Cass.Civ. II sez. 24 febbraio 2017, n. 4844 affronta un caso decisamente singolare: un soggetto trasforma un sottotetto in unità abitativa, tale vano non è censito nelle tabelle millesimali e quindi non contribuisce alle spese per la manutenzione delle parti comuni; il proprietario tuttavia deve ritenersi condomino e ha diritto di voto per la nomina dell’amministratore.
“I ricorrenti chiedono alla Corte di cassazione di stabilire se in edificio condominiale dotato di tabelle millesimali, la trasformazione di un locale sottotetto con conseguente mutamento di destinazione dello stesso mediante creazione di unità abitativa non censita nelle tabelle, consenta o meno al proprietario di esercitare il diritto di voto nell’assemblea e a quali condizioni. Rilevano che se le tabelle hanno il conclamato scopo di consentire una corretta ripartizione delle spese ed il computo dei quorum assembleari, non si comprende come possa ritenersi legittimato al voto il proprietario di un’unità non censita in quelle tabelle. Il paradosso starebbe nel fatto che in tal modo il proprietario di unità non censita nelle tabelle potrebbe concorrere all’approvazione delle delibere di ripartizione delle spese senza però essere tenuto a parteciparvi neppure in un secondo momento, posto che quelle spese non potrebbero essergli richieste neppure retroattivamente (stante la natura dichiarativa e non costitutiva della sentenza che disponga la revisione delle tabelle).
Osserva il Collegio che la qualità di condomino si acquista nel momento in cui si diviene proprietari di parti comuni del fabbricato, a prescindere dall’esistenza o meno di una tabella millesimale, la cui natura ricognitiva ormai è fuori dubbio (v. per tutte Sez. U, Sentenza n. 18477 del 09/08/2010 Rv. 614401 che, nello stabilire la possibilità di approvare o sottoporre a revisione le tabelle millesimali a maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma, cod. civ. ha precisato, tra l’altro, che la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad un valutazione tecnica).
Ancora, è stato precisato in giurisprudenza che il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell’intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi – la cui esistenza, pertanto, non costituisce requisito di validità delle delibere assembleari – e consente sempre di valutare anche “a posteriori” in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell’assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condizionai lo svolgimento dell’assemblea e, in genere, la gestione del condominio (v. tra le varie, Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 17115 del 09/08/2011 Rv. 618924; Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 17/02/2005 Rv. 579547).
Ciò posto, e tornando al caso di specie, è evidente che la mancata inclusione, allo stato, dell’unità mansardata del P. nella tabella millesimale in vigore (situazione certamente singolare ma a cui ben poteva – e ben può – agevolmente porsi rimedio con lo strumento della revisione) non lo priva dei diritti a lui spettanti quale condomino tra cui, ovviamente e per quanto oggi interessa, quello di concorrere alla scelta dell’amministratore dell’edificio, né lo esonera di fatto dal contribuire alle spese di gestione o dal regolarizzare la sua posizione per il pregresso.
Sotto quest’ultimo profilo, infatti, se è vero che non è possibile applicare retroattivamente l’efficacia di una sentenza di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall’art. 69 disp. att. cod. civ. (per il principio della natura costitutiva della stessa più volte affermato da questa Corte), è altrettanto vero che a tale evenienza è ben possibile rimediare con altri strumenti che l’ordinamento appresta ed in particolare con quello dell’indebito arricchimento ex art. 2041 cc (v. in proposito Sez. 3, Sentenza n. 5690 del 10/03/2011 Rv. 616229 proprio in materia di condominio). Il paradosso paventato dai ricorrenti dunque non esiste.
Né può condividersi l’affermazione secondo cui esisterebbe una sorta di connubio indissolubile tra l’obbligo di contribuire alle spese comuni secondo le previsioni delle tabelle millesimali e l’esercizio del diritto di voto: infatti, come più volte affermato in giurisprudenza (v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 3944 del 18/03/2002 Rv. 553129; Sez. 2, Sentenza n. 641 del 17/01/2003 Rv. 559834) il legale criterio di ripartizione di dette spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino (art. 1123 cod. civ.) è liberamente derogabile per convenzione (quale appunto il regolamento contrattuale di condominio).”
Se i principi affermati appaiono assolutamente condivisibili sotto il profilo giuridico, non sfuggiranno all’amministratore le difficoltà operative di una simile impostazione: prima fra tutte il calcolo delle maggioranze in una assemblea in cui uno dei partecipanti rappresenta sicuramente una testa ma non porta valori millesimali.
© massimo ginesi 1 marzo 2017