impugnazione di delibera e valore della causa: la cassazione muta orientamento

Una recentissima pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  21.3.2022 n. 9068 rel. Scarpa) riprende le ultime tesi avanzate dalla corte  ( Cass.civ. sez. II  7.7.20221 n. 19250 e Cass.civ. sez. VI-2 20.7.2020 n. 15434)   e afferma che la determinazione del valore della causa di impugnazione di delibera assembleare non deve essere parametrata unicamente alla quota imputata al condomino che agisce.

“Questa più recente interpretazione tiene adeguatamente conto della considerazione che la sentenza che dichiari la nullità o pronunci l’annullamento della impugnata deliberazione dell’assemblea condominiale produce sempre un effetto caducatorio unitario. L’effetto della sentenza di annullamento opera, infatti, nei confronti di tutti i condomini, anche se non abbiano partecipato direttamente al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro. La domanda di impugnazione del singolo non può intendersi, perciò, ristretta all’accertamento della validità del rapporto parziale che lega l’attore al condominio, estendendosi, piuttosto, alla validità dell’intera deliberazione (cfr. Cass. Sez. 2, 29 gennaio 2021, n. 2127; Cass. sez. 2, 25 novembre 1991, n. 12633). Tale ampliamento dell’efficacia del giudicato a tutti i componenti dell’organizzazione condominiale è, del resto, coerente col disposto del primo comma dell’art. 1137 c.c., per cui le deliberazioni prese dall’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini, essendo inconcepibile che la delibera annullata giudizialmente venga rimossa per l’impugnante e rimanga invece vincolante per gli altri comproprietari” 

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© massimo ginesi 23.3.2022

E’ legittima la delibera che prevede l’installazione di dissuasori di parcheggio nel cortile

E’ quanto ha statuito la recente Cass.civ. sez. VI ord. 3 febbraio 2022 n. 3440.

La Corte di legittimità ha respinto il ricorso di un condomino che lamentava l’illegittimità della delibera che aveva stabilito di installare dei dissuasori di parcheggio per impedire tale uso del cortile comune, vietato dal regolamento, osservando che :” la sentenza impugnata ha rilevato che, in base al  regolamento condominiale di natura contrattale, e secondo  l’interpretazione offertane dal Tribunale e condivisa dal giudice di  appello, risultava inibito l’utilizzo della piazzetta comune a scopo di parcheggio, dovendosi quindi escludere che la sua destinazione  (a prescindere dall’utilizzo in fatto che possa esserne avvenuto  per alcuni periodi, in contrasto con il vincolo scaturente dal regolamento) fosse quella di sosta e parcheggio dei veicoli.

A tal fine va quindi richiamato il principio secondo cui (Cass. n.  20712/2017) in tema di condominio negli edifici, le innovazioni di  cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate  dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello  soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere  di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune,  alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le  seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la  migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per  quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni  rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata,  espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che  invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un  interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui  perseguimento sono rivolte ( Cass. n. 18052/2012).
Inoltre, è stato altresì ribadito che (Cass. n. 12805/2019) nel  condominio sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un  solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità, secondo l’originaria costituzione della comunione, ma che l’indagine volta a stabilire se, in concreto, un’innovazione determini una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino ritraeva dalla parte comune, secondo l’originaria costituzione della comunione, ovvero se la stessa, recando utilità ai restanti condomini, comporti soltanto per uno o alcuni di loro un pregiudizio limitato, che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità, è demandata al giudice del merito, il cui  apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
La necessità di dare puntuale attuazione al vincolo derivante dal regolamento di condominio ed assicurare, quindi, proprio quella destinazione che era stata assegnata alla piazzetta condominiale, consente di escludere che le opere approvate possano rientrare nella nozione di innovazione (peraltro non potendosi riscontrare l’esistenza di un diritto del singolo condomino a trarre utilità sotto forma di parcheggio dal bene comune, suscettibile di essere menomato dalla collocazione dei cubi di cemento), avendo altresì la sentenza dato atto che le installazioni non alterano il decoro del bene né impediscono il pur limitato uso della piazzetta come consentito dal regolamento, avendo riscontrato in concreto la permanente possibilità di accesso di veicoli per l’attività di carico e scarico.
La conclusione secondo cui deve escludersi che possa  concretamente ritenersi approvata un’innovazione, dà anche  contezza dell’impossibilità di invocare la disciplina in tema di innovazioni voluttuarie, potendosi in ogni caso rilevare come in concreto il giudice, sottolineando l’esigenza a mezzo delle installazioni di dare effettiva attuazione al limite dettato dal regolamento di condominio, abbia implicitamente disatteso la tesi del carattere voluttuario delle opere in esame”

© massimo ginesi 8 febbraio 2022

 

 

 

annullabile la delibera che approva rendiconto non conforme all’art. 1130 bis c.c.

La delibera che approva un rendiconto non conforme ai criteri dettati dall’art. 1130 bis c.c. non riveste alcun profilo di nullità ed è annullabile, laddove la domanda sia proposta  nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.

la norma sul rendiconto non sanziona con la nullità il documento contabile eventualmente carente del registro di contabilità, del riepilogo finanziario e della nota sintetica esplicativa, non potendo questi ultimi qualificarsi come elementi essenziali.

Lo afferma il Tribunale di Pisa con sentenza 3 agosto 2021 n. 1140.

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nulla la delibera che approvi costruzioni nella colonna d’aria sovrastante il cortile comune

Un condomino costruisce una tettoia in aggetto sul cortile comune, costruzione approvata dall’assemblea condominiale a maggioranza: il Giudice (Tribunale Terni 22 settembre 2021 n. 762), in linea con la costante giurisprudenza di legittimità (Cass. 3098/2005; Cass. 3942/1991) ritiene che il deliberato sia affetto da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio.

Negli edifici in condominio la funzione del cortile è quella di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano; pertanto lo spazio aereo ad essi sovrastante non può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, “non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell’art. 840 c.c., comma 3, l’utilizzazione ancorchè parziale a proprio vantaggio della colonna d’aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa. La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale, pertanto, è consentita al singolo condomino solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche quando si traduca in corpi di fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante ed utilizzazione della stessa a fini esclusivi”

© massimo ginesi 5 ottobre 2021 

nulla la delibera condominiale in edificio sottoposto a sequestro penale preventivo

Lo afferma Cass.civ. sez. II  20 agosto 2021 n. 23255 rel. Scarpa, osservando che ” il sequestro preventivo penale avente oggetto le unità immobiliari di proprietà esclusiva e le parti comuni di un edificio condominiale, per le quali sia nominato un custode, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento, e attesa la funzione tipica di detta misura stabilita dall’art. 321 c.p.p., colpisce sia i diritti e le facoltà individuali inerenti al diritto di condominio, sia le attribuzioni dell’amministratore, sia i poteri conferiti all’assemblea in materia di gestione dei beni comuni, con conseguente nullità della deliberazione da questa approvata nel periodo di efficacia del sequestro.”

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© massimo ginesi 15 settembre 2021

è legittima la clausola che preveda l’arbitrato per l’impugnativa della delibera condominiale

E’ quanto ha statuito Cass.civ. sez. VI-2 ord. 15 dicembre 2020 n. 28508 rel. Scarpa: è legittima la clausola compromissoria prevista nel regolamento contrattuale che imponga di ricorrere ad arbitrato per le controversie fra condomini e fra condomini ed amministratore, trattandosi di materia nella disponibilità delle parti.

La pronuncia rileva anche come il comodatario non sia legittimato ad agire per tale tipo di domanda.

E’ uniforme l’orientamento di questa Corte secondo cui l’art. 1137 c.c., comma 2, nel riconoscere ad ogni condominio assente, dissenziente o astenuto la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria avverso le deliberazioni dell’assemblea del condominio, non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non esclude la compromettibilità in arbitri di tali controversie, le quali, d’altronde, non rientrano in alcuno dei divieti sanciti dagli artt. 806 e 808 c.p.c. (Cass. Sez. 2, 20/06/1983, n. 4218; Cass. Sez. 2, 05/06/1984, n. 3406; Cass. Sez. 1, 10/01/1986, n. 73).

La Corte d’appello di Milano – in presenza di una clausola compromissoria di natura irrituale, come desumibile dalla qualificazione degli arbitri quali “amichevoli compositori”, che prevede il deferimento agli stessi di qualsiasi controversia tra amministratore e singoli condomini comunque riguardante l’uso della comproprietà – ha plausibilmente ricompreso nelle attribuzioni del collegio arbitrale l’impugnazione di una deliberazione assembleare concernente la rimozione di manufatti esistenti su parti comuni.

La dedotta nullità della delibera impugnata, perchè asseritamente in contrasto con precedente accordo transattivo costitutivo di un assetto convenzionale dei diritti dei contendenti sui beni comuni per cui è causa, nonchè l’erroneità dei presupposti di fatto su cui essa poggia, non investono diritti o situazioni sottratte alla disponibilità delle parti, rientrando nella competenza arbitrale la stessa cognizione delle ragioni di invalidità di tale delibera.

Anche il secondo motive di ricorso è del tutto infondato. In tema di condominio, il generale potere ex art. 1137 c.c. di impugnare le deliberazioni condominiali contrarie alla legge o al regolamento compete al proprietario della singola unità immobiliare, mentre non spetta al comodatario di un’unità immobiliare, essendo lo stesso titolare non di un diritto reale, ma di un diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori (arg. da Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27162).

A colui che, come il comodatario D.E., terzo rispetto ai rapporti reali che legano i proprietari delle singole unità immobiliari, intenda prospettare la titolarità di una situazione giuridica qualificata da una correlazione agli effetti della deliberazione adottata dall’assemblea, ferma la preclusione all’impugnativa ex art. 1137 c.c., può altrimenti accordarsi eventualmente l’interesse a proporre un’azione di mero accertamento della eventuale nullità della delibera o ad agire in sede risarcitoria.

© Massimo Ginesi 2 febbraio 2021

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vizi della delibera e gravi irregolarità non sempre coincidono

Una recente e corposa ordinanza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  5 novembre 2020 n. 24761 rel. Scarpa) affronta un tema peculiare e di significativo interesse: non sempre ciò che da luogo a gravi irregolarità comporta necessariamente anche vizio della delibera che approvi i rendiconti, poiché taluni profili hanno rilevanza ex art 1129 c.c. per l’eventuale richiesta di revoca giudiziale dell’amministratore ed altri possono invece essere censurati ex art 1137 c.c. come vizio della delibera.

La pronuncia coglie anche lo spunto per ribadire alcuni orientamenti, ormai consolidati, in tema di redazione del bilancio, di diritto di accesso ai documenti da parte dei condomini, poteri del giudice in ordine alla valutazione di legittimità della delibera.

Nel caso in esame  il condomino ricorrente (che già si sera visto respingere la domanda in appello e condannare per lite temeraria ex art 96 c.p.c.), sostiene in cassazione “ la violazione dell’art. 1129 c.c., comma 7, dell’art. 263 c.p.c. e dell’art. 1713 c.c. gli artt. 112 e 345 c.p.c. e dell’art. 1136 c.c. Con la censura si contesta la regolarità contabile del bilancio condominiale approvato con la Delib. 12 aprile 2012, richiamando le critiche svolte in primo grado ed in appello dal ricorrente (gestione del conto corrente, ammontare del saldo di cassa, mancata consegna della documentazione).
Il terzo motivo di ricorso deduce la “sparizione della portineria condominiale, dell’alloggio del portiere nonché della indebita proprietà dei locali ad uso della società dell’amministratore condominiale R.W. , OPE.RA. s.r.l.”, quali violazioni dell’art. 1129 c.c., art. 1130 c.c., comma 6, in riferimento agli artt. 832, 2621 e 2622 c.c.”.

La Corte preliminarmente osserva un difetto di applicabilità delle norme ratione temporis, poiché gli artt. 1129 e 1130 c.c. nella formulazione attuale sono entrati in vigore nel 2013 e non possono essere fatti valere per censurare una deliberazione assunta nel 2012.

Nel merito la corte osserva che “Le censure introdotte col secondo motivo sono anche contrarie ai consolidati orientamenti di questa Corte sulle questioni di diritto decise (avendosi riguardo, in relazione alla data di approvazione dell’impugnata delibera, alla disciplina condominiale antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 220 del 2012), senza offrire elementi che inducano a mutare tali orientamenti, e ciò agli effetti dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1. Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti, nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di legittimità, restando perciò escluso ogni sindacato giudiziale sulla consistenza degli esborsi o sulla convenienza delle scelte gestionali (Cass. II, 4 marzo 2011, n. 5254; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747; Cass. VI-2, 17 agosto 2017, n. 20135; Cass. II, 27 gennaio 1988, n. 731).
È poi certo nell’interpretazione giurisprudenziale che, se ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e, non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea), senza neppure l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), l’esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all’attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza (Cass. II, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. II, 26 agosto 1998, n. 8460).

È altrettanto consolidato l’orientamento giurisprudenziale che precisa come per la validità della deliberazione  di approvazione del bilancio condominiale non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società; è invero sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione, e ciò comunque alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non è denunciabile per cassazione alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Neppure si richiede che le voci di spesa siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. II, 23 gennaio 2007, n. 1405; Cass. II 7 febbraio 2000, n. 9099; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747).

Il ricorrente, col secondo motivo, auspica che la Corte di cassazione tragga dalle risultanze istruttorie un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, rivalutando le stesse nel senso più favorevole alle sue tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro immediata delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.”

La Corte osserva inoltre  che, una volta che il condomino abbia impugnato la delibera deducendo un determinato vizio, non è consentito al giudice discostarsi dalla domanda e pervenire all’annullamento epr motivi diversi da quelli espressamente dedotti dalla parte: “la domanda di declaratoria dell’invalidità di una delibera dell’assemblea dei condomini per un determinato motivo non consente al giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, l’annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione nè, tantomeno, l’annullamento, sia pure per la stessa ragione esplicitata con riferimento alla deliberazione specificamente impugnata, delle altre delibere adottate nella stessa adunanza ma non ritualmente opposte in quanto, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, l’assemblea pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione, con la conseguente astratta configurabilità di separate ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra (Cass. Sez. 6 – 2, 25/06/2018, n. 16675). Un conto è allora domandare l’invalidità della deliberazione assembleare che non abbia individuato e riprodotto nel relativo verbale i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, nonché i valori delle rispettive quote millesimali, come il M. assume di aver prospettato in primo grado, altro conto è denunciare l’annullabilità della delibera per violazione delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. con riferimento all’elemento reale ed all’elemento personale (domanda che correttamente, perciò, la Corte d’appello di Torino afferma non proposta tempestivamente dal ricorrente).”

© massimo ginesi 11 novembre 2020

 

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Decreto ingiuntivo e mediazione, nubi all’orizzonte: aumenteranno le opposizioni meramente dilatorie?

La recente pronuncia delle sezioni unite chiarisce che l’onere di dare impulso al procedimento di mediazione nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo incombe al creditore e, ove questi non vi provveda, il giudice dovrà dichiarare improcedibile la domanda e revocare il decreto.

Una recente ordinanza del giudice di legittimità ha inoltre statuito che nel condominio l’amministratore deve essere sempre autorizzato dall’assemblea a partecipare (o a dare impulso) a procedimento di mediazione, non avendo poteri autonomi ai fini dell’art. 71 quater disp.att. cod.civ.

E’ evidente che l’effetto congiunto di tale due statuizioni comporta che i decreti ingiuntivi ottenuti dal condominio ex art 63 disp.att. cod.civ. nei confronti dei condomini morosi vedranno fiorire opposizioni fantasiose da parte di coloro che accampano mere pretese dilatorie, posto che a quel punto sarà onere del condominio promuovere la mediazione (a pena di revoca del decreto) e, come è noto, non sempre è semplice raggiungere la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma II c.c., così come richiesta dall’art. 71 quater disp.att. cod.civ. per autorizzare l’amministratore a partecipare al procedimento di ADR.

Ove il condominio non riesca deliberare in tal senso, al giudice non resterà che revocare il decreto e plausibilmente  condannare pure il condominio alle spese della fase di opposizione.

 

@ massimo ginesi 25 settembre 2020     

 

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spese straordinarie e vendita immobiliare dell’unità in condominio, chi paga?

In caso di vendita di unità immobiliare posta in condominio, sorge spesso contenzioso fra acquirente e venditore per stabilire su chi debbano gravare le spese deliberate  per l’esecuzioni di lavori straordinari.

La giurisprudenza di legittimità ha ormai raggiunto un consolidato orientamento, individuando in colui che era condomino al momento in cui è stata assunta la deliberazione che ha deciso l’intervento il soggetto tenuto al pagamento.

Eventuali diversi accordi fra acquirente e venditore hanno valenza fra le parti ma sono inopponibili al condominio, che dunque potrà (rectius, dovrà) agire nei conforti di colui che risulti obbligato in forza dei rpinpci di diritto espressi dalla Corte.

L’orientamento è confermato da recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.civ. sez. VI 10 settembre 2020 n. 18793 rel. Scarpa):

I due motivi di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, rivelano diffusi profili di inammissibilità e risultano comunque infondati.
I motivi di ricorso deducono la questione della individuazione del soggetto obbligato a sostenere le spese per la manutenzione straordinaria dell’edificio condominiale nei rapporti tra alienanti ed acquirente di una unità immobiliare.

A differenza di quanto sostenuto in motivazione dalla Corte di Campobasso, che ha però poi deciso correttamente sul punto in dispositivo, secondo ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, deve farsi riferimento non al momento della concreta attuazione dell’attività di manutenzione, quanto alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione dell’intervento di riparazione straordinaria, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. Sez. 2, 14/10/2019, n. 25839; Cass. Sez 6-2, 22 marzo 2017, n. 7395; Cass. Sez. 2, 03/12/2010, n. 24654).

Tale momento, che la Corte d’appello ha individuato con riferimento alla deliberazione del 1 marzo 2007, allorchè venne scelta l’impresa esecutrice tra più preventivi, rileva dunque per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio (che agisca in solido verso entrambi ai sensi dell’art. 63 c.c., comma 4, disp. att.) i patti eventualmente intercorsi tra costoro.

Non rileva a tal fine, viceversa, la data in cui siano stati approvati gli stati di ripartizione delle spese inerenti quei lavori.

Occorre, invero, l’autorizzazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1135 c.c., comma 1, n. 4 e con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 4, per l’approvazione di un appalto relativo a riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale (si vedano indicativamente Cass. Sez. 2, 21/02/2017, n. 4430; Cass. Sez. 2, 25/05/2016, n. 10865).

La delibera assembleare in ordine alla manutenzione straordinaria deve in ogni caso determinare l’oggetto del contratto di appalto da stipulare con l’impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell’opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa, non avendo rilievo per l’insorgenza del debito di contribuzione l’esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria (Cass. Sez. 2, 26 gennaio 1982, n. 517; Cass. Sez. 2, 02/05/2013, n. 10235; Cass. Sez. 2, 21 febbraio 2017, n. 4430; Cass. Sez. 62, 16 novembre 2017, n. 27235; Cass. Sez. 6-2, 17 agosto 2017, n. 20136; Cass. Sez. 2, 20 aprile 2001, n. 5889).

Correttamente, pertanto, la Corte d’appello di Campobasso ha ritenuto che l’obbligo di contribuzione alla manutenzione straordinaria dell’edificio fosse insorto soltanto allorchè, nell’assemblea del 1 marzo 2007, successiva dunque alla compravendita inter partes stipulata il 19 dicembre 2006, venne definitivamente individuata l’impresa prescelta.

A tale apprezzamento di fatto compiuto dai giudici del merito, sindacabile in sede di legittimità soltanto nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente contrappone nel primo motivo di impugnazione un denuncia di violazione e falsa applicazione di norma di diritto, che è in realtà volta ad ottenere dalla Corte di cassazione una diversa ricostruzione delle vicende di causa, sollecitando una inammissibile delibazione immediata delle risultanze di alcune precedenti delibere assembleari (in particolare, quelle del 19 giugno 2016 e del 7 settembre 2016), delle quali neppure risulta specificato il contenuto decisivo, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Essendo il debito per il pagamento dei contributi di manutenzione straordinaria divenuto esigibile soltanto il 1 marzo 2007 (allorchè era condomino, e perciò legittimato alla partecipazione alla relativa assemblea, proprio L.G., subentrato il 19 dicembre 2006 nel diritto di condominio), non è ravvisabile alcuna violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto di compravendita da parte dei venditori dell’unità immobiliare, a titolo di dolo incidente ex art. 1440 c.c., non potendo ravvisarsi in capo a questi ultimi un obbligo informativo, nè dunque prospettare un malizioso occultamento, causa di un “maggior aggravio economico” del compratore, con riguardo all’intenzione dei condomini di procedere alla futura approvazione dei lavori in questione (arg. da Cass. Sez. 2, 16/04/2012, n. 5965).

© massimo ginesi 17 settembre 2020 

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la delibera assembleare ha valore costitutivo con riguardo all’obbligazione del singolo

una interessante pronuncia della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2 23 luglio 2020 n. 15696 rel. Scarpa) richiama gli orientamenti più recenti in tema di nascita dell’obbligazione condominiale e circa la valenza dell’approvazione della ripartizione, individuando nella delibera che approva interventi manutentivi l’atto costitutivo dell’obbligazione dei singoli condomini a corrispondere la propria quota, mentre l’approvazione della ripartizione ex art 63 disp.att. cod.civ. ha  rilevanza dichiarativa,  delineando l’importo che incombe a ciascuno.

Ne deriva che la delibera di approvazione del consuntivo (o preventivo)  è atto più che sufficiente ad ottenere provvedimento monitorio ex art 63 disp.att. cod.civ., mentre la mancata approvazione della ripartizione può al più condizionare la concessione della provvisoria esecutorietà dello stesso: di conseguenza il giudice della causa di opposizione  a decreto ingiuntivo dovrà limitarsi ad accertare la sussistenza di legittima delibera di approvazione della spesa,   senza poter sindacare sulla natura ed esistenza della documentazione che la sorregge.

In tema di lavori straordinari, infine, la delibera di approvazione dell’intervento è idonea a far sorgere l’obbligazione dei singoli, anche ove non sia stato approvato il consuntivo delle opere.

“La dottrina ravvisa un duplice oggetto della deliberazione assembleare che approvi un intervento di ristrutturazione delle parti comuni: 1) l’approvazione della spesa, che significa che l’assemblea ha riconosciuto la necessità di quella spesa in quella misura; 2) la ripartizione della spesa tra i condomini, con riguardo alla quale la misura del contributo dipende dal valore della proprietà di ciascuno o dall’uso che ciascuno può fare della cosa.

Se, allora, l’approvazione assembleare dell’intervento, ove si tratti lavori di manutenzione straordinaria, ha valore costitutivo della obbligazione di contribuzione alle relative spese, la ripartizione, che indica il contributo di ciascuno, ha valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione) (arg. da Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477; Cass. Sez. 2, 03/12/1999, n. 13505; Cass. Sez. 2, 15/03/1994, n. 2452; Cass. Sez. U, 05/05/1980, n. 2928).

L’approvazione assembleare dello stato di ripartizione delle spese è, piuttosto, condizione indispensabile per la concessione dell’esecuzione provvisoria al decreto di ingiunzione per la riscossione dei contributi, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 1, giacché ad esso il legislatore ha riconosciuto un valore probatorio privilegiato in ordine alla certezza del credito del condominio, corrispondente a quello dei documenti esemplificativamente elencati nell’art. 642 c.p.c., comma 1, (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588).

Ove, tuttavia, sia mancata l’approvazione dello stato di ripartizione da parte dell’assemblea, l’amministratore del condominio è comunque munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, in forza dell’art. 1130 c.c., n. 3. In tale evenienza, l’amministratore può agire in sede di ordinario processo di cognizione, oppure ottenere ingiunzione di pagamento senza esecuzione provvisoria ex art. 63, comma 1 disp. att. c.c..

Occorre pertanto ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569). Il giudice, pronunciando sul merito, emetterà una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare.

Da ciò consegue che la carenza di “documentazione attestante gli esborsi fatti e le motivazione degli stessi”, come esposto dalla Corte d’appello, ove comunque sia provata l’approvazione assembleare dell’intervento manutentivo, non può giustificare la statuizione di infondatezza della pretesa del condominio di riscuotere i contributi dai condomini obbligati ai sensi degli artt. 1123 c.c. e ss..

Nè può essere d’ostacolo alla riscossione dei contributi inerenti alla manutenzione straordinaria approvata dall’assemblea la mancata approvazione del “consuntivo”, come la sentenza impugnata suppone conclusivamente, in quanto (mentre per l’erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali, che non richiede la preventiva approvazione dell’assemblea, l’approvazione è poi richiesta in sede di consuntivo, perché l’amministratore possa agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a loro carico: da ultimo, Cass. Sez. 2, 11/01/2017, n. 454), per i lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, come già considerato, la delibera assembleare che dispone l’esecuzione dei detti interventi ha ex se valore costitutivo della relativa obbligazione di contribuzione (da ultimo: Cass. Sez. 2, 14/10/2019, n. 25839).

© massimo ginesi 24 luglio 2020