il rendiconto approvato legittima anche la richiesta dei saldi di esercizi precedenti.

Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.civ. sez. VI-2 ord. 15 febbraio 2021 n. 3847 rel. Scarpa) ripercorre principi  consolidati riguardo alla valenza probatoria del consuntivo approvato e non impugnato e ribadisce  che le poste relative alle morosità dei singoli, relative ad esercizi precedenti, non costituiscono nuova ragione di credito, avendo mero valore ricognitivo, ma formano parte integrante del consuntivo (che deve avere continuità con gli esercizi precedenti), non violano il principio  della annualità della gestione e rappresentano prova documentale dell’intero importo dovuto dal singolo, idonea ad ottenere decreto ingiuntivo ex art 63 disp.att. cod.civ.

“Quanto al primo motivo di ricorso, occorre in premessa ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569).

Il giudice, pronunciando sul merito, emetterà una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare.

La delibera condominiale di approvazione della spesa costituisce, così, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672). Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137 c.c., comma 2, o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938; Cass. Sez. 6 – 2, 24/03/2017, n. 7741).

Quanto al secondo motivo di ricorso, il fatto della “mancata partecipazione del signor T.P. alla Delib. (omissis) “, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è poi del tutto privo di carattere decisivo (vale a dire che, se pur fosse stato esaminato, esso non avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
La dedotta mancata presenza del condomino all’assemblea del (omissis) può essere, al più, ragione che comporta la decorrenza del termine perentorio di trenta giorni, di cui all’art. 1137 c.c., comma 2, dalla data di comunicazione della deliberazione, ma non può certamente essere oggetto di eccezione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo chiesto per conseguire il pagamento delle spese deliberate dall’assemblea (arg. da Cass. Sez. 2, 01/08/2006, n. 17486).
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, che non può essere scalfito dai precedenti invocati dal ricorrente, per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., comma 2, non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità, non essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell’impugnazione della delibera (Cass. Sez. 2, 31/05/1988, n. 3701; Cass. Sez. 2, 14/07/1989, n. 3291; Cass. Sez. 2, 20/04/1994, n. 3747; Cass. Sez. 2, 04/03/2011, n. 5254).

Dall’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, pertanto, per effetto della vincolatività tipica dell’atto collegiale stabilita dall’art. 1137 c.c., comma 1 (e senza che perciò possano essere altrimenti rilevanti la “partecipazione” o un “idoneo atto ricognitivo del singolo condomino”, alla stregua di quanto sostenuto in Cass. Sez. 2, 22/02/2018, n. 4306), discende l’insorgenza, e quindi anche la prova, dell’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese ordinarie per la conservazione e la manutenzione delle parti comuni dell’edificio (Cass. Sez. 2, 05/11/1992, n. 11981).
Una volta, perciò, che il bilancio consuntivo sia stato approvato con la maggioranza prescritta dalla legge, l’amministratore, per ottenere il pagamento delle somme risultanti dal bilancio stesso, non è tenuto a sottoporre all’esame dei singoli condomini i documenti giustificativi, dovendo gli stessi essere controllati prima dell’approvazione del bilancio, senza che sia ammissibile la possibilità di attribuire ad alcuni condomini la facoltà postuma di contestare i conti, rimettendo così in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza (Cass. Sez. 2, 23/05/1981, n. 3402).

A norma dell’art. 1130 bis c.c., invero, il rendiconto condominiale deve contenere “le voci di entrata e di uscita”, e quindi gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto alle relative manifestazioni finanziarie, nonché “ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio”, con indicazione nella nota sintetica esplicativa della gestione “anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti”, avendo qui riguardo al risultato economico dell’esercizio annuale. Secondo il cosiddetto “principio di cassa”, i crediti vantati dal condominio verso un singolo condomino vanno inseriti nel consuntivo relativo all’esercizio in pendenza del quale sia avvenuto il loro accertamento (arg. da Cass. Sez. 2, 04/07/2014, n. 15401). Dopo che siano stati inseriti nel rendiconto di un determinato esercizio i nominativi dei condomini morosi per il pagamento delle quote condominiali e gli importi da ciascuno dovuti, tali pregresse morosità, ove rimaste insolute, devono essere riportate altresì nei successivi anni di gestione, costituendo esse non solo un saldo contabile dello stato patrimoniale attivo, ma anche una permanente posta di debito di quei partecipanti nei confronti del condominio. Il rendiconto condominiale, in forza di un principio di continuità, deve, cioè, partire dai dati di chiusura del consuntivo dell’anno precedente, a meno che l’esattezza e la legittimità di questi ultimi non siano state negate con sentenza passata in giudicato, ciò soltanto imponendo all’amministratore di apporre al rendiconto impugnato le variazioni imposte dal giudice, e, quindi, di modificare di conseguenza i dati di partenza del bilancio successivo. Non ha senso invocare al riguardo il limite della dimensione annuale della gestione condominiale, la quale vale ad impedire, piuttosto, la validità della deliberazione condominiale che, nell’assenza di un’unanime determinazione, vincoli il patrimonio dei singoli condomini ad una previsione pluriennale di spese (Cass. Sez. 2, 21/08/1996, n. 7706).
Va pertanto enunciato il seguente principio:
Il rendiconto consuntivo per successivi periodi di gestione che, nel prospetto dei conti individuali per singolo condomino, riporti tutte le somme dovute al condominio, comprensive delle morosità relative alle annualità precedenti rimaste insolute (le quali costituiscono non solo un saldo contabile dello stato patrimoniale attivo, ma anche una permanente posta di debito di quel partecipante), una volta approvato dall’assemblea, può essere impugnato ai sensi dell’art. 1137 c.c., costituendo altrimenti esso stesso idoneo titolo del credito complessivo nei confronti di quel singolo partecipante, pur non dando luogo ad un nuovo fatto costitutivo del credito stesso (cfr. Cass. Sez. 2, 25/02/2014, n. 4489).
Da ciò consegue l’infondatezza della tesi del ricorrente circa la carenza di efficacia probatoria del consuntivo 2013, approvato dall’assemblea (omissis) del Condominio (omissis) , per le gestioni pregresse.”

© massimo ginesi 17 febbraio 2021

la delibera di approvazione delle spese straordinarie ha valore costitutivo della relativa obbligazione

La Cassazione ribadisce – con ampio e analitico excursus –  un principio ormai reiteratamente espresso (Cass.civ. sez. VI-2 24 settembre 2020 n. 20003  rel. Scarpa) in tema di genesi dell’obbligazione del singolo di pagare la propria quota relativa alle spese straordinarie: la delibera assembleare è titolo sufficiente – anche nella fase a cognizione piena susseguente alla opposizione al decreto ingiuntivo – alla nascita dell’obbligo e ad assolvere l’onere probatorio in capo al condominio, a nulla rilevando che non sia stato approvato il relativo riparto (che ha mero valore dichiarativo ed eventualmente condizionerà la concessione della esecutorietà del decreto ex art 63 disp.att. cod.civ.).

Il Tribunale ha affermato che i lavori dedotti a fondamento della pretesa creditoria del condominio riguardassero non la sistemazione del cortile interno, come ritenuto nella sentenza di primo grado, ma la facciata dell’edificio condominiale, sulla base di una ricostruzione dei fatti di causa operata in via inferenziale dall’apprezzamento delle risultanze istruttorie. Ora, la facciata di prospetto di un edificio rientra nella categoria dei muri maestri, ed, al pari di questi, costituisce una delle strutture essenziali ai fini dell’esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicché, nell’ipotesi di condominialità del fabbricato, ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 1, ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni, con la conseguenza che le spese della sua manutenzione devono essere sostenute dai relativi titolari in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà (Cass. Sez. 2, 30/01/1998, n. 945).


Occorre pertanto ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569).

Il giudice, pronunciando sul merito, emetterà una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare.

La delibera condominiale di approvazione dei lavori costituisce, così, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672).

Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137 c.c., comma 2, o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938; Cass. Sez. 6 – 2, 24/03/2017, n. 7741).

La sentenza del Tribunale di Cassino ha altresì negato che valesse come ragione di revoca del decreto ingiuntivo la mancata approvazione degli stati di riparto, è ciò esclude il vizio di omessa pronuncia sull’appello incidentale formulato dal P. , in quanto la decisione adottata comporta una statuizione implicita di rigetto dello stesso.
Anche sul punto, la decisione del Tribunale di Cassino risulta corretta.
Si ravvisa, invero, un duplice oggetto della deliberazione dell’assemblea condominiale che approvi un intervento di manutenzione delle parti comuni: 1) l’approvazione della spesa, che significa che l’assemblea ha riconosciuto la necessità di quella spesa in quella misura; 2) la ripartizione della spesa tra i condomini, con riguardo alla quale la misura del contributo dipende dal valore della proprietà di ciascuno o dall’uso che ciascuno può fare della cosa.

Se, allora, l’approvazione assembleare dell’intervento, ove si tratti lavori di manutenzione straordinaria, ha valore costitutivo della obbligazione di contribuzione alle relative spese, la ripartizione, che indica il contributo di ciascuno, ha valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione) (arg. da Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477; Cass. Sez. 2, 03/12/1999, n. 13505; Cass. Sez. 2, 15/03/1994, n. 2452; Cass. Sez. U, 05/05/1980, n. 2928).
L’approvazione assembleare dello stato di ripartizione delle spese è, piuttosto, condizione indispensabile per la concessione dell’esecuzione provvisoria al decreto di ingiunzione per la riscossione dei contributi, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 1, giacché ad esso il legislatore ha riconosciuto un valore probatorio privilegiato in ordine alla certezza del credito del condominio, corrispondente a quello dei documenti esemplificativamente elencati nell’art. 642 c.p.c., comma 1 (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588).

Ove, tuttavia, sia mancata l’approvazione dello stato di ripartizione da parte dell’assemblea, l’amministratore del condominio è comunque munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, in forza dell’art. 1130 c.c., n. 3. In tale evenienza, l’amministratore può agire in sede di ordinario processo di cognizione, oppure ottenere ingiunzione di pagamento senza esecuzione provvisoria ex art. 63 disp. att. c.c., comma 1.
Da ciò consegue che la lamentata carenza di una delibera assembleare di ripartizione delle spese occorrenti per la riparazione della facciata, ove comunque non sia in discussione l’approvazione dell’intervento manutentivo, poteva in astratto incidere sulle condizioni necessarie all’emissione del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 1, e quindi sul regolamento delle spese della fase monitoria, senza tuttavia comportare l’infondatezza della pretesa del condominio di riscuotere i contributi dai condomini obbligati ai sensi degli artt. 1123 e ss. c.c.”

© massimo ginesi 28 settembre 2020

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Decreto ingiuntivo e mediazione, nubi all’orizzonte: aumenteranno le opposizioni meramente dilatorie?

La recente pronuncia delle sezioni unite chiarisce che l’onere di dare impulso al procedimento di mediazione nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo incombe al creditore e, ove questi non vi provveda, il giudice dovrà dichiarare improcedibile la domanda e revocare il decreto.

Una recente ordinanza del giudice di legittimità ha inoltre statuito che nel condominio l’amministratore deve essere sempre autorizzato dall’assemblea a partecipare (o a dare impulso) a procedimento di mediazione, non avendo poteri autonomi ai fini dell’art. 71 quater disp.att. cod.civ.

E’ evidente che l’effetto congiunto di tale due statuizioni comporta che i decreti ingiuntivi ottenuti dal condominio ex art 63 disp.att. cod.civ. nei confronti dei condomini morosi vedranno fiorire opposizioni fantasiose da parte di coloro che accampano mere pretese dilatorie, posto che a quel punto sarà onere del condominio promuovere la mediazione (a pena di revoca del decreto) e, come è noto, non sempre è semplice raggiungere la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma II c.c., così come richiesta dall’art. 71 quater disp.att. cod.civ. per autorizzare l’amministratore a partecipare al procedimento di ADR.

Ove il condominio non riesca deliberare in tal senso, al giudice non resterà che revocare il decreto e plausibilmente  condannare pure il condominio alle spese della fase di opposizione.

 

@ massimo ginesi 25 settembre 2020     

 

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opposizione a decreto ingiuntivo: la sentenza che annulla la delibera può essere prodotta in appello

Judge with gavel on table

Costituisce giurisprudenza costante della Corte di legittimità che in sede di opposizione a decreto ingiuntivo possano essere fatte valere unicamente questioni di nullità dei deliberati posti a fondamento della richiesta monitoria, mentre l’annullabilità deve essere fatta valere in apposito giudizio.

L’orientamento è ripreso da una recente pronuncia (Cass. civ.  sez. II 30 aprile 2019 n. 11482) che, tuttavia, chiarisce che ove il giudizio sia stato intrapreso e , nelle more dell’opposizione, sia stata emessa sentenza che annulla la delibera, tale documento possa essere introdotto in ogni tempo nel procedimento in cui si contesta il decreto.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo tale sindacato riservato al giudice davanti al quale dette delibere sono state impugnate (tra le varie, v. Sez. 2 -, Sentenza n. 4672 del 23/02/2017 Rv. 643364; Sez. 2, Sentenza n. 3354 del 19/02/2016 Rv. 638789; Sez. U, Sentenza n. 26629 del 18/12/2009 Rv. 610632).

In altri termini, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione, ma solo questioni riguardanti l’efficacia di quest’ultima.

La delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non soltanto la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629 cit.; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672 cit.).

Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137 c.c., comma 2, o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1502 del 2018; Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938).

Nel caso in esame, la deliberazione posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo è stata annullata dalla Corte d’Appello de L’Aquila con sentenza n. 82/2019 pubblicata il 16.1.2019, la cui produzione in allegato alla memoria della ricorrente deve ritenersi consentita.

Il divieto dell’art. 372 c.p.c., infatti, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli, successivi, comprovanti il venir meno dell’efficacia della deliberazione posta a base del provvedimento monitorio opposto.

Tale soluzione – che si pone sulla scia dell’indirizzo giurisprudenziale che ammette la produzione di documenti nuovi dai quali si ricavi la sopravvenuta cessazione della materia del contendere (Cass., Sez. 2, 5 agosto 2008, n. 21122; Cass., Sez. lav., 23 giugno 2009, n. 14657; Cass., Sez. 1, 10 giugno 2011, n. 12737) o la successiva formazione del giudicato esterno (Cass., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916) – si giustifica perché la sentenza che dichiara invalida la delibera condominiale posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto, sebbene non sia rilevante per le specifiche questioni di rito indicate nell’art. 372 c.p.c. (nullità della sentenza impugnata; ammissibilità del ricorso e del controricorso), ma abbia un’incidenza sul merito, comprova la sopravvenuta formazione di una regula iuris operante in relazione alla decisione del caso concreto.

Diversamente, se non fosse consentita la produzione di tale documento, la Corte di cassazione dovrebbe rigettare il ricorso e lasciare in vita una sentenza che, se eseguita coattivamente, causerebbe la proposizione di un’opposizione all’esecuzione e, se eseguita spontaneamente, giustificherebbe la proposizione di un’azione di ripetizione dell’indebito in violazione dei più elementari principi di economia processuale.”

copyright massimo ginesi 6 maggio 2019

decreto ingiuntivo non opposto e principio del giudicato esterno discendente: una pronuncia in tema di sfratto

Di recente la Suprema Corte (Cass. 1502/2018) ha osservato che la mancata opposizione a decreto ingiuntivo impedisce successive contestazioni giudiziali  sulle somme portate in quel decreto ingiuntivo e che l’effetto di giudicato che acquista il decreto non opposto si estende a tutto il dedotto e deducibile che poteva essere fatto valere in sede di opposizione.

Analogo principio è seguito da recente sentenza del Tribunale di Massa 23 gennaio 2018 in tema di opposizione alla convalida di sfratto, che deve essere respinta laddove il conduttore non abbia proposto opposizione al decreto ingiuntivo per i canoni non versati ottenuto dal locatore con autonomo e separato ricorso.

Osserva il Tribunale apuano che “L’esistenza di un decreto ingiuntivo definitivo per i canoni impagati, ottenuto dal locatore nei confronti del conduttore per canoni che vanno a costituire la morosità sulla quale si fonda l’intimazione di sfratto, oggi convertita nel presente giudizio a rito ordinario, impedisce di riesaminare la vicenda dei rispettivi obblighi e della sussistenza di inadempimento, per il principio del giudicato implicito discendente.

L’esistenza di un titolo definitivo, che accerti che non è stato versato il corrispettivo della locazione per l’importo recato nel decreto non opposto, impedisce qualunque ulteriore valutazione sulla debenza di quelle somme e sulla sussistenza del relativo inadempimento.

Si è, con costanza, osservato in giurisprudenza che “la domanda di accertamento del canone di locazione costituisce un presupposto implicito ai fini della proposizione e dell’accoglimento della domanda di condanna al pagamento dei canoni scaduti e non pagati in cui si sostanzia il provvedimento di ingiunzione.

Sta di fatto che sul decreto ingiuntivo non opposto recante intimazione di canoni locativi arretrati accolto si forma il giudicato che fa stato perciò fra le stesse parti circa l’esistenza e validità del rapporto corrente inter partes e sulla misura del canone preteso, nonchè fa stato circa l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi o estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio di opposizione, quali quelli atti a prospettare l’insussistenza totale o parziale del credito azionato in sede monitoria dal locatore a titolo di canoni insoluti, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte in ragione di maggiorazioni contra legem del canone (v. Cass. n. 5801/1998).

Evidente, pertanto, che, in applicazione del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, qualora i conduttori avessero voluto contestare la determinazione del canone, avrebbero dovuto proporre opposizione a decreto ingiuntivo, il che non hanno fatto, con la conseguenza che l’accertamento circa la misura del canone preteso e richiesto dai locatori è da ritenersi coperto dal giudicato.” Cass 16319/2017)”

Il Tribunale ha ritenuto infondate anche due eccezioni in rito dell’opponente, che assumeva il decreto ingiuntivo dovesse essere notificato nel domicilio eletto per il procedimento di sfratto: “Va perlatro osservato che appaiono prive di pregio anche le due obiezioni avanzate dal convenuto circa la asserita nullità della notifica del decreto ingiuntivo (tesi che perlatro dovrebbero legittimare – semmai un opposizione tardiva in quel procedimento e non possono essere oggetto di valutazione nel presente, se non in via meramente incidentale):
Per quanto possa qui rilevare, quanto alla notifica alla parte ai sensi dell’art. 140 c.p.c. appaiono rispettate tutte le formalità previste dalla norma e dalle successive interpretazioni rese dalla Consulta, posto che dalla copia depositata in via telematica risulta effettuata la notifica presso la dimora del convenuto (luogo che neanche egli stesso disconosce sia tale), è stato effettuato il deposito presso l’ufficio e il contestuale avviso raccomandato di cui risulta risulta – dall’avviso di ricevimento reso con l’atto – che il destinatario non abbia curato il ritiro per dieci giorni. Né peraltro l’opponente, aldilà di generiche riflessioni circa le modalità di notifica ai sensi dell’art 140 c.pc., ha spiegato in quali violazioni sarebbe incorsa la notifica del decreto.

Quanto la doglianza circa l’omessa notifica al domicilio eletto, è di tutta evidenza che tale norma sia volta favorire le comunicazioni in corso di causa alle parti costituite, e tale non può considerarsi la notifica alla parte – in vista della esecuzione – di un decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva, che deve necessariamente essere notificato al debitore e non al suo procuratore domiciliatario e che – in ogni caso – è relativo a procedimento monitorio del tutto autonomo rispetto a quello di opposizione alla convalida per cui si discute e sarebbe, pertanto, escluso dagli atti soggetti a notifica nel domicilio eletto”.

© massimo ginesi 30 gennaio 2018

decreto ingiuntivo non opposto e principio del giudicato esterno discedente: in tema di spese di riscaldamento condominiali.

La mancata opposizione a decreto ingiuntivo e il suo divenire definitivo, con effetto di cosa giudicata, comporta che non possa più essere oggetto di successivo giudizio quanto poteva e doveva essere dedotto in quella sede.

Il principio, in materia condominiale, è ribadito da Cass.Civ. sez. VI 22 gennaio 2018 n. 1502 rel. Scarpa: “È fondato anche il secondo motivo di ricorso, non avendo il Tribunale di Verbania preso in esame l’eccezione di giudicato esterno formulata dal Condominio di (omissis) con riferimento ai decreti ingiuntivi n. 256/14 e n. 363/15.

Il ricorrente aveva posto in evidenza come tali decreti ingiuntivi fossero stati richiesti dal medesimo Condominio per ottenere dal M. il pagamento di spese ordinarie comprensive delle spese di riscaldamento.

Il Tribunale avrebbe pertanto dovuto verificare se i decreti ingiuntivi non opposti avessero dato luogo alla formazione tra le parti di un giudicato involgente altresì la ragione e la misura dell’obbligazione del condomino M. di concorrere alle spese di uso del riscaldamento centrale, nonché l’inesistenza di fatti impeditivi o estintivi, non dedotti ma deducibili nel giudizio di opposizione, quali quelli atti a prospettare l’insussistenza, totale o parziale, del credito azionato in sede monitoria sul presupposto dell’esonero da tali spese del condomino che abbia distaccato le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune.

Ove quei decreti recassero l’accertamento della sussistenza dell’obbligo di M.L. di contribuire alle spese d’uso del riscaldamento centralizzato, la situazione ivi accertata non potrebbe in radice formare oggetto di valutazione diversa nel presente giudizio, permanendo immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti.

Occorre infatti considerare come il giudice, nell’indagine volta ad accertare l’oggetto ed i limiti del giudicato esterno discendente da un decreto ingiuntivo non opposto, debba dare rilievo non unicamente al contenuto precettivo del provvedimento monitorio pronunziato, quand’anche agli elementi di fatto ed alle ragioni di diritto su cui era fondata la domanda di ingiunzione.

Questa Corte ha sostenuto, del resto, che il giudice che emette il decreto ingiuntivo, accogliendo le ragioni del ricorrente, ne fa propri i motivi, per cui il riferimento a questi – portati a conoscenza dell’ingiunto mediante la notificazione sia del ricorso che del decreto, prevista dal secondo comma dell’art. 643 c.p.c. – è sufficiente ad integrare per relationem la motivazione del provvedimento, necessaria ai sensi del combinato disposto degli artt. 641, comma 1, e 135, comma 2, dello stesso codice di rito (Cass. Sez. L, 16/06/1987 n. 5310; Cass. Sez. 5, 20/08/2004, n. 16455).

Ne consegue che il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo si estende pure alla causa petendi indicata a sostegno del credito azionato, abbracciando i fatti costitutivi esposti nel ricorso per ingiunzione come l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al medesimo ricorso e non dedotti con l’opposizione, mentre non si estende soltanto ai fatti successivi al giudicato, ovvero a quelli che comportino un mutamento del petitum e della causa petendi articolati in seno alla domanda accolta.

Ove si tratti di decreto ingiuntivo per le rate maturate di un’obbligazione periodica, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale, pertanto, esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (cfr. Cass. Sez. 2, 2016, 06/06/2016, n. 11572; Cass. Sez. L, 23/07/2015, n. 15493; Cass. Sez. 3, 11/05/2010, n. 11360).”

LA sentenza affronta anche altro tema ormai più che consolidato, ribadendo principi ferrei e condivisibili in ordine all’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale non si potranno far valere vizi della  delibera posta a fondamento della richiesta monitoria, non tempestivamente impugnata, salvo che gli stessi risultino tutt’ora idonei ad incidere sulla sua efficacia (ed esempio la nullità della stessa): “Occorre peraltro ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569).

Il Tribunale di Verbania non si è uniformato al costante orientamento di questa Corte, secondo il quale, nello stesso giudizio di opposizione, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione (nella specie, per aver l’assemblea posto a carico anche del condomino che si era distaccato dall’impianto di riscaldamento centralizzato le spese di gestione dello stesso), ma solo questioni riguardanti l’efficacia di quest’ultima.

Per quanto detto, tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non soltanto la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672).

Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale (nella specie, quelle approvate dal Condominio di (omissis) nelle assemblee dell’ottobre 2009, del marzo e del maggio 2010) abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137, comma 2, c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938).

La dedotta mancata comunicazione delle delibere assembleari di approvazione e ripartizione delle spese ai condomini assenti ex art. 1137 c.c. al condomino M. , in quanto vicenda del tutto estranea al procedimento formativo della volontà collegiale, può essere ragione che abbia impedito il decorso del termine di impugnazione stabilito da detta norma, ma non comunque motivo di invalidità da introdurre per la prima volta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei relativi oneri, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 11/08/2017, n. 20069; Cass. Sez. 2, 22/05/1974, n. 1507).

Né il condomino M. potrebbe lamentare l’annullabilità delle deliberazioni poste a fondamento dell’ingiunzione di pagamento per non essere stato proprio convocato a quelle riunioni, trattandosi di vizio invocabile comunque con l’impugnazione ex art. 1137 c.c., e non di doglianza che possa formare oggetto di eccezione nel giudizio di opposizione (Cass. Sez. 2, 07/11/2016, n. 22573; Cass. Sez. 2, 01/08/2006, n. 17486). ” 

© massimo ginesi 25 gennaio 2018

diligenza dell’amministratore: una sentenza anacronistica…

Accade con frequenza che, dati i tempi della giustizia italiana, alcune pronunce di legittimità che affermano principi peculiari riguardino situazioni che, sotto il profilo normativo, non sono più attuali.

E’ ovviamente compito dell’interprete qualificare correttamente la fattispecie e rendersi conto della effettiva portata e residua attualità della sentenza, in forza del principio tempus  regit actum, di tal chè ciò che i giudici di legittimità hanno affermato  per una causa sorta quindici anni fa potrebbe essere principio di diritto non più attuale.

In materia condominiale tale fenomeno è reso ancor più evidente dall’entrata in vigore della L. 220/2012, che radicalmente mutato la disciplina di alcuni istituti, primo fra tutti la figura dell’amministratore di condominio.

Appare allora singolare leggere – nel web e su diverse  pubblicazioni – autori che, a fronte di Cass.Civ.  sez. VI Civile 20 ottobre, n. 24920, affermano che l’amministratore è tenuto ad osservare la diligenza del buon padre di famiglia e non ha l’obbligo ma solo la facoltà di richiedere decreto ingiuntivo.

La sentenza afferma effettivamente tali principi:”l’amministratore ha, nei riguardi dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall’art. 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale (Cass. 9 aprile 2014, n. 8339; Cass. 4 luglio 2011, n. 14589). Nell’esercizio delle funzioni assume le veste del mandatario e pertanto è gravato dall’obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell’art. 1710 c.c.. 

Nel caso di specie la Corte d’appello ha accertato, con apprezzamento in fatto, che l’amministratore nel periodo 2005/2006 aveva più volte sollecitato, anche per iscritto, i condomini morosi al versamento delle quote condominiali, avendo egli la facoltà e non l’obbligo di ricorrere all’emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condomini morosi.
La deduzione appare corretta perché l’art. 63 disp. att. cc. non prevede un obbligo, ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi (“può ottenere decreto di ingiunzione…”) e pertanto non merita censura la decisione impugnata laddove ha escluso la violazione dell’obbligo di diligenza da parte dell’A. per essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (e l’indagine circa l’osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare ex articoli 1708 e 1710 c.c. – anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all’esecuzione del mandato – è affidata al giudice del merito, con riferimento al caso concreto ed alla stregua degli elementi forniti dalle parti, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità: v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 13513 del 16/09/2002 in motivazione).”

Si tratta tuttavia di pronuncia che giudica l’operato di un amministratore che aveva avuto la prima sentenza di merito  nel 2009 e che, quindi, chiaramente agiva sotto la vigenza di norme affatto diverse.

Oggi gli arti. 1129 e 1130 cod.civ. prevedono obblighi ben precisi in ordine alle modalità obbligatorie di attivazione per la richiesta di decreto ingiuntivo (sulla cui richiesta solo l’assemblea può decidere proroghe ex art 11291 comma IX cod.civ. ) e l’art. 71 bis disp.att. cod.civ., (unitamente al dm 140/2014) prevede una figura di amministratore ancorata a parametri di professionalità, dati che difficilmente consentono – dal 18 giugno 2013 – di ritenere l’amministratore un mero mandatario e non un professionista tenuto a rispondere secondo le regole dell’arte, così come commentare  oggi che la richiesta di decreto ingiuntivo costituisca una facoltà e non un obbligo rappresenta mera disinformazione.

© massimo ginesi 24 ottobre 2017 

condominio autonomo dei box e decreto ingiuntivo.

Una recentissima ordinanza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2 17 ottobre 2017 n. 24431 rel. Scarpa)  affronta un tema consolidato in giurisprudenza (ovvero le vicende ed eccezioni che possono essere fatte valere in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio per le quote scadute), con riferimento alla peculiare situazione in cui i box costituiscano ente condominiale autonomo rispetto all’edificio che li sovrasta.

I fatti ed il processo di merito – la vicenda inizia con un giudizio di opposizione dinanzi al giudice di pace, proseguito dinanzi al Tribunale quale giudice di appello: “Il giudizio era iniziato con ricorso per decreto ingiuntivo relativo a spese condominiali dovute dalla condomina MFB per C 924,00, approvate in sede di bilanci per gli esercizi 2008 e 2009 con delibere del 4 febbraio 2008 e del 10 febbraio 2009, e relative alla proprietà dei box nn. 1, 2, 3, 7 e 8 del complesso.

Il Tribunale di Roma nella sentenza impugnata ha posto in evidenza come nell’atto di acquisto dei box di proprietà B del 4 ottobre 2007, prodotto in atti, la gestione delle parti comuni dei medesimi box fosse oggetto di autonoma regolamentazione rispetto a quella del sovrastante edificio di via S. A M n. 70, Roma (come da regolamento dell’Il luglio 2007, che l’acquirente aveva dichiarato di accettare).

Il Tribunale superava perciò la resistenza della B., che contestava la distinta legittimazione attiva a riscuotere i contributi del Condominio Box via V 83-85. Parimenti, il giudice dell’appello negava la rilevanza pregiudiziale del giudizio pendente tra MFB e la E R s.r.I., incidente su tre dei box di proprietà B.”

La Corte di legittimità rigetta il ricorso, in quanto manifestamente infondato, con ampia e puntuale motivazione, che non si discosta da principi generali consolidati.

nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569). Nello stesso giudizio di opposizione, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione.

Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672).

Tanto meno può essere oggetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo inerente il pagamento di spese condominiali, emesso sulla base di delibera assembleare di approvazione del relativo stato di ripartizione, la questione dell’autonoma esistenza del condominio intimante e della sua appartenenza ad esso del condomino opponente, il quale neppure abbia provveduto all’impugnazione della medesima delibera assembleare posta a sostegno della ingiunzione.

D’altro canto, ove si intenda controvertere sull’esistenza, o meno, in ordine ad una serie di unità immobiliari integranti porzioni di un complesso edilizio, di un condominio unico e distinto dal sovrastante complesso immobiliare, e, quindi, sulla riconducibilità di talune delle strutture della costruzione di cui si tratta alle parti comuni dell’edificio condominiale di cui all’art. 1117 c.c., con conseguente ripartizione delle spese tra i proprietari delle varie unità, è necessaria la partecipazione di tutti costoro a ciascuna delle fasi del giudizio, in una situazione di litisconsorzio necessario.

L’infondatezza del ricorso è, dunque, ancor più palese ove si consideri che non potesse comunque essere oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 63, comma 1, disp. att. c.c., l’agitata questione dell’accertamento dell’inesistenza di un “condominio autonomo” con riferimento alle distinte unità immobiliare realizzate nel piano interrato e destinate ad autorimesse, trattandosi di domanda da rivolgersi non nei confronti dell’amministratore, e che avrebbe, piuttosto, imposto il litisconsorzio necessario di tutti quei singoli condomini (Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119).

Il Tribunale di Roma, con argomentazione a rilevanza decisoria che la ricorrente non confuta, ha aggiunto che avesse effetto vincolante per la B. la volontà negoziale dalla stessa manifestata nell’atto di acquisto del 4 ottobre 2007 di adesione alla gestione autonoma delle parti comuni dei box.

Non sussiste, infine, omessa pronuncia in ordine al dedotto rilievo pregiudiziale delle altre cause pendenti, avendo sul punto la sentenza impugnata espressamente motivato alle pagine 6 e 7. Basterà qui aggiungere che, per consolidate interpretazioni di questa Corte : 1) il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di oneri condominiali non si intende legato da nesso di pregiudizialità, tale da giustificare la sospensione del procedimento di opposizione ex art. 295 c.p.c., nemmeno con la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della delibera assembleare posta a sostegno della ingiunzione stessa (da ultimo, Cass. Sez. 2 , 23/02/2017, n. 4672); 2) ai fini della sospensione necessaria del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., occorrono l’identità delle parti in entrambi i processi e l’obiettiva esistenza di un rapporto di pregiudizialità giuridica, non essendo sufficiente che tra le due controversie sussista una mera pregiudizialità logica (Cass. Sez. 2, 16/03/2007, n. 6159); 3) il provvedimento di riunione previsto dall’art. 274 c.p.c., relativo a cause diverse ma connesse (riunione facoltativa), ovvero dettato da motivi di economia processuale, essendo strumentale e preparatorio rispetto alla futura definizione della controversia, è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità.”

© massimo ginesi 18 ottobre 2017

mediazione ed opposizione a decreto ingiuntivo: un tema complesso e dibattuto.

Il legislatore ha previsto che alcune liti, fra cui le controversie in materia bancaria e quelle in tema di condominio, siano sottoposte a procedimento di medizione obbligatoria, a mente dell D.lgs 28/2010 e succ. mod.

L’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità e deve essere attuato su iniziativa delle parti o su ordine del giudice, in difetto  la controversia sarà dichiarata improcedibile.

La ratio dell’istituto è palesemente volta a deflazionare l’enorme carico della giustizia civile, auspicando (con risultati statistici in realtà assai poco  lusinghieri) che le parti possano risolvere il contrasto su basi metagiuridiche e personali – poiché tali sono i presupposti primi della mediazione – prima di arrivare a chiedere tutela giudiziale.

Il procedimento delineato dal D.lgs 28/2010  va in realtà a toccare distretti che attengono alle origini conflittuali e personali che spesso fondano la domanda e, ove condotto da un bravo mediatore, può effettivamente condurre alla risoluzione del conflitto fra le parti e alla rinuncia alle domande che a quel conflitto erano strumentali.

A fronte di tali presupposti appare non priva di fondamento la giurisprudenza sempre più restrittiva che impone la presenza delle parti personalmente al primo incontro, poiché è evidente che la capacità di disporre del diritto e di coinvolgere i distretti emotivi – che spesso sottendono la lite – risulta enormemente affievolita ove all’incontro partecipi un delegato e non la parte.

Vi è però un altro aspetto di grande rilievo e che attiene alla mediazione in  quei procedimenti a contraddittorio differito, quali il decreto ingiuntivo e la successiva eventuale opposizione.

In tal caso l’art. 5 comma 4a del D.lgs 28/2010 prevede che il procedimento di mediazione obbligatoria non si applica “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”

Accade quindi che, nella prassi operativa, il Condominio ottenga legittimamente decreto ingiuntivo ex art. 63 disp.att. cod.civ nei confornti del condomino moroso, costui proponga opposizione, alla prima udienza si discuta della eventuale sospensione della esecuzione ex art 649 c.p.c. (fase che ha natura latamente  cautelare) e poi il Giudice, emessi i provvedimenti sulla esecutorietà, rilevi che si tratta di procedimento in cui la mediazione è obbligatoria e rimetta le parti dinanzi al mediatore, affinchè si avveri la condizione di procedibilità.

Ci si è posti il dubbio su  chi debba essere il soggetto onerato di introdurre il procedimento e quali siano gli effetti dell’eventuale inosservanza dell’ordine del giudice: qualora la mediazione non venga esperita si darà luogo alla improcedibilità della sola opposizione o anche alla revoca del decreto ingiuntivo?

Il problema è stato affrontato e risolto da Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015,  n. 24629, con una pronuncia che chi scrive trova condivisibile ma – indubitabilmente – unisce considerazioni di natura giuridica a riflessioni di politica giudiziaria: “La disposizione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio. La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale. In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per cosi dire – a rendere il processo la estrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse. Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione. Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta. Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perchè è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perchè premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo. E’, dunque, l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.. Soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale. Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l’opposizione sarà improcedibile.”

Non sono mancate pronunce di merito di segno opposto, alcune recenti, altre precedenti alla conclusione del giudice di legittimità.

Il Tribunale di Benevento, con pronuncia del 23 gennaio 2016, è pervenuto a soluzione diametralmente opposta, discostandosi dall’orientamento della suprema corte con argomenti ampi e che – tuttavia – non convincono: il giudice campano, criticando l’orientamento espresso da Cass. 24629/2015, afferma” Tali asserzioni sono difficilmente compatibili col testo dell’art. 5, co. 4, d. lgs. 4.3.2010, n. 28: «I commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; [OMISSIS]».
Ciò significa che: 1) non è vero che l’opponente abbia inteso «precludere la via breve per percorrere la via lunga»: l’opponente, infatti, prima della pronunzia sulle istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione, non deve esperire la mediazione: sicché non gli si può imputare di averla omessa; 2) non è vero che al creditore sia imposto «l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo»: la questione, infatti, che si pone nei casi come quello di specie, non è certo se il creditore, che abbia depositato il ricorso monitorio, debba proporre la domanda di mediazione prima che la controparte abbia sollevato l’opposizione (e, dunque, senza neppure sapere se opposizione sorgerà): il problema, invece, è di verificare quale delle parti debba esperire la mediazione medesima, ma solo una volta proposta l’opposizione ed esaurita la fase attinente alla concessione, od alla sospensione, della provvisoria esecuzione. Una volta che le argomentazioni della motivazione della sentenza in esame siano ritenute contrastanti con la disciplina della mediazione, che potrebbe essere stata fraintesa, l’intera decisione non può più essere condivisa.
Si deve, dunque, tornare al testo della legge: il più volte menzionato co. 1 bis dell’art. 5, d. lgs. 28/2010, onera della mediazione «Chi intende esercitare in giudizio un’azione»: ed è jus receptum che, nel caso del procedimento monitorio, seguito da opposizione, chi esercita l’azione, ossia l’attore, è il creditore, che insta per l’emanazione del decreto ingiuntivo (e, del resto, la pendenza della lite tra ricorrente e debitore risale, ai sensi dell’art. 643, co. 3, c.p.c., alla notificazione del ricorso e del decreto): anzi, prim’ancora, che chiede al Giudice l’attribuzione di un bene della vita. L’opponente, al contrario, subisce la domanda, ed appare anomalo e vessatorio imporgli di adempiere ad un onere, posto come condizione di procedibilità, quando, evidentemente, nessun interesse esso nutre, contrariamente al creditore opposto, all’emissione di una condanna contro di lui. Il principio affermato dalla S.C., del resto, troverebbe applicazione in ogni altro caso, nel quale la mediazione è differita ad un momento successivo all’introduzione della controversia (art. 5, comma 4, d. lgs. 4.3.2010, n. 28, lettere ‘b’ e ‘d’), ossia «nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile», e «nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile»: così dilagando in ulteriori ambiti, nei quali si propagherebbe la deroga al principio secondo cui la procedibilità della domanda è onere di chi pretende un bene della vita, e non certo di chi si limita a resistere. La conseguenza di quanto affermato, allora, è che l’improcedibilità non colpisce la domanda dell’opponente (domanda che tale non è, salve le riconvenzionali), bensì quella dell’opposto: e, pertanto, il decreto ingiuntivo dev’essere revocato.”

Sulla rilevanza della mediazione in tema di opposizione a decreto ingiuntivo si è stratificata numerosa giurisprudenza di merito; in senso contrario a quanto  indicato dalla Suprema Corte nel 2015 si segnalano sentenze del  Tribunale di Firenze: due in data  12 febbraio 2015 (estensore Guida), una del 24 settembre 2014 (estensore Guida) e una del 17 marzo 2014 (estensore Scionti), nonché pronunce del  Tribunale di Varese (estensore Buffone; 18 maggio 2012) e  del Tribunale di Verona (estensore Vaccari; 28 ottobre 2014), pronunce che fanno propria la tesi che per attore deve intendersi l’attore in senso sostanziale ossia l’opposto.

Di diverso avviso altri Tribunali, che si sono attenuti al principio poi espresso dal giudice di legittimità: Tribunale di Nola (estensore Frallicciardi), 24 febbraio 2015, Tribunale di Firenze 30 ottobre 2014 (estensore Ghelardini), Tribunale di Prato del 18 luglio 2011 (estensore Iannone), Tribunale di Siena  25 giugno 2012 (estensore Caramellino),  Tribunale di Rimini 17 luglio 2014 (estensore Bernardi); in tal senso anche una recente ordinanza del Tribunale di Massa 13.4.2017.

Si è detto di condividere la pronuncia della Suprema Corte del 2015 e di non ritenere convincenti le tesi dei giudici di merito che hanno espresso argomenti e decisioni  contrarie: le ragioni che inducono a tale lettura sono essenzialmente di ordine sistematico e prescindono da considerazioni deflative e di politica giudiziaria.

L’impianto processuale previsto dagli artt. 633 c.p.c. e seguenti prevede che il creditore, in determinate condizioni e a fronte della produzione di  documentazione espressamente indicata dalle norme, possa ottenere decreto ingiuntivo.

L’art. 63 disp.att. cod.civ., in materia condominiale, prevede  che tale provvedimento sia ottenuto dal condominio in forma provvisoriamente esecutiva, su istanza dell’amministratore, dietro la presentazione dei riparti ritualmente approvati.

Il decreto è ottenuto in assenza di contraddittorio e costituisce provvedimento di condanna anticipata in sé perfetto, suscettibile di divenire definitivo in assenza di opposizione, che l’ingiunto può proporre entro quaranta giorni dalla notifica. Si ritiene che il modello italiano sia ispirato al  c.d procedimento monitorio documentale, sicché “il provvedimento emesso dal giudice, diversamente rispetto al modello del procedimento monitorio puro, è risolutivamente condizionato alla proposizione di una eventuale opposizione e, dunque, può avere fin da subito efficacia esecutiva, e il giudizio che viene ad instaurarsi a seguito dell’opposizione risulta assimilabile ad una impugnazione”.

Dunque, ove l’ingiunto non si attivi, la condanna emessa in sede monitoria acquista definitività (art. 647 c.p.c.), al pari di qualunque titolo giudiziale e solo l’iniziativa dell’ingiunto (convenuto sostanziale) è idonea ad introdurre un ordinario giudizio di merito a cognizione piena, che condurrà alla emanazione di una sentenza in contraddittorio fra le parti, avente ad oggetto l’intero  merito della controversia.

Ne deriva che, poiché il legislatore ha ritenuto il decreto suscettibile di divenire cosa giudicata in assenza di attività dell’ingiunto, abbia poco senso rifarsi alle posizioni di attore e convenuto sostanziale contrapposte a quelle di attore e convenuto processuale, atteso che l’unica parte che ha interesse ad introdurre l’opposizione – al fine di  contestare la pretesa azionata in via monitoria e sottoporre al giudice il merito della vicenda – risulta  l’opponente e che la sua inerzia conduce , ex lege, alla definitività del decreto.

Ne consegue in via del tutto logica, ad avviso di chi scrive, che onerato della mediazione – in quanto soggetto interessato alla proposizione e prosecuzione del giudizio  di merito – non possa essere che l’opponente, atteso che il legislatore ha fornito il provvedimento emesso in via monitoria di una ossatura iniziale autoportante, idonea ad esser scalfita solo dalle iniziative dell’ingiunto e suscettibile di sopravvivere in via autonoma anche alle vicende estintive della causa di opposizione.

Non si comprende dunque per quali ragioni, a fronte di tale quadro sistematico, l’improcedibilità della opposizione per mancata proposizione della mediazione da parte dell’unico soggetto che ha interesse a coltivare la causa in via ordinaria, debba condurre alla revoca del decreto.

Un tale orientamento, tra l’altro, fornirebbe all’opponente dotato di un certo grado di disinvoltura l’opportunità di proporre opposizioni del tutto garibaldine – in materie in cui la mediazione è condizione obbligatoria di procedibilità, qual’è il condominio  – lasciando poi al creditore l’onere di coltivare la procedibilità della opposizione, pena la revoca del decreto: una vera e propria contraddizione in termini.

© massimo ginesi 27 aprile 2017 

opposizione a decreto ingiuntivo: quando l’acconto non basta ad evitare le spese di lite

Accade con frequenza che – nelle more della richiesta di decreto ingiuntivo da parte del creditore- il debitore versi alcuni acconti.

A fronte di tali pagamenti si discute  se siano dovute le spese del decreto, se sia legittima l’opposizione, se il decreto possa ancora essere usato come titolo e chi debba pagare le spese della eventuale fase di opposizione.

Nel caso di specie, affrontato dal Tribunale di Massa con sentenza 23.2.2017,   il Condominio – eseguiti in suo favore lavori straordinari in appalto – non aveva provveduto al saldo del prezzo dovuto, limitandosi a versare un modesto acconto di mille euro a fronte di circa  dodicimila ancora pretesi dall’appaltatore.

Il pagamento era avvenuto dopo l’emissione ma prima della notifica del decreto, il Condominio ha proposto opposizione al solo scopo di non far divenire esecutivo un titolo per somme supeirori a quelle effettivamente ancora dovute.

Osserva il Tribunale che “L’opposizione promossa risultata infondata e come tale deve esser rigettata, seppure il decreto – per i fatti parzialmente estintivi successivamente intervenuti – debba comunque essere revocato (Cass. SS.UU. 7448/1993).
Va osservato che le somme dovute dal Condominio alla opposta erano effettivamente quelle richieste in via monitoria, e ciò sia al momento del deposito del ricorso (16.5.2016) che al momento della emissione del provvedimento di ingiunzione (17.5.2016), essendo intervenuto il versamento del primo acconto solo in data 26.5.2016.”

Il Giudice di merito richiama una consolidata giurisprudenza della Cassazionela fondatezza (o meno) dei motivi dell’opposizione al decreto ingiuntivo deve essere valutata con riferimento non alla data di proposizione del ricorso, ma a quelle della emissione del decreto medesimo: e che è poi, anche, la data rispetto alla quale deve valutarsi la fondatezza in fatto ed in diritto della decisione giudiziale adottata. E ciò in aderenza a principi di diritto enunciati più volte in “subiecta materia” dalla giurisprudenza (uniforme, costante e consolidata) di questa Corte (cfr. ad es. tra le più recenti: Cass. 18.10.1983 n. 6121; Cass. 8.6.1985 n. 3482) …” Cassazione civile, sez. lav., 11/04/1990,  n. 3054

Ai fini dunque delle spese “Ne consegue che ove il pagamento avvenga in data successiva alla emissione del decreto, come nel caso di specie, la necessità della opposizione ai fini di non far divenire esecutivo il titolo non è affatto necessaria, ben potendosi eventualmente far valere gli intervenuti e successivi pagamenti in sede esecutiva, ove il creditore si determinasse ad azionare il titolo senza tenerne conto: “D’altronde è noto che il decreto ingiuntivo deve essere necessariamente revocato nel giudizio di opposizione esclusivamente quando risulti la fondatezza anche solo parziale dell’opposizione stessa con riferimento alla data di emissione del decreto. Quando invece il debito si estingua per un adempimento successivo alla suddetta data e debba quindi escludersi l’indicata fondatezza, anche se il provvedimento viene ugualmente revocato, devono comunque porsi a carico dell’ingiunto le spese del procedimento. Ove in quest’altra seconda ipotesi il decreto ingiuntivo non venga revocato, ovviamente resta salva l’opponibilità dell’avvenuto pagamento se il creditore, ancorché soddisfatto, si avvalga del provvedimento non revocato come titolo esecutivo (Cass. 7526/2007).”

Il debitore dunque che, con troppa solerzia, promuova opposizione a fronte di un modesto pagamento – avvenuto dopo l’emissione del decreto – rischia di vedersi condannato anche alle spese di detta fase.

Non sono dovuti, come invece aveva richiesto l’appaltatore, gli interessi di mora previsti dal D. lgs 231/ 2002: “infondata si rivela la richiesta di parte opposta di riconoscimento degli interessi moratori ex d.lgs 231/2002, trattandosi di disposizione che a mente dell’art. 2 di tale testo normativo si applica unicamente ai rapporti fra imprenditori (o liberi professionisti) e fra costoro e la pubblica amministrazione, mentre è inapplicabile al Condominio, che va ascritto al genus del consumatore (Trib. Roma 19 settembre 2011 n. 17887); non risulta invece che l’opposto abbia dedotto la sussistenza di patti relativi a interessi in misura superiore a quella legale o abbia dimostrato l’esistenza del danno ex art. 1224 II comma cod.civ.”

© massimo ginesi 27 febbraio 2017