E’ di certo un principio pacifico che il condomino sia tenuto al pagamento delle quote alla scadenza, che si tratti di c.d. mora ex re e che sia facoltà dell’amministratore agire anche ex art. 63 disp.att. cod.civ. per ottenere decreto ingiuntivo semplicemente al verificarsi dell’inadempimento (la riforma del 2012 ha poi introdotto l’obbligo dell’amministratore di attivarsi per la riscossione delle quote entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio) .
Eppure presso diversi uffici del giudice di pace accade che alla richiesta di decreto ingiuntivo si pretenda la produzione del preventivo sollecito o che il condomino ingiunto si dolga di non essere stato preventivamente avvisato.
La cassazione (Cass.civ. sez. II ord. 14 settembre 2017 n. 21313) ha ribadito che l’amministratore può agire direttamente alla scadenza delle quote dinanzi al giudice, senza necessità di alcun preventivo sollecito:
La sentenza contiene altre diverse interessanti statuizioni, poiché il litigioso condomino opponente ha avanzato una serie di censure decisamente fantasiose.
Il Giudice di legittimità sottolinea ancora un volta che le norme in tema di legittimazione processuale dell’amministratore prevedono autonomia dell’amministratore per le materie previste dall’art. 1130 cod.civ., atteso che il sistema non deve essere improntato ad un iperassemblearismo che condizioni ogni azione
La Corte, ancora una volta, delinea con precisione l’ambito applicativo della nota decisione delle Sezioni Unite del 2010
Curioso infine che l’opponente si dolga della illegittimità del decreto in quanto emesso dal Presidente del Tribunale, censura decisamente respinta dalla Cassazione che rileva che tale organo ben può provvedere – in quanto componente del Tribunale – assegnando il fascicolo a se stesso quale giudice monocratico.
La sentenza sottolinea infine l’inopponibilità al condominio dell’eventuale accordo di rateizzazione raggiunto con l’amministratore (punto su cui il giudice di merito non aveva ammesso la prova testimoniale).
La Cassazione conferma un orientamento consolidato ed espresso dalle Sezioni Unite con la nota pronuncia 18331/2010.
Un avvocato che aveva assistito il Condominio promuove decreto ingiuntivo per le propri competenze, l’amministratore – senza alcuna delibera sottostante – propone opposizione a detto decreto e l’avvocato eccepisce il difetto di jus postulanti dell’amministratore per non essere stato autorizzato dalla assemblea.
Cass.civ. sez. II 1 agosto 2017 n. 19151 chiarisce che “Secondo il più recente indirizzo di questa Corte, inaugurato dalla pronuncia delle Ss.UU. 18331/2010, non può ritenersi che l’amministratore del condominio sia titolare di una legittimazione processuale illimitata: l’amministratore può, in via generale, costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma in tale ipotesi, onde evitare una pronuncia di inammissibilità, deve ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte della assemblea stessa.
Si è peraltro precisato che giusto il disposto dell’articolo 1131 commi 2 e 3 cod.civ., autorizzazione e ratifica sono necessarie nelle sole cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore (cass. 1451/2014), mentre esse non sono necessarie per quelle controversie che hanno ad oggetto parti o servizi condominiali e comunque riconducibili alle attribuzioni di cui all’articolo 1130 c.c. (Cass. 10865/2016).
Da ciò consegue che l’amministratore può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ed altresì impugnare la decisione di primo grado, senza necessità di autorizzazione alla ratifica dell’assemblea, nella controversia avente ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento dell’obbligazione assunta dall’amministratore, nell’esercizio delle sue funzioni, in rappresentanza dei partecipanti al condominio, ovvero dando esecuzione a delibere dell’assemblea per l’esercizio dei servizi condominiali, e dunque limiti di cui all’articolo 1130 c.c. (Cass. 16260/2016).
Orbene, nel caso di specie, il credito fatto valere in giudizio si riferiva a prestazioni professionali per l’assistenza legale svolta nell’interesse del condominio, come risulta dallo stesso contenuto del ricorso, in cui gli avvocati ingiungenti hanno evidenziato che l’attività da essi posta in essere è consistita nell’aver curato per conto del condominio diverse procedure giudiziarie.
La causa in oggetto, trovando il suo fondamento nella gestione di servizi comuni e dell’erogazione delle spese relative a tale gestione (art. 1130 commi 2 e 3), si riferisce certamente ad obbligazioni assunte per l’esercizio di servizi condominiali e dunque nei limiti di cui all’articolo 1130 c.c., onde non era necessaria l’autorizzazione, nella successiva ratifica da parte dell’assemblea condominiale.”
Il decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo, non opposto, la cui esecutorietà sia stata richiesta dopo la dichiarazione di fallimento non è opponibile alla procedura concorsuale.
Lo ha stabilito Cass. civ. sez. VI-1 26/04/2017 n.10208 “in assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.
Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. cod. proc. civ. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo.
Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 cod proc civ venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito, deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 legge fallimentare”
La mancata approvazione dello stato di ripartizione non attiene né alla sussistenza del credito né alla possibilità di ottenere decreto ingiuntivo, ma condiziona unicamente la concessione della provvisoria esecutorietà ex art. 63 disp.att. cod.civ.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. II Civile, 28 aprile 2017, n. 10621.
“Per il disposto degli artt. 1130 e 1131 cod. civ., l’amministratore del condominio ha la legittimazione ad agire in giudizio nei confronti del condomino moroso per la riscossione dei contributi, senza necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea, mentre l’esistenza o meno di uno stato di ripartizione delle spese approvato dall’assemblea rileva soltanto in ordine alla fondatezza della domanda, con riferimento all’onere probatorio a suo carico (Cass. 2452/1994; 14665/1999). Ed invero, l’obbligo del condomino di pagare al condominio, per la sua quota, le spese per la manutenzione e l’esercizio dei servizi comuni dell’edificio deriva dalla gestione stessa e quindi preesiste all’approvazione da parte dell’assemblea dello stato di ripartizione, che non ha valore costitutivo, ma solo dichiarativo del relativo credito del condominio.
Il verbale di assemblea condominiale, contenente l’indicazione delle spese occorrenti per la conservazione o l’uso delle parti comuni, ovvero, come nel caso di specie, la delibera di approvazione del “preventivo” di spese straordinarie, costituisce dunque prova scritta idonea per ottenere decreto ingiuntivo pur in mancanza dello stato di ripartizione delle medesime, necessario al solo fine di ottenere la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento ai sensi dell’art. 63 disp. Att.c.c.(Cass. 15017/2000).
Deve dunque escludersi che la delibera di approvazione assembleare del piano di ripartizione costituisca un presupposto processuale o una condizione dell’azione, posto che la legittimazione ad agire dell’amministratore per il pagamento della quota condominiale trova fondamento direttamente nelle disposizioni di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c..
A seguito dell’opposizione al decreto dunque, si dà luogo ad un giudizio di cognizione ordinaria, con onere, in assenza della delibera di approvazione del piano di riparto, per l’amministratore di provare gli elementi costitutivi del credito nei confronti del condomino anche avuto riguardo ai criteri di ripartizione delle spese relative alle parti comuni dell’edificio e facoltà di quest’ultimo di contestare sussistenza ed ammontare del credito medesimo azionato nei suoi confronti.”
Una recente pronuncia della Suprema Corte torna su un tema discusso in dottrina e giurisprudenza, ovvero la natura soggettiva del Condominio, sostenendo l’obbligo di notificare al condomino, nei cui confronti si voglia procedere in via esecutiva, il decreto ingiuntivo ottenuto nei conforti del Condominio.
Il contenuto di Cassazione civile, sez. VI, 29/03/2017 n. 8150 risulta tuttavia di deciso interesse anche e soprattutto per le riflessioni in ordine alla natura giuridica del Condominio, dalla quale la Corte trae il condivisibile principio affermato.
Appare davvero peculiare il percorso giurisprudenziale che da una trentina d’anni conduce la giurisprudenza a riconoscere al Condominio caratteristiche ibride di soggetto collettivo imperfetto, spesso indicato quale ente di gestione (definizione oggetto di approfondita critica dalla nota Cass. SS.UU. 9148/2008, che effettuò una ricostruzione sistematica accuratissima della natura del Condominio, per pervenire alla tesi della parziarietà della obbligazione condominiale) o comunque quale soggetto collettivo imperfetto, una sorta di chimera giuridica dai contorni incerti e dalla natura mai definita dal legislatore che – anche con la riforma del 2012 – ha seminato tracce di soggettività autonoma in diverse norme (art. 1129 e 1130 bis cod.civ.), senza tuttavia pervenire ad una precisa ed univoca individuazione del fenomeno condominiale.
La vicenda trae origine dalla impugnazione di una sentenza del Tribunale di Roma, resa in giudizio di opposizione a precetto: “La sentenza impugnata si è consapevolmente discostata dai principi di diritto già affermati da questa Corte, con sentenza n. 1289 del 2012 e con ordinanza n. 23693/2011, non massimate, ai quali si ritiene invece debba essere data continuità. Denunciando violazione dell’art. 479 c.p.c., e art. 654 c.p.c., comma 2, nonchè vizi di motivazione, la ricorrente afferma che – qualora si voglia agire esecutivamente nei confronti di un singolo condomino in forza di decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del Condominio occorre che il titolo esecutivo sia notificato al condomino esecutato, essendo il principio di cui all’art. 654 cit.,secondo comma, secondo il quale ai fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto ingiuntivo, applicabile solo nei confronti dell’ingiunto.”
L’art. 654 c.p.c. prevede che “L’esecutorietà non disposta con la sentenza o con l’ordinanza di cui all’articolo precedente è conferita con decreto del giudice che ha pronunciato l’ingiunzione scritto in calce all’originale del decreto di ingiunzione. Ai fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto esecutivo; ma nel precetto deve farsi menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula”
Si tratta di norma che riguarda il decreto non provvisoriamente esecutivo (quindi fattispecie diversa dal decreto ottenuto per le quote condominiali, che è esecutivo ex lege in forza dell’art. 63 disp.att. cod.civ. ): in tal caso il legislatore prevede che, decorso il termine di quaranta giorni senza che sia stata proposta opposizione, il decreto diviene definitivo e il creditore può ottenere formula esecutiva, potrà poi procedere alla notifica del precetto e alla successiva esecuzione senza necessità di notificare nuovamente il titolo.
La Corte correttamente osserva che tale principio può valere solo ove vi sia identità fra soggetto ingiunto e destinatario della esecuzione, ritornando – per il vero in maniera decisamente apodittica – sulla natura della condominio: un soggetto ibrido, autonomo rispetto ai condomini ma dalla soggettività imperfetta; il condomino diviene poi un soggetto diverso dall’ingiunto Condominio, seppur responsabile dei debiti di lui.
La distanza concettuale dalle sezioni unite del 2008 appare geologica, laddove allora la Corte affermava: “le ragguardevoli diversità della struttura dimostrano la inconsistenza del ripetuto e acritico riferimento dell’ente di gestione al condominio negli edifici. Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti…rilevato, infine, che – in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità – l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote”
Nella pronuncia odierna la Corte utilizza definizioni che sottendono istituti ben diversi: “Il Condominio è soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorchè si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l’art. 654, comma 2, è da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato.
Qualora il creditore intenda far valere la responsabilità patrimoniale di un soggetto diverso dall’ingiunto – pur se in ipotesi responsabile dei debiti di lui – a cui il titolo esecutivo non sia stato mai notificato, la norma dell’art. 654, comma 2, è da ritenere inapplicabile, dovendosi sempre riconoscere al soggetto passivo dell’esecuzione il diritto di avere notizia e piena cognizione della natura del titolo in forza del quale si procede nei suoi confronti. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto che l’amministratore abbia la rappresentanza dei singoli condomini ed, in quanto tale, sia legittimato a ricevere la notificazione di atti con effetti immediatamente riconducibili ai condomini.
In caso di titolo esecutivo giudiziale, formatosi nei confronti dell’ente di gestione condominiale in persona dell’amministratore e azionato nei confronti del singolo condomino quale obbligato pro quota, la notifica del precetto al singolo condomino, ex art. 479 c.p.c., non può prescindere dalla notificazione, preventiva o contestuale, del titolo emesso nei confronti dell’ente di gestione.
Se infatti una nuova notificazione del titolo esecutivo non occorre per il destinatario diretto del decreto monitorio nell’ipotesi di cui all’art. 654 c.p.c., comma 2, detta notificazione, invece, è necessaria qualora si intenda agire contro il singolo condomino, non indicato nell’ingiunzione ma responsabile pro quota della obbligazione a carico del condominio. Costui, invero, deve essere messo in grado non solo di conoscere qual è il titolo ex art. 474 c.p.c., in base al quale viene minacciata in suo danno l’esecuzione, ma anche di adempiere l’obbligazione da esso risultante entro il termine previsto dall’art. 480 c.p.c.”
Risulta a tal proposito interessante anche l’esame delle due sentenze oggi richiamate dalla Corte e relative allo stesso problema: se sotto il profilo processuale è condivisibile la tesi che il condomino non possa vedersi esecutato in forza di un titolo che è stato notificato ad altri e che potrebbe non conoscere, non può rilevarsi che la Corte – in tutte tre le occasioni – lascia impregiudicata sia la questione della natura giuridica del Condominio e della sua soggettività, sia le facoltà riconosciute al singolo verso quel titolo al momento della notificazione.
Cass. 1289/2012 osservava che “Posto che nel caso in esame l’opponente non pone in questa sede la questione se il titolo esecutivo giudiziale, intervenuto nei confronti dell’ente di gestione condominiale in persona dell’amministratore prò tempore, possa essere validamente azionato nei confronti del singolo condomino quale obbligato solidale (questione che, secondo Cass. Sez. Un., n. 9148/2008, è ormai definitivamente risolta nel senso che, esclusa la solidarietà, la responsabilità del condomino è solo parziale in proporzione alla sua quota, anche nel rapporti esterni), osserva, tuttavia, questa Corte che, anche sotto l’erroneo presupposto che il titolo esecutivo ottenuto contro il condominio possa essere fatto valere in executivìs contro il singolo condomino quale preteso obbligato in solido, il precetto, intimato a tal fine allo stesso condomino, non avrebbe comunque potuto prescindere dalla notificazione, preventiva o contestuale, del decreto ingiuntivo emesso nei confronti dell’ente di gestione, ancorchè detta ingiunzione fosse risultata del tipo ex art. 654 c.p.c., comma 2. E’ di tutta evidenza, infatti, che, se una nuova notificazione del titolo esecutivo non occorre per il destinatario diretto del decreto monitorio nell’ipotesi di cui all’art. 654 c.p.c., comma 2, detta notificazione, invece, è necessaria qualora si intenda agire contro soggetto, non indicato nell’ingiunzione, per la pretesa sua qualità di obbligato solidale. Costui, invero, deve essere messo in grado non solo di conoscere qual è il titolo ex art. 474 c.p.c., in base al quale viene minacciata in suo danno l’esecuzione, ma anche di adempiere l’obbligazione da esso risultante entro il termine previsto dall’art. 480 c.p.c.”
Cass. 23693/2011 appare invece del tutto coincidente con l’attuale pronuncia: “Il Condominio e’ soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorche’ si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l’art. 654, comma 2, e’ da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato. Qualora il creditore intenda far valere la responsabilita’ patrimoniale di un soggetto diverso dall’ingiunto – pur se in ipotesi responsabile dei debiti di lui – a cui il titolo esecutivo non sia stato mai notificato, la norma dell’art. 654, comma 2, e’ da ritenere inapplicabile, dovendosi sempre riconoscere al soggetto passivo dell’esecuzione il diritto di avere notizia e piena cognizione della natura del titolo in forza del quale si procede nei suoi confronti. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto che l’amministratore abbia la rappresentanza dei singoli condomini ed, in quanto tale, sia legittimato a ricevere la notificazione di atti con effetti immediatamente riconducibili ai condomini. L’amministratore ha la rappresentanza del Condominio, non dei singoli condomini e, si ripete, si tratta di soggetti – ovverosia di centri di imputazione di rapporti giuridici – autonomi e diversi l’uno rispetto all’altro; pur se, agli effetti della responsabilita’ patrimoniale, i condomini possono essere chiamati a rispondere dei debiti del Condominio (entro i limiti delle rispettive quote: infra,par. 5).”
L’effettiva natura del Condomino resta irrisolta, mentre appare il presupposto logico e sistematico per dare definitiva soluzione a numerosissime questioni sostanziali e processuali.
La tesi del soggetto giuridico imperfetto appare invece un ibrido di cui non si sentiva la necessità, poiché lascia di volta in volta aperta all’interpretazione del giudice, investito delle singole questioni di merito, la qualificazione soggettiva del fenomeno condominiale.
Non vi è dubbio, tuttavia, che le pronunce segnalate possano costituire le tappe intermedie di un percorso interpretativo che conduca nel breve periodo ad una più completa definizione sistematica della materia (cui ben avrebbe potuto e dovuto attendere il legislatore del 2012).
La afferma il Tribunale di Pavia che, con ordinanza 9 marzo 2017, ha stabilito – dissentendo dall’orientamento della cassazione – che, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo in cui sia stata negata la provvisoria esecutorietà, il giudice può disporre la mediazione stabilendo che sia l’opposto a dover dare formale inizio al procedimento e che – ove ciò non avvenga – verrà dichiarata l’improcedibilità della opposizione e revocato il decreto.
Con lo stesso provvedimento il Tribunale lombardo ha anche ordinato che al procedimento di mediazione partecipi un terzo che non è parte del processo, ma dalla cui posizione può dipendere l’esito positivo della mediazione e che il mediatore debba verbalizzare al primo incontro le ragioni che impediscono la prosecuzione della mediazione.
“Considerato che la mediazione è una procedura informale che consente, con l’accordo delle parti, di chiamare in mediazione anche soggetti diversi da quelli coinvolti nel giudizio, specie se con la loro partecipazione a quella procedura essi possono oggettivamente aiutare le parti processuali nella ricerca di una soluzione amichevole della causa in corso e, nel contempo, prevenire la formazione di ulteriore contenzioso giudiziario, rispetto al quale la definizione giudiziale della presente opposizione sarebbe l’antecedente logico;
Valutato preliminarmente che la parte onerata dell’avvio della procedura di mediazione, come stabilito da Cass. 24629/15, sarebbe normalmente l’opponente e che il mancato avvio della mediazione determinerebbe la sanzione della conferma del decreto, ex art. 653, co. 1, cpc;
Ritenuto tuttavia che, da un lato, con ordinanza del 17.09.2015 non era concessa la provvisoria esecuzione del decreto di consegna della documentazione fideiussoria, emesso in sede monitoria e, dall’altro, che residua al magistrato la discrezionalità, da applicare nel caso di specie, di ritenere più opportuno porre l’onere dell’avvio in capo al convenuto opposto, dissentendo motivatamente da quanto stabilito dalla citata Cass 24629/15, che non aveva mai preso in considerazione la pur rilevante distinzione tra decreti ingiuntivi ai quali è concessa la provvisoria esecuzione (che da una prima valutazione possono apparire fondati) e decreti ai quali tale provvisoria esecuzione è stata negata (che da una prima valutazione possono invece apparire infondati), come appunto verificatosi nella specie;
Ritenuto infine che per imprescindibili motivi di organizzazione del ruolo, l’udienza di precisazione conclusioni, già programmata per il 9.03.2017 deve necessariamente essere rinviata al 2018;
Ciò premesso, visto l’art. 5, co. 2, D.Lgs. 28/2010, dispone Che le parti partecipino a una procedura di mediazione, invitando la parte più diligente ad avviare la procedura ma ponendo l’onere formale dell’avvio in capo al convenuto opposto, avvisandolo che in difetto la sua domanda di merito sarà dichiarata improcedibile e il decreto sarà revocato;
Viste le particolarità del presente giudizio, si invita la parte che avvia la procedura di mediazione a convocare avanti al mediatore sia la controparte processuale che il terzo, debitore principale, dal quale dipende, secondo le prospettazioni della banca opponente, l’impossibilità giuridica di produrre la documentazione chiesta dall’opposto con l’ingiunzione di pagamento;
Ritenuto che il regolare ed effettivo svolgimento della mediazione sarà condizione di procedibilità del giudizio, si avvisa che non sarà considerata soddisfatta la condizione con un mero incontro preliminare tra i difensori delle parti e il mediatore, essendo all’uopo necessaria la personale presenza delle parti o di loro procuratori ad negotia, muniti del potere di concludere l’accordo;
Si invitano le parti, ove una di esse dichiarasse la propria impossibilità di partecipare o di proseguire nella mediazione oltre il primo incontro, e ove in tale eventualità non fosse disposto un rinvio per consentirle di partecipare, a chiedere che il mediatore verbalizzi quali ostacoli oggettivi impediscono la partecipazione al primo incontro o si frappongono alla prosecuzione della mediazione oltre il primo incontro. Tale verbalizzazione non sarà considerata in violazione della riservatezza, riportando elementi valutabili ai fini delle decisione, ex art. 116, co. 2, cpc.”
E’ fatto arcinoto che l’amministratore può ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti dei condomini morosi.
Altrettanto pacifico che tale iniziativa giudiziale rientri fra i poteri autonomi dell’amministratore (sino al 2013 lo affermava pacificamente la giurisprudenza, oggi è scritto nel novellato art. 63 disp.att. cod.civ. ) e che lo stesso sia provvisoriamente esecutivo al fine di consentire una rapida ed efficiente gestione della vita patrimoniale del condominio.
LA norma richiede unicamente, per la concessione del provvedimento monitorio, la sussistenza di una ripartizione approvata: ” Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione”
In tal senso vi è costante giurisprudenza, così come le pronunce più recenti escludono la possibilità di sindacare in sede di opposizione vizi della delibera che rientrano nella previsione di cui all’art. 1137 cod.civ., che devono essere fatti valere in separato giudizio ed entro il termine di decadenza previsto dalla stessa norma: “Il titolo per agire ex art. 63 disp. Att. c.c., è costituito dalla delibera che integra, da sola, idonea prova del credito anche nella fase dell’opposizione; in ogni caso, il merito delle delibere emesse dall’assemblea di un condominio non è sindacabile in sede di opposizione ex art. 645 c.p.c. in quanto il legislatore prevede uno specifico e tipico mezzo per l’impugnazione dei vizi dell’atto della volontà dell’assemblea e dei fatti nello stesso rappresentati e che pertanto le questioni accertate o i fatti anteriori alla delibera non possono essere introdotti se non nella sede espressamente prevista dal legislatore”. Tribunale Roma, sez. V, 09/01/2015, n. 378, Cass. 17206/05 e Cass. SSUU 4421/07.
Poiché l’assemblea approva lo stato di ripartizione e le relative scadenze, si tratta di un tipico caso di mora ex re, in cui il debitore non deve necessariamente essere costituito in mora trovandosi in posizione inadempiente al semplice maturare del termine (Cass., 25 febbraio 2014, n. 4489), né la norma fa menzione di ulteriori condizioni per la concessione del decreto oltre allo stato di ripartizione e alla relativa delibera di approvazione.
Il preventivo sollecito non potrà essere condizione per la richiesta del decreto ingiuntivo neanche sia obbligatoriamente previsto dal regolamento contrattuale: “La mancata preventiva messa in mora del condomino inadempiente, in violazione di norma regolamentare che preveda come obbligatoria la formale contestazione della morosità, non preclude all’amministratore condominiale di agire in via monitoria, potendo – al più – la violazione di tale regola di condotta far discendere in capo all’amministratore medesimo una responsabilità da inesatto adempimento del mandato” Cassazione civile, sez. II, 16/04/2013, n. 9181
Ebbene, accade con frequenza che i Giudici di Pace ignorino o – peggio – leggano in maniera creativa l’art. 63 disp.att. cod.civ. e omettano di concedere la provvisoria esecutorietà (fatto frequentissimo, ad esempio, presso gli uffici di Roma) oppure pretendano la produzione del sollecito.
Se ciò rappresenta un piccolo e facilmente “sanabile” abuso in corso di procedimento (Giudice di Pace La Spezia 4.4.2016), diventa davvero inquietante quando tali peculiarità interpretative conducono a sentenze che destano più di una perplessità (Giudice di Pace Taranto 1.3.2016).
La pronuncia del Giudice pugliese accoglie l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo proposta dal comproprietario di un immobile, sull’assunto che sia onere dell’amministratore effettuare un preventivo sollecito di pagamento, in assenza del quale il decreto deve ritenersi nullo.
Sono diverse le affermazioni “forti” contenute nella pronuncia tarantina.
“di fondamentale importanza il decreto ingiuntivo non era stato preceduto da alcuna intimazione e messa in mora; in data 15.10.2014, infatti, il dott. S. riceveva unicamente copia del verbale relativo all’assemblea del 06.10.2014 di approvazione del rendiconto 22.07.2013 – 31.08.2014 nonché copia dello stesso rendiconto senza che, con la relativa lettera di accompagnamento o separato atto di diffida stragiudiziale, gli venisse intimato alcunché;”
“si consideri, infine, che il dott. S. è comproprietario, insieme ad altri eredi, dell’unità (immobiliare sita nel Condominio di via (…) sicché ancora più evidente è l’avventatezza dell’azione giudiziale senza prima accertamento dell’interessamento degli altri partecipanti al pagamento delle quote richieste.”
“A tal riguardo, il Condominio opposto non ha provato di aver eseguito la messa in mora nei confronti di tutti gli aventi diritti e comproprietari dell’unità immobiliare e poi la successiva richiesta del decreto ingiuntivo e successiva notifica del precetto ad uno solo degli intestatari dell’unità immobiliare interessata, se ne ricorrono le condizioni, atteso che tutte le spese (compresa la corrispondenza) vanno a carico del condomino inadempiente o moroso. Dette circostanze non possono essere provate tramite testi, in quanto devono essere private solo documentalmente”.
Con buona pace dell’art. 63 disp.att. cod.civ., della solidarietà fra comproprietari di una stessa unità (Cassazione civile, sez. II, 21/10/2011, n. 21907), della mora ex re e anche della Conservatoria RR.II. (la lettura della sentenza farà comprendere le ragioni di tale ultima notazione).
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 dicembre 2015 – 27 gennaio 2016, n. 1548
Una sentenza non dell’ultima ora, ma che contiene alcuni principi interessanti e vale la pena commentare.
I fatti: il Condominio richiede ed ottiene decreto ingiuntivo sulla scorta di una delibera che approva un rendiconto e l’attribuzione dello stesso per quote ai condomini, pur in assenza di una tabella millesimale legittimamente approvata. A tale decreto propone opposizione il condomino ingiunto, sostenendone l’illegittima emissione.
La Suprema corte detta alcuni principi essenziali, legati alla prioritaria esigenza di funzionamento della compagine condominiale, all’obbligo di ciascuno di contribuire in forza dei parametri stabiliti dalla legge anche una senza di tabelle, al potere del giudice di stabilire anche d’ufficio e con riferimento alle norme di cui agli artt. 1123 e s.s. cod.civ. l’onere per ciascuno e alla idoneità della sola delibera a consentire l’emissione del provvedimento monitorio.
La motivazione è stringata ma efficace: “Tanto attesa la particolarità della vicenda in esame contrassegnata dalla pacifica assenza di una valida ed approvata tabella millesimale di ripartizione delle spese deliberate dall’assemblea condominiale. Nell’ipotesi la delibera alla cui stregua venivano ripartite le spese (idonea di per sé alla valida emissione dell’opposto D.I.) ben poteva ritenersi non adeguatamente idonea a comprovare nel giudizio di opposizione la pretesa creditoria del Condominio. Tanto in dipendenza dell’accennata inesistenza di valide tabelle eccepita dall’opponente. In tal caso, tuttavia (e anche al fine di evitare comunque una sorta di esenzione generalizzata del pagamento a carico del debitore) incombeva comunque al Giudice un onere. E tutto ciò alla stregua, anche per effetto del principio di seguito affermato, di una corretta applicazione delle norme invocate con il primo motivo del ricorso in esame. In particolare vi era un obbligo di verifica dell’esistenza, validità ed efficacia della delibera in conformità del valore delle singole posizioni condominiali anche in assenza tabelle regolari. Ed, ancora, se la pretesa del Condominio era o meno conforme a criteri di ripartizione. Giova, specificamente e con precipuo riferimento al secondo motivo del ricorso, raffermare il principio già affermato da questa Corte, secondo cui “in tema di riparto di spese condominiali, qualora non possa farsi riferimento ad una tabella millesimale approvata da tutti i condomini, il condomino non può sottrarsi al pagamento della quota, spettando al giudice di stabilire se la pretesa del condominio nei confronti del singolo condomino sia conforme ai criteri di ripartizione che, con riguardo ai valori delle singole quote di proprietà sono stabiliti dalla legge in “subiecta materia”, determinando egli stesso in via incidentale, anche in assenza di specifica richiesta al riguardo, i valori di piano o di porzioni di piano espressi in millesimi” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 30 luglio 1992, n. 9107). L’esposto, condiviso e qui ribadito principio rinviene la sua evidente ratio nella necessità di assicurare comunque le condizioni di corretta continuità gestionale dell’ente condominiale, atteso che – in assenza di una valida approvata tabella ed al cospetto dell’opposizione di un condominio- non potrebbe comunque crearsi e legittimarsi una situazione di totale sottrazione all’obbligo di contribuire alle spese comuni e, quindi, di paralisi del condominio stesso.”