Le Sezioni Unite della Corte di legittimità, con pronuncia odierna (Cass.civ. sez. un. 14 aprile 2021 n. 9839) hanno deciso la questione a loro rimessa con ordinanza 1 ottobre 2019 .
La Corte ha confermato l’orientamento che riteneva nulla la delibera che modifichi scientemente i criteri di riparto e annullabile quella che invece li applichi erroneamente, chiarendo che la nullità della prima può essere rilevata d’ufficio del giudice anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, mentre sono annullabili quelle che provvedano alla ripartizione della spesa in modo erroneo e non conforme ai criteri di legge.
In tale ultima ipotesi il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo potrà statuire anche sull’annullamento del deliberato solo ove la relativa azione sia tempestivamente proposta dalla parte nel termine di cui all’art. 1137 c.c.
Questi i principi espressi dal massimo consesso, anche se il provvedimento – per l’ampio excursus interpretativo – merita lettura integrale:
«In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’ordine pubblico” o al “buon costume”; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 cod. civ.»;
– «In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, numeri 2) e 3), cod. civ. e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, secondo comma, cod. civ.»
E’ quanto stabilito dal Tribunale di Bergamo (sentenza 31 dicembre 2020 n. 1294), nell’opposizione promossa da un condomino moroso, che aveva versato acconti dopo l’emissione del decreto richiesto dal condominio e prima della sua notifica, eccependo l’illegittimità della condotta del condominio.
Il giudice osserva che “Nessun profilo di colpa o negligenza si configura nella richiesta di notifica dell’ingiunzione da parte del condominio che, considerato il pagamento parziale comunque minimo, in ogni caso successivo alla data di emissione del decreto, ha ridotto la pretesa creditoria senza azionarlo in sede esecutiva e dichiarando alla prima udienza”.
Il tribunale ha quindi confermato l’ordinanza ex articolo 186ter Codice procedura civile richiesta dal condominio in sede di opposizione condannando il condomino al pagamento del debito residuo (circa 5800 euro) oltre le spese processuali.
una interessante pronuncia della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2 23 luglio 2020 n. 15696 rel. Scarpa) richiama gli orientamenti più recenti in tema di nascita dell’obbligazione condominiale e circa la valenza dell’approvazione della ripartizione, individuando nella delibera che approva interventi manutentivi l’atto costitutivo dell’obbligazione dei singoli condomini a corrispondere la propria quota, mentre l’approvazione della ripartizione ex art 63 disp.att. cod.civ. ha rilevanza dichiarativa, delineando l’importo che incombe a ciascuno.
In tema di lavori straordinari, infine, la delibera di approvazione dell’intervento è idonea a far sorgere l’obbligazione dei singoli, anche ove non sia stato approvato il consuntivo delle opere.
“La dottrina ravvisa un duplice oggetto della deliberazione assembleare che approvi un intervento di ristrutturazione delle parti comuni: 1) l’approvazione della spesa, che significa che l’assemblea ha riconosciuto la necessità di quella spesa in quella misura; 2) la ripartizione della spesa tra i condomini, con riguardo alla quale la misura del contributo dipende dal valore della proprietà di ciascuno o dall’uso che ciascuno può fare della cosa.
Se, allora, l’approvazione assembleare dell’intervento, ove si tratti lavori di manutenzione straordinaria, ha valore costitutivo della obbligazione di contribuzione alle relative spese, la ripartizione, che indica il contributo di ciascuno, ha valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione)(arg. da Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477; Cass. Sez. 2, 03/12/1999, n. 13505; Cass. Sez. 2, 15/03/1994, n. 2452; Cass. Sez. U, 05/05/1980, n. 2928).
L’approvazione assembleare dello stato di ripartizione delle spese è, piuttosto, condizione indispensabile per la concessione dell’esecuzione provvisoria al decreto di ingiunzione per la riscossione dei contributi, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 1, giacché ad esso il legislatore ha riconosciuto un valore probatorio privilegiato in ordine alla certezza del credito del condominio, corrispondente a quello dei documenti esemplificativamente elencati nell’art. 642 c.p.c., comma 1, (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588).
Ove, tuttavia, sia mancata l’approvazione dello stato di ripartizione da parte dell’assemblea, l’amministratore del condominio è comunque munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, in forza dell’art. 1130 c.c., n. 3. In tale evenienza, l’amministratore può agire in sede di ordinario processo di cognizione, oppure ottenere ingiunzione di pagamento senza esecuzione provvisoria ex art. 63, comma 1 disp. att. c.c..
Occorre pertanto ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569). Il giudice, pronunciando sul merito, emetterà una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare.
Da ciò consegue che la carenza di “documentazione attestante gli esborsi fatti e le motivazione degli stessi”, come esposto dalla Corte d’appello, ove comunque sia provata l’approvazione assembleare dell’intervento manutentivo, non può giustificare la statuizione di infondatezza della pretesa del condominio di riscuotere i contributi dai condomini obbligati ai sensi degli artt. 1123 c.c. e ss..
Nè può essere d’ostacolo alla riscossione dei contributi inerenti alla manutenzione straordinaria approvata dall’assemblea la mancata approvazione del “consuntivo”, come la sentenza impugnata suppone conclusivamente, in quanto (mentre per l’erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali, che non richiede la preventiva approvazione dell’assemblea, l’approvazione è poi richiesta in sede di consuntivo, perché l’amministratore possa agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a loro carico: da ultimo, Cass. Sez. 2, 11/01/2017, n. 454), per i lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, come già considerato, la delibera assembleare che dispone l’esecuzione dei detti interventi ha ex se valore costitutivo della relativa obbligazione di contribuzione (da ultimo: Cass. Sez. 2, 14/10/2019, n. 25839).
Cass. civ. sez. III 12 luglio 2019 n. 18741 rimette alle Sezioni Unite la questione se sia onere dell’opponente a decreto ingiuntivo – oppure dell’opposto –introdurre il procedimento, per le materie ove la mediazione costituisca condizione di procedibilità, .
“Ritiene il Collegio che sussista il presupposto della questione di massima di particolare importanza che giustifica la rimessione alle Sezioni Unite. Entrambe le posizioni evidenziate sono assistite da valide ragioni tecniche e appaiono essere proiezione di diversi principi. La questione riveste particolare importanza perchè tocca un tema sul quale, per riprendere le parole di Cass. 15 dicembre 2011 n. 27063 (con cui fu chiesta la valutazione di opportunità della rimessione alle Sezioni Unite in ordine alla questione della fattibilità del concordato preventivo), “si registra non solo un ampio dibattito in dottrina ma anche un tuttora non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito, reso più acuto dalla frequenza delle questioni che in siffatta materia vengono sottoposte a giudizio”. La vastità del contenzioso interessato dalla mediazione (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), ed il diffuso ricorso al procedimento monitorio, richiedono a parere del Collegio, in considerazione dei presupposti evidenziati, la rilevanza nomofilattica della pronuncia delle Sezioni Unite.”
L’ordinanza, che contiene ampia disamina e sintesi delle posizioni giurisprudenziali ad oggi emerse, merita integrale lettura.
Una recente pronuncia della corte di legittimità (Cass.Civ. sez.VI-2 16 gennaio 2019 n. 994) affronta un tema interessante: un condomino propone opposizione a decreto ingiuntivo e, nelle more, il condominio adotta nuova delibera, a cui si richiama già nella comparsa di costituzione.
La bizzarra tesi del difensore dell’opponente, del tutto sconfessata dalla suprema corte, è che ciò costituisca mutato libelli non consentita.
Osserva invece il giudice di legittimità: “Si rappresenta altresì che sono appieno da condividere i rilievi del tribunale, allorché ha disconosciuto la mutatío dell’iniziale domanda monitoria, siccome correlata alla delibera assunta dall’assemblea condominiale in data 18.2.2016.
Invero le sezioni unite di questa Corte spiegano – e la relativa pronuncia è stata debitamente richiamata dal primo giudice – che la modificazione delladomanda, ammessa ex art. 183 cod. proc. civ., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali (cfr. Cass. sez. un. 15.6.2015, n. 12310; Cass. 22.12.2016, n. 26782).
Ebbene è più che evidente nella fattispecie che, nonostante la correlazione dell’iniziale domanda monitoria alla sopravvenuta delibera del 18.2.2016, è rimasta impregiudicata la connessione con la vicenda sostanziale inizialmente portata alla cognizione del giudice adito.
Né d’altro canto vi è stata, per l’opponente, V. G., menomazione alcuna delle sue prerogative difensive.
L’ancoraggio dell’iniziale domanda alla sopravvenuta delibera del 18.2.2016 è stato operato dal condominio opposto di già nella comparsa di costituzione depositata in cancelleria in data 8.3.2016, così come riferisce lo stesso ricorrente (cfr. ricorso, pagg. 2 – 3).
E’ innegabile dunque che alla data dell’ 8.3.2016 nessuna preclusione si era verificata, pur ai fini della mera emendatio libelli, giacché neppure era maturata la possibilità di richiedere la concessione dei termini ex art. 183 cod. proc. civ.”
La corte conferma anche, nel dichiarare infondato il secondo motivo di ricorso, il proprio orientamento in tema di mediazione: “ Per altro verso questa Corte non può che reiterare il proprio insegnamento.
Ossia che in tema di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione grava sulla parte opponente [nel caso per cui è controversia, su V. G.], poiché l’art. 5 del dec. Igs. n. 28/2010 deve essere interpretato in conformità alla sua “ratio” e, quindi, al principio della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente il giudizio di merito che l’opponente ha interesse ad introdurre (cfr. Cass. 3.12.2015, n. 24629)”
una recente ordinanza della Corte di legittimità (Cass. civ. sez. VI-2 12 settembre 2018 n. 22157rel. Scarpa) richiama la disciplina della imputazione delle spese per la sostituzione dell’impianto di ascensore, con alcuni interessanti riferimenti alla valenza del regolamento condominiale sul tema.
Una condomina, proprietaria di un immobile al piano terra, si doleva che la corte d’appello di Roma non avesse tenuto in debito conto che il regolamento di condominio non prevedeva un obbligo di contribuzione dei proprietari dei fondi terranei alle spese di ascensore.
La Corte di Cassazione, con ampia motivazione, rileva che in realtà è la legge (ancor prima dell’espresso dettato letterale dell’art. 1124 cod.civ. novellato) a prevedere tale obbligo, che può essere derogato solo da una disposizione di natura contrattuale o da una delibera unanime, inesistenti nel caso di specie.
“Il costante orientamento interpretativo di questa Corte ha più volte affermato (nella vigenza della disciplina, qui operante, antecedente alla riformulazione dell’art. 1124 c.c. introdotta dalla legge n. 220 del 2012, ove espressamente si contempla l’intervento di sostituzione degli ascensori) che, a differenza dell’installazione “ex novo” di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese vanno suddivise secondo l’art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino), quelle relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente vanno ripartite ai sensi dell’art. 1124 c.c. (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20713, non massimata; Cass. Sez. 2, 25/03/2004, n. 5975; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264).
Stante l’identità di ratio delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale ex art. 1124 c.c. e delle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente, deve dirsi che, al pari delle scale, l’impianto di ascensore, in quanto mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune (tant’è che, dopo la legge n. 220 del 2012, esso è espressamente elencato nell’art. 1117 n. 3, c.c.) anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché pure tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio, con conseguente obbligo gravante anche su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordinaria ed eventualmente di sostituzione dell’ascensore, in rapporto ed in proporzione all’utilità che possono in ipotesi trarne (arg. da Cass. Sez. 2, 20/04/2017, n. 9986; Cass. Sez. 2, 10/07/2007, n. 15444; Cass. Sez. 2, 06/06/1977, n. 2328).
Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello di ripartizione delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori può essere derogato, ma la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione deve essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), o in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).
Deve dirsi in tal senso corretta la decisione della Corte d’Appello di Roma, la quale ha escluso che la condomina B. potesse dirsi esonerata dalla spesa intimatale in sede monitoria, non avendo rinvenuto nel regolamento del Condominio (…) alcuna esplicita disciplina convenzionale che differenziasse tra loro gli obblighi dei partecipanti di concorrere agli oneri di manutenzione e sostituzione degli ascensori, attribuendo gli stessi secondo criteri diversi da quelli scaturenti dall’applicazione degli artt. 1124, 1123, 1117 e 1118 c.c.
È perciò evidente l’errore di prospettiva della ricorrente, la quale si duole nelle sue censure dell’interpretazione delle clausole del regolamento del Condominio (…) prescelta dalla Corte d’Appello, e contesta che non sia in esse ravvisabile il fondamento del suo obbligo di partecipazione alla spesa di sostituzione dell’ascensore, laddove il fondamento di tale obbligo discende, come visto, direttamente dalla legge, e le clausole regolamentari analizzate, secondo la plausibile interpretazione privilegiata dai giudici del merito, non contengono, al contrario, alcuna convenzione espressa che deroghi alla disciplina codicistica.”
La Corte richiama anche il consolidato orientamento che ritiene rilevabile la nullità della delibera nel giudizio di opposizone a decreto ingiuntivo, a differenza della annullabilità, che deve essere fatta valere unicamente entro i termini di cui alll’art . 1137 c.c. e che può avere incidenza nel giudizio di opposizone solo ove il giudice abbia internalmente sospeso l’efficacia del deliberato oppure sia inetrvenuta sentenza di annnullamento.
“È da ribadire in premessa che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione.Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; da ultimo, Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672).
Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137, comma 2, c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938; Cass. Sez. 6 – 2, 24/03/2017, n. 7741).
Questa Corte ha però anche chiarito, con orientamento che va ribadito, come nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti delibere non opera allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità, trattandosi dell’applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda (Cass. Sez. 2, 12/01/2016, n. 305).
Ora, una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., va certamente ritenuta nulla, a differenza di quanto argomenta la Corte d’Appello in motivazione, occorrendo a tal fine una convenzione approvata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233; Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651).
La nullità di una siffatta delibera può, quindi, essere fatta valere anche nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei discendenti contributi condominiali, trattandosi di vizio che inficia la stessa esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa (esistenza che il giudice dell’opposizione deve comunque verificare) e che rimane sottratto al termine perentorio di impugnativa di cui all’art. 1137 c.c..”
Qualora un terzo creditore del condominio, per un servizio prestato nell’interesse comune, ottenga decreto ingiuntivo contro il condominio in persona dell’amministratore, solo quest’ultimo è legittimato a proporre opposizione, mentre tale legittimazione non può essere riconosciuta ai singoli condomini.
E’ quanto stabilisce con ordinanza – in linea con analoghe pronunce di legittimità – Cass.Civ. sez.VI-2 13 giugno 2018 n. 15567 : “va qui osservato che le parti nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo possono essere: da un lato colui che ha ottenuto il decreto ingiuntivo e, dall’altro colui contro il quale tale decreto ingiuntivo è stato ottenuto (Cass. Civ., 16069 del 18.4.2004).
Ora, da questa considerazione, scaturisce in modo chiaro ed inequivocabile il difetto di legittimazione attiva degli opponenti in quanto il decreto ingiuntivo è stato emesso nei confronti del condominio e, pertanto, solo quest’ultimo ente poteva opporsi e non i singoli condomini, come è avvenuto nel caso in esame, che non possono vantare, nel giudizio in questione, alcuna legittimazione attiva
Non può nemmeno trovare applicazione il principio in base al quale, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta rispetto a quella dei suoi partecipanti, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario non priverebbe i singoli condomini di agire per tutelare i diritti connessi alla loro partecipazione, perchè tale principio trova amplia applicazione solo in materia di controversie aventi ad oggetto azioni reali, che possono incidere sul diritto pro-quota che compete a ciascun condomino sulle parti comuni o su quello esclusivo sulla singola unità immobiliare, ma, al contrario, non può trovare applicazione nelle controversie, aventi ad oggetto la gestione di un servizio comune
Pertanto, posto che nel caso in esame, come emerge dal ricorso (pag. 3 dello stesso) e come è stato evidenziato dal controricorrente (pag. 4 del controricorso) il decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio è stato emesso a danno del Condominio di (OMISSIS), solo l’amministratore del Condominio avrebbe potuto impugnare siffatto decreto.
La mancanza di legittimazione attiva dei condomini oggi ricorrenti, rilevabile in ogni stavo e grado del giudizio, comporta l’annullamento dell’opposizione al decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio.
In definitiva, senza entrare nel merito dell’unico motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., perchè il processo non poteva essere iniziato da L.P. e C.G., contro il decreto ingiuntivo n. 1919 del 2005 del Tribunale di Genova.”
E’ principio pacifico in giurisprudenza che l’opponente al decreto ingiuntivo non possa, in quella sede, far valere vizi attinenti alla annullabilità della delibera, che dovranno invece essere dedotti in separato giudizio, tempestivamente introdotto e che non minano l’esistenza e l’efficacia della delibera (salvo che il giudice della impugnazione non disponga in tal senso).
A tale lettura sfuggono invece i vizi da ricondurre ad ipotesi di nullità del deliberato in forza del quale è stato ottenuto il provvedimento monitorio, posto che si tratta di vizio che il giudice può rilevare d’ufficio e che attiene all’esistenza stessa della delibera.
E’ quanto ribadisce, con motivazione cristallina, la recente ordinanza resa da Cass.Civ. sez.VI-2 21 giugno 2018 n. 16389 rel. Scarpa.
“E’ certamente da ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569).
Nello stesso giudizio di opposizione, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione.
Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; da ultimo, Cass. Sez. 2 , 23/02/2017, n. 4672).
Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137, comma 2, c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938; Cass. Sez. 6 – 2, 24/03/2017, n. 7741).
Questa Corte ha però anche chiarito, con orientamento che va ribadito e che depone per la correttezza della decisione del Tribunale diCastrovillari,comenelprocedimentodi opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti deliberenonoperaallorchési trattidiviziimplicantilaloronullità,trattandosi dell’applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda (Cass.Sez.2,12/01/2016,n.305).
La nullità di una deliberazione dell’assemblea condominiale, del resto, comporta che la stessa, a differenza delle ipotesi di annullabilità, non implichi la necessità ditempestiva impugnazioneneltermineditrentagiorniprevistodall’art. 1137 cod.civ.
Una deliberazione nulla, secondo i principigenerali degli organi collegiali, non può, pertanto, finché (o perché) non impugnata nel termine di legge, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti alcondominio,comesiafferma per le deliberazioni soltanto annullabili.
Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica,perciò,ilprincipio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 cod.civ. , secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche d’appello, il potere di rilevarne pure d’ufficio la nullità, ogni qual volta la validità (o l’invalidità) dell’atto collegiale rientri, appunto, tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere(Cass. Sez. 2, 17/06/2015, n. 12582; Cass. Sez. 6 -2, 15/03/2017, n.6652).
Ora, una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali (ovvero con regime “capitario”) degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in derogaai criteri di proporzionalità fissati dall’art. 1123 cod.civ., proprio come avvenuto nella delibera del 16 settembre 2005, va certamente ritenuta nulla, occorrendo semmai a tal fine una convenzione approvata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233; Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651).
La nullità di unasiffattadeliberapuò,quindi,esserefatta valere anche nel procedimento di opposizione adecreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei discendenti contributi condominiali, trattandosi di vizio che inficia la stessa esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa (esistenza che il giudice dell’opposizione deve comunque verificare) e che rimane sottratto al termine perentorio di impugnativa di cui all’art. 1137 cod.civ.
Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente Condominio va condannato a rimborsare al controricorrentelespesedel giudizio di cassazione.”
La corte di legittimità (Cass.Civ. sez. II 21 maggio 2018, n. 12525 rel. Scarpa) torna su un tema tormentato e complesso, che – sotto il profilo dei principi – ha trovato una definitiva consacrazione nelle sezioni unite 18331/2010 e che, tuttavia, continua a manifestare una complessità applicativa che non sempre consente all’amministratore o ai condomini di percepire la correttezza del loro operato.
La Corte – coordinando due pronunce a sezioni unite – esprime un concetto di significativo e pericoloso rilievo per il condominio: il criterio espresso dalle sezioni unite del 2010, ovvero la possibilità che – per le controversie che esulano dalla competenza dell’amministratore e in assenza di delibera – venga assegnato un termine ai sensi dell’art. 182 c.p.c. per munirsi della ratifica assembleare vale anche in sede di legittimità, ma solo ove il rilievo della carenza di legittimazione autonoma sia compiuto dal Giudice, poichè ove sia eccepito dalla controparte la sussistenza del potere rappresentativo processuale dovrà essere immediatamente giustificata dall’amministratore.
Nè si può ritenere, afferma la corte, che l’opposizione a decreto ingiuntivo rientri di per sé nei poteri dell’amministratore, poichè anche tali controversie vedranno una legittimazione autonoma di tale figura ratione materiae, ovvero secondo le attribuzioni previste dall’art 1130 c.c.
I fatti: “Il Condominio (omissis) ha proposto ricorso in cassazione articolato in sette motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 2921/2013, depositata il 21 maggio 2013. Resiste con controricorso R.S. , il quale propone ricorso incidentale in unico motivo, dal quale a sua volta si difende con controricorso il Condominio (omissis) . La Corte d’Appello accolse il gravame di R.S. contro la sentenza del Tribunale di Rieti n.576/2005 e rigettò perciò l’opposizione proposta dal Condominio (omissis) contro il decreto ingiuntivo per la somma di Euro 11.298,33, emesso il 25 febbraio 2002 su domanda del R. , ex amministratore condominiale, a titolo di compenso aggiuntivo per la cura dei lavori straordinari. La Corte di Roma superò l’eccezione del difetto di legittimazione del Condominio a proporre l’opposizione a decreto ingiuntivo, stanti i tempi ristretti per proporre la stessa. Quanto però al merito, i giudici di appello ritennero che dal verbale di assemblea del 14 marzo 1999 emergessero un riconoscimento del debito del Condominio in favore del R. di Lire 22.000.000, nonché una riduzione transattiva dell’importo del 50%, quale “gesto di collaboratrice sensibilità” dell’ex amministratore, con l’impegno del Condominio stesso di accreditare la somma nelle future quote “a copertura” del debito viceversa gravante sul R. . Questo accordo transattivo contenuto nel verbale del 14 marzo 1999 non poteva perciò essere modificato dall’assemblea nell’adunanza del 1 maggio 1999, che invece deliberò una riduzione della somma da accordare al R. , liquidata in Lire 8.000.000. Avendo poi il Condominio (omissis) azionato decreto ingiuntivo contro il R. , questo, a dire della Corte di Roma, ritenne “correttamente annullato l’accordo transattivo”, e perciò richiese a sua volta in via monitoria l’intera somma oggetto di riconoscimento nel verbale 14 marzo 1999.”
Le parti hanno articolato diversi motivi di censura in sede di legittimità, tuttavia: “Il Collegio antepone tuttavia una valutazione di tipo pregiudiziale.
Secondo l’insegnamento reso da Cass. Sez. U, 06/08/2010, n. 18331, l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni, ed essendo però tenuto a dare senza indugio notizia all’assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131, commi 2 e 3, c.c., può costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.
Nel ricostruire la portata dell’art. 1131, comma 2, c.c., Cass., sez. un., 6 agosto 2010, n. 18331, ha invero affermato che, ferma la possibilità dell’immediata costituzione in giudizio dell’amministratore convenuto, ovvero della tempestiva impugnazione dell’amministratore soccombente (e ciò nel quadro generale di tutela urgente di quell’interesse comune che è alla base della sua qualifica e della legittimazione passiva di cui è investito), non di meno l’operato dell’amministratore deve poi essere sempre ratificato dall’assemblea, in quanto unica titolare del relativo potere. La ratifica assembleare vale a sanare retroattivamente la costituzione processuale dell’amministratore sprovvisto di autorizzazione dell’assemblea, e perciò vanifica ogni avversa eccezione di inammissibilità, ovvero ottempera al rilievo ufficioso del giudice che abbia all’uopo assegnato il termine ex art. 182 c.p.c. per regolarizzare il difetto di rappresentanza.
La regolarizzazione ai sensi dell’art. 182 c.p.c., in favore dell’amministratore privo della preventiva autorizzazione assembleare, come della ratifica, può operare in qualsiasi fase e grado del giudizio, con effetti “ex tunc” (Cass. Sez. 6 – 2, 16/11/2017, n. 27236).
Peraltro, come di seguito ribadito da Cass. Sez. 2, 23 gennaio 2014, n. 1451, e da Cass. Sez. 2, 25/05/2016, n. 10865, la necessità dell’autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell’amministratore va riferita soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1131, commi 2 e 3, c.c.
Non può dunque sostenersi, come fatto dalla Corte d’Appello di Roma sul presupposto dell’urgenza dell’opposizione, che, poiché l’opponente a decreto ingiuntivo ha la posizione processuale di convenuto e così di legittimato passivo rispetto alla pretesa azionata con il ricorso monitorio, e tale posizione non muta nei successivi gradi del giudizio, indipendentemente dall’iniziativa dei mezzi di gravame adoperati, l’amministratore di un condominio che proceda a siffatta opposizione, nonché alla successiva impugnazione della pronuncia che l’abbia decisa, non ha, per ciò solo, necessità dell’autorizzazione dell’assemblea condominiale, a termini del secondo comma dell’art. 1131 c.c.
Piuttosto, l’amministratore di condominio può proporre opposizione a decreto ingiuntivo, e altresì impugnare la relativa decisione del giudice di primo grado, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, ad esempio, nella controversia avente ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di obbligazione assunta dal medesimo amministratore nell’esercizio delle sue attribuzioni in rappresentanza dei partecipanti, ovvero dando esecuzione a deliberazione dell’assemblea o erogando le spese occorrenti per la manutenzione delle parti comuni o per l’esercizio dei servizi condominiali, e quindi nei limiti di cui all’art. 1130 c.c. (così Cass. Sez. 2, 03/08/2016, n. 16260).
Diversa è la causa, quale quella in esame, in cui il precedente amministratore, cessato dall’incarico, agisca in sede monitoria nei confronti del nuovo amministratore del condominio per ottenerne la condanna al pagamento del compenso suppletivo inerente all’attività svolta con riguardo all’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio. Si tratta di controversia non rientrante tra quelle per le quali l’amministratore è autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell’art. 1130 e 1131 c.c., sicché, ai fini della sua costituzione in giudizio come della proposizione delle impugnazioni, gli occorre l’autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato (cfr. per analoga fattispecie Cass. Sez. 2, 31/01/2011, n. 2179).
Il Collegio ritiene tuttavia, per ciò che segue, di discostarsi da quanto disposto nell’ordinanza interlocutoria del 27 settembre 2017, e così di revocare la stessa, ai sensi dell’art. 177 c.p.c., norma applicabile anche al giudizio di cassazione (cfr. Cass. Sez. 2, 11/02/2011, n. 3409; Cass. Sez. L, 26/03/1999, n. 2911; Cass. Sez. U, 25/03/1988, n. 251).
Secondo quanto stabilito da Cass. Sez. U, 04/03/2016, n. 4248, il difetto di rappresentanza o autorizzazione può essere sanato ex art. 182 c.p.c. (come nella specie) in sede di legittimità, dando prova della sussistenza del potere rappresentativo o del rilascio dell’autorizzazione, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., sempre che il rilievo del vizio nel giudizio di cassazione sia officioso, e non provenga dalla controparte, come invece appunto qui fatto dal controricorrente R.S. , giacché, in tal caso, l’onere di sanatoria sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine da parte del giudice (a meno che lo stesso non sia motivatamente richiesto, il che neppure risulta avvenuto, nella specie), in quanto sul rilievo di parte l’avversario è chiamato prima ancora a contraddire (si veda già Cass. Sez. 2, 31/01/2011, n. 2179).
IV. Deve perciò essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’amministratore del Condominio (omissis) senza l’autorizzazione assembleare, trattandosi di controversia riguardante un credito per compenso straordinario preteso dal precedente amministratore cessato dall’incarico, e perciò non rientrante tra quelle per le quali l’amministratore è autonomamente legittimato ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c.; né può essere concesso il termine per la regolarizzazione ai sensi dell’art. 182 c.p.c., atteso che il rilievo del vizio in sede di legittimità è stato operato dalla controparte nel suo controricorso, e non d’ufficio, sicché l’onere di sanatoria dell’amministratore ricorrente doveva intendersi sorto immediatamente.
Il ricorso incidentale di R.S. , giacché proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, e relativo a questioni preliminari di merito e pregiudiziali di rito (quale, nella specie, il difetto di legittimazione processuale del condominio e la carenza dei poteri rappresentativi del nuovo amministratore), oggetto di decisione esplicita da parte della Corte d’Appello, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte. Ne consegue che, attesa l’inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale rimane assorbito per difetto di attualità dell’interesse. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza (con condanna del Condominio (omissis) , e non dell’amministratore personalmente, ex art. 94 c.p.c., avendo comunque l’assemblea, sia pure tardivamente agli effetti dell’ammissibilità del ricorso, ratificato l’operato dell’amministratore stesso) e vengono liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente R.S. .”
Il consuntivo condominiale, laddove in sede di ripartizione determina le somme dovute da ciascuno condomino, reca usualmente anche i saldi delle gestioni precedenti che Fano capo a ciascun partecipante.
Tale voce, in assenza di espresso riconoscimento dell’interessato, non costituisce elemento che il condominio può usare a proprio favore come le altre ordinarie portate dal consuntivo, che invece costituiscono dato probatorio idoneo ad ottenere decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 63 disp.att. cod.civ.
E’ prinpcio affermato di recente da Cass.Civ. sez II. ord. 22-02-2018, n. 4306 che ha confermato una decisione della Corte di appello di Genova
la vicenda processuale: ” La Corte distrettuale, con la decisione oggi gravata innanzi a questa Corte, in parziale riforma della sentenza inter partes in data 23 ottobre 2008 del Tribunale di Genova ed in parziale accoglimento dell’appello del Condominio stesso, condannava il P. al pagamento in favore del medesimo Condominio della somma di Euro 19.865,10.
In precedenza – va specificato, per completezza – il Tribunale del capoluogo ligure, a seguito di opposizione del P.G., aveva revocato il D.I. del 30 novembre 2004, con cui – su ricorso del Condominio – era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 23.812,07 a titolo di dovute spese condominiali arretrate.
In particolare va evidenziato che il Tribunale di prima istanza aveva accolto l’opposizione a D.I. per difetto della delibera di spesa (riapprovazione di consuntivo e non delibera ad hoc) nel mentre la Corte di Appello genovese – per effetto di nuova documentazione prodotta dal Condominio – aveva condannato, in parte, il condomino moroso.”
il principio di diritto: “Il motivo ripropone innanzi a questa Corte la problematica della questione della “rideliberazione delle spese”, in particolare con riguardo ai residui passivi, in relazione ai quali un tal genere di “rideliberazione” non sarebbe idonea a costituire prova del credito.
Viceversa il Condominio de quo contesta la soluzione di inidoneità della Corte distrettuale ritenendo che, ai sensi delle norme invocate col motivo qui in esame, vi sia comunque attribuzione di valore prescrittivo al consuntivo approvato dall’assemblea condominiale senza distinzione alcuna fra debiti dell’anno di esercizio in corso e debiti pregressi.
La questione è, nella sostanza, quella del valore probatorio attribuibile al riconoscimento, in sede di approvazione di bilancio condominiale, di debiti pregressi dei condomini: tale specifico riconoscimento è – in assenza di partecipazione e di idoneo atto ricognitivo del singolo condomino – riconoscimento/accertamento effettuato dal creditore condominio in proprio favore, quindi, come tale non utilizzabile a proprio favore dal condominio stesso.
Nella concreta fattispecie in esame, mancando ogni opportuna allegazione circa la partecipazione del P. all’assemblea di riapprovazione del bilancio con indicazione dei debito pregressi, deve ritenersi non sussistente la necessaria partecipazione ed il riconoscimento da parte del singolo condominio dei medesimi debiti.”
Non servirà osservare che il problema non si pone ove quei saldi risultino da somme ritualmente approvato negli esercizi precedenti, con l’avviso che tuttavia saranno quelle delibere a costituire prova e non quelle che procedono, successivamente, alla riapprovazione dei saldi di esercizio, di talchè – in sede di richiesta monitoria – sarà opportuno produrre tutte le delibere che si riferiscono agli esercizi in cui sono state approvate le somme richieste e ancora dovute dal condomino. .