del destinatario (e non del mittente), al quale ultimo essi vengono restituiti solo all’esito, previa richiesta e pagamento di corrispettivo, in alternativa alla distruzione.
Alla luce del quadro giurisprudenziale e normativo riprodotto si osserva che nel caso di specie l’amministratore ha provato la spedizione della convocazione tramite lettera raccomandata, e la sentenza impugnata ha evidenziato, da un lato, la sussistenza della presunzione di conoscenza, tenuto conto dell’affidabilità dello strumento di spedizione utilizzato, e, dall’altro, la mancanza di alcuna allegazione e prova specifica dedotta dalla ricorrente in ordine alla impossibilità di acquisire conoscenza dell’atto senza colpa, generica la sola negazione del ricevimento dello stesso, inidonea a superare la presunzione di conoscenza dell’atto regolarmente inviato.
Con la conseguenza che correttamente è stata ritenuta validamente raggiunta, attraverso la prova della spedizione della raccomandata contenente l’avviso di convocazione in data 25.05.2006, la presunzione di ricezione dello stesso da parte della destinataria, sulla quale gravava, pertanto, l’onere di controllare assiduamente la corrispondenza a lei diretta, per un riscontro della tempestività o meno dell’inserimento dell’avviso medesimo nel rispetto dei cinque giorni previsti dalla disposizione invocata.”
Una discutibile pronuncia della Corte d’appello di Brescia (App. Brescia 3 gennaio 2019 n. 4) sembra alleviare gli oneri dell’amministratore di condominio in tema di oneri di convocazione dell’assemblea.
Il giudice lombardo rileva che il condomino aveva richiesto che la convocazione gli fosse inviata per mail ordinaria e non potrà dunque dolersi, a posteriori, che non sia stata utilizzata la PEC: “osserva il Collegio che, se invero è corretto ritenere che unico strumento equipollente alla raccomandata indicata dalla disposizione di legge è la comunicazione PEC, posto che solo con tale modalità perviene al notificante un messaggio di accettazione e consegna dell’avviso, tuttavia nel caso in esame è stato lo stesso condomino Al. ad aver richiesto la comunicazione avverso un mezzo “informale” quale la e.mail, non avendo egli indicato un indirizzo PEC bensì l’indirizzo, mail, (omissis…). Ne consegue che l’invio della mail per come dimostrato dal Condominio appellato ha rispettato le forme indicate dal condomino.”
La stringatezza della pronuncia non consente di comprendere se la censura sia solo formale, ovvero se il condomino abbia effettivamente e tempestivamente ricevuto la comunicazione, ma si dolga della forma: in tal caso il ragionamento del giudice appare condivisibile, poiché l’atto avrebbe comunque raggiunto il destinatario e lo scopo previsto dalla legge, apparendo non dirimente la modalità di comunicazione.
E’ tuttavia opportuno che l’amministratore si attenga scrupolosamente a quanto previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ., norma peraltro inderogabile a mente dell’art. 72 disp.att. cod.civ., evitando i mezzi non previsti espressamente dal (discutibile) legislatore del 2012: è onere dell’amministratore da prova di aver correttamente convocato l’assemblea (Cass.Civ. sez.II 14 settembre 2017 n.21311), ed è dunque opportuno che egli adotti mezzi che consentano di avere incontrovertibile attestazione della avvenuta ricezione dell’avviso (ragione per cui non si comprende come possa essere stato inserito nella norma, fra i mezzi consentiti, anche il fax, il cui rapporto di trasmissione non finisce alcuna attendibilità sulla effettiva ricezione da parte del destinatario).
Lo afferma Cass.Civ. sez.II ord. 7 maggio 2018 n. 10866, con riferimento alla prassi di immettere una copia dell’avviso nelle cassette dei condomini, ritenuta ammissibile solo con riferimento a condotte avvenute antecedentemente alla entrata in vigore della L. 220/2012.
“Appare opportuno osservare che ratione temporis la fattispecie in esame va riferita alla normativa precedente alla L. n. 220 del 2012, (riforma del condominio) e cioè all’art. 1136 c.c., nella sua versione precedente alla riforma del condominio, e, comunque, ai principi espressi da questa Corte in materia.
Incidentalmente va detto che a norma dell’art. 66 disp. att. c.c., comma 3, così come modificato dalla L. n. 220 del 2012 (la così detta riforma del condominio) l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione.
Prima di questa riforma. era orientamento pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che ” in tema di condominio degli edifici, non è previsto alcun obbligo di forma per l’avviso di convocazione dell’assemblea, sicchè la comunicazione può essere fatta anche oralmente, in base al principio della libertà delle forme, salvo che il regolamento prescriva particolari modalità di notifica del detto avviso”.
Tuttavia, con l’ulteriore specificazione che l’eventuale previsione regolamentare in ordine alla forma della convocazione dei condomini all’assemblea condominiale, trattandosi di prescrizione a contenuto organizzativo, ovvero, propriamente “regolamentare”, poteva essere modificata ed anche per “facta concludentia” cioè, per una prassi seguita dagli amministratori del condominio.
D’altra parte, come è opinione della stessa giurisprudenza di questa Corte, la prescrizione regolamentare, per così dire, organizzativa, (e, non quindi, di contenuto contrattuale, ovvero, incidente sulla proprietà dei beni comuni o esclusivi), va interpretata ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, anche alla luce del comportamento posteriore avuto dai condomini al medesimo regolamento.
Correttamente, dunque, la Corte di Appello di Lecce ha ritenuto legittima la convocazione dei condomini mediante avviso immesso presso la cassetta postale dei singoli condomini posto che tale modalità di convocazione era la prassi seguita dagli amministratori del Condominio nonostante l’art. 14 del Regolamento condominiale prevedesse che la convocazione fosse effettuata mediante lettera raccomandata. “(…) Orbene, chiarisce la sentenza, non è stata contestata la prassi seguita dagli amministratori del condominio de quo di convocare le assemblee condominiali mediante avviso immesso presso la cassetta postale dei singoli condomini (…)”.
Lo ha stabilito il Tribunale di Grosseto con sentenza 8 marzo 2018 n. 249, aderendo ad orientamento già consolidato in sede di legittimità ( Cass.Civ. sez. II 28 luglio 1990 n. 7630).
Il Giudice toscano osserva che “Quanto alla mancata convocazione alle assemblee al mancato invio dei relativi verbali il Condominio ha dimostrato mediante la produzione in giudizio che gli stessi sono stati recapitati a S.B., marito dell’opponente. Va altresì notato sul punto che l’opponente non espone in alcun modo le ragioni per cui non sarebbe stata sufficiente la convocazione rivolta al marito. Sussistono pertanto elementi presuntivi e indiziari che inducono a ritenere che la stessa M.G. conoscesse le convocazioni ed il contenuto dei verbali delle assemblee al pari del marito. In tal senso depone non solo il fatto che non fossero semplici proprietari, ma appunto coniugi, ma anche la circostanza che talvolta, ad esempio nel caso della nota 8 dicembre 2009, i due diedero atto congiuntamente della ricezione della lettera con la quale viene loro comunicata la “prossima convocazione di Assemblea Straordinaria del Condominio di via O.” preannunciando la propria mancata partecipazione.
Deve, infatti, osservarsi che i fatti per cui è causa sono antecedenti alla modifica disposta con legge 220/2013 (in vigore dal 18 giugno 2013) al 3° comma dell’art. 66 disp. att. c.c. che ha stabilito le modalità di effettuazione della convocazione all’assemblea condominiale.”
La sentenza è interessante anche per gli altri due aspetti affrontati, l’uno relativo alla rinuncia alla solidarietà passiva, convenuta fra condominio e appaltatore, che non esclude la legittimazione dell’amminisratore ad agire nei confronti dei morosi: Vale la pena osservare preliminarmente che il vincolo di esclusione della solidarietà passiva tra i condomini pattuito tra il Condominio e la società esecutrice dei lavori, non rileva in questa sede, atteso peraltro che il Condominio ha richiesto solo il pagamento delle spese di competenza di M.G. e non di altri condomini.
Inoltre, la stipula di un simile accordo non priva in alcun modo il Condominio, in persona del proprio amministratore pro tempore del potere/dovere di attivarsi per il recupero delle spese condominiali. È evidente come l’adesione ad una diversa opzione interpretativa finirebbe per porre a carico esclusivo della società che ha eseguito i lavori l’onere di attivarsi contro i condomini morosi. Sotto altro profilo deve altresì che già all’epoca di instaurazione del presente giudizio era ormai pacifica la natura parziaria delle obbligazioni condominiali (SS.UU. 9148/2008) la cui affermazione, peraltro, non ha mai avuto l’effetto di elidere la legittimazione del Condominio a far valere la pretesa creditoria”
Il giudice osserva infine che è ormai pacifico che si approvino a maggioranza le tabelle millesimali che non deroghino ai prinpci di cui agli art 1123 e s.s. cod.civ. : “è approdo ormai consolidato in giurisprudenza che relativamente all’approvazione delle tabelle millesimali, la deliberazione assembleare non ha natura negoziale e non è pertanto necessaria, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente l’unanimità, essendo sufficiente la maggioranza semplice (SS.UU. n. 18477/18478 del 2010).”