si conferma fra i giudici di merito l’orientamento che il difetto di formazione periodica non costituisca motivo di nullità della nomina ma, al più, ove ne rivesta i requisiti per continuità e gravità, motivo di revoca.
Parrebbe allontanarsi dunque la lettura rigorista e, al momento, isolata espressa – invero immotivatamente – da un Tribunale veneto a da talune associazioni che hanno veicolato in maniera frettolosa (e fors’anche utilitaristica) un tesi che non pare trovare sostegno nel testo normativo.
la Corte d’appello di Venezia, con decreto 26 ottobre 2018 n. 3399 ha respinto la domanda di taluni condomini, osservando come l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. non preveda affatto la cessazione dall’incarico ove vengano meno i requisiti formativi.
si tratta di lettura ancorata al dato letterale e che appare condivisibile, attenderemo di conoscere dalla giurisprudenza di legittimità se la nullità debba ascriversi a principi generali in tema di norme a rilevanza pubblica, anche se parrebbe singolare desumere una simile conseguenza interpretativa a fronte di una norma che, chiaramente e specificamente, indica ben precise ipotesi di cessazione e non connette invece specifica sanzione all’inadempimento riguardo gli obblighi di formazione periodica.
L’amministratore che non adempie al dovere di formazione periodica ex art 71 bis disp.att. cod.civ. e dm 140/2014 è semplicemente revocabile.
La tesi è stata ribadita dai giudici meneghini (Trib. Milano sez. XIII 27 marzo 2019 n. 3145), con una motivazione assai sintetica e che omette di affrontare il vero aspetto della questione.
La legge 220/2012 ha introdotto l’art. 71 bis disp.att. cod.civ., norma che – fra i requisiti indispensabili per svolgere l’incarico di amministratore – ha indicato una serie di caratteristiche soggettive, fra le quali l’assenza di condanne per alcuni tipi di reati, l’assenza di protesti, il godimento dei diritti civili e politici, la capacità di agire (sic!).
Il legislatore ha ritenuto che il venir meno di uno di tali requisiti (previsti dalle lettere a/e della norma) comportasse la cessazione ipso iure dall’incarico, sì che ciascun condomino avrebbe potuto prendere l’iniziativa per la nomina di un nuovo amministratore.
In tal caso , aldilà della categoria giuridica a cui si vuol ascrivere la conseguenza prevista dalla norma, il precetto è chiaro e comporta una conseguenza non fraintendile.
La norma prevede poi alla lettera F l’obbligo di formazione iniziale e periodica, norma talmente infelice nella sua generica formulazione , che si è dovuto provvedere con un successivo – ancor più infelice – decreto di attuazione (DM 140/2014) per stabilire i parametri obbligatori di formazione dell’amministratore di condominio.
Se da molte parti, anche assai autorevoli, si è a più riprese sostenuto che il legislatore del 2012 non abbia brillato per chiarezza ed efficacia, v’è da dire che con le norme sulla “professionalizzazione ” dell’amministratore ha certamente dato il peggio di sé, a cui è seguito il peggio di taluni lettori interessati.
Talune associazioni, che hanno visto nel fenomeno della formazione obbligatoria più un lucroso business che una vera opportunità di crescita, hanno immediatamente dato della norma una lettura rigidissima (aggiungendovi il bislacco computo dei termini obbligatori dal 9 ottobre di ciascun anno), avvallati in questo da una discutibilissima sentenza (rectius, un postulato) del Tribunale di Padova.
Non è tuttavia mancata autorevole dottrina che ha ritenuto le norme sulla formazione volte a garantire un interesse pubblico e diffuso alla corretta gestione del patrimonio immobiliare, da ascriversi pertanto al rango di norme imperative, sì che la loro violazione darebbe comunque luogo a nullità della nomina del soggetto che non adempie agli obblighi formativi anche se l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. non prevede alcun specifica conseguenza, poiché ciò deriverebbe (con una conclusione che a chi scrive pare poco condivisibile) dai principi generali dell’ordinamento.
Una recentissima e ragionevole pronuncia del Tribunale di Verona si richiama al noto principio dell’ubi lex voluti, dixit: l’amministratore che non adempie agli obblighi formativi, in mancanza di espressa sanzione prevista dalla legge, commettere irregolarità che dovrà essere valutata dal giudice, per importanza e frequenza, ai fini della eventuale revoca.
Con buona pace di tante cassandre e di tanti incalliti formatori seriali, sorti come i prataioli all’indomani di una serata uggiosa, che avevano trovato il proprio manifesto ideologico nella sentenza padovana.
Più attenta riflessione merita invece l’autorevole pensiero che richiama il rilievo pubblicistico della normativa primaria (di cui il decreto attuativo 140/2014 sarebbe norma integrativa), anche se allo stato paiono più pertinenti e preferibili le indicazioni che emergono dalla recente sentenza scaligera; certo è tema che, aldilà delle sterili dispute da associazione, potrà in diritto trovare adeguata stabilità nel momento in cui il tema approderà in sede di legittimità.
Per il momento può tuttavia essere assai interessante leggere le motivazioni di Trib. Verona 11 novembre 2018 n. 2515 Giudice unico dr. Vaccari, il quale osserva che la domanda “va qualificata, più correttamente, come domanda di declaratoria di nullità della sua nomina, per effetto della prospettata invalidità della delibera impugnata atteso che la domanda di revoca dell’amministratore di condominio avrebbe dovuto essere introdotta con un apposito procedimento camerale, di competenza del Tribunale collegiale…
L’assunto attoreo si fonda su un unico precedente di merito che ha ritenuto che la mancata frequentazione da parte dell’amministratore del corso di aggiornamento annuale sia causa di nullità della delibera che lo ha nominato, evidentemente con riguardo al suo oggetto, per contrasto con l’art. 71 bis, lett. g) disp. att. c.c., da considerarsi come norma imperativa.
Tale impostazione però, ad avviso di questo giudice, non è condivisibile perché non tiene conto dell’intera disciplina rilevante nel caso di specie e il cui esame conduce ad una conclusione opposta alla predetta.
E’ opportuno rammentare infatti che l’art.1129, comma 12, c.c. elenca una serie di ipotesi tipiche di gravi irregolarità giustificanti la revoca dell’amministratore condominiale che consistono in condotte omissive del medesimo, successive o contestuali alla sua nomina (queste ultime sono menzionate nel n. 8 della norma sopra citata). Il comma 14 cita poi una ipotesi di nullità della nomina dell’amministratore consistente nella mancata specificazione, al momento di essa o del suo rinnovo, dell’entità del compenso richiesto.
Orbene, da tale previsione può evincersi che, quando il legislatore ha inteso sanzionare con la nullità della delibera di nomina dell’amministratore l’omissione di alcuni adempimenti connessi all’assunzione dell’incarico di amministratore condominiale, lo ha affermato espressamente e quindi che ulteriori ipotesi di nullità, quale conseguenza dell’inadempimento di altri doveri, non possono essere ricavate in via interpretativa.
Tali inadempimenti, specie se protratti nel tempo, possono invece integrare le gravi irregolarità che giustificano la revoca dalla carica oltre che essere fonte di responsabilità per l’amministratore inadempiente. “
Che l’amministratore sia una figura che svolge attività complessa ed eterogenea, che spazia in numerose discipline debba essere un professionista formato e preparato è è oggi fuor di dubbio, che la preparazione non si raggiunga attraverso taluni metodi formativi industriali ove alla cultura si è sostituito tutto quanto passa il convento è oggi altrettanto certo. Ci si forma studiando e seguendo corsi seri con docenti qualificati, non mettendo timbri su libretti che vanno da ottobre ad ottobre nè (in)seguendo giostre da 15 ore…
Pare che vi sia allo studio un progetto di riforma della professione di amministratore. La speranza è che il legislatore attuale sia un pò meno approssimativo di quello del 2012.
Le norme sulla formazione degli amministratori di condominio (introdotte dalla L. 220/2012 che ha aggiunto alle disposizioni di attuazione l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. e integrate con la successiva emanazione del Dm 140/2014 che ha definito i contenuti di una norma attuativa assolutamente generica) hanno destato più di una perplessità e molte critiche fra gli operatori del settore.
Di recente, a tal proposito, è stata posta interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia:
“Atto n. 4-05984
Pubblicato il 21 giugno 2016, nella seduta n. 641
BOTTICI , BERTOROTTA , PUGLIA , DONNO , MANGILI , CAPPELLETTI , GIARRUSSO , MORONESE , LEZZI , PAGLINI , SANTANGELO , MONTEVECCHI , TAVERNA – Al Ministro della giustizia. – Premesso che: la legge n. 220 del 2012, recante “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”, cosiddetta ” riforma del condominio”, ha previsto che gli amministratori, che non siano scelti tra gli stessi condòmini, debbano frequentare annualmente dei corsi di aggiornamento; il decreto-legge n. 145 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, ha rimandato per la concreta applicazione della citata previsione all’adozione da parte del Ministero della giustizia di un apposito regolamento; tale regolamento è stato adottato tramite decreto ministeriale n. 140 del 13 agosto 2014, entrato in vigore il 9 ottobre 2014; a giudizio degli interroganti, le norme contenute nel suddetto decreto ministeriale appaiono eccessivamente generiche e rispetto ad esse il Ministero della giustizia, ad intermittenza, decide se rispondere o meno alle questioni interpretative sottoposte alla sua attenzione; considerato che, risulta agli interroganti: il Dicastero della giustizia avrebbe risposto ad alcuni chiarimenti richiesti da Confedilizia, mentre avrebbe declinato a mezzo Pec (posta elettronica certificata) le richieste pervenute dall’Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) affermando, a giudizio degli interroganti incredibilmente, che esso non rilascia alcun chiarimento applicativo sul tema in questione; come avrebbe denunciato la citata associazione dei consumatori, alcuni operatori del settore della formazione professionale degli amministratori condominiali, sfruttando malamente la nota ministeriale, svolgerebbero corsi di formazione contrari ai dettami impartiti dal decreto ministeriale n. 140 del 2014, consentendo di sostenere gli esami in modalità telematica, cosa questa assolutamente vietata dal predetto regolamento, in virtù dell’art. 5 del decreto stesso; inoltre, a giudizio degli interroganti, l’assenza di controlli e sanzioni rende difficile il rispetto delle norme, nonché la conseguente sanzione da applicare nei confronti di pratiche scorrette e comunque illegittime, si chiede di sapere se, alla luce dei fatti esposti in premessa, il Ministro in indirizzo intenda intervenire con l’emanazione di linee guida, che chiariscano i principali aspetti problematici derivanti dall’applicazione del decreto ministeriale n. 140 del 2014 o se intenda prevedere modifiche allo stesso, al fine di emendare le lacune e le incertezze contenute e generate dal decreto stesso”.
E’ davvero è un paese ben strano quello in cui si emana una norma di legge attuativa che richiede un regolamento ministeriale per essere compresa che, sua volta, richiede delle linee guida per essere interpretato…
La figura dell’amministratore condominio ha oggi connotazioni normative del tutto nuove, sconosciute al codice del 1942.Un ruolo che allora era indefinito quanto a forma e caratteristiche è stato disegnato dalla L. 220/12 e dalla L. 4/2013, che hanno profondamente inciso sulle caratteristiche necessarie per svolgere l’incarico. L’art. 71 bis disp.att. cod.civ., introdotto dalla legge 220/2012 disciplina i requisiti per lo svolgimento dell’incarico, mentre la L. 4/2013 prevede quelli richiesti per esercitare in forma professionale l’attività.
Le due normative non brillano per coordinamento e lasciano profonde perplessità, poiché introducono parametri simili ma non del tutto coincidenti.
Senza dubbio il legislatore di questi anni ha inteso riconoscere all’amministratore una valenza sociale e una rilevanza significativa quale strumento di tutela di interessi diffusi, pretendendo da una figura destinata al compito delicatissimo e complesso di gestire una rilevante componente del patrimonio immobiliare nazionale parametri di affidabilità e professionalità che travalicano il mero rapporto privatistico che intercorre con i condomini che gli conferiscono l’incarico. Vi è così chi ha letto nella normativa in vigore la caratteristica di norma imperativa, estendendo tale natura non solo alle previsioni a sicura valenza pubblicistica che regolano lo svolgimento della professione ma anche alle disposizioni contenute nell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., così che per alcuni interpreti la mancanza dei requisiti dettati dal codice civile comporterebbe nullità della nomina per contrarietà a norme imperative e – per alcuni lettori estremi – anche nullità di tutti gli atti compiuti dall’amministratore che dovesse trovarsi a svolgere l’incarico in assenza di tali requisiti.
Taluno ha richiamato anche la c.d. nullità di protezione che deriverebbe dall’art. 36 del c.d. codice del consumo, tesi che avrebbe peraltro possibile applicazione solo ove il l’amministratore abbia dolosamente occultato l’assenza dei requisiti e non ove l’assemblea abbia deliberatamente accettato quella assenza
La lettura, non priva di suggestioni, rischia però di diventare estrema e di apparire poco legata al dato testuale; soprattutto il richiamo ad un vizio grave e radicale come la nullità introduce conseguenze assai gravi e dagli esiti imprevedibili, cosicchè è necessario attendere ad una disamina diversa e più ponderata da parte di chi pretenda di porsi dalla parte dell’amministratore, che ha di recente e finalmente trovato una normativa che – seppur assai perfettibile – finalmente ne riconosce il ruolo e la professionalità.
Appare del tutto plausibile che l’amministratore di condominio debba rispondere a parametri che travalicano il mero interesse civilistico ed assicurano alla collettività che quella figura sia rivestita da un soggetto che garantisce affidabilità professionale, patrimoniale e personale. L’intero impianto della L. 4/2013 modula la figura dell’amministratore professionista su parametri astrattamente riconducibili alle professioni ordinistiche, con controlli a natura pubblicistica su formazione, onorabilità, tutela del consumatore, aggiornamento, ovvero tutti quei parametri che paiono idonei a soddisfare interessi pubblici e diffusi che il legislatore mostra di voler tutelare. Si può discutere se il metodo scelto sia idoneo allo scopo, ma è indubitabile che la legge sulle professioni non ordinistiche sia volta a soddisfare quei parametri.
Tale normativa viene emanata nel gennaio 2013, a pochi mesi di distanza dalla legge 220/2012 che prescrive a sua volta parametri assai vincolanti anche per lo svolgimento dell’incarico; appare improbabile che il legislatore abbia manifestato così tanta schizofrenia – sovrapponendo normative inconciliabili – così che assimilare i due testi in una unica lettura a carattere pubblicistico potrebbe essere fuorviante: in realtà l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. prevede alcuni requisiti di onorabilità e alcuni requisiti culturali per svolgere l’incarico. L’uso del termine “svolgere” e non di quello “assumere” sembra spostare l’attenzione del legislatore sul momento di esecuzione della prestazione e non su quello genetico della stessa.
A ciò si aggiunga che la stessa norma prevede – per il solo venir meno dei requisiti soggettivi di onorabilità – il rimedio espresso della cessazione dall’incarico, mentre nulla prevede ove non sussistano quelli relativi alla formazione.
Se il rimedio della cessazione appare di lineare applicabilità ove i requisiti vengano meno durante lo svolgimento dell’incarico (condanna passata in giudicato, protesto cambiario, etc.) ci si chiede quali conseguenze comporti l’assenza di tali presupposti sin dal momento della nomina, ovvero in quei casi in cui l’assemblea intenda coscientemente nominare amministratore un soggetto che non risponde a tutti i parametri della norma.
Soccorre in tale senso autorevolissima dottrina (Bianca, Di MArzio) che afferma che la previsione contrattuale che violi norme imperative (ammesso che all’art. 71 bis disp.att. cod.civ. debba riconoscersi tale natura) non riconduce necessariamente all’applicazione rigida dell’art. 1418 cod.civ. in tema di nullità del contratto, poiché la stessa norma prevede che tale gravissimo vizio colpisca il contratto solo ove espressamente la legge lo preveda. Nello stesso solco interpretativo si pone un rilevante orientamento giurisprudenziale che ascrive alla c.d. nullità virtuale tale ipotesi: “in difetto di espressa previsione in tal senso (cd. “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità” Cass. 2394/2015
Il tema è complesso e richiede un approfondimento che travalica i limiti di queste riflessioni, tuttavia appare assai plausibile – alla luce degli orientamenti appena rammentati – una lettura che si discosti dalla tesi della nullità e si arresti al dato testuale della cessazione dall’incarico, tenuto conto che la stessa norma non ascrive la necessaria presenza di quei requisiti al momento genetico del rapporto ma al suo svolgimento, con il prodursi degli effetti della loro mancanza nel momento dell’adempimento e sul piano dell’efficacia e della responsabilità fra contraenti, categorie che anche sotto il profilo sistematico appaiono più pertinenti alla collocazione e connotazione civilistica della norma di attuazione.
Ne consegue che, se tale lettura ha un senso, la mancanza dei requisiti in capo all’amministratore sin dall’origine, lungi da introdurre pericolassime nullità (che potrebbe far valere, in ogni momento, chiunque vi abbia interesse, anche estraneo al condominio) al più legittimerebbe il condomino dissenziente a ricorrere al giudice per veder dichiarata l’inefficacia della nomina e dunque la cessazione dall’incarico dell’amministratore nominato in violazione, con eventuale ricorso all’art. 1105 cod.civ. ove non si riesca a nominarne altro. La sola assenza dei requisiti culturali, che il legislatore mostra di considerare di minor rilievo non ancorando alla loro mancanza alcuna sanzione diretta e addirittura considerandoli superflui per il soggetto che amministri uno stabile in cui ha una proprietà, darebbe invece luogo a mera revoca ai sensi dell’art. 1129 cod.civ.
nel senso di una lettura non rigoristica della norma e della assenza di automatismi legati alla mancanza dei requisiti culturali si è di recente espresso il Tribunale di Genova
Guida per la formazione dell’amministratore. Prassi tecniche e giuridiche. Nel cd rom la normativa e la modulistica direttamente utilizzabile e modificabile
Il volume affronta tutti gli aspetti della materia condominiale, dai temi della proprietà e dei diritti reali, alle varie forme di condominio, alle parti comuni e alle innovazioni tecnologiche, all’assemblea, al riparto delle spese e al regolamento. Il testo approfondisce il ruolo dell’amministratore, completamente ridisegnato dalla recente riforma introdotta dalla L.220/2012 che, insieme alla L. 4/2013, ha reso l’amministratore un professionista che deve possedere specifici requisiti personali, di formazione e conoscere i nuovi adempimenti, analiticamente esaminati nel testo. Il libro è arricchito da un’ampia disamina degli interventi di innovazione tecnologica nei condominii con i relativi riferimenti tecnici e normativi essenziali, gli eventuali incentivi e detrazioni, i soggetti coinvolti nell’intervento. Viene trattato l’adeguamento dell’impianto TV al digitale terrestre e la distribuzione del segnale satellitare, la fibra ottica applicata al trasporto di TV e quello della videosorveglianza, elemento fondamentale per la sicurezza del condominio. Viene affrontato inoltre il tema dell’efficienza energetica, oggi di grande attualità, che spesso comporta opere di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e presuppone la conoscenza delle opportunità di intervento sul sistema “edificio-impianto”. Il testo, pur con ampia disamina e frequenti richiami giurisprudenziali, si propone come un’agile guida operativa per l’amministratore professionista che è obbligato dalle nuove norme ad un continuo e costante aggiornamento ed approfondimento.