la richiesta di demolizione di parti comuni comporta litisconsorzio fra i condomini

il giudizio in ordine ad una negatoria servitutis, la cui attuazione comporti demolizione di parti comuni, richiede la partecipazione al giudizio di tutti i comproprietari.

Si tratta di principio consolidato, ribadito da una recente sentenza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  24 ottobre 2019 n. 27361).

correttamente la Corte distrettuale ha richiamato (e fatto proprio) il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nell’azione negatoria servitutis, se per l’attuazione della tutela richiesta è necessaria la rimozione dello stato di fatto mediante l’abbattimento di un’opera in proprietà o in possesso di più persone, le stesse devono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari, in quanto la sentenza resa nei confronti di alcuno e non anche degli altri comproprietari o compossessori dell’opera sarebbe inutiliter data, per il fatto che la demolizione della cosa pregiudizievole incide sulla sua stessa esistenza e, di conseguenza, sulla proprietà o sul possesso di tutti coloro che sono partecipi di tali signorie di fatto o di diritto sul bene, non essendo configurabile una demolizione limitatamente alla porzione o alla quota del solo comproprietario o compossessore convenuto in giudizio (cfr. ex plurimis, Cass. n. 17663 del 2018; Cass. n. 4685 del 2018; Cass. n. 6622 del 2016; Cass. n. 3925 del 2016; Cass. n. 2170 del 2013).

Per cui, altrettanto correttamente, la Corte distrettuale ha concluso che, “con riferimento al caso di specie, la innegabile necessità di un intervento di abbattimento coinvolgente le strutture portanti dell’edificio, quali i pilastri, i solai e i muri comuni, come desumibile dal contenuto della svolta c.t.u., avrebbe dovuto comportare, alla stregua degli enunciati principi, la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti proprietari dei beni sui quali tale intervento era destinato a incidere”

© Massimo Ginesi 28 ottobre 2019 

 

un’interessante sentenza TAR LAzio sulla demolizione di ascensore condominiale

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Il TAR LAzio ( T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 28/11/2018, n.11553)  si pronuncia sulla  legittimità dell’ordine comunale di demolizione di ascensore condominiale, realizzato in violazione delle norme antisismiche, ritenendo il provvedimento amministrativo illegittimo. 

“Gli interventi volti all’eliminazione delle barriere architettoniche, come la realizzazione di ascensori interni, montacarichi, servoscala e rampe, rientrano tra i lavori di edilizia libera. Conseguentemente l’ordinanza del comune per la rimozione o demolizione dell’ascensore installato nell’immobile del condominio e adottata ai sensi dell’art. 33 testo unico dell’edilizia, che prescrive la demolizione delle opere di ristrutturazione edilizia eseguite in assenza del titolo abilitativo, è illegittima.”

La motivazione offre interessanti spunti di riflessione:

Nelle more del procedimento penale per l’accertamento della eventuale violazione della normativa antisismica, la legge, come si è visto, prevede la sospensione dei lavori, efficace fino alla conclusione del procedimento penale e rimette all’amministrazione regionale ogni ulteriore determinazione in ordine alla demolizione dell’impianto, qualora incompatibile con la legislazione antisismica.

La legge non riconosce una competenza specifica all’amministrazione comunale al riguardo, in ragione della competenza tecnica dell’ufficio del genio civile regionale ed in quanto ciò che viene in rilievo non è la mancanza del titolo edilizio, bensì l’accertamento della eventuale violazione della normativa antisismica, essendo stato eseguito un progetto carente della relativa autorizzazione.

Ne deriva la illegittimità del provvedimento impugnato, erroneamente fondato su una inesistente ristrutturazione edilizia abusiva, non essendo applicabile all’intervento di installazione di un ascensore interno, riconducibile all’edilizia libera, l’articolo 33 del testo unico dell’edilizia che prescrive la demolizione delle opere di ristrutturazione edilizia eseguite in assenza del titolo abilitativo.

Non essendo stata eseguita una ristrutturazione edilizia, bensì un intervento per l’eliminazione delle barriere architettoniche mediante l’installazione di un ascensore interno, ma essendo, d’altra parte, carente la documentazione attestante il rispetto della normativa antisismica, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto astenersi dall’adottare qualsiasi provvedimento ed attendere la definizione dell’eventuale processo penale ovvero le determinazioni del competente ufficio tecnico regionale.

Ne deriva la fondatezza del primo motivo di impugnazione, assorbente le ulteriori censure dedotte dalla ricorrente”

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copyright massimo ginesi 14 dicembre 2018

per la rimozione di fioriere in facciata è sufficiente la C.I.L.A.

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Così afferma il T.A.R. Lazio con sentenza 24.5.2016 in cui h accelerato la condotta del Comune di Roma che aveva irrogato una sanzione di 7.500 euro al condominio.

Afferma il Giudice amministrativo: “la sanzione pecuniaria in questione è stata irrogata sul presupposto dell’avvenuta violazione dell’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001, a seguito dell’accertamento dell’esecuzione della seguente opera edilizia: “rimozione fioriere, per una lunghezza di circa m. 25, lungo il prospetto dell’edificio su via San Lucio, posta al piano primo rispetto a tale strada”; f) che è fondato il profilo di censura relativo all’erroneità dell’avvenuta applicazione della normativa in tema di lavori effettuati in assenza di S.C.I.A. da parte dell’Amministrazione; g) che in particolare deve ritenersi corretta la qualificazione di detto intervento come manutenzione straordinaria che non riguarda parti strutturali dell’edificio ed è quindi assoggettata al regime dell’edilizia libera previa presentazione di C.I.L.A. ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. a) e comma 4 del D.P.R. n. 380/2001, con la conseguenza dell’inapplicabilità della sanzione pecuniaria nella misura irrogata dall’Amministrazione nel caso di specie; h) che il ricorso deve quindi essere accolto, con il conseguente annullamento dell’atto impugnato”

Il Comune è condannato anche alla refezione delle spese di giudizio in favore del Condominio.

© massimo ginesi 12 luglio 2016