l’art. 103 comma 6 del D.L. 18/2020 ha previsto che “l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020”.
La disposizione interviene nell’ambito di un provvedimento legislativo che ha, invece, sospeso l’attività giudiziale e i termini sostanziali e processuali sino al 15 aprile 2020, quindi con una evidente discrasia, la cui ratio non appare percepibile.
La formulazione letterale della norma impone di ritenere che tale bizzarra previsione si applichi unicamente all’attuazione in forma esecutiva di provvedimenti giudiziali (sfratti, sentenze, provvedimenti d’urgenza) e ne siano esclusi i provvedimenti stragiudiziali (ad esempio i verbali di mediazione).
Allo stesso modo la formulazione assolutamente generica ed onnicomprensiva comporta che debba ritenersi applicabile ad ogni forma di locazione (abitativa e uso diverso/commerciale) nonché a qualunque provvedimento di rilascio, quale che sia la causa che l’ha determinato (finita locazione, morosità o altro).
La prima riflessione, metagiurudica, è che in questo modo il locatore che ha ottenuto provvedimento di sfratto per morosità (in data anteriore al 9 marzo 2020) non potrà metterlo in esecuzione sino al 30 giugno 2020, periodo nel quale il conduttore, già moroso, potrà rimanere nell’immobile senza versare alcunché, così che le conseguenze economiche della crisi epidemica vengono fatte ricadere sic et simpliciter sul privato.
Sotto il profilo processuale – per coloro che hanno conseguito il titolo – deve ritenersi che sia consentito notificare il precetto (atto prodromico all’esecuzione) ma non il preavviso ex art 608 c.p.c. che già costituisce attuazione dell’esecuzione per rilascio.
Quanto all’efficacia del precetto (atteso il suo termine di efficacia di novanta giorni ex art 481 c.p.c.), a fronte della causa eccezionale di sospensione va sottolineato il dettato letterale (rectius, universale) dell’art. 83 comma 2 D.L. 18/2020: ” Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 e’ sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso e’ differito alla fine di detto periodo.”
Appare ragionevole sostenere che il provvedimento sospensivo di cui all’art. 83 D.L. 18/2020 possa ritenersi applicabile anche al termine di efficacia del precetto (ove quel termine si collocasse fra il 17 marzo e l’11 maggio 2020), sì che alla data del 30 giugno p.v. quel termine riprenderà a decorrere (argomentando da Cass. civ. III, 23.6.1997 n. 5577: ” Il termine di efficacia del precetto, previsto dall’art. 481, comma 1, c.p.c. rimane sospeso (non solo se contro lo stesso è proposta opposizione ma) anche qualora sopravvenga una norma – nella specie: art. 2, d.l. 24 settembre 1986 n. 579, non conv. in legge – che disponga una proroga dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili”).
La bizzarra produzione normativa di questo periodo impone di effettuare interpretazioni ad horas, poiché i differimenti e le novità sono continue: ad oggi pare preannunciato un differimento ex officio di tutte le udienze alla data dell’11 maggio p.v., di talchè deve ritenersi che non si terranno sino a quel momento udienze di convalida di sfratto; resta tuttavia da considerare che, ove il 12 maggio 2020 riprenda l’attività giudiziale e non venga modificata la disposizione sulla sospensione della esecuzione dei provvedimenti di rilascio di cui all’art. 103 D.L. 18/2020, anche il giudice dovrà attenersi a tale precetto nel fissare la data del rilascio a mente dell’art. 56 L. 392/1978; comunque, ove ciò non accada, il locatore non possa mettere in esecuzione il provvedimento, prima del termine del 30 giugno 2020.
La Suprema Corte (Cass.civ. sez. III 19 luglio 2019 n. 19522) chiarisce che, dopo il primo rinnovo che avviene automaticamente laddove non vi ia disdetta motivata da parte del locatore, non può darsi rinnovo tacito del contratto in assenza di disdetta ove nel frattempo alcune quote del bene risultino essere state pignorate.
i fatti: “Con sentenza resa in data 10/10/2016 la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’impugnazione proposta da P.A. e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda avanzata da D.A.N.F. per l’accertamento della cessazione del contratto di locazione stipulato tra i comproprietari (il D.A. per la quota del 50%, e M.M. e Mo.Ma. per le quote del 25% ciascuno), quali locatori, e P.A. , quale conduttore. 2. A fondamento della decisione assunta, la corte d’appello ha evidenziato come il contratto in esame fosse stato concluso tra le parti in data 1/6/2003, con previsione di rinnovo quadriennale automatico in assenza di tempestiva disdetta. 3. Nel corso del rapporto, più volte rinnovatosi, le quote di comproprietà spettanti a M.M. e Mo.Ma. erano state sottoposte a pignoramento e, conseguentemente, il D.A. aveva agito in giudizio al fine di far rilevare l’intervenuta automatica cessazione del rapporto per la successiva scadenza del 31/5/2015, non essendo intervenuta l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per la rinnovazione della locazione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c.. 4. Peraltro, il D.A. aveva altresì provveduto a manifestare tempestivamente la propria volontà di negare l’automatico rinnovo del contratto alla scadenza del 31/5/2015.”
la disamina di legittimità: “secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione, ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 28 e 29, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dell’art. 560 c.p.c., comma 2 (Sez. U, Sentenza n. 11830 del 16/05/2013, Rv. 626185-01).
In coerenza a tale premessa, si è quindi ritenuto (sempre in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo) che la rinnovazione tacita del contratto alla seconda scadenza contrattuale, a seguito del mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di disdetta (non motivata) del rapporto ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 28, comma 1, costituisce una libera manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile locato eseguito in data antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della menzionata facoltà da parte del locatore, la rinnovazione della locazione necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione prevista dall’art. 560 c.p.c., comma 2 (Sez. 3, Sentenza n. 11168 del 29/05/2015, Rv. 635497-01).
In forza di tali premesse, è agevole concludere che, nel caso di specie, in corrispondenza del terzo rinnovo della locazione – e quindi in situazione di libera disponibilità del termine di scadenza contrattuale -, sopravvenuto il pignoramento delle quote di proprietà dei M. , il mancato intervento di alcuna autorizzazione del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., deve ritenersi tale da aver determinato l’automatica cessazione di efficacia del contratto, poiché la comune volontà dei comproprietari locatori, in ipotesi diretta a consentirne l’eventuale rinnovazione, si sarebbe dovuta necessariamente formare (vieppiù a fronte del dissenso alla rinnovazione dell’unico comunista in bonis) previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione.
In tal senso, nessun rilievo può essere ascritto al mero dissenso manifestato stragiudizialmente dai M. in ordine alla gestione della cosa comune operata dal D.A. , atteso che l’unica modalità possibile per l’(eventuale) impedimento della definitiva scadenza della locazione (voluta dal D.A. ) sarebbe stata quella di adire, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione ex art. 560 c.p.c., il giudice della comunione (ex art. 1105 c.c.) allo scopo di provocare un’eventuale (ma solo possibile) decisione diversa da quella in concreto fatta propria dal D.A.
Allo stesso modo, nessun rilievo può essere attribuito (al prospettato fine di far rivivere, a seguito dell’intercorsa estinzione della procedura esecutiva, il contratto di locazione nelle more definitivamente cessato) alla previsione dell’art. 632 c.p.c. (che sancisce l’inefficacia degli atti compiuti, là dove l’estinzione del processo esecutivo si verifichi prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione dei beni staggiti), non essendo stato nella specie propriamente compiuto alcun atto della procedura in ipotesi destinato a determinare la cessazione dell’efficacia del contratto di locazione (e di cui predicare l’eventuale inefficacia ai sensi dell’art. 632 c.p.c.) e dovendo in ogni caso ritenersi (in forza di un elementare principio di certezza delle situazioni giuridiche sostanziali) che l’estinzione del procedimento esecutivo non valga a comportare l’inefficacia degli atti ritualmente posti in essere nel corso del processo esecutivo, là dove dal relativo compimento sia eventualmente derivata la legittima attribuzione di diritti in favore di terzi.”
un interessante provvedimento del Tribunale Massa 1 agosto 2018 (est. Maddaleni) definisce l’ambito del potere di intervento del Presidente del collegio in ordine alla sospensione dell’efficacia del provvedimento cautelare oggetto di reclamo.
La pronuncia è cristallina e non richiede ulteriore commento:
“Poiché la misura inibitoria prevista dall’art. 669 terdecies, comma 6, c.p.c. è connotata dalla precipua funzione di impedire l’esecuzione del provvedimento reso in prime cure e impugnato con il reclamo cautelare, è inammissibile l’istanza di sospensione dell’esecuzione del provvedimento concessivo di una misura cautelare investito del reclamo, qualora il provvedimento della cui sospensione si tratta sia stato eseguito, risultando, in tal caso, la misura interinale invocata priva di concreto significato né potendosi, peraltro verso, ordinare la remissione in pristino di ciò che è stato eseguito, non potendosi ricavare dalla citata disposizione la sussistenza in capo al giudice di un siffatto potere conformativo.
Argomenti di ordine letterale e sistematico militano a sostegno della prospettazione ricostruttiva secondo cui, con la locuzione “motivi sopravvenuti”, contenuta nell’art. 669 terdecies, comma 6, c.p.c., il legislatore abbia inteso postulare il riferimento a motivi radicati su fatti successivi all’adozione del provvedimento investito del reclamo. Quanto all’argomento letterale, l’adozione del sintagma “motivi sopravvenuti” in luogo di altri, quali “motivi nuovi” o “motivi non in precedenza valutati”, è indice della volontà dei compilatori di radicare il potere presidenziale di sospensione del provvedimento oggetto di reclamo, in via esclusiva, ai motivi fondati su fatti verificatisi successivamente all’adozione del provvedimento reclamato. Per quanto concerne il dato sistematico, poiché il subprocedimento che conduce all’adozione della misura inibitoria de qua deroga a due principi generali sui quali è imperniato il modello del procedimento cautelare uniforme – id est l’immediata esecutività dei provvedimenti cautelari, per loro stessa natura urgenti, nonché la collegialità della decisione sul reclamo – tale fase incidentale non può risolversi in un improprio vaglio anticipato circa la correttezza del provvedimento impugnato, ontologicamente rimesso al collegio, ma si connota, piuttosto, per l’apprezzamento di una situazione di urgenza, derivante da fatti sopravvenuti alla decisione gravata, incompatibile con i tempi necessari per la definizione del reclamo.”
Una recente pronuncia della Suprema Corte torna su un tema discusso in dottrina e giurisprudenza, ovvero la natura soggettiva del Condominio, sostenendo l’obbligo di notificare al condomino, nei cui confronti si voglia procedere in via esecutiva, il decreto ingiuntivo ottenuto nei conforti del Condominio.
Il contenuto di Cassazione civile, sez. VI, 29/03/2017 n. 8150 risulta tuttavia di deciso interesse anche e soprattutto per le riflessioni in ordine alla natura giuridica del Condominio, dalla quale la Corte trae il condivisibile principio affermato.
Appare davvero peculiare il percorso giurisprudenziale che da una trentina d’anni conduce la giurisprudenza a riconoscere al Condominio caratteristiche ibride di soggetto collettivo imperfetto, spesso indicato quale ente di gestione (definizione oggetto di approfondita critica dalla nota Cass. SS.UU. 9148/2008, che effettuò una ricostruzione sistematica accuratissima della natura del Condominio, per pervenire alla tesi della parziarietà della obbligazione condominiale) o comunque quale soggetto collettivo imperfetto, una sorta di chimera giuridica dai contorni incerti e dalla natura mai definita dal legislatore che – anche con la riforma del 2012 – ha seminato tracce di soggettività autonoma in diverse norme (art. 1129 e 1130 bis cod.civ.), senza tuttavia pervenire ad una precisa ed univoca individuazione del fenomeno condominiale.
La vicenda trae origine dalla impugnazione di una sentenza del Tribunale di Roma, resa in giudizio di opposizione a precetto: “La sentenza impugnata si è consapevolmente discostata dai principi di diritto già affermati da questa Corte, con sentenza n. 1289 del 2012 e con ordinanza n. 23693/2011, non massimate, ai quali si ritiene invece debba essere data continuità. Denunciando violazione dell’art. 479 c.p.c., e art. 654 c.p.c., comma 2, nonchè vizi di motivazione, la ricorrente afferma che – qualora si voglia agire esecutivamente nei confronti di un singolo condomino in forza di decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del Condominio occorre che il titolo esecutivo sia notificato al condomino esecutato, essendo il principio di cui all’art. 654 cit.,secondo comma, secondo il quale ai fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto ingiuntivo, applicabile solo nei confronti dell’ingiunto.”
L’art. 654 c.p.c. prevede che “L’esecutorietà non disposta con la sentenza o con l’ordinanza di cui all’articolo precedente è conferita con decreto del giudice che ha pronunciato l’ingiunzione scritto in calce all’originale del decreto di ingiunzione. Ai fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto esecutivo; ma nel precetto deve farsi menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula”
Si tratta di norma che riguarda il decreto non provvisoriamente esecutivo (quindi fattispecie diversa dal decreto ottenuto per le quote condominiali, che è esecutivo ex lege in forza dell’art. 63 disp.att. cod.civ. ): in tal caso il legislatore prevede che, decorso il termine di quaranta giorni senza che sia stata proposta opposizione, il decreto diviene definitivo e il creditore può ottenere formula esecutiva, potrà poi procedere alla notifica del precetto e alla successiva esecuzione senza necessità di notificare nuovamente il titolo.
La Corte correttamente osserva che tale principio può valere solo ove vi sia identità fra soggetto ingiunto e destinatario della esecuzione, ritornando – per il vero in maniera decisamente apodittica – sulla natura della condominio: un soggetto ibrido, autonomo rispetto ai condomini ma dalla soggettività imperfetta; il condomino diviene poi un soggetto diverso dall’ingiunto Condominio, seppur responsabile dei debiti di lui.
La distanza concettuale dalle sezioni unite del 2008 appare geologica, laddove allora la Corte affermava: “le ragguardevoli diversità della struttura dimostrano la inconsistenza del ripetuto e acritico riferimento dell’ente di gestione al condominio negli edifici. Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti…rilevato, infine, che – in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità – l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote”
Nella pronuncia odierna la Corte utilizza definizioni che sottendono istituti ben diversi: “Il Condominio è soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorchè si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l’art. 654, comma 2, è da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato.
Qualora il creditore intenda far valere la responsabilità patrimoniale di un soggetto diverso dall’ingiunto – pur se in ipotesi responsabile dei debiti di lui – a cui il titolo esecutivo non sia stato mai notificato, la norma dell’art. 654, comma 2, è da ritenere inapplicabile, dovendosi sempre riconoscere al soggetto passivo dell’esecuzione il diritto di avere notizia e piena cognizione della natura del titolo in forza del quale si procede nei suoi confronti. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto che l’amministratore abbia la rappresentanza dei singoli condomini ed, in quanto tale, sia legittimato a ricevere la notificazione di atti con effetti immediatamente riconducibili ai condomini.
In caso di titolo esecutivo giudiziale, formatosi nei confronti dell’ente di gestione condominiale in persona dell’amministratore e azionato nei confronti del singolo condomino quale obbligato pro quota, la notifica del precetto al singolo condomino, ex art. 479 c.p.c., non può prescindere dalla notificazione, preventiva o contestuale, del titolo emesso nei confronti dell’ente di gestione.
Se infatti una nuova notificazione del titolo esecutivo non occorre per il destinatario diretto del decreto monitorio nell’ipotesi di cui all’art. 654 c.p.c., comma 2, detta notificazione, invece, è necessaria qualora si intenda agire contro il singolo condomino, non indicato nell’ingiunzione ma responsabile pro quota della obbligazione a carico del condominio. Costui, invero, deve essere messo in grado non solo di conoscere qual è il titolo ex art. 474 c.p.c., in base al quale viene minacciata in suo danno l’esecuzione, ma anche di adempiere l’obbligazione da esso risultante entro il termine previsto dall’art. 480 c.p.c.”
Risulta a tal proposito interessante anche l’esame delle due sentenze oggi richiamate dalla Corte e relative allo stesso problema: se sotto il profilo processuale è condivisibile la tesi che il condomino non possa vedersi esecutato in forza di un titolo che è stato notificato ad altri e che potrebbe non conoscere, non può rilevarsi che la Corte – in tutte tre le occasioni – lascia impregiudicata sia la questione della natura giuridica del Condominio e della sua soggettività, sia le facoltà riconosciute al singolo verso quel titolo al momento della notificazione.
Cass. 1289/2012 osservava che “Posto che nel caso in esame l’opponente non pone in questa sede la questione se il titolo esecutivo giudiziale, intervenuto nei confronti dell’ente di gestione condominiale in persona dell’amministratore prò tempore, possa essere validamente azionato nei confronti del singolo condomino quale obbligato solidale (questione che, secondo Cass. Sez. Un., n. 9148/2008, è ormai definitivamente risolta nel senso che, esclusa la solidarietà, la responsabilità del condomino è solo parziale in proporzione alla sua quota, anche nel rapporti esterni), osserva, tuttavia, questa Corte che, anche sotto l’erroneo presupposto che il titolo esecutivo ottenuto contro il condominio possa essere fatto valere in executivìs contro il singolo condomino quale preteso obbligato in solido, il precetto, intimato a tal fine allo stesso condomino, non avrebbe comunque potuto prescindere dalla notificazione, preventiva o contestuale, del decreto ingiuntivo emesso nei confronti dell’ente di gestione, ancorchè detta ingiunzione fosse risultata del tipo ex art. 654 c.p.c., comma 2. E’ di tutta evidenza, infatti, che, se una nuova notificazione del titolo esecutivo non occorre per il destinatario diretto del decreto monitorio nell’ipotesi di cui all’art. 654 c.p.c., comma 2, detta notificazione, invece, è necessaria qualora si intenda agire contro soggetto, non indicato nell’ingiunzione, per la pretesa sua qualità di obbligato solidale. Costui, invero, deve essere messo in grado non solo di conoscere qual è il titolo ex art. 474 c.p.c., in base al quale viene minacciata in suo danno l’esecuzione, ma anche di adempiere l’obbligazione da esso risultante entro il termine previsto dall’art. 480 c.p.c.”
Cass. 23693/2011 appare invece del tutto coincidente con l’attuale pronuncia: “Il Condominio e’ soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorche’ si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l’art. 654, comma 2, e’ da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato. Qualora il creditore intenda far valere la responsabilita’ patrimoniale di un soggetto diverso dall’ingiunto – pur se in ipotesi responsabile dei debiti di lui – a cui il titolo esecutivo non sia stato mai notificato, la norma dell’art. 654, comma 2, e’ da ritenere inapplicabile, dovendosi sempre riconoscere al soggetto passivo dell’esecuzione il diritto di avere notizia e piena cognizione della natura del titolo in forza del quale si procede nei suoi confronti. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto che l’amministratore abbia la rappresentanza dei singoli condomini ed, in quanto tale, sia legittimato a ricevere la notificazione di atti con effetti immediatamente riconducibili ai condomini. L’amministratore ha la rappresentanza del Condominio, non dei singoli condomini e, si ripete, si tratta di soggetti – ovverosia di centri di imputazione di rapporti giuridici – autonomi e diversi l’uno rispetto all’altro; pur se, agli effetti della responsabilita’ patrimoniale, i condomini possono essere chiamati a rispondere dei debiti del Condominio (entro i limiti delle rispettive quote: infra,par. 5).”
L’effettiva natura del Condomino resta irrisolta, mentre appare il presupposto logico e sistematico per dare definitiva soluzione a numerosissime questioni sostanziali e processuali.
La tesi del soggetto giuridico imperfetto appare invece un ibrido di cui non si sentiva la necessità, poiché lascia di volta in volta aperta all’interpretazione del giudice, investito delle singole questioni di merito, la qualificazione soggettiva del fenomeno condominiale.
Non vi è dubbio, tuttavia, che le pronunce segnalate possano costituire le tappe intermedie di un percorso interpretativo che conduca nel breve periodo ad una più completa definizione sistematica della materia (cui ben avrebbe potuto e dovuto attendere il legislatore del 2012).
Lo afferma il Tribunale di Grosseto con una sentenza recentissima (7 giugno 2016).
Il Tribunale toscano osserva che il D.lgs. 28/2010 prevede che il procedimento monitorio, anche per le materie in cui l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità, sia svincolato dall’obbligo iniziale di integrare detta condizione.
In ambito condominiale, le esigenze di celerità e di corretta amministrazione che costituiscono la ratio dell’art. 63 disp.att. cod.civ., consentono di ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (e così l’ingiunto potrà proporre opposizione) senza alcun obbligo preventivo di mediazione, almeno sino alla fase di decisione cautelare sulla sospensione o meno della provvisoria esecutorietà.
Esaurita la fase preliminare ed emanati in sede di opposizione i provvedimenti sulla eventuale sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, la controversia assume una naturale connotazione di procedimento di merito sulla pretesa creditoria avanzata dal condominio che, pur assumendo nel giudizio di opposizione veste formale di convenuto, rimane l’attore sostanziale del procedimento (ovvero colui che aziona la pretesa creditoria).
L’opponente potrebbe a sua volta, in quella sede, avanzare domande ulteriori che assumono natura riconvenzionale, pur avendo a sua volta veste formale di attore (in opposizione).
L’onere di proporre la mediazione, esaurite le fasi preliminari, incombe dunque all’attore sostanziale e, laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, anche all’ingiunto che propone opposizione.
Ove nessuno dei due si attivi, afferma il Tribunale toscano, il giudice dovrà dichiarare l’improcedibilità della domanda (statuizione che chiude il procedimento, ma non incide sull’azione che può essere successivamente proposta con nuova domanda) e tale sanzione dovrà travolgere sia il giudizio di opposizione che il provvedimento monitorio.
La tesi non è pacifica in giurisprudenza e ha visto, anche di recente, orientamenti opposti ( Tribunale Vasto )
un importante principio espresso da una recentissima sentenza della Suprema Corte (Cass.civ. III sez. 22 giugno 2016 n. 18277)
“le spese necessarie alla conservazione stessa dell’immobile pignorato e cioè le spese indissolubilmente finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza dell’immobile pignorato (con esclusione quindi delle spese che non abbiano un’immediata funzione conservativa dell’integrità del bene, quali le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria o gli oneri di gestione condominiale) in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della procedura di espropriazione forzata essendo intese a evitarne la chiusura anticipata, sono comprese tra le spese per gli atti necessari al possesso che ai sensi dell’articolo 8 del Dpr 30 maggio 2002 n. 115, il giudice dell’esecuzione può porre in via di anticipazione a carico del creditore procedente. Tali spese dovranno essere rimborsate come spese privilegiate ex articolo 2770 cc al creditore che le abbia corrisposte in via di anticipazione, ottemperando al provvedimento del giudice dell’esecuzione che ne abbia disposto l’onere a suo carico”
Non certo una buona notizia per quei condominii che, avviata l’azione esecutiva contro il condomino inadempiente, si vedranno costretti a gravarsi delle spese in corso di procedura.
E’ pur vero che per le spese straordinarie dovrebbe essere costituito il fondo speciale previsto dall’art. 1135 cod.civ.; è tuttavia noto che le vicende di tale fondo, a fronte della inopponibilità della sua destinazione a terzi e della pacifica pignorabilità del conto riconosciuta da molti giudici della esecuzione, non sempre e non con matematica certezza garantiscono il condominio da amare sorprese.