il curioso ossimoro del “condomino acquirente”…

il 22 giugno 2017 è stata presentata proposta di legge n. 4560, con cui si intende modificare due profili introdotti dalla legge 220/2012 nella disciplina condominiale, ovvero il divieto di conferire delega all’amministratore e la responsabilità solidale dell’acquirente di unità immobiliare per le quote relative all’esercizio in corso e a quello precedente prevista dall’art. 63 disp.att. cod.civ.

L’abrogazione dell’inciso dell’art. 67 disp.att. cod.civ. è sicuramente auspicabile, atteso che il conferimento di delega all’amministratore – lungi dal rappresentare un momento di conflitto di interesse – è stato per decenni uno strumento risolutivo per una efficace celebrazione delle assemblee.

Più curioso il concetto di “condomino acquirente”, utilizzato dal latore della proposta, che vorrebbe obbligare chi acquista per i contributi maturati nei cinque anni antecedenti la vendita.

Non sfuggirà che condomino è colui che sia titolare di un diritto reale  all’interno della compagine condominiale, dunque il condomino acquirente è un sorta di creatura mitologica che non può esistere. 

Il testo del DDL è il seguente: “Chi subentra nei diritti di un condòmino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi già maturati fino al quinquennio antecedente al trasferimento. L’amministratore deve fornire anche al condòmino acquirente, che ne faccia richiesta, quanto previsto dall’articolo 10 punto 9 della legge 11 dicembre 2012 n° 220. Tale attestazione va allegata al contratto che determina il trasferimento del diritto di proprietà su unità immobiliari”.

La relazione accompagnatoria promette – con l’introduzione di tale modifica – una drastica diminuzione delle liti.

Restano tuttavia insolute due questioni  fondamentali: l’acquirente (che non è ancora, evidentemente, condomino) potrebbe dimostrare  tale sua qualità all’amministratore – onde richiedere l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti – solo tramite un contratto preliminare che già lo obbligherebbe all’acquisto, senza che l’eventuale attestazione possa a quel punto costituire motivo di risoluzione del vincolo obbligatorio.

In diversa ipotesi si consentirebbe a chiunque si affermasse promissario acquirente, di ottenere informazioni sul condominio e sui morosi, ovvero dati non divulgabili a soggetti diversi da quelli previsti dall’art. 1130 n. 9 cod.civ.

E’ evidente che il senso della modifica si avrebbe solo ove si consentisse, a colui che intende acquistare, di calibrare le obbligazioni con il venditore sulla scorta anche degli oneri condominiali insoluti e ciò prima di divenire, tecnicamente, un “promissario acquirente”, ovvero prima di stipulare alcun vincolo.

Si potrebbe ipotizzare  che il promissario acquirente  ottenga  tali dati con il consenso del condomino venditore, ma in tal caso non occorre  alcuna modifica alla legge, atteso che – ovviamente – il condomino ha titolo a conoscere lo stato dei pagamenti e potrà poi divulgarlo a chi ritiene più opportuno, sotto la propria responsabilità.

Curioso anche l’obbligo di allegazione all’atto di acquisto della attestazione che otterrebbe il fantomatico “condomino acquirente”: con la sottoscrizione dell’atto e la prestazione del consenso  le parti danno comunque luogo all’effetto traslativo, pur in assenza della ipotetica attestazione; in assenza di alcuna specifica conseguenza prevista dalla norma per la mancata allegazione, l’inadempimento  – non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 1477 cod.civ. o 1490 cod.civ. – sembrerebbe  lasciare aperta l’unica via risarcitoria (pur con qualche dubbio, visto che comunque l’acquirente si determina ad acquistare pure in sua assenza), soluzione che appare destinata ad innalzare il contenzioso più che a sopirlo.

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© massimo ginesi 25 luglio 2017 

ascensore e regolamento di condominio: le spese vanno ripartite in forza dell’art. 1124 cod.civ.

Una interessante e recentissima pronuncia della Cassazione (Cass. civ. VI – 2 sez. 28 marzo 2017 n. 8015, rel. Scarpa) affronta un caso bizzarro: in un fabbricato in condominio sussiste regolamento di natura contrattuale in cui è previsto che le spese per la manutenzione delle scale avvenga ai sensi dell’art. 1124 cod.civ.; negli atti di acquisto dei condomini è altresì previsto che “la ripartizione delle spese condominiali verrà fatta in proporzione ai millesimi di proprietà e in conformità a quanto disposto dal regolamento di condominio”.

Nulla si dice in tema di ascensore, sicchè il Condominio ha ritenuto che ciò costituisse deroga convenzionale ai criteri di riparto ed ha attribuito le spese di ascensore in ragione dei millesimi generali  ex art. 1123 I comma cod.civ.: la tesi è  quantomeno singolare, eppure  ha trovato avvallo sia dal Tribunale di Verona che dalla Corte di Appello di Venezia, che hanno respinto nel merito  l’impugnativa di uno dei condomini.

Costui ricorre in Cassazione, rilevando anche un altro vizio della decisione di secondo grado relativo alla celebrazione della assemblea e alla partecipazione per delega dei condomini: in quel fabbricato il regolamento prevedeva che i partecipanti non potessero recare più di due deleghe, mentre nella delibera impugnata l’amministratore era portatore di tre deleghe (i fatti sono anteriori al 2012 e quindi non vedono diretta applicazione dell’art. 67 disp. att. cod.civ. oggi in vigore). I giudici di merito hanno ritenuto che, poichè il voto espresso da colui che portava deleghe in numero superiore non risultava decisivo, la doglianza era infondata (c.d. prova di resistenza).

La Suprema Corte riconosce invece fondati entrambi i motivi, con argomentazioni che è opportuno riportare per esteso.

SUL RIPARTO DELLE SPESE DI ASCENSORE: “Secondo l’orientamento del tutto consolidato di questa Corte, la regola posta dall’art. 1124 c.c. relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo) in mancanza di criteri convenzionali, è applicabile per analogia, ricorrendo l’identica “ratio” (e poi proprio ex lege, a seguito della riformulazione dell’art. 1124 c.c. operata della legge n. 220/2012, qui non operante ratione temporis), alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (su cui incide il logorio dell’impianto, proporzionale all’altezza dei piani). Pertanto l’impianto di ascensore è di proprietà comune – secondo la presunzione di cui all’art. 1117 n. 3 c.c., in mancanza di titolo contrario – fra tutti i condomini in proporzione al valore dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva (art. 1118 c.c.) e la ripartizione delle spese relative all’ascensore è regolata dai criteri stabiliti dall’art. 1124 c.c. e dall’art. 1123 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 17/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5975 del 25/03/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2833 del 25/03/1999).

Anche il criterio di ripartizione delle spese condominiali stabilito dall’art. 1124 c.c., e quindi operante per la manutenzione dell’ascensore, può essere derogato, come prevede l’art. 1123 c.c., e il relativo accordo modificatore della disciplina legale di ripartizione può essere contenuto sia nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), sia in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini. La deroga ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali suppone, tuttavia, un’espressa convenzione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16321 del 04/08/2016, non massimata; Cass. Sez. 2, Sentenza n.28679 del 23/12/2011).

Proprio perche, in base all’art. 1124 c.c., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e degli ascensori vanno assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e le altre, la clausola del regolamento condominiale che dispone che le spese di manutenzione delle scale vadano ripartite secondo l’art. 1124 c.c. non può affatto essere intesa come convenzione contraria alla suddivisione delle spese di manutenzione degli ascensori secondo lo stesso criterio; né tanto meno vale quale deroga all’art. 1124 c.c. la clausola contenuta nell’atto di acquisto che prevede che la ripartizione delle spese condominiali avvenga secondo i millesimi e in conformità a quanto disposto dal regolamento.”

SULLE DELEGHE: “La Corte d’Appello, invocando la cosiddetta prova della resistenza, ha escluso l’invalidità della deliberazione impugnata, nella quale l’amministratore ha esercitato il diritto di voto munito di tre deleghe, in violazione dell’art. 18 del regolamento condominiale, che stabilisce che nessuno possa rappresentare in assemblea più di due condomini.

Secondo, però, l’orientamento di questa Corte, la clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, riducendolo, come nella specie, a non più di due deleghe, regola l’esercizio del diritto di ciascun condomino di intervenire in questa a mezzo di delegati (art. 67, comma 1, disp. att. c.c., anch’esso modificato dalla legge n. 220/2012 con riformulazione qui non applicabile ratione temporis), inderogabile (secondo quanto si evince dal successivo art. 72) giacchè posto a presidio della superiore esigenza di garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5315 del 29/05/1998).

Sicchè la partecipazione all’assemblea condominiale di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento di condominio, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un’ipotesi di annullabilità della stessa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7402 del 12/12/1986), senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l’approvazione della deliberazione stessa.”

© massimo ginesi 4 aprile 2017