Posto che i tempi della giustizia sono ormai biblici e il carico di lavoro significativo, la corte di appello può decidere di disporre la c.d. mediazione demandata, ovvero disporre che le parti compaiano per ordine del giudice dinanzi al mediatore, per provare a conciliare la controversia.
Si tratta di un istituto originariamente previsto dall’art. 5 comma II D.Lgs. 28/2010 e profondamente rivisto dal legislatore nel 2013: oggi il giudice non è più chiamato a proporre alle parti un semplice invito a tentare la strada della mediazione ma, quando lo ritiene opportuno, dispone l’esperimento del procedimento di mediazione che, in tal caso, diviene condizione di procedibilità della domanda.
In tal senso ha statuito di recente la Corte di Appello di Napoli ord. 21.9.2017, ponendo a fondamento della decisione la prevedibile lunghezza del procedimento di secondo grado.
Si tratta di un uso decisamente creativo dell’istituto, nato per favorire la conciliazione di quelle liti in cui il giudice percepisce l’opportunità – per la natura degli interessi in gioco e l’atteggiamento delle parti – di una possibile soluzione pacifica, volto a sopperire invece alle inefficienze del sistema.
Di interesse invece l’indicazione sulle modalità di partecipazione alla mediazione, che ribadisce l’orientamento giurisprudenziale che sempre più vede affermarsi la necessità di un effettivo esperimento del tentativo di conciliazione e non la mera partecipazione formale delle parti:
© massimo ginesi 14 novembre 2017