assemblee condominiali e “nuovi” Dpcm

Da ormai un anno si assiste alla gestione dell’emergenza sanitaria tramite strumenti normativi e dispositivi assai discutibili, sia sotto il profilo formale che sostanziale, essendo il DPCM (decreto presidente consiglio dei ministri) atto amministrativo e non normativo.

A ciò si aggiunga l’aberrante prassi di agire senza un minimo piano  programmatico, reiterando periodicamente provvedimenti che non è chiaro in quale modo e sulla base di quali parametri vengano adottati (con misure assurde come il divieto di spostamento fra regioni e comuni, prive di alcuna logica) e che spesso vedono l’altrettanto aberrante prassi di essere poi interpretati da far ministeriali, con buona pace di un sistema legislativo democratico che pare in naftalina da un pò troppo tempo.

le assemblee di condominio sono state vittime sacrificali di questa poco commendevole prassi applicativa e interpretativa, anche se sotto il profilo “normativo” non  hanno mai visto un espresso divieto, divieto che non è ravvisabile neanche nell’epigono della imbarazzante fila di DPCM che si inseguono dal marzo scorso.

Il nuovo d.P.C.M del 14 gennaio 2021 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19», del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19», e del decreto-legge 14 gennaio 2021 n. 2, recante «Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e prevenzione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e di svolgimento delle elezioni per l’anno 2021),  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio e in vigore dal 16 gennaio prevede all’art. 1, comma dieci, lett o): «sono sospesi i convegni, i congressi e gli altri eventi, ad eccezione di quelli che si svolgono con modalità a distanza; tutte le cerimonie pubbliche si svolgono nel rispetto dei protocolli e linee guida vigenti e in assenza di pubblico; nell’ambito delle pubbliche amministrazioni le riunioni si svolgono in modalità a distanza, salvo la sussistenza di motivate ragioni; è fortemente raccomandato svolgere anche le riunioni private in modalità a distanza».

Le disposizioni contenute nel nuovo d.P.C.M si applicano fino al 5 marzo 2021.

A tale testo dispositivo si attagliano ancor le FAQ del 7 novembre 2020 e la circolare Min. Int. 18.10.2020 (altro atto privo di alcuna valenza normativa)ove si leggeva che  sono possibili le assemblee condominiali in ogni area d’Italia e che la riunione di condominio non rientra fra gli eventi sospesi dalle previsioni dei Dpcm.:  “È consentito svolgere assemblee condominiali in presenza?”“. È fortemente consigliato svolgere la riunione dell’assemblea in modalità a distanza. Laddove ciò non sia possibile, per lo svolgimento in presenza occorre rispettare le disposizioni in materia di distanziamento sociale e uso dei dispositivi di protezione individuale

© Massimo Ginesi 19 gennaio 2021 

recrudescenza covid 19 e assemblee di condominio

Il clima di continuo, notevole e pressante allarme generato dai media (e in buon misura anche da parte della classe dirigente, con la diffusione di dati allarmanti e numeri del tutto slegati dal contesto statistico e reale al quale attengono) sta destando notevole preoccupazione fra le persone, a fronte di un indubitabile nuovo aumento della diffusione del virus.

A fronte di tale emergenza si è ritornati alla preoccupante e disastrosa modalità dei DPCM, che contengono misure in buona parte inspiegabili (e come tali difficilmente accettabili), quali  la chiusura degli esercizi di ristorazione alle 18 (a fronte di un virus che evidentemente predilige le cene…), rimedio la cui razionalità pare difficilmente comprensibile in un  paese che nulla detta (e dispone) su metropolitane e autobus affollati.

In perfetta linea con le bizzarre norme emanate a marzo, si assiste anche a una preoccupante tecnica normativa, che appare evidente dall’uso della raccomandazione, espressione del tutto priva di significato in un testo destinato a disciplinare la condotta umana con precetti e sanzioni, con esiti in taluni casi decisamente ridicoli, laddove si invitano le persone fisiche a non utilizzare mezzi di trasporto pubblici e privati (si immagina con grande sollievo per società e cooperative che potranno liberamente andare in metro, come acutamente osservato da taluni interpreti…)

In questo panorama di norme di rango secondario e, talvolta, neanche di norme ma di semplici indicazioni interne (come le circolari), va evidenziato che non vi è divieto di tenere assemblee di condominio, purché nel rispetto delle norme di distanziamento e di protezione individuale (mascherina).

Le assemblee sono riunioni private e non rientrano, pertanto, nella sospensione prevista per convegni, attività congressuali et similia, come ha precisato finanche il Ministero dell’interno, in una circolare diretta ai suoi dipendenti, tenuti a far rispettare i divieti.

Tuttavia a fronte di una crescente emergenza appare più che mai opportuno consigliare di non indire nuove riunioni e di rinviare di qualche mese quelle non strettamente necessarie, non tanto perché qualcuno possa poi rimproverare all’amministratore di aver contratto il covid in quella sede  (prova  quanto mai diabolica, riguardo al nesso causale), quanto perché il principio  di cautela generale impone di evitare occasioni di incontro e diffusione e il significativo stato  di  allarme di questi giorni potrebbe indurre taluni condomini a proporre impugnative (magari fantasiose), adducendo una lesa facoltà di partecipazione, a fronte di una fase emergenziale in atto.

Per quelle già convocate e di necessaria celebrazione, va valutata l’opportunità di celebrazione da remoto (totale o parziale) ormai certamente introdotta ex lege dalle (controverse) modifiche apportate all’art. 66 disp.att. cod.civ. dal D.L. 104/2020, convertito dalla legge 126/2020: a tal proposito appare del tutto privo di efficacia pratica l’inciso di cui al comma VI della norma, circa il necessario consenso di tutti i partecipanti al condominio; il legislatore del 2020 non se la cava meglio del normatore da DPCM, poiché ha confezionato una modifica priva di senso pratico e di efficacia, come è stato evidenziato anche da autorevole dottrina (Scarpa, l’assemblea e il rebus della video conferenza, su NT+-il sole24ore, 21.10.202): laddove il legislatore ha inteso  affermare che l’assemblea da remoto possa  essere prevista dal regolamento, ha implicitamente dato atto della liceità di tale mezzo e della possibilità di ricorrevi per semplice previsione assembleare  ex artt. 1136 comma II/1138  c.c..

Non sarebbe peraltro  possibile,  a mente di quanto disposto dall’art. 1138 comma IV c.c. e della costante giurisprudenza sul punto,  derogare neanche all’unanimità, ai principi cui tale norma fa richiamo, di talchè  la celebrazione da remoto  si deve ritenere lecita in forza della prima parte della norma (la cui formulazione letterale non lascia adito a dubbi), e rimane del tutto incomprensibile il richiamo  alla unanimità dei condomini prevista nel successivo inciso.

Laddove si celebri ancora assemblea in presenzapotrebbe apparire utile , in linea con un vezzo assai di moda anche fra gli atti amministrativi, una forte raccomandazione ai condomini di ricorrere – per quanto possibile – all’istituto della delega, sì da ridurre il numero degli effettivi intervenuti: suasion  che deve essere particolarmente lieve, sempre per non incorrere in imperativi che possano essere percepiti come una imposizione, con conseguente compressione della facoltà di partecipazione, stimolando la litigiosità di taluni condomini.

© massimo Ginesi 27 ottobre 2020 

art. 66 disp.att. cod.civ.

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1603060912481_DPCM_18_ottobre_2020

circolare_dpcm_18_ottobre_2020_-

 

 

 

Assemblee di condominio, D.L. 33/2020 e DPCM 17 maggio 2020: facciamo chiarezza

Questi ultimi due mesi ci hanno abituato ad una pessima prassi normativa, che ha aggravato la già pesante situazione di un paese in cui il legislatore degli ultimi 40 anni non pare dotato di grande efficacia e sintesi (tutti ricorderanno la lievitazione dell’art. 1129 c.c., con la riforma del 2012, da 4 a 16 commi).

La legislazione del periodo covid , con un mix micidiale di decreti legge, decreti ministeriali, ordinanze e – non ultime – le faq sui siti ministeriali, ha definitivamente cancellato nella percezione comune la differenza fra fonti di legge e la loro gerarchia  (decreti legge), atti amministrativi (DM e DPCM e ordinanze), atti di indirizzo a mera valenza interna nella pubblica amministrazione (circolari), senza alcun effetto vincolante per il cittadino,  e mere informazioni irrilevanti (e spesso fuorvianti), quali le c.d. FAQ.

A ciò si aggiunga una gazzarra di articoli, commenti interpretazioni che da un lato scontano l’effetto web e social  (ognuno è libero di dire ciò che pensa, parificando agli occhi del lettore non smaliziato, lo studioso di lungo corso al giocatore di bocce) e dall’altro pagano l’effetto del lockdown, in cui molti hanno cercato di rimanere visibili e presenti (specie fra i portali informatici e associativi), spesso puntando sul mero sensazionalismo.

Quanto alle assemblee di condominio, dal 6 marzo in poi si sono succedute diverse fonti normative di rango diverso (D.L. e DPCM) che hanno vietato riunioni ed assembramenti, senza tuttavia fare mai espressa menzione delle adunanze condominiali. 

Abbiamo da sempre sostenuto  che dal punto di vista letterale e sistematico tutte quelle disposizioni si applicavano agli eventi pubblici e non alle riunioni private che, sotto il profilo giuridico, ove si svolgano in locali di metratura idonea a garantire le distanze di sicurezza (o meglio ancora all’aperto, in aree sportive o cortilizie condominiali), non potevano ritenersi ex lege vietate.

Tuttavia pur non potendo ritenersi tout court vietata la riunione dell’organo collegiale condominiale, non può non tenersi conto dei limiti ancora oggi posti alla possibilità di movimento delle persone (si pensi al condomino che abita fuori regione o che sia risultato positivo o in quarantena per contatti con positivo), che rendono di fatto impossibile la partecipazione a taluni aventi diritto, con possibile impugnativa della delibera che venisse presa in loro assenza. 

Allo stesso modo in molte realtà, specie quelle numerose, appare impossibile reperire aree in cui svolgere le riunioni nel rispetto delle norme di distanziamento sociale, sì che ad oggi – appare consigliabile per l’amministratore evitare di convocare adunanze che non siano più che urgenti o celebrabili senza difficoltà per la natura del condominio e l’entità dei partecipanti.

La delicatezza della vicenda è evidente, tanto che la oggettiva difficoltà di convocare assemblee ha indotto il legislatore ad introdurre nel decreto legge c.d. rilancio, ad oggi non ancora pubblicato in G.U., due norme che – seppur con modalità discutibili – prorogano di sei mesi l’incarico dell’amministratore e di un anno il termine per l’approvazione dei rendiconti, così come fissato dall’art. 1130 n. 10 c.c. 

Tali principi, così come la possibilità concreta – anche alla luce della legislazione vigente – di poter tenere assemblea con il collegamento da remoto per taluni condomini o a svolgere in modalità virtuale l’intera riunione, non ostando a tale fine l’indicazione del del luogo (non necessariamente oggettivo) previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ. paiono trasparire anche dall’interpretazione recente di autorevolissima dottrina. *

A fronte di tali premesse, nessuna modifica di rilievo introducono i D.L. 33/2020 e l’annunciato DPCM sula ripresa delle attività, laddove il primo prescrive , all’art. 1 “ 1. A decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere  effetto  tutte le misure limitative della circolazione  all’interno  del  territorio regionale di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, e tali misure possono essere adottate o  reiterate,  ai  sensi degli stessi articoli 2 e 3, solo con riferimento a  specifiche  aree del territorio medesimo interessate da particolare aggravamento della situazione epidemiologica.” e prevede che le riunioni possano tenersi con la distanza interpersonale di un metro, poichè si tratta di norme che si riferiscono ad eventi tenuti in luogo pubblico o aperto al pubblico e non alle assemblee di condominio a cui, già in precedenza, non poteva ritenersi applicabile sic et simpliciter la disciplina emergenziale di divieto.

Rimangono invece intatti (per il momento sino al 2 giugno p.v. i limiti di circolazione regionale, con possibilità di deroga restrittiva da parte degli enti territoriali, nonchè gli obblighi e le limitazioni sanitarie per taluni soggetti) sì che restano del tutto identici gli aspetti che consigliano di non celebrare ad oggi assemblee di condominio, se non in quei casi in cui si possa effettivamente garantire la partecipazione in sicurezza dei condomini e, soprattutto, tutti gli aventi diritto possano effettivamente essere in condizioni di intervenire.

Ne deriva che la notizia che dal 18 maggio p.v. il condominio riparta a pieno regime e gli amministratori debbano precipitarsi a convocare assemblee non è solo destituita di fondamento, è semplicemente pericolosa. Certamente vi è, in prospettiva, una necessità di riprendere l’ordinaria vita amministrativa,  iniziative tuttavia da effettuare con l’osservanza di tutte le cautele e gradualità che le situazioni concrete e le disposizioni normative di volta in volta emanate consiglieranno. 

* Scarpa “Decreto Rilancio: è davvero invalida l’assemblea virtuale di condominio?”, su “il quotidiano giuridico, WK, 15 maggio 2020 

© massimo ginesi 17 maggio 2020

aggiornamento – il DPCM reso pubblico in serata non incide su alcuna delle questioni sopra esaminate, costituendo – quanto alle misure di prevenzione e sicurezza – un modesto riassembelaggio delle norme sino ad oggi emanate, salvo l’espressa previsione di cui all’art. 2 comma 2 che prevede l’espresso obbligo di mascherina per i luoghi chiusi e aperti al pubblico in cui non sia possibile mantenere la distanza interpersonale, misura  che  appare ragionevole ritenere applicabile anche al condominio (e che peraltro già derivava da buone prassi sanitarie raccomandate da mesi).

 

ipotesi di modifiche normative emergenziali in materia condominiale, un rimedio peggiore del virus

Nel gran calderone delle norme, di ogni ordine, grado e tipo – quasi tutte accomunate da una preoccupante inadeguatezza tecnica e pratica –  che in questi ormai due mesi hanno flagellato il popolo italiano bene oltre e più del virus, si apprende che – in sede di conversione dei decreti legge promulgati nell’emergenza – si cerca di inserire norme ad hoc in materia condominiale.

Non vi è dubbio che sussista  emergenza nel mondo condominiale, sia per il sostanziale impedimento normativo a celebrare facilmente  assemblee e ad approvare i relativi bilanci e nominare l’amministratore, sia per la concreta impossibilità di richiedere decreti ingiuntivi e dar corso alle relative azioni esecutive a fronte di una paralisi di fatto dei Tribunali (a cui si accompagna a fronte dell’indiscriminato e protratto lockdown, una sempre più significativa crisi di liquidità in capo ai condomini onerati).

Certo è che se i rimedi che questo legislatore si appresta a varare sono quelli che traspaiono dagli ordini del giorno divulgati non v’è di che stare sereni.

Evidenziamo, a prima lettura, le perplessità immediate, salvo un miglior approfondimento e con l’auspicio che della stesura di un eventuale art. 72 quinquies disp.att. cod.civ. si occupi qualcuno che mostri di avere dimestichezza con la norma giuridica e con il condominio.

Viene peraltro da chiedersi perché questi brillanti propositori intendano introdurre  una norma di attuazione del codice civile per far fronte ad una situazione emergenziale e transitoria, che ben potrebbe essere gestita da norma speciale, il cui vigore cesserebbe con il venir meno della c.d. epidemia

Questo è il testo presentato alla seduta pubblica n. 330 del 23 aprile 2020 – alla Camera dei Deputati 

“Dopo l’articolo 72-quater, aggiungere il seguente:

Art. 72-quinquies.  (Disposizioni in materia condominiale)

1 – Per prevenire la diffusione del COVID-19 a tutela dei condomini e di chi lavora all’interno del condominio, è fatto obbligo all’amministratore in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di effettuare ogni due settimane fino a cessata emergenza, la sanificazione delle parti comuni e di lavoro del condominio con prodotti specifici.

Si imputa all’amministratore, in un momento di difficoltà economica complessiva e di impossibilità concreta di riscuotere le quote (al momento, anche di agire in giudizio a tale scopo) l’obbligo  di procedere ad una attività costosa, per la quale potrebbe non avere la relativa provvista né essere in grado di procurarsela tempestivamente (quanto peraltro previsto al punto 5 relativamente alla riscossione è ancor più inquietante)

2- L’attività di amministratore immobiliare e condominiale, codice ATECO 68.32.00, può svolgersi nel rispetto di tutte le misure di sicurezza previste per la prevenzione della diffusione del COVID-19. La protezione civile e le Autorità competenti sono tenute ad informare l’amministratore di eventuali casi di positività al COVID-19 all’interno del condominio o all’obbligo di quarantena. In tal caso la sanificazione di cui al comma precedente deve essere effettuata settimanalmente.

L’amministratore è un libero professionista non ordinistico, ex L. 4/2013, art 72 bis disp.att. cod.civ. e DM 140/2014. Quindi la sua attività non era comunque sospesa da alcuna disposizione precedente.

La comunicazione dell’esistenza di positivi all’amministratore, in barba a qualunque disposizione sulla privacy, lo obbliga  ad una sanificazione settimanale, cosicché da quel momento tutti gli altri condomini sapranno che vi è un positivo nel fabbricato, con buona pace dell’allarme e dell’ordine sociale. Fermo restando che ad oggi,  purtroppo (grazie anche ad un bombardamento mediatico dissennato), si attribuisce al significato positivo una accezione drammatica, quando può essere semplicemente soggetto che risulta aver contratto il virus senza alcun sintomo e nei cui confronti l’unica precauzione utile (evidenziata da tutti gli studiosi)  è l’isolamento, non la macelleria sociale.   Resta poi rafforzato il dubbio circa le risorse patrimoniali  per la sanificazione settimanale che l’amministratore dovrà reperire.

3 – Al fine di consentire all’amministratore di riscuotere le quote condominiali per il normale pagamento dei fornitori e delle utenze condominiali, al comma 7 dell’articolo 1129 del codice civile è apportata la seguente modifica relativa alle modalità di pagamento delle rate condominiali: dopo l’ultimo capoverso è inserito il seguente: «È fatto divieto all’amministratore di riscuotere le quote condominiali presso il proprio studio o presso il condominio», sempre al comma 7 sostituire: «far tramite» con «riscuotere e pagare» e «su uno specifico conto corrente» con: «esclusivamente tramite uno specifico conto corrente».

Così formulata la norma parrebbe consentire all’amministratore di ricevere contanti e assegni ai giardini pubblici, piuttosto che nella piazza comunale. Anche l’introduzione dell’avverbio “esclusivamente” vale semplicemente a significare  che l’amministratore per le proprie operazioni dovrà utilizzare esclusivamente il conto corrente. Non sarebbe stato sufficiente puntualizzare che, sino al termine dell’emergenza covid,  i pagamenti delle quote condominiali potranno avvenire unicamente mediante versamento da parte dei condomini sul conto corrente condominiale mediante bonifico o altra modalità telematica?

4- Nel caso il mandato dell’amministratore fosse scaduto o in scadenza alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per consentire il prosieguo dell’attività ordinaria e straordinaria necessaria al buon funzionamento del condominio, in deroga all’articolo 1129, commi 8 e 10, del codice civile, questi si intende rinnovato con pieni poteri fino a quando non sarà esplicitamente revocato dall’assemblea e avrà diritto ai compensi approvati all’atto della nomina.

Con tale formulazione si crea l’amministratore perpetuo a compenso fisso. Si pone indubitabilmente il problema della nomina per coloro che vedano terminare il mandato in periodo emergenziale, ma a tal fine è sufficiente stabilire una proprogatio semestrale o trimestrale o sino al termine dell’emergenza. Appare curioso anche il riferimento ai “pieni poteri” (espressione quanto mai infelice), posto che quelli dell’amministratore sono delineati dall’art. 1130 c.c. e attengono all’ordinaria amministrazione, pacificamente riconosciuta anche in regime di proprogatio, mentre quelli di gestione straordinaria competono ex art 1135 c.c. alla assemblea.

5 – In deroga al primo comma, numero 10), dell’articolo 1130, del codice civile, la redazione e la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto consuntivo con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è posticipata a dodici mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile.

Sarebbe decisamente curioso comprendere cosa si intenda con “la redazione dell’assemblea”

6- Per eventuali necessità urgenti e indifferibili l’amministratore è tenuto ad esercitare i poteri conferitigli al momento dell’accettazione del mandato e dall’articolo 1130 e successivi del codice civile, emanando anche regolamenti idonei a garantire le necessarie norme di sicurezza dell’edificio e per consentire un adeguato proseguimento dell’attività condominiale, continuando a disciplinare l’uso delle cose comuni. Può emettere quote condominiali corrispondenti alle rate della gestione ordinaria e riscaldamento relative all’ultimo preventivo di spesa approvato, oltre eventuali e ulteriori impegni di spesa ordinari e straordinari, ivi compresi gli oneri per la sanificazione di cui al comma 1, che possono essere riscosse a norma dell’articolo 63 delle disposizioni di attuazione al codice civile. Il rendiconto delle spese straordinarie sarà reso disponibile nella prima assemblea utile.

Posto che l’amministratore da sempre esercita i poteri (rectius, facoltà) conferite dall’art. 1130 c.c., fra i quali certamente v’è quella di disciplinare l’uso delle cose comuni, non si comprende il senso della disposizione, se non il riferimento ad oscuri regolamenti (qualche direttiva scritta?) per proseguire l’attività condominiale.

geniale la previsione di emissione  – a cura dell’amministratore – di  quote condominiali relative all’ultimo preventivo di spesa approvato oltre ad ulteriori impegni di spesa ordinari e straordinari, sui quali può ottenere decreto ingiuntivo ex art 63 disp.att. cod.civ. (se tale significato può essere attribuito all’espressione “possono essere riscosse”…). In pratica un amministratore potrebbe decidere spese milionarie per il condominio, in via del tutto unilaterale, ed ottenere sulla sola scorta delle rate da lui predisposte un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, pur in difetto di uno dei presupposti essenziali di quel provvedimento monitorio, ossia il vaglio assembleare sul consuntivo o preventivo di spesa.

  1. Nel caso all’interno del condominio non si possano garantire idonee misure sanitarie per prevenire il contagio del COVID-19, anche nel rispetto del Testo Unico n. 81 del 2008, l’attività di portierato, di sorveglianza e di giardinaggio da parte di dipendenti del condominio viene sospesa fino a cessata emergenza.

8. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Va osservato che da parte di altri firmatari esiste anche ordine del giorno relativo alla possibilità di celebrare assemblee in teleconferenza, ma di quello avremo modo di effettuare più attente valutazione, all’esito delle numerose iniziative di studio che paiono in itinere.

© massimo ginesi 24 aprile 2020 

Foto di Alexas_Fotos da Pixabay

la fantascienza ai tempi del coronavirus

in questi tempi virali si legge un pò di tutto sul web, poiché pare che il timore di contagio abbia ormai dato via libera al bar virtuale, lucidamente preconizzato da Umberto Eco agli albori di internet.

A fronte di un quadro “normativo” semplicemente folle, che negli ultimi mesi ha visto stratificarsi DPCM, decreti legge convertiti con modifiche, decreti ministeriali, ordinanze, circolari e chi più ne ha più ne metta, non è facile districarsi fra le condotte lecite e quelle che invece incombono ex lege a determinati soggetti.

Certamente l’amministratore di condominio, cui è demandata una posizione di garanzia nei limiti di cui all’art. 1130 c.c., si trova ad affrontare un periodo non semplice

Fra le sortite più gustose viste sul web appare questo avviso, con il quale  una delle tante associazioni di settore  sembra invitare a trasmettere l’avviso ai propri amministrati, ai quali  si ricorda  il divieto di ingresso nel condominio per coloro che abbiano la febbre oppure manifestino sintomi influenzali.

All’amministratore che  invita i propri condomini  al rispetto delle norme di prudenza sconsiglieremmo di enfatizzare il messaggio ricordando loro che –  non essendo coscritti su qualche tradotta diretta al Carso –  tutto il resto dovrebbe apparire una sorta di attività ricreativa piacevole. Non tutti potrebbero gradire richiami così forti (e incongrui) e, alla prossima nomina,  qualche condominio un pò più progressista potrebbe guardarsi intorno…

Nel merito sarebbe curioso comprendere come questi solerti tutori della salute pubblica intendano attuare il consiglio: forse chiedendo una autocertificazione al malcapitato sulla propria temperatura, i propri contatti, i propri viaggi (atto che  questo signore non è affatto tenuto a rilasciare ad un privato), oppure mettendo  una guardia armata al posto del portiere che  sottoponga l’ospite al termoscanner (escluderemmo prelievi coattivi con termometri tradizionali…) e poi gli sbarri il passo, ma – soprattutto – quali poteri avrebbero l’amministratore,  il portiere o un condomino di impedire fisicamente l’accesso di  chicchessia al condominio (che sia condomino o privato che si rechi da un condomino)?

Forse è entrata in vigore qualche legge speciale che istituisce il podestà di condominio e che ci è sfuggita?

a noi pareva di ricordare che il DPCM 10 aprile 2020, che dispone proroga delle misure di contenimento e distanziamento sino al 3 maggio p.v., all’art. 1 preveda

b) ai soggetti con sintomatologia  da  infezione  respiratoria  e
febbre (maggiore di 37,5° C) e' fortemente raccomandato  di  rimanere
presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali,
contattando il proprio medico curante; 
c)  e'  fatto  divieto  assoluto  di  mobilita'   dalla   propria
abitazione o dimora per  i  soggetti  sottoposti  alla  misura  della
quarantena ovvero risultati positivi al virus;

Anche a non voler rilevare che  “fortemente raccomandato” è termine che già solo sotto il profilo sintattico e grammaticale differisce da “è fatto obbligo”, si tratta, in ogni caso, di misure che non consentono di inibire l’accesso ad alcuno ma, semmai, di attivarsi presso la pubblica autorità per segnalare la violazione.

Costoro hanno  poi ritenuto di trasformare la raccomandazione in divieto di accesso, da far rispettare da parte di soggetti sforniti di qualunque qualifica pubblica, che dovrebbero impedire l’ingresso  al condominio di qualcuno febbricitante (perché magari ha un ascesso a un dente…), iniziativa del tutto arbitraria nei conforti di un condomino  che magari in quel fabbricato  possiede un domicilio  ove, per semplici ragioni logistiche, intende trascorrere qualche tempo in questo complesso periodo.

Tecnicamente potrebbe chiamarsi violenza privata, prevista e punita dall’art. 610 cod.pen.

Mala tempora currunt:  paura e disinformazione sono i virus dell’anima e delle idee, attenzione.

© massimo ginesi 17 aprile 2020

Foto di LEEROY Agency da Pixabay

Il presente del Coronavirus e gli avvocati fantasma. Cosa accade (e cosa accadrà) per i magistrati?

Belle e condivisibili riflessioni di Gianluca Denora sul portale DIRITTO E GIUSTIZIA, su un paese ormai ingessato più dall’emergenza sociale e burocratica che da quella sanitaria.
E’ auspicabile che chi ci governa e gli operatori del pianeta giustizia, siano essi difensori o magistrati, si interroghino al più resto sulla ripresa dell’attività, rifuggendo situazioni di immobilismo.
L’idea di non precipitare dalla sospensione virale a quella feriale dovrebbe rappresentare un elementare principio minimo di efficienza  in questo contesto.
Del resto eri sera la virologa Capua, in una nota trasmissione televisiva e andando palesemente contro il mainstream della comunicazione terroristica, con molta semplicità, ha rappresentato che vi sono notizie scientifiche certe sul fatto che il virus circoli in Italia da dicembre, che è plausibile che un numero significativo della popolazione lo abbia già preso in forma lieve o asintomatica; costoro, che non sono più nè virali nè contagiabili, ben possono riprendere a lavorare e a vivere, mentre il resto della popolazione potrebbe tranquillamente convivere con una malattia gestibile da una sanità appena efficiente e con la consapevolezza che in questa, come in altre malattie, esistono una minoranza di forme gravi per le quali si può anche morire. fa parte della vita.

Stress test: è un’espressione di moda, ma non la scelgo per questo; trovo che possa introdurre l’esigenza di indicazioni e risposte utili (anche) ad affrontare il funzionamento della giustizia (e in particolar modo della magistratura) nell’emergenza attuale, e in quella che verrà (alla ripresa). Se è vero che, oggi, tutti abbiamo il diritto di chiedere giustizia, non è meno vero che pochi hanno il potere di rispondere e quasi nessuno ha la possibilità di darla. In concreto, nell’attuale scenario gli avvocati stanno da una parte, i giudici dall’altra, e la separatezza è marcata più che mai, in disparte fatui corporativismi.
Dalla parte degli avvocati, si percepiscono esigenze da prima pagina (non solo sulla stampa specializzata), il che non meraviglia affatto: da un lato, gli avvocati sono i collettori di istanze che pervadono l’intera società; dall’altro, un esercito di oltre duecentomila combattenti (noi avvocati) fa baccano anche sulle brande. Non è un’ipotesi di scuola né uno scenario virtuale; è vera la narrazione di un’impossibilità di ricevere i clienti, di incontrare i colleghi per l’extra moenia delle controversie, di gestire scadenze processuali inghiottite dal buco nero del chissà domani.
Oggi, 14 aprile 2020, gli studi legali riaprono (lo dice il DPCM 10 aprile 2020, nell’allegato 3, sub 69 “attività legali”) ma saranno studi fantasma, nei quali la presenza sarà di fatto interdetta ad altre persone. Per i clienti, infatti, vale la regola generale dell’art. 1 (Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale), comma 1: «a) sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigente lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e, in ogni caso, è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute e resta anche vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale comprese le seconde case utilizzate per vacanza». Come si diceva in apice, virtuosismi linguistici: la stessa eccezione al divieto di spostamenti è qui ripetuta due volte, con le stesse parole, semmai dovessimo distrarci.
In concreto, la regola è «avvocati in studio, rigorosamente soli»; una nota di folclore.
In alternativa, la regola è «avvocati in studio, con clienti a distanza di sicurezza»; ci si arriva forzando l’interpretazione della norma, per concepire studi aperti al pubblico, purché si rispettino le opportune distanze. La prospettiva è persino peggiore, atteso che genererebbe un’odiosa sperequazione tra studi piccoli e studi grandi, a danno dei primi, che non potrebbero garantire il distanziamento.
In ogni caso, vale la regola «avvocati in tribunale per le urgenze», che non è fatto nuovo.
In questi termini, presente e futuro dell’emergenza sembrano polarizzati sulla classe forense (e sugli assistiti, in special modo nel processo penale). I giudici vivono nel limbo di un presente a rallentatore, ma poi?
I magistrati lavorano per le urgenze, sicuramente più di noi avvocati; altrove a propria discrezione (scrivere i provvedimenti è astrattamente possibile in emergenza sanitaria, che non coinvolga direttamente il magistrato o suoi familiari); complessivamente, essi danno ai cittadini una risposta da moviola. Il sistema è ingessato per tutti, senza appartenenze, fermo restando che la pausa dagli adempimenti non definisce una sosta inesorabile; vale per molti, o forse per alcuni.
Per i magistrati, la quarantena ha assunto (e assume) una connotazione particolare; essi sono in una condizione di riposo forzato, ma non del tutto e non tutti. Lo scenario non è incoraggiante anche da un raffronto con contesti diversi, per esempio scuola e istruzione a vari livelli; qui si celebra un inadempimento parziale alle prestazioni contrattuali, da ambo le parti; i fruitori diventano meno fruitori (la smart school impegna meno i discenti) e i fornitori diventano meno fornitori (lo smart working affranca almeno dal problema dell’accesso ai luoghi di lavoro); a velocità ridotta, il sistema funziona.
Nel sistema giustizia, la flessione forzosa della domanda, da parte dei cittadini, e della risposta, da parte dei magistrati, è inevitabile. Cosa accadrà domani? Il profluvio di norme fast food non ha lasciati soli i magistrati; ce n’è anche per loro, istituzionalmente gravati del dovere di gestire lavoro e scadenze, riorganizzati da provvedimenti di appannaggio delle singole curie, facile presagio di contese di ogni tipo, anche strumentali e capziose. Un allarme si scorge facilmente nella ripresa: dopo poche settimane dal via (oggi previsto per il giorno 11 maggio) arriverà il c.d. periodo cuscinetto (dal 15 luglio), che di fatto aprirà il periodo della sospensione estiva, una nuova palude. Alla ripresa, l’ingorgo sarà tale da precipitare il già pessimo risultato della macchina processuale; non c’è dubbio che molte norme saranno strumenti dilatori anche quando (e se) udienze e adempimenti vari torneranno a regime.
Alterum datur: scrivere norme eccezionali per organizzare il lavoro dei magistrati nei mesi che vengono, sotto il comune denominatore della liberalizzazione delle ferie. Lo spirito è già tra le pieghe dell’ultimo DPCM (sempre nell’art. 1) in termini di turnazione interna.
I problemi organizzativi presenti e futuri sono sul tappeto, così come le soluzioni, ma non tutto allontana; l’emergenza ci fa riflettere sull’identità del giurista, sui vuoti che rendono più pieni i pieni, sulla possibilità di riconoscerci tutti nelle idealità che hanno segnato le nostre scelte professionali; la (buona) lettura giuridica è sterminata: sarebbe bello ritrovarci tutti nel rito dello Shabbat.”

da Diritto e Giustizia, portale Giuffrè

Foto di Joshua Woroniecki da Pixabay

CONDOMINIO: UTILIZZO DELLE PARTI COMUNI E MISURE DI PREVENZIONE COVID-19

Molto si è scritto in questo periodo in tema di condominio e di contaminazione da coronavirus, anche riguardo a fattispecie che erano ignote prima dell’insorgere dell’emergenza e che richiedono un approccio sistematico e del tutto nuovo.

Molti amministratori lamentano che, a diverse settimane dall’inizio delle restrizioni che hanno confinato nelle case i cittadini, taluni condomini finiscano per utilizzare i lastrici comuni – ovvero le coperture piane dell’edificio – per prendere qualche ora d’aria, sì che alla fine su tali superfici finiscono per assembrarsi diverse persone in misura non conforme alle indicazioni dei diversi (e non sempre univoci e chiari) precetti normativi.

Si è da più parti evidenziato, correttamente, che all’amministratore non competono compiti di polizia, neanche infra condominiale, e che il rispetto delle normative è onere di cui rispondono i singoli condomini, tuttavia è opportuno che l’amministratore provveda (rectius, abbia già provveduto) alle necessarie informative, circa le misure di distanziamento ed igiene che devono essere rispettate anche nelle parti comuni (in special modo per l’utilizzo di impianti promiscui come l’ascensore) e che abbia altresì disposto misure straordinarie e periodiche di sanificazione.

All’amministratore l’art. 1130 n. 2 c.c. attribuisce un potere/dovere specifico riguardo alle parti comuni: “disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini”

Nell’ambito di tale facoltà, dovranno essere declinate in misura diversa le iniziative che, plausibilmente, non possono arrivare a sottrarre al godimento dei singoli le parti comuni ai soli fini del rispetto delle misure di distanziamento sociale (la cui osservanza peraltro non può essere demandata all’amministratore).

Appare difficile sostenere un’interpretazione restrittiva dei DPCM 8 e 22 marzo 2020, laddove vietano la movimentazione delle persone senza motivo, affermando che tali previsioni comportino il divieto di uscire dalla propria abitazione, posto che il termine abitazione deve  essere ritenuto comprensivo dei suoi accessori (fra cui rientrano gli spazi comuni ex art 1117 c.c.).

Varrà soprattutto rilevare che le diverse norme che si sono succedute (e da ultimo il DL 19/2020, unica fonte di legge che appare  idonea, sotto il profilo gerarchico, ad incidere sulla libertà delle persone) prevedono divieti unicamente per le aree pubbliche o aperte al pubblico, onde vietare assembramenti mentre,  per ciò che attiene le aree private (fra cui rientrano le singole abitazioni ma anche gli spazi comuni condominiali ex art 1117 c.c.) sono pochissime le disposizoni precettive:
all’art. 1 del summenzionato decreto (che ricalca le diverse altre declinate dei singoli decreti antecedenti) i luoighi privati sono menzionati unicamente alla lettera G “ g) limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso”; in maniera più ellittica, alla lettera L “l) sospensione dei congressi, di ogni tipo di riunione o evento sociale e di ogni altra attivita’ convegnistica o congressuale, salva la possibilita’ di svolgimento a distanza” (quindi anche ove svolti in strutture private) ; alla lettera M “ m) limitazione o sospensione di eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina in luoghi pubblici o privati, ivi compresa la possibilita’ di disporre la chiusura temporanea di palestre, centri termali, sportivi, piscine, centri natatori e impianti sportivi, anche se privati, nonche’ di disciplinare le modalita’ di svolgimento degli allenamenti sportivi all’interno degli stessi luoghi”

Certamente in senso restrittivo deve invece ritenersi il divieto, previsto dall’art. 1 comma 1 lett. c dpcm 8 marzo 2020 (poi esteso a tutto il territorio dal successivo DPCM 22 marzo 2020 e ripreso dall’art. 1 Lett. e del DL 19/2020), per coloro che sono risultati positivi al covid-19, posto che anche all’interno della microcompagine sociale del condominio deve essere garantita la separazione da soggetti certamente infettivi; il problema peraltro pone non pochi problemi in ordine alla privacy (l’amministratore non potrà affiggere in bacheca, come è ovvio, il nominativo di cui fosse venuto a conoscenza) e alle misure necessarie a far rispettare tale presupposto: appare corretto non investire l’amministratore di ruoli che travalicano il mero aspetto civilistico, sì che sarà onere dei condomini rivolgersi eventualmente alle autorità pubbliche ove, per conoscenza diretta, assistano a tali violazioni in ambito condominiale, condotte che ove poste in essere da soggetto certamente positivo possono anche avere seri risvolti penali.

Resta invece da escludere che l’amministratore possa vietare tout court l’utilizzo di parti comuni, che rimangono a tutti gli effetti luoghi privati e comuni ai condomini che hanno diritto di utilizzarli secondo i criteri dettati dall’art. 1102 c.c. e con il rispetto delle norme di contenimento che si sono succedute e stratificate nelle ultime settimane.

Ciò vale, ovviamente, per quelle parti che sono legittimamente fruibili: con particolare riguardo ai lastrici, che in questi primi giorni di primavera da reclusi possono essere presi di assalto, l’amministratore dovrà invece rendere inaccessibili quelli non calpestabili o non fruibili in base alle ordinarie norme di sicurezza (ad esempio privi di parapetto o che abbiano protezioni contro la caduta non corrispondenti alle vigenti normative).

Per ciò che attiene alla disciplina di tali parti comuni (lastrici, cortili, giardini), onde consentire una corretta fruizione, ove siano di modesta superficie e non sia possibile il godimento contemporaneo di tutti i condomini senza violare le norme di distanziamento, potrebbe eventualmente essere introdotta una fruizione turnaria, commisurando il numero massimo dei condomini che di volta in volta può accedere alla estensione della superficie, misura che certamente rispetta il disposto di cui all’art. 1102 c.c. e che in giurisprudenza vede da tempo favorevole applicazione (ad esempio con riguardo ai parcheggi, Cassazione civile, sez. III, ordinanza 22/10/2018 n° 26630).

La limitazione con uso turnario, laddove permanente, deve essere disposta dall’assemblea, tuttavia appare ragionevole che – in periodo di emergenza e alla luce dei poteri di disciplina e cautelativi della cosa comune di cui all’art. 1130 c.c. – l’amministratore possa disporre tale indicazione per un periodo di tempo limitato, al fine di evitare gli assembramenti che le recenti disposizioni vietano.

Certo è che, aldilà di indicazioni di condotta e di disposizioni informative, appare difficilmente sostenibile imputare all’amministratore un dovere di vigilanza stretta su tali condotte o – peggio – un dovere di reazione che vada aldilà di richiami, posto che si tratta di norme di rilevanza pubblica cogente, al cui rispetto sono chiamati i singoli cittadini.

© massimo ginesi 6 aprile 2020

 

Foto di Didiwo da Pixabay

inadempimento obbligazioni e covid-19: i riflessi dell’art. 91 D.L. 18/2020 in tema di condominio e locazioni

I tempi indubitabilmente eccezionali che stiamo attraversando costituiscono evento straordinario, destinato ad influire anche sulle condotte delle persone e sui rapporti giuridici che le riguardano, con effetti e portata su cui oggi si possono ipotizzare valutazioni ma che vedranno compiuta comprensione solo all’esito dell’ondata di emergenza e a fronte degli orientamenti che la giurisprudenza riterrà di assumere.

Certo è che l’eccezionalità della situazione, anche a voler usare gli attuali strumenti giuridici in tema di inadempimento, dovrà condurre i Giudici a valutazioni assai ponderate, che tengano conto delle peculiarità di ciascuna singola fattispecie, attribuendo la responsabilità secondo parametri graduali che possano arrivare ad escluderla laddove le restrizioni imposte o lo stato di fatto escludano o rendano del tutto impossibile  la possibilità di adempimento,  indipendentemente  dalla volontà (e dalla colpa) del debitore.

Già da queste brevi note si comprende come si tratti in ogni caso di una valutazione di merito da rimettere al giudice, mentre con riguardo alle materie del condominio e della locazione si è già evidenziato come non sussistano allo stato elementi normativi ed interpretativi che possano indurre ad affermare che il condomino o il conduttore siano liberati (anche solo temporaneamente) dai loro obblighi.

In questo quadro complesso, soprattutto dal punto di vista socio economico, è evidente che si impone la necessità di un chiaro e articolato intervento normativo, sorretto da adeguate risorse finanziarie, che tratteggi con chiarezza i casi in cui possa ravvisarsi morosità incolpevole e statuisca i rimedi affinché non vada in corto circuito l’ampio settore della contrattazione fra privati, cui probabilmente lo condurrebbe l’applicazione rigida dei parametri esistenti, con pesanti ricadute economiche sul tessuto sociale.

Le iniziative pubbliche poste in atto in questi giorni non fanno ben sperare in tal senso, né per entità, ne per qualità, né per funzionalità, nè a migliori esiti  conduce  la disamina dei testi normativi, che sono resi in forma eterogenea, con norme di rango primario e secondario che finiscono per disciplinare in maniera confusa materie anche di rilevanza costituzionale (la libertà personale…) e che rendono sempre più difficile comprendere la disciplina vigente.

In materia di inadempimento delle obbligazioni contrattuali va rilevato che il D.L. 18/2020 all’art. 91 comma I ha inserito  all’art 3 del  D.L. 6/2020, convertito  con  L. 13/2020,   il comma 6 bis, che prevede  «Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del Codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».

(il periodo è emergenziale e attuale, ma l’aberrante  costume del nostro legislatore di compilare testi di legge composti di continui rimandi ad altri è invece atavico)

La norma è con ogni evidenza predisposta in maniera quantomeno approssimata: manca financo il soggetto che deve valutare quei parametri, anche se, per la formulazione del periodo, costui non potrà essere che il Giudice chiamato a statuire su una causa per inadempimento contrattuale.

Ebbene tale disposizione appare sostanzialmente pleonastica, poiche afferma ciò che già discendeva dai principi generali in tema di obbligazioni contrattuali (a quelle unicamente fa riferimento, per l’espresso e circoscritto richiamo agli artt. 1218 e 1223 c.c., che disciplinano le conseguenze dell’inadempimento nelle obbligazioni derivanti da contratto).

Ciò che, ai fini di quanto già abbiamo evidenziato in tema di condominio e locazione, va tuttavia rilavato con chiarezza è che tale disposizione non legittima affatto alcuna sospensione dell’obbligazione ma è volta unicamente a valutare a posteriori se il ritardo o il mancato inadempimento siano idonei a provocare la risoluzione del vincolo per colpa del debitore. 

Quanto al condominio, certamente è norma che non trova applicazione alle quote dovute dai singoli per il mantenimento e la gestione dei beni comuni ex art 1117 c.c. poiché  l’obbligo di versamenti delle rate condominiali non ha alcuna connotazione sinallagmatica ma costituisce obligatio propter rem * , che il singolo è tenuto ad adempiere   in quanto comproprietario di quei beni e non in esecuzione  di un  obbligo contrattuale.

La norma potrà invece trovare applicazione per i rapporti che riguardano il condominio e terzi fornitori, in particolar modo per quegli appalti in corso e che abbiano visto i lavori sospesi con il maturare di penali contrattualmente convenute, poiché la norma prevede espressamente che l’eventuale ritardo dovuto al rispetto delle misure obblighi il giudice a valutare tali aspetti anche ai fini del maturare della penale e della decadenza dal beneficio del termine (valutazione che, per converso e con non poche problematiche probatorie, potrebbe applicarsi anche al condominio che si trovi, per le stesse ragioni, a pagare in ritardo).

Si tratta in ogni caso di applicazioni non automatiche e di norma la cui applicazione è demandata  al Giudice, che dovrà valutare se il mancato o ritardato adempimento sia direttamente e causalmente imputabile al rispetto delle norme di salvaguardia emanate ai fini di contenimento virale e tale prova dovrà essere fornita dal debitore.

Va da sé che  in alcune fattispecie contrattuali tale caratteristica può ravvisarsi con facilità ed essere altrettanto facilmente provata (si pensi  all’artigiano che debba rendere una prestazione e venga messo in quarantena domiciliare poiché trovato positivo al covid-19 o per aver avuto contatti inconsapevoli con persona infetta ). In tal caso il vincolo contrattuale, a seconda della fattispecie e dei diversi aspetti su cui il giudice sarà chiamato ad esprimere il proprio apprezzamento di fatto (come tale incensurabile in cassazione ove congruamente motivato), potrebbe mantenersi, oppure potrebbe risolversi per impossibilità sopravvenuta incolpevole, senza che tuttavia al debitore inadempiente possa essere rimproverato alcunché, ergo non possa neanche essere chiamato risarcire il danno che – ex artt. 1218 e 1223 c.c. – può conseguire  all’inadempimento dell’obbligazione.

Con riguardo al contratto di locazione, il mancato pagamento dei canoni pone invece più di un problema alle parti (e al Giudice chiamato a valutare le loro domande)  poiché, trattandosi di prestazione meramente patrimoniale,  sarà onere del conduttore – secondo i generali principi di causalità – dimostrare che il rispetto delle misure ha impedito di poter adempiere l’obbligazione,  faccenda che finisce per allargarsi alla valutazione del suo stato patrimoniale e del suo deterioramento, con ipotesi di prova che possono rivelarsi  diaboliche.

Giova tuttavia ribadire che in questo caso, anche ove trovi applicazione la norma in tema  di morosità incolpevole, ciò non esime il conduttore dal pagamento dei canoni dovuti, dovendo essere valutata l’esimente unicamente ai fini di escludere la risoluzione del contratto e la condanna a risarcire eventuali danni al locatore (anche in forma di penale, per espressa previsione della norma).

*In materia di obbligazioni condominiali,  dottrina  e la giurisprudenza da tempo fanno riferimento   alla categoria delle obbligazioni propter rem,  vale a dire le prestazioni consistenti nel versamento delle somme di denaro necessarie alla conservazione delle parti comuni ed all’erogazione dei servizi  derivant dalla contitolarità del diritto reale sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni (A. Scarpa, L’obbligazione propter rem dei condomini per le spese di conservazione delle parti comini, Riv. giur. edilizia 2004, 1, 107). Più di recente si è rilevato come la mera titolarità non definisca l’intero fenomeno e si è fatto ricorso alla figura dell’utilità: “Nè può sottacersi che a mente dei tre distinti i commi dell’articolo 1123 codice civile se pure ha  senso affermare che le spese per la conservazione delle parti comuni attengono alla titolarità e quindi possono rivelare la divisata  natura propter rem, diversa è la situazione quando si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa per le quali il criterio non è quello della proporzionalità fra gli oneri e la quota, ma quello della proporzionalità fra oneri ed uso, o quando si tratta di cose destinate a servire soltanto una parte dell’edificio le cui spese rimangono a carico dei soli condomini che ne traggono utilità, allora connotandosi i rispettivi doveri di contribuzione piuttosto come obblighi propter  utilitatem” (Scarpa “il Condominio, a cura di Celeste/Scarpa, Milano 2017) Quando si parla di obbligazioni propter rem, si individuano la persona del debitore e del creditore per così dire per relationem, nel senso che soggetti del rapporto stesso saranno di volta in volta tutti coloro i quali, successivamente, si troveranno nella situazione di titolare del diritto di proprietà o di titolare del diritto reale di godimento (Gazzoni, Manuale di diritto privato, ESI, 2004). Questa caratteristica è definita ambulatorietà. Ambulatoria non è l’obbligazione, ma la possibilità del suo sorgere, in quanto essa sorge a carico di chiunque sia titolare del diritto nel momento in cui si verifica la circostanza prevista dalla legge per il suo sorgere; sicché, una volta sorta l’obbligazione, cessa ogni sua ambulatorietà (M. Comporti, Diritti reali in generale, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. VIII, t. 1, Milano, 1980, 5 da A. Scarpa, 2004, 1, 107).

© massimo ginesi 2 aprile 2020 

 

visto che si parla di distanziamento sociale, la foto di oggi richiama una solitudine positiva  e volontaria  e uno status di serenità a cui l’uomo, dopo questa tempesta, dovrebbe dedicare più tempo e cure, così come al pianeta su cui si trova a vivere 

Foto di Albrecht Fietz da Pixabay – 

 

 

CONDOMINIO E COVID-19: problemi pratici e normativi

 

L’evolversi della situazione sanitaria in Italia, con la conseguente adozione di continue misure normative volte a contenere il contagio, pone non pochi problemi di comprensione ed azione all’amministratore di condominio, che si trova a fronteggiare dubbi del tutto nuovi.

E’ dal 2012, anno della novella introdotta con L. 220/2012, che chi si occupa di condominio si pone dubbi sulla effettiva comprensione del fenomeno condominio da parte del legislatore, ma v’è da dire che la produzione normativa di questi giorni fuga ogni dubbio sulla totale approssimazione con cui viene affrontata ogni fattispecie, non solo condominiale, con una continua produzione di atti – spesso in spregio a qualunque criterio costituzionale di legiferazione – che limitano libertà, impongono divieti, prevedono fattispecie senza considerare i risvolti applicativi, ricorrendo sempre più a atti amministrativi (quali i DPCM o le ordinanze ministeriali), che lasciano non poche perplessità al soggetto che deve applicarle.

Vi è poi questa perversa tendenza ad imporre limiti e divieti senza alcun perimetro chiaro, disciplinando ma non vietando, strada che apre la porta agli arbìtri più assurdi per coloro che poi sono chiamati a far rispettare il precetto (da cui l’assurda notizia che si siano contestate decine di migliaia di violazioni ex art 650 cod.pen. a coloro che contravvengono ai divieti, con la prossima paralisi delle procure e dei tribunali che vedranno un sovraccarico di inutili decreti penali da smaltire…)

Un precetto, infine, che prende il divieto salvo situazioni urgenti e di assoluta necessità, che prescrive indicazione per gli anziani e divieti di compiere attività motoria non in prossimità della propria abitazione dimostra con chiarezza l’assurdo di una norma che non delimita la fattispecie cui deve essere applicata: Anziani, prossimità, assoluta necessità sono criteri totalmente discrezionali e non misurabili, che neanche uno studente di giurisprudenza al primo esame si sognerebbe di richiamare.

Detto ciò, in aggiunta a quanto già osservato nei giorni passati, è opportuno delineare i principali problemi che l’amministratore si vede costretto ad affrontare oggi:

  • alcune prassi sono state delineate in collaborazione con l’ISS e rappresentano certamente indicazioni cui avere riguardo, alle quali è opportuno che l’amministratore dia adeguato risalto con appositi avvisi nelle parti comuni.  Va a tal proposito rilevato che i normali parametri di adempimento/inadempimento e responsabilità, nella specifica situazione di emergenza, dovranno trovare applicazione ragionata, sì che all’amministratore non si potrà rimproverare, ex artt. 1129 e 1130 c.c. il mancato ferreo rispetto di tali indicazioni da parte dei condomini (ovvero egli non può trasformarsi in poliziotto condominiale), poiché la sua prestazione non può travalicare i limiti di ragionevolezza e attuabilità, mentre potrebbe essergli rimproverato di non aver dato adeguate informazioni, non aver predisposto adeguati strumenti di protezione per i dipendenti, non aver reso indisponibili talune parti comuni ricreative (piscine, campi da tennis, aree di ritrovo). Sul punto, per coloro che volessero approfondire la tematica dell’inadempimento, sono apparsi sul web diversi scritti interessanti che, mutatis mutandis, possono essere applicati anche alla prestazione contrattuale in condominio (non dimenticando che l’amministratore è un mandatario, ex art. 1129 comma XV c.c.)
  • ASSEMBLEE DI CONDOMINIO : è pacifico che, ad oggi, le assemblee di condominio non debbano tenersi. Era ovviamente troppo semplice redigere una norma apposita, tuttavia il divieto può essere desunto dal coacervo di disposizoni che vietano le riunioni, gli assembramenti, gli spostamenti, etc. Anche se, ove fossero rispettati tutti i parametri di distanza e salubrità  e si trattasse di grave ed imprescindibile necessità (ad esempio necessità di deliberare interventi per la statica dell’edificio o per servizi essenziali), la riunione, alla luce delle norme vigenti e sotto il profilo strettamente giuridico, potrebbe non ritenersi espressamente vietata.
  • E’ tuttavia evidente che l’unica indicazione sensata  che può essere data all’amministratore è di astenersi da qualsiasi convocazione e celebrazione di assemblea, giovandosi dei suoi poteri di intervento autonomi – così come disciplinati dall’art. 1130 c.c. e, per casi straordinari, dall’art. 1135 comma II c.c. (che prevede che “L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea”). In tale ultima ipotesi l’ostacolo prioritario può essere di natura economica, laddove il condominio non abbia sufficienti risorse in cassa per far fronte all’imprevisto; paiono da sconsigliare (a maggior ragione per la celebrazione di assemblee ordinarie per la nomina dell’amministratore e l’approvazione dei bilanci)  forme virtuali di partecipazione (qui alcune note interessanti), laddove non siano espressamente previste dal regolamento di condominio, poiché la previsione non è ad oggi contenuta in alcuna norma e si presta a successive contestazioni non facilmente risolvibili (modalità di espressione del voto, partecipazione, discriminazione fra coloro che hanno mezzi telematici, etc).
  • Laddove sussistano problemi di liquidità, ed anche ai fini di continuare la gestione ove non si sia potuta celebrare l’assemblea di approvazione del consuntivo e del preventivo e di nomina dell’amministratore, appare prudente che quest’ultimo predisponga una modalità di esercizio straordinaria inviando comunque ai condomini i propri rendiconti e chiedendo una forma di ratifica provvisoria via mail), rimettendo a successiva assemblea gli adempimenti formali di approvazione (appare opportuno, a tal fine, avvisare i condomini che i versamenti saranno effettuati salvo conguaglio, all’esito della approvazione assembleare del rendiconto).
  • Per le stesse ragioni anche la nomina sarà differita alla prima assemblea utile, secondo gli ordinari parametri (sarà interessante verificare poi le successive interpretazioni in tema di funzioni e prorogatio, tema sul quale si può leggere un interessante intervento qui)
  • quanto alle responsabilità dell’amministratore e alla sua nomina, va osservato che  il D.L. 18/2020.   ha sospeso – in maniera assolutamente cervellotica e poco razionale, qui una completa disamina – ogni termine sostanziale e processuale (ivi compresi quelli di prescrizione e decadenza) sino al 15 aprile 2020.  Nulla è previsto circa i termini di cui all’art. 1130 n. 10 c.c., ovvero l’obbligo di convocare l’assemblea entro 180 giorni dalla chiusura del’esercizio, anche se è ragionevole ritenere che eventuali azioni successive di responsabilità, che qualche scriteriato dovesse ritenere di proporre, vedrebbero applicazione da parte della giurisprudenza di una interpretazione di buon senso, già emersa in passato, legata alla sussistenza di motivi imprescindibili che impedivano tali adempimenti.
  • RISCOSSIONE QUOTE – nessuna norma ha sospeso il versamento delle quote né la possibilità dell’amministratore di agire per il loro recupero forzoso (qui alcune riflessioni in tema di pagamenti telematici) . Va tuttavia rilevato che, di fatto, gli uffici giudiziari sono chiusi salvo che per le urgenze quindi, mentre è possibile depositare in via telematica decreti presso i tribunali (quindi per somme superiori a 5.000 euro), non lo è altrettanto presso i giudici di pace, che ad oggi non consentono modalità alternative al deposito cartaceo, in questo momento sospeso. E’ tuttavia plausibile che i decreti, anche se depositati, vedano cospicui ritardi nella firma  da parte del giudice (sono pervenuti da parte di molti Tribunali inviti a soprassedere anche ai depositi telematici) e divenga comunque poi inattuabile la loro notifica, essendo ad oggi impossibile accedere alle cancellerie per la richiesta di copie in forma esecutiva.
  • ove il condominio veda impossibilità di gestione a causa di taluni morosi, può essere disposto eventuale esercizio straordinario, secondo le indicazioni anche di recente emerse dalla Suprema Corte. E’ tuttavia ovvio che, ove la situazione di emergenza perdurasse a lungo,  l’amministratore si potrebbe trovare a fronteggiare situazioni non semplici.
  • ATTIVITA’ VIETATE  – dpcm 22 marzo 2020 – l’ultima boutade “normativa” è il decreto preannunciato in diretta Facebook alle ore 23,20 di sabato 21 marzo 2020, con la ridda di indiscrezioni filtrate per tutta la domenica, ed oggi pubblicato in gazzetta ufficiale, con cui si sospendono le attività produttive e commerciali sull’intero territorio nazionale, attività individuate mediante riferimento ad una tabella di codici ATECO (qui alcune indicazioni).  il condominio pare essere ricompreso con il codice ateco 97 (condominio con dipendenti), anche se appare del tutto improprio individuare tale realtà come attività produttiva industriale o commerciale, di talchè diventa improbabile ricondurre il condominio alla fattispecie indicata dal DPCM.
  • Alla luce di tale bizzarro modo di produrre norme, appare oggi lecito e prudenziale ritenere che debbano essere sospese tutte le attività di cantiere non indispensabili (anche alla luce del divieto di spostarsi da un comune all’altro) così come ogni altra non legata alla fornitura di servizi essenziali, pur rilevando che la solita locuzione “per comprovate esigenze lavorative” svuota di ogni significato precettivo la norma, avallando comportamenti disomogenei invece che favorire una interpretazione univoca (non sfuggirà inoltre che i codici ATECO 33/43 di cui all’allegato del DPCM consentono ogni attività di fornitura /manutenzione che possa rivelarsi necessaria in condominio).
  • quanto alla attività dei portieri, la previsione del codice ateo relativo, induce a ritenerla lecitamente proseguibile, anche se l’amministratore dovrà fornire al dipendente tutti i dispositivi di protezione individuale pervisti dalla normativa vigente in tema di contenimento del virus COVID-19 e fornire istruzioni scritte sulle modalità di svolgimento del servizio stesso e sull’utilizzo dei DPI. L’amministratore, ove lo ritenga funzionale, potrà variare temporaneamente le modalità di svolgimento del servizio, prevedendo ad esempio più passaggi giornalieri di pulizia per citofoni maniglie corrimano e portoni.

LO STUDIO DELL’AMMINISTRATORE – il nuovo DPCM 22 marzo 2020 prevede all’art. 1 che “le attività professionali non sono sospese e restano ferma le previsioni di cui all’art. 1 punto 7 DPCM 11 marzo 2020”. 

All’amministratore dunque non pare ad oggi fatto divieto assoluto di recarsi al proprio studio, osservando quanto stabilito sopra ovvero:

7) In ordine alle attività produttive e alle attività pro- fessionali si raccomanda che:

a) sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che pos- sono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;

b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;

c) siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;

d) assumano protocolli di sicurezza anti-conta- gio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale;

e) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali”

si tratta tuttavia di norma mal formulata e di dubbia interpretazione, posto che nell’allegato che indica i codici Ateco (che la norma riferisce solo alle attività industriali e commerciali sospese) sono ricomprese anche attività professionali, fra le quali non è indicata la n. 68, relativa agli amministratori di condominio. E’ evidente che, a mente del combinato disposto (rectius, del malcombinato) di tutte le norme percettive ad oggi emesse, la frequenza dello studio sia del tutto sconsigliata e da lasciare ad ipotesi residuali e di emergenza.

 

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alla luce della situazione in essere va in ultimo rilevato un aspetto collaterale non secondario: la legislazione, specie in periodi emergenziali, non può prescindere dai cardini del sistema costituzionale.

 © massimo ginesi 23 marzo 2020 


Foto di Cock-Robin da Pixabay