Lo ha affermato il Tribunale di Massa con sentenza 26 giugno 2017 n. 552, in una controversia ove il condominio – cui era stata notificato decreto ingiuntivo da parte di un fornitore – nel proporre opposizione eccepisce l’incompetenza territoriale del giudice, rilevando che – ove il condominio sia composto unicamente da operatori commerciali – non possa applicarsi il c.d. foro del consumatore.
Il Tribunale respinge l’eccezione, sull’assunto che al condominio – quale che sia la natura dei soggetti che lo compongono – deve sempre essere riconosciuta natura privatistica.
“Va preliminarmente rilevato come risulti infondata come risulti infondata territoriale sollevata dall ’op ponente sull’assunto che al condominio non si debba riconoscere la qualifica di consumatore e non sarebbe dunque applicabile il relativoforo disciplinato dal D.lgs 206/2005.
La tesi risulta non accoglibile, atteso che la qualifica di consumatore è ricondotta dalla giurisprudenza al condominio in quanto tale (da ultimo Cassazione civile, sez. VI, 22/05/2015, n. 10679), sull’assunto che “Al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l’amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale”.
Pur non apparendo condivisibile il percorso logico che ancora oggi conduce la giurisprudenza di legittimità – sulla scorta di Cass. SS.UU. 914872008 – a ritenere che il contratto concluso dall’amministratore produca effetti direttamente in capo ai singoli condomini in virtù del rapporto di mandato, dovendosi viceversa ritenere che tale pattuzione vincoli il condominio in quanto tale all’unica e totale prestazione ivi dedotta (a mente di Cass. 9 8630/1996), salvo poi la possibilità per il creditore di attuarla esecutivamente in via parziaria nei confronti dei singoli ex art. 63 Ii comma disp. Att. C.c., paiono comunque condivisibili gli approdi circa la qualifica di consumatore da riconoscere al soggetto condominio.
Emerge dalla stessa giurisprudenza delle sezioni unite citata dall’opponente (Cassazione civile, sez. un., 18/09/2014, n. 19663) che al condominio in quanto tale debba riconoscersi una soggettività autonoma, seppur imperfetta ed attenuata, rispetto ai suoi componenti e che lo stesso persegua scopi che non sono del tutto coincidenti con quelli dei singoli che lo compongono; affermano infatti le sezioni unite che il principio della necessaria concorrenza di legittimazione processuale fra amministratore e singoli – da sempre affermato dalla giurisprudenza per determinate controversie – “non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un servizio comune, bensì la gestione di esso, ed intese, dunque, a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale, o l’esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino, nelle quali non vi è correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più partecipante”
Ne deriva che al condominio, quale centro di imputazione di interessi dotato di autonomia soggettiva non perfetta (si rientrerebbe altrimenti nella categoria delle persone giuridiche, cui il codice del consumo non può applicarsi) si debbano riconoscere scopi e funzioni secondo i parametri delineati dagli artt. 1117/1139 c.c., volti alla fruizione, gestione e manutenzione del bene immobile in cui il condominio è posto; a tali funzioni teleologicamente orientate – proprio per la non immediata correlazione fra i la natura/funzione del condominio e gli interessi esclusivi di uno o più partecipanti così come evidenziato dalle sezioni unite, deve essere riconosciuta una caratteristica ontologicamente privatistica, che sfugge alla natura imprenditoriale e agli scopi per cui agiscono i singoli che lo compongono.
Appare ragionevole ritenere che il condomino, nel momento in cui agisce come tale, ovvero per la gestione dei beni comuni e strumentali a proprietà solitarie, agisca comunque quale soggetto privatistico che persegue fini estranei alla natura imprenditoriale dei suoi componenti; fini che sono semplicemente volti alla fruizione e conservazione delle parti comuni di un fabbricato, in cui la destinazione funzionale delle singole unità che lo compongono non può essere necessariamente identitaria anche della connotazione soggettiva di consumatore.
Si dovrebbe altrimenti ritenere che il soggetto condominio possa repentinamente cambiare identità al solo mutare della destinazione di qualche unità, né si riuscirebbe a fornire la tutela prevista dal d.lgs 206/2005 a quei fabbricati misti composti da immobili con diversa destinazione, atteso che alla luce delle sezioni unite del 2014 si deve comunque aver riguardo al centro di imputazione collettivo e non già ai singoli individui che lo compongono.
Appare dunque più lineare e conforme allo spirito della legge, della interpretazione di legittimità sulla natura del condominio e a quella di tutela del consumatore ritenere che l’interesse condominiale – quale che sia la natura dei condomini – sfugge alla loro natura imprenditoriale, per rimanere circoscritto alla sola caratterizzazione privatistica che gli profilano gli artt. 1117/1139 c.c.
Ne deriva che, correttamente, il decreto ingiuntivo sia stato richiesto al Giudice del luogo ove il convenuto consumatore ha sede.”
© massimo ginesi 28 giugno 2017