impugnativa di delibera e legittimazione processuale: se l’amministratore non agisce, non è consentito farlo ai singoli condomini.

La suprema corte (Cass.Civ. II sez. 12 dicembre 2017 n. 29748 rel. Scarpa) conferma un orientamento ormai consolidato: per le controversie attinenti alla gestione comune sussiste legittimazione esclusiva dell’amministratore, dovendosi esclude la concorrente facoltà del singolo condomino.

La vicenda trae origine, nel merito, dalla impugnativa di una delibera assembleare che, a detta dei condomini che hanno fatto ricorso al giudice, ripartiva erroneamente alcune spese. La Corte di Appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, aveva annullato la delibera, con pronuncia resa nei conforti del condominio in persona dell’amministratore: avverso detta sentenza alcuni condomini propongono ricorso per cassazione.

Osserva la corte che: “Per consolidato orientamento di questa Corte, spetta in via esclusiva all’amministratore del condominio la legittimazione passiva a resistere nei giudizi promossi dai condomini per l’annullamento delle delibere assembleari, ove queste non attengono a diritti sulle cose comuni (Cass. Sez. 2, 20/04/2005, n. 8286; Cass. Sez. 2, 14/12/1999, n. 14037; Cass. Sez. 2, 19/11/1992, n. 12379).

Nella specie, si tratta di impugnativa di deliberazione dell’assemblea condominiale relativa alla ripartizione di spese per un servizio comune. L’impugnativa è fondata sull’assunta violazione dei criteri di suddivisione stabiliti dalla legge, ed è quindi volta ad ottenere una pronuncia di invalidità della deliberazione assembleare, per il cui accertamento sono legittimati, dal lato attivo, ciascun condomino, e, passivamente, come accennato, soltanto l’amministratore del condominio, senza necessità di partecipazione al giudizio dei singoli condomini (Cass. Sez. 2, 15/04/1994, n. 3542).

La legittimazione passiva esclusiva dell’amministratore del condominio nei giudizi relativi alla ripartizione delle spese per le cose ed i servizi collettivi promossi dal condomino dissenziente dalla relativa deliberazione assembleare discende dal fatto che la controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini, ancorché in opposizione all’interesse particolare di uno di essi (Cass. Sez. 2, 11/08/1990, n. 8198).

Da ciò consegue che, nelle controversie concernenti impugnativa ex art. 1137 c.c. delle deliberazioni dell’assemblea relative alla ripartizione delle spese per le cose e per i servizi comuni, nelle quali è unico legittimato passivo l’amministratore di condominio, non è ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio.

Il potere di impugnazione del singolo condomino va, infatti, riconosciuto nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di ciascun partecipante.

Mentre (secondo l’orientamento del tutto prevalente di questa Corte, che il collegio intende qui ribadire) non va consentita l’impugnazione individuale relativamente alle controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, bensì la gestione di esso, intese, dunque, a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale, nelle quali non v’è correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini, quanto con un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, giacché, nelle cause di quest’ultimo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore, e la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo finisce per escludere la possibilità d’impugnazione da parte del singolo condomino (Cass. Sez. 2, 21/09/2011, n. 19223; Cass. Sez. 2, 04/05/2005, n. 9213; Cass. Sez. 2, 03/07/1998, n. 6480; Cass. Sez. 2, 12/03/1994, n. 2393).”

il ricorso è dunque dichiarato inammissibile.

© massimo ginesi 13 dicembre 2017

terrazze a livello e lastrici solari sono comuni ex art. 1117 cod.civ., se il titolo non dispone diversamente.

La Suprema Corte  (Cass.civ. sez. II ord. 23 agosto 2017, n. 20287  Rel. Scarpa) ribadisce un orientamento consolidato in tema di coperture piane del fabbricato, con una motivazione che – seppur in sintesi – traccia con grande efficacia i contorni della materia.

Il fatto e la vicenda processuale: “La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 21/11/2006 ed ha accolto in parte la domanda, proposta da C.O. , C.R. e C.G. con citazione del 28/04/1997, ordinando a G.M. di rimuovere i manufatti (veranda e relativi paletti di sostegno, muretto portante una stufa, cancello di accesso) realizzati sul lastrico di copertura dei locali terranei di proprietà C. , adibiti ad esercizio commerciale e siti in (omissis) .

In citazione, come si legge nella sentenza impugnata, gli attori avevano allegato che l’area di copertura dei locali terranei di loro proprietà fosse costituita in parte da lastrico impraticabile e per la residua parte da “terrazzo in uso esclusivo del sig. G.M. “.

Ha affermato la Corte d’Appello che in tal modo gli attori C. avessero riconosciuto al G. solo l’”uso di fatto” della parte adibita a terrazza, e non anche “il titolo giuridico a possedere”.

Il Ctu, si legge ancora nella sentenza impugnata, aveva verificato come il locale terraneo di proprietà C. avesse uno sviluppo di circa 160 mq, mentre il terrazzo pertinente l’appartamento di proprietà G. , avente uno sviluppo complessivo di circa 190 mq, si sovrappone all’immobile C. per circa 110 mq, e la residua superficie di copertura del terraneo è non praticabile. Sempre il Ctu aveva accertato che l’appartamento G. ha un terrazzo che insiste in parte su fabbricato adiacente con titolarità differente e che l’accatastamento della porzione di terrazzo collegata all’appartamento era avvenuta senza titolo di provenienza.

I giudici di appello hanno così concluso che, non avendo il G. allegato e provato un titolo di acquisto della proprietà superficiaria, la porzione di lastrico sovrastante i terranei di proprietà C. fosse stata abusivamente occupata dal G. con le opere denunciate, “non potendo detta porzione di lastrico, benché di fatto in uso al G. , qualificarsi né comune ex art. 1117 c.c., né di proprietà esclusiva del convenuto”

I principi riaffermati dal giudice di legittimità: “La Corte d’Appello di Napoli, nell’ambito dell’indagine, spettante ai giudici del merito, diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non si è uniformata al tenore meramente letterale della citazione (nella quale, come visto, gli attori avevano allegato l’esistenza di un “terrazzo in uso esclusivo del sig. G.M. “), ma, per converso, avendo riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dagli istanti, ha concluso che gli attori C. riconoscessero al G. un mero “uso di fatto” della parte adibita a terrazza, vantandosi, pertanto, pieni proprietari dell’area abusivamente occupata dai convenuti.

Ciò premesso, in termini di prova, la sentenza impugnata ha penalizzato il G. per non aver egli allegato e provato un titolo di acquisto della proprietà esclusiva della terrazza sovrastante i terranei C. , negando altresì che la stessa potesse presumersi come comune agli effetti dell’art. 1117 c.c..

Nella sua decisione, la Corte d’Appello ha così malamente applicato l’art. 1117 c.c., alla stregua dell’interpretazione affermata da Cass. Sez. 2, 22/11/1996, n. 10323, che il Collegio intende qui ribadire.

Invero, l’art. 1117, n. 1, c.c. menziona tra i beni comuni i tetti ed i lastrici solari, i quali sono parti essenziali per l’esistenza del fabbricato, in quanto per la struttura e per la funzione servono da copertura all’edificio e da protezione per i piani o per le porzioni di piano sottostanti dagli agenti atmosferici, mentre tale disposizione non fa espresso riferimento alle terrazze a livello, le quali, tuttavia, pur offrendo rispetto al lastrico utilità ulteriori, quali il comodo accesso e la possibilità di trattenersi, svolgono altresì le medesime funzioni di copertura dell’edificio e di protezione dagli agenti atmosferici, e devono perciò ritenersi di proprietà comune proprio ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c., rimanendo attribuite in condominio ai proprietari delle singole unità immobiliari.

Tale identità di funzione tra terrazza a livello e lastrico solare è, del, resto alla base della comune pacifica applicazione ad entrambi dell’art. 1126 c.c.

Quest’ultima norma, nel prevedere la possibilità di “uso esclusivo” del lastrico solare o della terrazza (espressione identica a quella adoperata dagli attori in citazione), non specifica la natura giuridica di tale diritto, il quale può avere carattere reale o personale, ma deve comunque risultare dal titolo; in mancanza di titolo attributivo di un siffatto uso esclusivo, ha vigore la regola generale del regime di comunione, dato che la superficie (della terrazza – lastrico solare) serve pur sempre a coprire i vani sottostanti dell’edificio condominiale, e che tale regime non è escluso dal solo fatto che dal bene uno o più comproprietari traggano utilità maggiori rispetto agli altri (così Cass. Sez. 2, 09/08/1999, n. 8532; Cass. Sez. 2, 21/05/1974, n. 1501).

È del resto ammissibile, per quanto si desume dall’art. 61 disp. att. c.c., che, pur in presenza di fabbricati che presentino elementi di congiunzione materiale, allorché vengano costituiti condomini separati per le parti aventi i connotati di autonomi edifici, uno dei titolari di porzioni esclusive si ritrovi proprietario di un immobile ricadente in entrambi i condomini (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 23/03/2017, n. 7605; Cass. Sez. 2, 01/03/1995, n. 2324; Cass. Sez. 2, 07/08/1982, n. 4439).

In definitiva, la deroga all’attribuzione legale al condominio e l’attribuzione in proprietà o uso esclusivo della terrazza a livello possono derivare solo dal titolo, mediante espressa disposizione di essi nel negozio di alienazione, ovvero mediante un atto di destinazione da parte del titolare di un diritto reale.

Non è determinante considerare la terrazza a livello come pertinenza dell’appartamento da cui vi si accede, in quanto ciò supporrebbe l’autonomia ontologica della terrazza e l’esistenza del diritto reale su di essa, che consenta la sua destinazione al servizio dell’appartamento stesso, in difformità dall’attribuzione ex art. 1117 c.c., laddove, a norma dell’art. 819 c.c., la destinazione al servizio pertinenziale non pregiudica i diritti dei terzi, e quindi, non può pregiudicare i diritti dei condomini sulla cosa comune.

D’altro canto, la Corte di Napoli, una volta interpretata la domanda come un’azione di rivendica, in quanto fondata sull’affermazione della proprietà della terrazza di copertura in capo agli attori, e rivolta nei confronti di chi detenesse “di fatto” la cosa per ottenerne la restituzione, avrebbe dovuto onerare proprio gli attori di fornire la rigorosa prova piena del loro diritto esclusivo, dimostrando il loro titolo di acquisto e quello dei loro danti causa, sino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario.”

La sentenza di merito è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di appello.

© massimo ginesi 30 agosto 2017