ripartizione spese di lite: mai in parti uguali ed escluso il condomino vittorioso.

Lo ha stabilito la corte di legittimità (Cass.Civ. sez.VI-2 21 febbraio 2018 n. 4259 rel. Scarpa), con una pronuncia  che riprende temi consolidati.

I fatti – “A. C. impugnò la deliberazione assembleare del 2 aprile 2013 approvata dal Condominio di Largo L. A., la quale aveva ripartito in parti uguali (€ 14,00 per ogni condomino), e non secondo millesimi, le spese dovute dal medesimo Condominio per effetto della soccombenza maturata con riguardo al decreto ingiuntivo n. 1780/2013 del Giudice di Pace di Roma, pronunciato su domanda del medesimo avvocato C. per l’attività di difensore svolta in favore del Condominio.

Il Giudice di Pace aveva dichiarato improcedibile l’impugnazione di delibera giacchè proposta con ricorso e non con citazione.

Il Tribunale di Roma ha invece ritenuto legittima la ripartizione in quote paritarie delle spese di soccombenza derivanti dal decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, non esistendo tabelle millesimali e non essendo applicabile l’art. 1132 c.c. proprio perché quest’ultimo non aveva deliberato di resistere alla pretesa monitoria”. 

IMPUGNATIVA MEDIANTE RICORSO – Osserva la corte che già il giudice di appello ha riformato la sentenza di primo grado, ritenendo ammissibile la domanda anche se proposta con ricorso: “Se è vero che il Tribunale non ha espressamente statuito sul motivo d’appello relativo alla declaratoria di improcedibilità della domanda (la quale effettivamente contrastava con l’interpretazione fornita da Cass. Sez. Un. 14/04/2011, n. 8491, trovando nella specie applicazione l’art. 1137 c.c. nel testo antecedente alle modifiche introdotte con legge n. 220/2012, e dovendosi perciò ritenere comunque valida l’impugnazione delle delibere dell’assemblea proposta impropriamente con ricorso, purchè l’atto risultasse depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’art. 1137 citato), è pur vero che la sentenza impugnata ha esaminato il merito della pretesa dell’attore appellante, con ciò implicitamente superando la questione di improcedibilità sollevata erroneamente dal Giudice di pace.”

LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE – “Ove, come nel caso in esame, vi sia stata una condanna giudiziale definitiva del condominio, in persona dell’amministratore (nella specie, a seguito di decreto ingiuntivo non opposto), al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale (nella specie, dello stesso condomino avvocato C. a titolo di compenso per prestazioni professionali), la ripartizione tra i condomini degli oneri derivanti dalla condanna del condominio va comunque fatta alla stregua dei criteri dettati dall’art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione (arg. da Cass. Sez. 2, 12/02/2001, n. 1959).

Né ha rilievo in senso contrario alla necessaria ripartizione interna dell’importo oggetto di condanna la mera mancanza formale delle tabelle millesimali (come considerato dal Tribunale di Roma), spettando semmai al giudice di stabilire l’entità del contributo dovuto dal singolo condomino conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà (Cass. Sez. 2, 26/04/2013, n. 10081; Cass. Sez. 2, 30/07/1992, n. 9107).

La deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali degli oneri derivanti dalla condanna del condominio, in deroga all’art. 1123 c.c., proprio come avvenuto nell’impugnata delibera del 2 aprile 2013, va peraltro certamente ritenuta nulla (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233)

L’IMPUTAZIONE DELLE SPESE – “Il Tribunale di Roma ha affermato che l’avvocato C., in quanto condomino, doveva egli stesso partecipare al pagamento delle spese legali in suo favore consacrate nel decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, richiamando la giurisprudenza sul necessario concorso del condomino danneggiato al risarcimento del danno da lui subito per effetto della mancata custodia o manutenzione di un bene comune.

Questa Corte ha invece già sancito l’invalidità della deliberazione dell’assemblea che, all’esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest’ultimo, “pro quota”, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 c.c. (Cass Sez. 2, 18/06/2014, n. 13885; Cass. Sez. 2, 25/03/1970, n. 801).”

© massimo ginesi 26 febbraio 2018 

mediazione: attenzione alla mancata partecipazione, anche se motivata.

I tribunali delineano confini sempre più stringenti all’obbligo di mediazione, sicché si considera ingiustificata la partecipazione – con tutte le conseguenze che ne derivano sotto il profilo processuale – della parte che, antecedentemente al primo incontro, comunica mediante pec inviata all’organismo la propria volontà di non partecipare, fornendone motivazione.

E’ quanto afferma il Tribunale di Vasto con ordinanza 6 dicembre 2016: “la condotta della parte che non si reca al primo incontro di mediazione e si limita a rappresentare per iscritto all’organismo di mediazione la decisione di non partecipare allo stesso, eventualmente anche illustrandone le ragioni, va interpretata alla stregua di una assenza ingiustificata della parte invitata, che la espone al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie, sia sul piano processuale che su quello pecuniario, previste dall’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10. Questo perché, nello spirito della norma che disciplina lo svolgimento del procedimento di mediazione (art. 8), la partecipazione delle parti, sia al primo incontro che agli incontri successivi, rappresenta una condotta assolutamente doverosa, che le stesse non possono omettere, se non in presenza di un giustificato motivo impeditivo che abbia i caratteri della assolutezza e della non temporaneità. Posta in questi termini l’obbligatorietà della partecipazione, deve ritenersi che la prassi, talora adottata dalla parte invitata, di anticipare per iscritto il proprio rifiuto di partecipare al primo incontro, costituisce un atto di mera cortesia, che però non ha alcuna idoneità a giustificare la deliberata assenza della parte e ad esonerarla dalle conseguenti responsabilità

Non soccorre neanche esporre le ragioni del rifiuto: “Quanto, poi, alla enunciazione dei motivi della mancata partecipazione, ove essi – come sovente accade – non riguardino le cause che impediscono oggettivamente alla parte (che pure vorrebbe, ma non ha la materiale possibilità) di essere presente al primo incontro, ma invece concernino le ragioni per cui la stessa ritenga di non volere iniziare la procedura di mediazione, occorre chiarire che, nell’attuale sistema normativo, non è mai consentito alle parti di anticipare la discussione sul tema della possibilità di avviare la mediazione, senza avere prima partecipato personalmente al primo incontro e recepito le informazioni che il mediatore è tenuto a dare circa la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. In altri termini, il diniego del consenso ad intraprendere un percorso di mediazione può essere validamente espresso solo se la manifestazione di volontà negativa che la parte esprime sia: a) innanzitutto, preceduta da un’adeguata opera di informazione del mediatore circa la ratio dell’istituto, le modalità di svolgimento della procedura, i possibili vantaggi rispetto ad una soluzione giudiziale della controversia, i rischi ragionevolmente prevedibili di un eventuale dissenso e l’esistenza di efficaci esiti alternativi del conflitto; b) per altro verso, supportata da adeguate ragioni giustificatrici che siano non solo pertinenti rispetto al merito della controversia, ma anche dotate di plausibilità logica, prima ancora che giuridica, tali non essendo, ad esempio, quelle fondate sulla convinzione della insuperabilità dei motivi di contrasto (cfr., sul punto, precedente pronuncia di questo tribunale sulle caratteristiche del rifiuto di proseguire oltre il primo incontro – Trib. Vasto, ord. 23.04.2016). Parafrasando una terminologia invalsa in ambito medico, il dissenso alla mediazione, ai fini della sua validità, deve essere non solo personale, ma anche consapevole, informato e, soprattutto, motivato. Orbene, quando la parte invitata, senza partecipare alle attività informative e di interpellanza da espletarsi al primo incontro, annuncia per iscritto la propria assenza, provvedendo ad illustrare le ragioni che la inducono a decidere di non voler iniziare una mediazione, si deve ritenere che il dissenso così manifestato non sia stato validamente espresso, perché – a prescindere dalla validità delle argomentazioni giustificative – la parte non si è posta nelle condizioni di esprimere una volontà consapevole ed informata. Ne deriva che l’organismo di mediazione non è tenuto a prendere in considerazione o ad esaminare nel merito detta comunicazione scritta, se non a fini strettamente attinenti a profili organizzativi e logistici per la celebrazione del primo incontro.”

Il Giudice abruzzese è poi particolarmente severo in ordine alle conseguenze, ritenendo immediatamente applicabile la sanzione del contributo e riservandosi di valutare la condotta anche all’esito del procedimento: “Per tali motivi, visto che la parte invitata non ha partecipato senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10, una pronunciata di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. La lettera della citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna in questione ogniqualvolta la parte che non ha partecipato al procedimento non fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta. Sulla questione della applicabilità della predetta disposizione anche in corso di causa, questo giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non sia necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia. Conformemente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la sanzione pecuniaria in questione può, dunque, ben essere irrogata anche alla prima udienza o, comunque, in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.  In disparte della irrogazione della sanzione pecuniaria, questo giudice si riserva di valutare la condotta della banca di ingiustificata renitenza alla mediazione, sia ai fini della ammissione di eventuali mezzi di prova che ai fini della successiva decisione della causa, ai sensi degli artt. 116, secondo comma e 96, terzo comma, c.p.c., tanto più alla luce del successivo comportamento processuale assunto dalla banca convenuta, che in prima udienza ha chiesto, unitamente all’attore, un rinvio per effettuare un tentativo di definizione bonaria della causa, così manifestando un atteggiamento di apertura ad un possibile esito conciliativo della controversia, che avrebbe dovuto trovare la sua sede naturale di sperimentazione non all’interno del processo, bensì nell’ambito della procedura di mediazione, nella quale le parti potevano cogliere l’opportunità di arrivare ad una soluzione concordata del conflitto con possibilità di successo sicuramente maggiori di quelle raggiungibili nel corso del processo.”

© massimo ginesi 14 dicembre 2016


	

IL DISSENSO DEI CONDOMINI RISPETTO ALLE LITI

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L’intera vita condominiale si fonda sul principio espresso dall’art. 1137 I comma cod.civ. che prevede l’obbligatorietà delle delibere assembleari per tutti i condomini.
Si tratta di norma che consente ad una collettività di esprimere una volontà rappresentativa idonea a gestire unitariamente gli interessi comuni su base maggioritaria.
Il principio vede due sole eccezioni, l’una in tema di innovazioni (art. 1121 cod.civ. ) e l’altra in tema di liti (art. 1132 cod.civ. ).
In tali casi il legislatore ha ritenuto di accordare la possibilità ai dissenzienti di sottrarsi al potere vincolante della delibera.
L’art. 1132 cod.civ. prevede che il condomino, esprimendo dissenso da comunicare entro trenta giorni dalla delibera che decide di promuoverla o di resistervi, può separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di soccombenza.
Il dissenso è atto recettizio che deve essere inviato all’amministratore ed è un quid pluris rispetto al semplice voto contrario in assemblea, che ne è presupposto logico e giuridico ma che da solo non produce effetto dissociativo.
LA giurisprudenza ha affermato che il dissenso non richiede la forma solenne che sembra richiamare la norma (notificazione) ma può essere espresso dall’assente e dal dissenziente entro trenta giorni dalla delibera, con comunicazione all’amministratore idonea a rendere incontrovertibile termine e contenuto (raccomandata, pec, consegna a mani).
La suprema corte (Cass. civ., sez. II, 18/06/2014,  n. 13885) ha anche affermato che il dissenso può trovare applicazione solo nelle cause che vedano quali parti il condominio e un terzo, non in quelle interne (ovvero fra condominio e uno o più condomini); in dottrina è invece diffusa la tesi che il dissenso possa riguardare anche queste ultime.
Una volta esercitato legittimamente il dissenso, la delibera che ponga a carico del dissenziente le spese di lite è affetta da nullità e non da semplice annullabilità (Cass. civ. sez. II, 15/05/2006 n. 11126).
E’ ormai pacifico che il dissenso possa essere esercitato solo per quel liti che vedano una deliberazione antecedente (o di successiva ratifica) e che, alla luce di CAss. SS.UU. 18331/2010 e della nuova formulazione dell’art. 1131 cod.civ., comprendono le controversie che esulano dai poteri dell’amministratore individuati dall’art. 1130 cod.civ., mentre per queste ultime può agire senza necessità di avvallo assembleare.
Del resto lo stesso art. 1132 cod.civ. ancora il dies a quo per esprimere il dissenso alla data della delibera e quindi la possibilità di esercitare il dissenso pare necessariamente ancorata alla sussistenza di una volontà assemblare espressa.
Appare comunque ragionevole estendere tale facoltà anche a quelle liti che, pur rientrando nei poteri dell’amministratore, abbiano visto comunque una delibera legittimante.
I giudici hanno invece ritenuto non applicabile la norma ove la lite venga conclusa da transazione, che vincolerà anche il dissenziente (Cass. civ. sez. II, 16/01/2014,  n. 821)
Resta invece notevolmente controversa la portata dello “scudo” predisposto dalla norma.
LA giurisprudenza di legittimità ha sempre sostenuto la mera rilevanza interna della norma (ossia l’impossibilità di opporre il dissenso direttamente al creditore, limitando i suoi effetti al diritto di regresso verso gli altri condomini), affermando altresì che la stessa preservi solo dalle spese che il Condominio è tenuto a pagare alla controparte, lasciando intatto l’obbligo per le spese sostenute dal Condomino per la propria difesa.
Di recente acuta e attenta dottrina (Celeste/Scarpa) ha evidenziato come la mera valenza interna dei criteri di riparto fosse legata alla impostazione solidaristica dell’obbligazione condominiale, tesi venuta meno con CAss. SS.UU. 9148/2008.
Ne consegue che se le Sezioni Unite hanno evidenziato la rilevanza esterna nei confronti del creditore dei criteri di riparto (rilievo che pare sussistere anche oggi a fronte del meccanismo di escussione previsto dal novellato art. 63 disp.att. cod.civ.), non vi sarebbe ragione per non riconoscere tale valenza anche all’art. 1132 cod.civ.
Allo stesso modo, se la ratio della norma è quello di consentire al dissenziente di sottrarsi agli obblighi derivanti da una delibera che non condivide, tale esonero dovrebbe riguardare tutti gli obblighi derivanti da quella delibera e non solo le spese liquidate alla parte vittoriosa.

© massimo ginesi 12 ottobre 2016

condomino apparente e dissenso alle liti, una discutibile sentenza di merito…

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Il legislatore del 2016 ha ritenuto, assai inopportunamente, di attribuire la competenza esclusiva della materia condominiale al giudice di pace, o meglio a quella ibrida figura che esce dalla discutibile riforma della magistratura onoraria introdotta con la L. 57/2016.

La materia del condominio ancora una volta patisce l’ingiusta qualificazione di diritto minore, quando invece sottende l’applicazione di alcuni fra i più complessi istituti del diritto civile (diritti reali, obbligazioni, responsabilità extracontrattuale) nella peculiare realtà di un contesto plurisoggettivo.

Del resto l’intervento frequentissimo delle Sezioni Unite della Cassazione in questa materia altro non è che indice della sussistenza di contrasti anche al massimo livello, che sono l’indice evidente di una grande complessità dei temi di decisione.

Spesso accade, nelle corti di merito, di trovare pronunce che sembrano uscite da un’altra epoca e che lasciano spiazzati, a fronte di orientamenti giurisprudenziali di legittimità che affermano da anni principi contrari.

E’ il caso di una sentenza del Tribunale di Firenze, che esprime due valutazioni su cui l’amministratore e il difensore accorti faranno bene a non fare eccessivo affidamento.

A proposito di condomino apparente, il giudice fiorentino afferma che ove il vecchio condomino non abbia provveduto a comunicare all’amministratore l’avvenuta cessione della propria unità a terzi, ai fini dell’aggiornamento della anagrafe condominiale, l’amministratore potrà continuare a convocare legittimamente il vecchio propritario. E’ pur vero che la L. 220/2012 ha introdotto nell’art. 1130 cod.civ. l’obbligo di tale comunicazione in capo al cedente – con contestuale possibilità di autonomo accertamento da parte dell’amministratore a spese dell’inadempiente – e che l’art. 63 u.s. disp.att. cod.civ. ha previsto che in difetto il vecchio proprietario rimarrà solidalmente responsabile per le quote dovute, ma non pare di leggere nella riforma alcuna altra conseguenza diretta né tantomeno una deroga ai criteri che prevedono la partecipazione all’assemblea degli effettivi aventi diritto.

Non pare quindi che la riforma del 2012 vada ad incidere su un consolidato orientamento giurisprudenziale che sin dagli inizi degli anni 2000, a fronte del regime di pubblicità dei registri immobiliari, ha escluso la rilevanza di qualunque apparenza, sia per quel che attiene alle azioni recupero dei crediti sia per ciò che attiene alla convocazione.  “In caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possaapparire tale come il venditore il quale, pur dopo il trasferimento della proprietà (non comunicato all’amministratore), abbiacontinuato a comportarsi da proprietario -, difettando, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singolipartecipanti ad esso, le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente adesigenze di tutela dell’affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, d’altra parte, il collegamento della legittimazionepassiva alla effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale” Cass. SS.UU.  8 aprile 2002 n. 5035

“In tema di convocazione dell’assemblea condominiale deve essere convocato solo il vero proprietario della porzioneimmobiliare e non anche colui che si sia comportato, nei rapporti con i terzi, come condomino senza esserlo, difettando neirapporti tra il condominio (nella specie, l’amministratore) ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l’operatività delprincipio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente all’esigenza di tutela dei terzi in buona fede”.
Cass. Sez. II 22 ottobre 2007 n. 22089

Ancor più singolari le tesi fiorentine sull’espressione del dissenso alle liti ai sensi dell’art. 1132 cod.civ.

Se appare condivisibile la valutazione che, in caso di unità di proprietà di più soggetti, tale dissenso debba essere unitariamente espresso da tutti costoro e non sia ammesso pro quota, decisamente singolare appare il richiamo unicamente alle forme di cui all’art. 1132 cod.civ., ritengo che non valga invece la sua comunicazione una assemblea: in tal senso la Cassazione si è espressa da tempo immemore “La manifestazione di dissenso di un condomino, rispetto alla promozione di lite deliberata dall’assemblea, va notificata all’amministratore senza bisogno di forme solenni comprese fra queste quelle previste dal codice di procedura civile”. Cassazione civile, sez. II, 15/06/1978, n. 2967

Giova invece segnalare l’opportuna notazione del Giudice fiorentino delle spese di coibentazione del lastrico di proprietà esclusiva a tutti i condomini in quanto si tratta di intervento che, pur eseguito su un bene di proprietà esclusiva, è diretto a produrre vantaggi per tutti i condomini.

© massimo ginesi 11 luglio 2016