la rappresentanza processuale del supercondominio

Laddove sussista ipotesi di supercondominio ex art 1117 bis cod.civ., gli amministratori dei singoli fabbricati che fanno parte del complesso non sono legittimati a stare in giudizio per le controversie relativi a beni super condominiali.

E’ quanto afferma una recente sentenza di legittimità (Cass. civ. sez. II 28 gennaio 2019 n. 2279), confermando orientamenti già espressi: “La Corte distrettuale ha stabilito che la porzione su cui è stata costituita la servitù coattiva di passaggio rientrava nella presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c., essendo in titolarità comune ai proprietari delle singole unità assegnate dalla (omissis) e in rapporto di accessorietà rispetto ai due edifici (cfr., sentenza pag. 9).
Ciò nonostante ha ritenuto che la domanda sia stata correttamente proposta verso gli amministratori dei due edifici.
Deve in contrario obiettarsi che la sussistenza di servizi o beni comuni a più condomini autonomi dà luogo ad un super-condominio, che è distinto ed autonomo rispetto ai singoli condomini che lo compongono e che viene in essere ipso iure et facto ove il titolo non disponga altrimenti (Cass. 2305/2008; Cass. 13883/2010; Cass. 17332/2011; Cass. 19939/2012; Cass. 5160/1993).
In tal caso, il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di agire o resistere in giudizio soltanto con riferimento ai beni comuni all’edificio amministrato e non per quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomini, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi (assemblea di tutti i proprietari ed amministratore del super-condominio).
Qualora non sia stato nominato l’amministratore del super-condominio, la rappresentanza processuale passiva compete, in via alternativa, ad un curatore speciale nominato a norma dell’art. 65 disp. att. c.c. o al titolare di un mandato ad hoc conferito dai comproprietari.
In mancanza occorre convenire in giudizio tutti i titolari delle porzioni esclusive ubicate nei singoli edifici (Cass. 8570/2005; Cass. 8842/2001; Cass. 12588/2002; Cass. 9206/2005; Cass. 14765/2012).
La domanda di costituzione della servitù non poteva – quindi – esser proposta nei confronti degli amministratori dei due diversi stabili, ma occorreva evocare in giudizio tutti i singoli condomini.
È quindi accolto il secondo motivo, con assorbimento degli altri.”

copyright massimo ginesi 30 gennaio 2019

art. 1117 cod.civ. e beni comuni: nel silenzio del titolo vale la funzione.

La Suprema Corte (Cass.Civ. sez. II 24 aprile 2018 n. 10073) ribadisce un prinpcio consolidato in tema di beni condominiali: ove il titolo non  disponga espressamente in ordine alla proprietà comune o individuale del bene, il Giudice dovrà valutare la funzione cui detti beni sono destinati ad assolvere, ritenendoli individuali (o comunque comuni solo ad una parte di condomini ai sensi dell’art. 1123 comma 3 cod.civ.) ove non siano destinati a recare utilità a tutta la collettività condominiale.

l’accertamento relativo alla sussistenza del legame di essenziale indissolubilità e/o di accessorietà tra il bene di proprietà singola e gli altri beni, è demandato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se non affetto da vizi logici e giuridici della motivazione; allo stesso giudice è demandata anche l’interpretazione dei titoli allegati per escludere il diritto di condominio (Cass. 21.12.2007, n. 27145; Cass. 16.2.2004, n. 2943).

La verifica di detta relazione di accessorietà è indispensabile e preliminare per ritenere operante la presunzione dell’art. 1117 c.c., nel senso che ove quell’accessorietà manchi in concreto, detti beni non possono presumersi – già solo per questo fatto – comuni a tutti i condomini senza che occorra verificare la sussistenza di un titolo contrario alla suddetta presunzione, e, a tal fine, fare riferimento all’atto costitutivo del condominio (Cass. 16.1.2018, n. 884; Cass. 2.3.2007, n. 4973; Cass. 25.1.2007, n. 1625).

Quando il bene, anche se rientrante nell’elencazione di cui all’art. 1117 c.c., per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, serva in modo esclusivo al godimento di una parte dell’edificio in condominio, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, viene meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini, giacché la destinazione particolare vince la presunzione legale di comunione, alla stessa stregua di un titolo contrario (Cass. 29.12.1987, n. 9644; Cass. 25.2.1975, n. 758).

Questa Corte ha anche precisato che per escludere la presunzione di proprietà comune, di cui all’art. 1117 cod. civ., non è necessario che il contrario risulti in modo espresso dal titolo, essendo sufficiente che da questo emergano elementi univoci che siano in contrasto con la reale esistenza di un diritto di comunione, dovendo la citata presunzione fondarsi sempre su elementi obiettivi che rivelino l’attitudine funzionale dei bene al servizio o al godimento collettivo, con la conseguenza che, quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serva in modo esclusivo all’uso o al godimento di una sola parte dell’immobile, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, ovvero risulti comunque essere stato a suo tempo destinato dall’originario proprietario dell’intero immobile ad un uso esclusivo, in guisa da rilevare – in base ad elementi obiettivamente rilevabili, secondo l’incensurabile apprezzamento dei giudici di merito – che si tratta di un bene avente una propria autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale, viene meno il presupposto per l’operatività dell’art. 1117 c.c. (cfr., in motivazione, Cass. 23.9.2011, n. 19490; Cass. 28.4.2004, n. 8119; Cass. 27.12.2004, n. 24015).

Avendo quindi la Corte stabilito, con accertamento in fatto, che mancava la suddetta relazione di accessorietà funzionale, non occorreva attribuire più rilievo al contenuto dei titoli né considerare che l’atto di accatastamento compiuto dall’unico proprietario prima della costituzione del condominio non era stato richiamato nella prima vendita, potendo esso rilevare solo quale titolo contrario alla presunzione ex art. 1117 c.c., già esclusa, per le ragioni evidenziate, dalla Corte distrettuale (cfr., Cass. 7.5.2010, n. 11195; Cass. 23.2.2011, n. 2670; Cass. 23.2.1991, n. 1915).”

© massimo ginesi 27 aprile 2018

se si chiude il verbale, l’assemblea è terminata e non si può deliberare.

Cass.civ. sez. II  26 luglio 2017 n. 18569 affronta un caso peculiare: a causa della ingovernabilità della riunione, l’amministratore – che plausibilmente svolgeva anche funzioni di segretario  – ad un certo punto chiude il verbale e si allontana, insieme ad alcuni condomini, portando con sè il libro dei verbali.

I soggetti rimasti, verificato che raggiungono comunque le maggioranze necessarie a deliberare in seconda convocazione, aprono nuovo verbale e deliberano su alcuni punti all’ordine del giorno.

Il Tribunale di Verona aveva considerato valida la delibera successiva, mentre la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto che tale delibera fosse invalida, sull’assunto che essendo stato chiuso il verbale ed essendo diversa la composizione dell’assise, non potesse questa considerarsi mera prosecuzione della prima ma avrebbe richiesto una nuova convocazione, con verifica delle maggioranze necessarie alla costituzione in prima e seconda convocazione.

Osserva il giudice di legittimità, nel rigettare il ricorso che: “Si deve rilevare che la corte di merito, una volta ritenuto che la seduta ulteriore non rappresentasse una mera prosecuzione della precedente, è inevitabilmente pervenuta alla conclusione che la successiva dovesse essere considerata una nuova assemblea e che, per l’effetto, occorresse una nuova convocazione di tutti i condomini (ivi compresi coloro che si erano allontanati) e dovessero essere osservati i quorum costitutivi e deliberativi prescritti per la prima convocazione. Anche in tal guisa la sentenza impugnata non incorre in alcuna violazione dell’articolo 1136 cod.civ. “

© massimo ginesi 31 luglio 2017

bene necessariamente comuni e beni comuni per destinazione. l’alloggio del portiere.

La Cassazione (Cassazione, sez. II Civile,  14 giugno 2017, n. 14796) traccia – sulla scorta di un orientamento consolidato, una efficace sintesi sulla nascita del condominio e sulla natura dei beni destinati all’uso comune.

Quelli che tali sono per necessaria destinazione funzionale, indispensabili all’esistenza stessa di un fabbricato multipiano, e quelli che invece – quali l’alloggio del portiere – possono ritenersi comuni solo se tale destinazione gli venga impressa nel momento stesso in cui il condominio si costituisce.

“È risaputo che tutto ciò che si costruisce sul suolo, in virtù del principio dell’accessione (art. 934 ss. cod. civ.), si acquista dal proprietario di esso.

Quindi, il proprietario del suolo, che costruisce un edificio composto da più, piani o porzioni di piano, per effetto dell’accessione acquista la proprietà esclusiva dell’intero fabbricato.

Il condominio, che si sostituisce alla proprietà solitaria, nasce come conseguenza della vendita della proprietà separata dei singoli piani o porzioni di piano, a far tempo dalla prima alienazione.

Quale effetto accessorio del trasferimento ad altri soggetti delle singole unità immobiliari, ha origine il diritto di proprietà comune sulle cose, sui servizi e sugli impianti necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero destinati all’uso o al servizio dei piani o delle porzioni di piano.

La necessità per l’esistenza dell’intero edificio e per l’uso comune di talune cose (il suolo, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i cortili etc.) non può revocarsi in dubbio: avuto riguardo alla loro unica ed univoca funzione strumentale al servizio dei piani o delle porzioni di piano siti nel fabbricato, non può contestarsi che esse, una volta istituito il condominio, formino oggetto di proprietà comune e costituiscano beni comuni.

Per contro, i locali dell’edificio contemplati dall’art. 1117 n. 2 cit., raffigurano beni ontologicamente suscettibili di utilizzazioni diverse, anche autonome: per diventare beni comuni, essi abbisognano di una specifica destinazione al servizio in comune.

In difetto di espressa disciplina negoziale, affinché un locale sito nell’edificio – che, per la sua collocazione, può essere adibito ad alloggio del portiere, oppure utilizzato come qualsiasi unità abitativa – diventi una parte comune ai sensi dell’art. 1117 n. 2 cit., occorre che, all’atto della costituzione del condominio, al detto locale sia di fatto assegnata la specifica destinazione al servizio comune. Se prima della costituzione del condominio la destinazione al servizio comune non gli viene conferita, o gli viene sottratta, il locale non può considerarsi come bene comune.”

© massimo ginesi 16 giugno 2017

supercondominio: nascita e parti comuni.

 

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 marzo  2017 n. 6313, Rel. Scarpa.

La vicenda attiene a contestazioni circa la titolarità di alcune aree esterne in un complesso supercondominiale in quel di Pietra Ligure.

La Suprema Corte ripercorre i principi  in tema di nascita del supercondominio e della individuazione della parti comuni a tutti i partecipanti a tale organismo: “Non è stata oggetto di censure in questa sede la qualificazione del contesto proprietario come condominio di edifici, nella specie costituito da una pluralità di edifici ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall’esistenza di talune cose in rapporto di accessorietà con i singoli fabbricati. La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti del Codice Civile, si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto. Secondo le emergenze documentali del giudizio, il Supercondominio di Pietra Ligure (SV), composto dai condomini A M, D, T, S e R, deve intendersi sorto con l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà P. in data 4 marzo 1972.

Originatasi a tale data la situazione di condominio edilizio, dallo stesso momento doveva reputarsi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo del 4 marzo 1972 non risultasse, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla venditrice o ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26766 del 18/12/2014).

Nella specie, si ha riguardo ad aree cortilizie destinate a verde o a posti auto. Tanto il cortile, quanto gli spazi destinati a verde, le zone di rispetto, i parcheggi, le aree di manovra o di passaggio delle autovetture (sia pure oggetto del vincolo di natura pubblicistica imposto dall’art.41 sexies, legge n. 1150/1941, come introdotto dall’art. 18, legge 765/1967), fanno parte delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c. (Cass. 9 giugno 2000, n. 7889). Tali beni, pertanto, ove manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi univoco riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, devono essere ritenuti parti comuni dell’edificio condominiale, ai sensi del medesimo art. 1117 c.c., cedute in comproprietà pro quota, quali pertinenze delle singole unità immobiliari secondo il regime previsto dagli artt. 817 e 818 c.c. (altresì in considerazione del relativo vincolo pertinenziale pubblicistico: Cass. 28 gennaio 2000, n. 982; Cass. 18 luglio 2003, n. 11261; Cass. 16 gennaio 2008, n. 730). 

Ne consegue che, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Genova non ha considerato come, essendo sorto il supercondominio del complesso dei condomini A M, D, T, S e R, “ipso iure et facto”, nel momento in cui l’originario proprietario e costruttore P. ebbe ad alienare a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, lo stesso avrebbe perso, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni ai singoli edifici (tra i quali rientravano le aree destinate a verde ed a parcheggio delle autovetture), in mancanza di titolo diverso, non servendo affatto a tal fine un espresso trasferimento in proprietà agli acquirenti. Conseguentemente, lo stesso P. non avrebbe potuto in seguito più disporre quale proprietario unico di detti beni, giacché ormai divenuti comuni, nè concedere o creare su di essi diritti reali limitati come le servitù.”

© massimo ginesi 13 marzo 2017

niente negoziazione assistita se è già stata esperita la mediazione

E’ quanto ha deciso il Tribunale di Verona (estensore Vaccari) con l’ordinanza del 12 maggio 2016, decidendo su un caso in cui si poneva il problema della sovrapposizione tra la mediazione e la negoziazione assistita, poiché entrambi i procedimenti sono previsti dall’ordinamento come obbligatori  ai fini della procedibilità dell’azione giudiziale (ad esempio cause relative risarcimento danni da sinistro stradale).

Interessante la riflessione del giudice sulla portata della norma sulla negoziazione assistita: l’ambito di applicazione di tale norma, «la cui legittimità costituzionale, per contrasto con l’articolo 24, comma 1, della Costituzione è alquanto dubbia», deve ritenersi limitato ai casi in cui la medesima domanda o una pluralità di domande distinte siano soggette a condizioni di procedibilità diverse.

Si finirebbe altrimenti (e secondo quel giudice già vi sono dubbi che si sia travalicato il limite) per ostacolare il diritto di difesa garantito dalla norma costituzionale.

l’ordinanza per esteso qui

© massimo ginesi – giugno  2016 

gennaio 2016 – durata dell’incarico e gravi irregolarità

L’incarico all’amministratore ha durata annuale e si rinnova per un altro anno senza necessità di alcuna delibera assembleare, salvo revoca. Al termine del secondo anno l’assemblea dovrà procedere a nomina con le modalità ordinarie. (massima non ufficiale)

 

Tribunale di Cassino 21 gennaio 2016, decreto n. 1186

 

Il Tribunale di Cassino, nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione attinente alla nomina dell’amministratore, ritorna sulla vexata questio della durata dell’incarico e delle attività che l’assemblea deve porre in essere, allineandosi alla lettura già data dai giudici milanesi alcuni mesi or sono e commentata su queste pagine.

Alcuni condomini ricorrono al Tribunale affinché nomini un amministratore giudiziale, attese le gravi irregolarità commesse da quello in carica e, soprattutto, evidenziando che costui “avrebbe omesso di inserire all’ordine del giorno, nemmeno dell’ultima assemblea del 24.8.15, l’argomento relativo alla conferma o revoca del suo incarico, vista la scadenza annuale”

Il Tribunale, con il provvedimento in commento, respinge il ricorso, osservando che : “a norma di quanto disposto dall’art 1129 comma 10° c.c., l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata; pertanto, non v’era necessità alcuna di convocare l’assemblea per decidere se rinnovare o meno l’incarico all’amministratore, salva sempre la facoltà per la medesima di deliberarne la revoca; per altro, l’assemblea del 24.10.15, discutendo sull’istanza della sig.ra V. per la sua revoca, espressamente affermò di riservarsi di esaminare la questione allo scadere del biennio esprimendo ringraziamento nei suoi confronti per il lavoro di ricostruzione contabile delle amministrazioni precedenti ed apprezzamento in toto per il lavoro svolto “

Il provvedimento, infine, merita menzione per l’ampia disamina di merito che svolge delle possibili gravi irregolarità così come delineate oggi dalla nuova formulazione dell’art. 1129 cod.civ. “ Ebbene, come replicato dai convenuto, il Collegio riscontra preliminarmente che nessuna di tali denunziate inadempienze e scorrettezze rientrerebbe in ogni caso nell’analitico elenco delle gravi irregolarità dell’amministratore di cui all’art 1129 comma 12 c.c., nel suo testo riformato dall’art 9 della L n. 220/12. Nello specifico, poi, deve osservarsi: essendo l’amministratore mero esecutore di quanto deliberato in seno all’assemblea, in alcun modo egli può esser ritenuto investito della sua conduzione e della previa verifica della regolarità del suo insediamento e dei suoi deliberati (operazione rimessa agli stessi partecipanti sotto la direzione del presidente); l’amministratore ha fornito prova documentale della spedizione tramite la “Sail Post” delle lettere raccomandate di convocazione della ricorrente a tutte le indicate assemblee: tanto basta a ritener assolto il suo compito, l’eventuale mancata ricezione delle missive dovendo costituire oggetto di riscontro in seno all’assemblea; a fronte della sua nomina avvenuta nell’agosto del 2014, già in occasione dell’assemblea tenutasi il 31.1.15 risultavano pervenuti 7 preventivi a fronte dei quali l’assemblea, e non certo l’amministratore, deliberò di affidare ad una commissione costituita da condomini l’esame dei medesimi; il ricorso ex art 700 c.p.c. venne notificato il 7.1.15 per l’udienza del 16.1.15, sicché legittimamente egli diede immediato incarico a legale di sua fiducia; la Cassazione ha precisato: “Alla luce delle considerazioni svolte va enunciato il seguente principio di diritto: “L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione” (ss.uu. n. 18331/10); nel nostro caso, stante l’evidente impossibilità di convocare preventivamente l’assemblea, tale operato dell’amministratore venne ratificato dall’assemblea tenutasi il 31.1.15 (all. 3 parte ricorrente); l’intervento di asfaltatura del viale condominiale ben può esser considerato, per la modestia del suo complessivo ammontare e per la sua incontestata necessità, quale atto di ordinaria manutenzione per la conservazione delle parti comuni

© massimo ginesi

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