condominio: aumento delle unità e uso turnario dei posti auto

Una recente sentenza dei giudici romani (Trib. Roma sez. V 13/12/2019,n.23958) recepisce un principio già diffuso nella giurisprudenza di legittimità (l’uso turnario dei posti auto, laddove siano in misura non sufficiente a soddisfare le esigenze di tutti i condomini) e lo applica anche alle ipotesi in cui la carenza sia sopravvenuta all’aumento dei condomini, conseguente al frazionamento di unità immobiliari

“È a questo punto da considerare che il frazionamento non è vietato dal regolamento condominiale.

Vale ulteriormente precisare che il divieto di frazionamento, essendo una limitazione del diritto alla proprietà, deve necessariamente essere espresso e che il regolamento del condominio edilizio, solamente qualora rivesta natura c.d. contrattuale, ossia sia stato redatto dall’originario unico proprietario dell’edificio, sia stato fatto oggetto di trascrizione nei pubblici registri immobiliari e sia stato richiamato nei singoli atti di alienazione delle unità immobiliari, ovvero sia stato adottato con deliberazione assunta all’unanimità dei consensi dei componenti la collettività condominiale o, infine, sia effetto di accordo negoziale intervenuto tra tutti i condomini, in ragione di tali modalità formative, può validamente imporre limiti alle facoltà d’impiego ordinariamente spettanti al singolo condomino sui beni comuni o prevedere limiti alle forme d’utilizzo degli immobili oggetto di proprietà solitaria dovendosi escludere, in difetto del rispetto di tali condizioni, la validità e cogenza di eventuali restrizioni all’esercizio del diritto dominicale, di condominio ovvero individuale, aventi titolo in un testo regolamentare.

Ciò premesso, la questione cui si deve avere riguardo per la decisione è quella della perdurante validità, o meno, di una disciplina che, pur legittimamente emessa all’epoca, non sia più rispondente alla situazione di fatto modificatasi successivamente e quella della rilevanza dei frazionamenti che accrescono il numero delle unità immobiliari e, quindi, astrattamente dei possibili fruitori dei diritti condominiali.

È al riguardo da considerare che l’uso del posto auto è stata assegnato ai singoli condomini come concessione di natura personale – e non reale – senza alcuna implicazione riguardo alla quota millesimale di partecipazione sulle cose comuni.

Diverso sarebbe stato se l’autorimessa comune fosse stata divisa tra tutti i condomini in via definitiva con l’attribuzione del posto auto come proprietà individuale. L’attribuzione di un tale diritto avrebbe dovuto, tra l’altro, anche essere sottoscritta da tutti i condomini per il perfezionamento sotto il profilo formale, stante, com’ è noto, l’obbligo della forma scritta per tutti i trasferimenti.

Ne deriva che, in assenza di alcuna limitazione legale o convenzionale che vieti o limiti il frazionamento e quindi la proliferazione delle unità immobiliari, devono essere riconosciuti ai proprietari dei nuovi appartamenti, i quali concorrono anch’essi pro-quota negli oneri afferenti alle parti comuni, gli stessi diritti di cui godevano in precedenza tutti gli altri.

Il definitiva, proprio in ragione della mutata situazione di fatto, deve riconoscersi il diritto anche alla T.G. all’uso del posto auto e ciò proprio alla luce del principio che si richiama alla parità di tutti i condomini nell’uso della cosa comune sancito dall’art. 1102 c.c, – nel caso di specie nell’uso dello spazio comune, attraverso la suddivisione in più posti auto in modo turnario nel caso in cui il numero dei posti auto complessivo sia insufficiente a fronteggiare tutte le richieste – dovendo al riguardo essere considerato che l’art. 1102 c.c., stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro dirittoTale uso è specificamente disciplinato dall’articolo 26 del regolamento condominiale che, con specifico riguardo all’ipotesi in cui i posti auto siano inferiori rispetto al numero dei condomini, prevede espressamente la turnazione nel loro utilizzo.”

© massimo ginesi 16 gennaio 2020

il frazionamento di un’unità immobiliare non comporta necessariamente revisione dell’intera tabella millesimale.

E’ quanto ha statuito, aderendo ad una lettura intuitiva e non controversa, Cass.civ. sez. II  sent. 3 giugno 2019 n. 15109.

Ove il proprietario di una unica unità immobiliare proceda a frazionarla dividendola in due unità, resta immutato – salvo prova contraria, il cui onere compete alla assemblea –  il valore complessivo del bene, mentre le quote frazionarie dello stesso dovranno essere attribuite ai singoli titolari delle due unità derivate, compiendo una mera operazione algebrica.

Il frazionamento in oggetto ha determinato una diversa intestazione della quota millesimale, in precedenza attribuita ad un unico condomino ed ora suddivisa tra due, e ciò imponeva di adeguare le regole di gestione del condominio alla mutata situazione, mentre non ha inciso sulle tabelle millesimali, con la conseguenza che non sussistevano i presupposti di applicazione dell’art. 69 disp. att. c.c..

La norma citata, nel testo antecedente alla riforma attuata con la L. n. 220 del 2012, applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevede(va) la revisione dei valori tabellare in caso di errore o di sopravvenute modifiche strutturali che avessero notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano (tra le molte, Cass. 19/02/1999, n. 1408, anche richiamata dalla Corte d’appello; Cass. 11/07/2012, n. 11757; Cass. 14/12/2016, n. 25790).

Il testo vigente, modificato dalla L. n. 220 del 2012, esplicita la nozione di “notevole alterazione” prevedendo che l’incremento/diminuzione di unità immobiliari impone la revisione delle tabelle se comporta un’alterazione per più di un quinto del valore proporzionale dell’unità immobiliare.

L’insussistenza del presupposto della notevole alterazione, nella fattispecie in esame, è peraltro confermato a contrario dall’argomentazione posta dalla Corte d’appello a sostegno del decisum: “l’appartamento non solo è stato frazionato, ma attribuito a due diversi acquirenti (…) così determinandosi un aumento delle unità abitative e pure dei condomini. Tale situazione certamente altera i valori ed in particolare il valore dell’originaria unità immobiliare, che a seguito del frazionamento aumenta” (pag. 2 della sentenza).

Diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, si deve affermare che, in ipotesi di divisione orizzontale in due parti di un appartamento in condominio, non si determina alcuna automatica incidenza dell’opera sulle tabelle millesimali ai fini della revisione dei valori delle unità immobiliari (Cass. 24/06/2016, n. 13184; Cass. 17/10/1967, n. 2493), mentre grava sull’assemblea l’onere di provvedere a ripartire le spese tra le due nuove parti così create ed i rispettivi titolari, determinandone i valori proporzionali espressi in millesimi sulla base dei criteri sanciti dalla legge.

In materia condominiale, del resto, non trova applicazione il principio dell’apparenza del diritto – non sussistendo una relazione di terzietà tra condominio e condomino – sicché le spese gravano esclusivamente sul proprietario effettivo dell’unità immobiliare, e l’amministratore è tenuto ad aggiornare i propri dati alla realtà della composizione dell’edificio, ai fini del riparto, eventualmente consultando i registri immobiliari (ex plurimis, Cass. 0/10/2017, n. 23621; Cass. 03/08/2007, n. 17039).”

© massimo ginesi 11 giugno 2019 

il concetto di comoda divisibilità dell’immobile

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Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 11 aprile – 13 luglio 2016, n. 14343
Presidente Petitti – Relatore Scalisi

il concetto di comoda divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l’art. 720 cod. civ. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico – funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso. D’altra parte e, al contrario, come è stato già detto da questa Corte (cass. n. 14577 del 21/08/2012) in materia di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, può ritenersi legittimamente sussistente solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dall’irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dall’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso.

Ora, nel caso concreto, la Corte distrettuale non sembra abbia applicato con rigore questi principi perché da un verso non ha tenuto conto che la creazione di un vano di disimpegno tra le due porzioni dell’immobile, oltre che a creare un’evidente servitù di accesso nell’atrio condominiale, soprattutto, avrebbe sottratto uno spazio ad un appartamento in sè considerato di modeste dimensioni (circa 100 mq) per altro, non sembra che la Corte abbia verificato se il valore dell’appartamento di cui si dice sarebbe rimasto inalterato con la prospettata divisione, ovvero se il valore dei due appartamenti sarebbe stato sovrapponibile al valore dell’immobile prima della divisione. La Corte territoriale non avrebbe, neppure, tenuto conto che i due mini appartamenti non sarebbero risultati con identiche qualità e dotati entrambi di servizi essenziali (diversa sarebbe l’esposizione dei due piccoli appartamenti, nulla veniva specificato in ordine agli impianti idrici e alle utenze elettriche e di gas, di cui uno non sarebbe risultato dotato e, non è dato sapere se avesse potuto sopperire a tale mancanza).
Non vi è dubbio che l’art. 720 cod. civ., che per molti aspetti può essere indicato come esempio di una norma che richiede per la sua applicazione un’analisi economica dei risultati che concretamente possono essere perseguiti (si potrebbe dire che è una norma che apre il mondo giuridico alle regole e ai principi della cc. analisi economica dei fenomeni, ovvero ad interpretazione delle norme giuridiche diretta ad ottenere la massima efficienza, e quindi la situazione ottimale per un uso «razionale» delle risorse) induce a considerare la situazione che l’eventuale divisione dell’appartamento di cui si dice determinerebbe, in termini rigorosi e, comunque, in termini economici più che in termini di possibilità geometrica“.

© massimo ginesi 19 luglio 2016

nel giudizio di divisione spetta al giudice stabilire cosa tocca a ciascuno

Una articolata sentenza della Suprema Corte (CAss. civ. Sez. II 12482/2016) fa il punto sulla divisione giudiziale di un compendio immobiliare e ribadisce il potere del Giudice di stabilire, con adeguata motivazione, le modalità di formazione dei lotti – che possono anche avere natura disomogenea – onde soddisfare al meglio il diritto di ciascun condividente.

La vicenda origina in terra ligure (Sestri Levante) sino ad arrivare al Palazzaccio.

Afferma la Suprema Corte che “il contenuto del diritto dei condividendi ad una porzione di beni immobili comuni, qualitativamente omogenea all’intero, consiste nella proporzionale divisione degli immobili considerati nel genere e non in un frazionamento quotistico delle singole entità immobiliari (fabbricati, terreni, ecc.) comprese nella massa da dividere, sicchè non è sindacabile in sede di legittimità la decisione con cui il giudice di merito abbia ritenuto che taluni dei beni immobili oggetto di comunione possano essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sebbene aventi caratteristiche diverse, invece ad altra quota, stimando comunque omogenee tra loro le quote stesse quanto al valore dei singoli cespiti, come attestato dall’esiguità dei conguagli, in relazione al valore dell’intero asse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27405 del 06/12/2013). Pertanto, nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, spetta al giudice del merito accertare se il diritto del condividente ad una porzione in natura dei beni in comunione sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio”

© massimo ginesi giugno 2016 

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