esonero del costruttore dalle spese condominiali: si applica il codice del consumo

una corposa pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2  21.6.2022 n. 20007 rel. Scarpa) riconosce al condominio la qualità di consumatore e afferma che la clausola del regolamento contrattuale e che esonera il costruttore dalle spese condominiali va valutata alla luce delle nullità di protezione previste dall’art. 33 cod. consumo.

Cass_20007_2022

© Massimo Ginesi 22.6.2022

le tabelle millesimali predisposte dal costruttore devono essere approvate dall’assemblea

E’ quanto ha di recente stabilito la Suprema Corte (Cass. civ. II, 12 gennaio 2022 n.  791), ritenendo che la delega conferita al costruttore di predisporre le tabelle millesimali non ne preveda poi l’automatica applicazione e debba comunque comportare  la loro approvazione da parte dell’assemblea.

Osserva la Corte che ” la suddetta clausola possa ritenersi valida solo se interpretata nel senso che il mandato che gli acquirenti degli appartamenti hanno dato alla società venditrice sia limitato alla _ mera predisposizione tecnica di eventuali modifiche alle tabelle millesimali, modifiche che, tuttavia, per essere efficaci necessitano dell’approvazione del condominio.

Deve, infatti, farsi applicazione del criterio ermeneutico secondo il quale nell’interpretazione di una clausola contrattuale deve preferirsi il significato in relazione al quale la clausola acquisti un significato rispetto a quello che ne determini la nullità.

La suddetta clausola, interpretata come mandato irrevocabile a predisporre modifiche alle tabelle da intendersi già preventivamente approvate dai condomini, sarebbe nulla vista la sua genericità e comunque invalida e inopponibile ai medesimi condomini.

Infatti, la delega conferita al costruttore dell’edificio per la successiva redazione del regolamento e delle tabelle millesimali che sia contenuta nell’atto di acquisto dell’immobile per essere valida deve avere un contenuto specifico e determinato, mentre quella in esame, volta solo alla futura ed eventuale necessità di apportare modifiche, ha un contenuto del tutto generico e indeterminato. La clausola, infatti, è in parte riproduttiva dell’art. 69 disp. att. c.c. con riferimento alla correzione degli errori e, in altra parte, è di contenuto assolutamente indeterminato, visto il generico riferimento al miglior uso dell’intero complesso.

Inoltre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte: «La clausola con la quale gli acquirenti di un’unità immobiliare di un fabbricato assumono l’obbligo di rispettare il regolamento di condominio – (del quale le tabelle costituiscono allegato: art. 68, comma 1, disp. att c.c.) – che contestualmente incaricano il costruttore di predisporre non può valere quale approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento già esistente che consente di ritenere quest’ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto, sicché quello predisposto dalla società costruttrice in forza del mandato ad essa conferita non è opponibile agli acquirenti» (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 3058 del 2020).

La clausola di conferimento del mandato irrevocabile, infatti, non implica l’accettazione preventiva di una disciplina derogatrice non ancora venuta, ad esistenza, mancando, al momento dell’acquisto da parte dei condomini, uno schema definitivo suscettibile di essere compreso, per comune volontà, nell’oggetto del negozio. Se dunque, non può darsi per approvato un regolamento inesistente, allo stesso modo non possono darsi per approvate modifiche future alle tabelle, anche in presenza di un generico mandato irrevocabile ad effettuarle per la correzione di errori o per un miglior uso dell’intero complesso.

Il riferimento del mandato a condizioni di modifiche che non rispecchiamo le sole condizioni poste dall’art. 69 disp. att. c.c. e fanno riferimento al miglior uso dell’intero complesso determina una situazione analoga a quella dei condomini che assumono l’obbligo di rispettare le tabelle da predisporsi in futuro con un contenuto atipico potenzialmente anche limitativo dell’estensione dei poteri e delle facoltà che normalmente caratterizzano nel condominio degli edifici il diritto di ciascun condomino o l’applicazione di criteri che deroghino quelli legali. In tali casi : questa Corte ha ritenuto necessaria la preventiva predisposizione del regolamento da approvare perché il costruttore o venditore non ha il potere di redigere un qualunque regolamento, né è possibile approvare un regolamento(con le tabelle allegate) attualmente inesistente, atteso che solo il concreto richiamo nel singolo atto d’acquisto di uno specifico regolamento, già esistente, consente di considerarlo, per relationem, parte di tale atto (Sez. 2, Sent. n. 5657 del 2015). In proposito, questa Corte ha avuto modo anche di chiarire che «le pattuizioni, contenute nell’atto di acquisto di un’unità immobiliare compresa in un edificio condominiale, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini ovvero di quelle relative alle parti condominiali dell’edificio, devono essere espressamente e chiaramente enunziate, atteso che il diritto del condomino di usare, di godere e di disporre di tali beni può essere convenzionalmente limitato soltanto in virtù di negozi che pongano in essere servitù reciproche, oneri reali o, quanto meno, obbligazioni propter rem. Ne consegue che devono ritenersi invalide quelle clausole che, con formulazione del tutto generica, limitino il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali ed attribuiscano all’originario proprietario il diritto non sindacabile di apportare modifiche alle parti comuni» (Sez. 2, ord. n. 5336 del 2017).

La medesima statuizione di invalidità deve affermarsi con riferimento al mandato “in bianco” contenuto negli atti di acquisto di un’unità immobiliare compresa in un edificio condominiale all’unica parte venditrice a modificare le tabelle già predisposte “per correggere errori tecnici o per un miglior uso della cosa comune”. D’altra parte, le modifiche alle tabelle millesimali di un condominio devono essere effettuate nel rispetto dell’art. 69 disp. att. cod. civ. tanto più in un caso come quello di specie ove è invocato un mero errore nella redazione delle tabelle da modificare.”

© massimo ginesi 9 febbraio 2022

PARCHEGGI PERTINENZIALI: SE L’AREA NON ESISTEVA AL MOMENTO DELLA COSTITUZIONE DEL VINCOLO, AL COMPRATORE RESTA SOLO AZIONE DI RISARCIMENTO VERSO IL COSTRUTTORE

Il Tribunale della Spezia, con una recentissima sentenza (Trib. La Spezia 23 maggio 2019 n. 329, giudice. dr.ssa Sebastiani)  riprende orientamenti consolidati di legittimità, respingendo la domanda dell’attore – che agiva contro il condominio per vedersi riconosciuta una porzione del parcheggio condominiale – e riconsocendo a costui, proprietario di un fabbricato limitrofo, unicamente azione di risarcimento nei confronti del costruttore che – avendo edificato entrambi gli edifici – aveva usato gli indici costruttivi del primo al fine di stipulare la necessaria convezione urbanistica per il secondo, indicando quali aree destinate a parcheggio quelle già asservite per il primo fabbricato condominiale.

Osserva il tribunale che “ con il primo atto di sottomissione è stata asservita un’area di mq. 227 alla realizzazione di uno spazio adibito a parcheggio ai sensi della l. n. 765/1967 per il costruendo fabbricato, oggi Condominio di v. T.

Tuttavia, in realtà l’area asservita è stata materialmente spostata, evidentemente nel corso di edificazione dell’edificio condominiale, in diversa posizione, corrispondente a quella attuale, avente le medesime dimensioni e cioè mq. 227 e sempre all’interno della proprietà del costruttore.

… Con il secondo atto di sottomissione, datato 17.5.1989, indispensabile per poter realizzare la costruzione ove si trova l’unità abitativa oggi in proprietà degli attori da parte della O.  s.p.a. (soprastante i box già in precedenza realizzati), sono state asservite dal geom. M.  un’area di mq. 80,47 a parcheggio privato, un’area di mq. 24,15 a parcheggio pubblico ed un’area di mq. 270 destinata a verde, alla stregua della L. 122/89. 

Risulta tuttavia dalla documentazione in atti, e in particolare dalle risultanze della CTU, integralmente condivisibili, che con tale secondo atto di sottomissione il M. ha asservito a parcheggio pubblico e privato e ad area verde una porzione di terreno in parte già asservita con atto di sottomissione precedente (risalente a tredici anni prima), in parte comunque non asservibile in quanto materialmente già destinata a parcheggio e zona di accesso al parcheggio del Condominio fin dall’epoca di realizzazione di questo

Del resto non è dato sapere come l’area asservita a parcheggio pubblico potesse essere realizzata all’interno di un‘area completamente recintata e chiusa da cancello. 

… Le risultanze peritali escludono peraltro inequivocabilmente che possa esservi contestualità nell’utilizzo tra le aree asservite per l’edificazione della casa bifamiliare nell’atto di sottomissione del 1989 e l’area adibita a parcheggio condominiale (comprensiva ovviamente dell’area di manovra) in uso perpetuo ai condomini del Condominio v. T. : infatti l’area adibita a parcheggio pubblico in base all’atto di sottomissione del 1989, se effettivamente realizzata, precluderebbe l’accesso dal cancello carraio del parcheggio condominiale, mentre l’area di parcheggio privato andrebbe a occupare il necessario spazio di manovra dei condomini del Condominio convenuto, che parcheggiano in quell’area i loro veicoli dall’epoca di realizzazione dell’edificio condominiale ed in virtù del primo atto di sottomissione .

Conseguentemente non essendo mai venute ad esistenza le aree oggetto di atto di asservimento del 1989, in adesione a quanto statuito dalla Suprema Corte da ultimo con sent. n. 13210/2017, non può farsi luogo ad alcuna tutela ripristinatoria a favore degli attori, ai quali non è mai stato trasferito alcun diritto su dette aree, poiché inesistenti, e potendo gli stessi unicamente ottenere una tutela risarcitoria. 

La suprema Corte ha infatti precisato, in motivazione della citata sentenza, che “in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata  adibita a un uso incompatibile con la sua destinazione: qualora lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinato-ria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso (Cass., Sez. Il, 22 febbraio 2006, n. 3961; Cass., Sez. Il, 7 maggio 2008, n. 11202). 

Né potrebbe sostenersi che gli attori abbiano in ogni caso il diritto di parcheggiare nella zona occupata dai parcheggi condominiali (comprensivi di area di manovra, come finora utilizzati), ovvero alla costituzione di un vincolo pertinenziale tra il proprio immobile ed altra porzione di area esterna, atteso che “il riconoscimento giudiziale del diritto reale di uso degli spazi destinati a parcheggi può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative” (Cass, Sez. Il, 11 febbraio 2009, n. 3393 e, da ultimo, Cass. ord. n. 3842 del 16.2.2018) “

© massimo ginesi 24 maggio 2019 

 

l’inadeguata insonorizzazione integra il grave difetto costruttivo ex art 1669 c.c.

Una monumentale sentenza del Tribunale di Savona 6 aprile 2018 n. 358 affronta  il complesso tema della insonorizzazione dell’immobile, riconducendo  il vizio a quelli disciplinati dall’art. 1669 cod.civ. e ascrivendone la responsabilità a venditore, costruttore e progettista/direttore lavori.

La normativa sottesa non è di semplice disamina e la sentenza compie un utile ed interessante excursus fra le norme che si sono succedute nel tempo.

L’esito è favorevole all’acquirente, che si vede valutare significativamente la diminuzione di valore del bene in conseguenza di un vizio destinato ad incidere in maniera significativa sul suo godimento.

L’ampiezza della argomentazione e dei riferimenti normativi e giurisprudenziali consigliano lettura integrale della pronuncia.

insonorizzazione

© massimo ginesi 31 maggio 2018 

 

 

 

 

 

parcheggi: se il costruttore non li realizza i condomini possono solo agire per il risarcimento.

La materia dei parcheggi pertinenziali, a fronte della legislazione vincolistica che si è succeduta nel corso degli ultimi 50anni, ha dato luogo a notevole contenzioso, con una coacervo interpretativo di non facile lettura.

La corte di legittimità torna sul tema ( Corte di Cassazione, sez. II Civile,  25 maggio 2017, n. 13210 Rel. Giusti), chiarendo  che – ove il costruttore non abbia materialmente realizzato le aree che a la legislazione vincolistica impone, a coloro compete un mero diritto risarcitorio ma non possono agire per richiedere il ripristino degli spazi mancanti.

I fatti e il giudizio di merito: “Con atto di citazione del 28 maggio 1984, la società CI-DI Edilizia Immobiliare a r.l. conveniva in giudizio Bo.Gi. , G.G. , L.S. , D.M. , B.T. , Ca.Ri. , Ca.Em. , D.P.F. , V.L. , D.M.M. e Ce.Br. , tutti condomini dello stabile in (omissis) , nonché il Condominio del medesimo edificio, per sentirli condannare all’immediato rilascio della spazio adibito a parcheggio antistante il fabbricato, nonché al pagamento di una indennità di occupazione, dichiarando che i convenuti non hanno diritto di comproprietà, di servitù, di parcheggio o comunque di uso dello spazio antistante il fabbricato. L’attrice chiedeva in subordine di condannare il Condominio al pagamento del valore dell’area sulla base delle spese sostenute per attrezzarla, da determinare a mezzo di consulenza.

I convenuti resistevano in giudizio, chiedendo il rigetto delle pretese avversarie e formulando domanda riconvenzionale affinché fossero riconosciuti i parcheggi vincolati ai sensi della 6 agosto 1967, n. 765, poiché realizzati in forza di licenza edilizia rilasciata dopo il 1 settembre 1967, come richiesto dall’art. 18 della citata legge.

All’esito del giudizio, il Tribunale di Roma rese la sentenza n. 10488 dell’8 agosto 1988, con cui condannò i convenuti al rilascio dell’area e al pagamento per ciascuno di Lire due milioni, con gli interessi dalla domanda. Contestualmente dichiarò il B. comproprietario del detto terreno con diritto ad utilizzarla a posto auto, poiché soltanto questi aveva dimostrato in giudizio di avere acquistato l’appartamento con le pertinenze prima del 4 giugno 1973, data di vendita dell’area dalla costruttrice a Cu.Ul. .

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1004 del 1995, rimetteva la causa al Tribunale di Roma quale giudice di primo grado, stante la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di Cu.Ul. .

Con sentenza in data 16 giugno 2003, il Tribunale di Roma, a parziale modifica della precedente sentenza, dichiarava l’area in questione, di proprietà della CI.DI., soggetta al vincolo legale di destinazione a parcheggio in favore del G. e degli altri litisconsorti, determinando in dodici metri quadri per ciascuno di essi la superficie assoggettata al diritto d’uso, condannando i predetti, con esclusione di B.T. , al pagamento del corrispettivo per il predetto diritto di uso da liquidarsi in separato giudizio, rigettando le ulteriori domande e confermando le altre statuizioni della precedente sentenza n. 10488 del 1988 del medesimo Tribunale.”

La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 novembre 2011, in parziale accoglimento dell’appello principale ed in riforma, sul punto, della sentenza gravata, ha condannato il G. , il L. , il D. , il D.P. , il B. , la Ca. , la Ce. , il Bo. , la Ca. , il V. e il D.M. a rilasciare in favore dell’appellante il suolo edificatorio per cui è giudizio, ha rigettato l’appello incidentale, ha confermato nel resto la pronuncia appellata e compensato integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

La Corte d’appello ha rilevato che, secondo le risultanze dell’indagine peritale, il provvedimento concessorio prevedeva la localizzazione degli spazi destinati a parcheggio al piano ingresso dell’edificio, parte in corrispondenza del fabbricato, in una sorta di piano pilotis, e parte in due zone laterali sulle testate dell’edificio.
La Corte distrettuale ha poi evidenziato che il fabbricato realizzato risultava diverso da quello rappresentato negli elaborati relativi alla concessione e non presentava aree di sosta veicolare al piano ingresso, e ciò per l’intervento di modifiche in corso d’opera, in assenza, peraltro, di concessioni in variante.
La Corte di Roma ha quindi ricordato che, in tema di disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, ove lo spazio da adibire a parcheggio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a tal fine in corso di costruzione e sia stato impiegato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura (diversamente dall’ipotesi in cui allo spazio realizzato conformemente al progetto sia stata data una diversa destinazione in sede di vendita), se possono ravvisarsi a carico del costruttore responsabilità di vario genere, non possono, per contro, individuarsi responsabilità d’ordine privatistico né oneri di ripristino dello status quo ante. Infatti, in tale caso, il bene soggetto ex lege al vincolo pertinenziale (il parcheggio) non è mai venuto ad esistenza e il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione di esso né può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai venuto ad esistenza, ma semmai solo ad una tutela risarcitoria, in ragione dell’ampio campo applicativo proprio degli artt. 871 e 872 cod. civ., in favore degli acquirenti delle singole unità immobiliari.
Per questo, la Corte d’appello ha giudicato errata la sentenza gravata nella parte in cui ha, diversamente, ritenuto di poter individuare l’area asservita sulla scorta di unilaterali manifestazioni di volontà della società costruttrice espresse per il rilascio di ulteriori provvedimenti concessori aventi ad oggetto opere diverse dall’edificio cui l’area avrebbe dovuto essere asservita.”

La Corte di legittimità conferma integralmente i principi di diritto espresso dalla Corte di Appello: “La Corte d’appello si è correttamente attenuta al principio secondo cui, in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita a un uso incompatibile con la sua destinazione: qualora lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso (Cass., Sez. II, 22 febbraio 2006, n. 3961; Cass., Sez. II, 7 maggio 2008, n. 11202).

I ricorrenti contestano l’applicazione di questo principio, negando che nella licenza del 1968 i parcheggi fossero al piano pilotis e sostenendo che il provvedimento abilitativo era subordinato alla realizzazione dei parcheggi.
Ma si tratta di deduzione generica, che non tiene conto della circostanza che il riconoscimento giudiziale del diritto reale di uso degli spazi destinati a parcheggi può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative (Cass., Sez. Il, 11 febbraio 2009, n. 3393).
E, sotto questo profilo, il motivo non spiega come il terreno esterno al lotto ove è avvenuta l’edificazione, acquistato da parte dell’impresa costruttrice nell’agosto del 1970, avesse una destinazione riservata a parcheggio già secondo la licenza del 1968: non spiega, cioè, come la suddetta area risultasse vincolata in base al progetto definitivo relativo alla licenza di costruzione del 1968.
D’altra parte, la Corte d’appello ha escluso, con congruo e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, privo di mende logiche e giuridiche, che l’asservimento di tale area possa derivare da unilaterali dichiarazioni del costruttore rivolte al rilascio di ulteriori provvedimenti abilitativi aventi ad oggetto nuove opere, diverse dall’edificio cui l’area avrebbe dovuto essere funzionalmente destinata; e ciò dopo avere accertato, in punto di fatto, sulla scorta dell’indagine compiuta dal tecnico incaricato, che il progetto originario per la costruzione dell’edificio ed il provvedimento concessorio prevedevano la localizzazione degli spazi destinati a parcheggio all’interno dello stesso lotto edificando (in una sorta di piano pilotis e, in parte, in due zone laterali sulle testate dell’edificio).”

© massimo ginesi 29 maggio 2017

lastrico solare, solo una espressa pattuizione nel titolo fonda la proprietà esclusiva

Il lastrico solare, in quanto destinato a copertura dell’edificio, costituisce uno dei beni funzionalmente destinati all’uso comune e che pertanto si devono ritenere condominiali ai sensi dell’art. 1117 cod.civ.

E’ la stessa norma che prevede tale presunzione di condominialità per i beni ivi elencati (in via esemplificativa e non tassativa), salvo che il contrario risulti dal titolo.

Il costruttore  del fabbricato condominiale dovrà dunque provare di aver riservato a sè, negli atti di vendita ai condomini, la proprietà esclusiva del lastrico, essendo unicamente tale presupposto a fondare la titolarità esclusiva del bene che – in difetto – deve ritenersi comune.

A tal fine sono irrilevanti sia gli interventi di modificazione compiuti dal costruttore  sul bene sia il fatto che i condomini che ne rivendicano la proprietà comune non abbiano accesso diretto alla copertura.

Si tratta di principi noti e consolidati, che la Cassazione ha anche di recente ribadito nella

sentenza 16 febbraio – 5 maggio 2016, n. 9035