riforma della magistratura onoraria e competenza in materia di condominio.

E’ noto che la sciagurata L. 57/2016 che ha delegato al governo l’attuazione della riforma della magistratura onoraria, fra le varie storture, preveda anche l’integrale attribuzione al Giudice onorario della intera materia condominiale, sia in sede contenziosa che di volontaria giurisdizione.

Forse non è altrettanto noto che l’attuazione di quella legge procede per decreti legislativi che di fatto, in spregio anche alle indicazioni della Corte di Giustizia europea, renderanno definitivamente il giudice onorario una figura di operatore della giustizia precario, chiamato a svolgere ruoli delicatissimi e pagato non più di 7/800 euro al mese (con buona pace di tutte le guarentigie costituzionali sulle figure che esercitano la giurisdizione).

Vero è che il Consiglio di Stato, espressamente interpellato dal Governo, ha espresso parere in data 7.4.2017 in cui ha previsto la possibilità di un corretto impiego e della valorizzazione di una figura di giudice onorario – per coloro che sono già in servizio da decenni – che sia in linea con l’esperienza maturata e le funzioni che gli vengono richieste, sotto il profilo della professionalità, indipendenza, corretta retribuzione e correttezza del trattamento previdenziale e lavorativo, ponendo come unica pregiudiziale la necessità di intervenire con specifico provvedimento di legge e l”impossibilità di attendere a tale razionalizzazione attraverso l’attuazione della legge delega.

Il governo ha tuttavia inteso procedere lungo la strada intrapresa, licenziando un decreto legislativo che tiene in nessun conto le legittime istanze dei giudici onorari già in servizio e che è attualmente in attesa dei pareri, non vincolanti, delle commissioni giustizia della camera e del senato.

A fronte di tale modus operandi si è levato, per il vero, un generale appello delle componenti apicali della magistratura togata, dal nord al sud nonché delle componenti più illuminate della ANM, che vedono nella riforma così come impostata e concepita fortissime criticità per il corretto funzionamento  del sistema giustizia.

Un panorama esaustivo degli accadimenti e delle perplessità  sull’intero impianto della riforma può essere letto qui  .

Lo stesso Governo, chiamato ad attuare la delega, deve avere forti perplessità sulla sensatezza di una riforma siffatta, se fissa  – nella bozza di decreto licenziata – l’entrata in vigore delle norme sulla competenza in tema di diritti reali, comunione e condominio al 2021.

Ancor più deve averne la Commissione parlamentare della Camera, il cui relatore On. Guerini (PD), ha proposto una bozza di parere favorevole che contiene modestissime e marginali osservazioni, fra le quali spicca l’invito ad escludere l’attribuzione della competenza al giudice onorario in tema di diritti reali e comunione e a posticipare l’entrata in vigore di quella in tema di condominio al 30.10.2025.

“ j) All’articolo 27, in merito alle materie civili assegnate direttamente alla competenza del giudice onorario, sia escluso il trasferimento di competenza in materia di diritti reali e comunione, mentre, con riferimento alle cause in materia di condominio negli edifici di cui al comma 1, lettera c), n. 2, sia prevista l’entrata in vigore al 30 ottobre 2025”

Sfugge come possa oggi prevedersi una norma di legge destinata a produrre i propri effetti fra quasi dieci anni.

Sfugge come una commissione parlamentare possa  ritenere  troppo complessi per il giudice onorario i temi dei diritti reali (“In relazione alle materie dei diritti reali e della comunione si rileva che queste comportano di frequente questioni di diritto complesse a prescindere dal valore, si pensi, tra le altre, alle cause in materia di servitù e di usucapione, alle azioni di rivendicazione, alle negatorie“) e poi si ritenga  che il magistrato onorario possa e  debba decidere tutte le controversie in cui quei temi vengono applicati nella più complessa realtà condominiale.

Sfugge come si possano ignorare i richiami degli organi europei e l’invito generalizzato al ripensamento che arriva dall’intero pianeta giustizia.

Sfugge come relatore nella Commissione parlamentare chiamata a rendere parere su materie  così complesse e di rilevante impatto sulla vita sociale possa essere un politico la cui esperienza  sulla materia, almeno dal curriculum vitae, non pare essere propriamente derivante da competenze  scientifiche e professionali specifiche (laurea in scienze politiche con tesi sul pensiero del filosofo partigiano Alessandro Passerin D’Entreves, professione consulente assicurativo, dal 1995 politico a tempo pieno).

© massimo ginesi 7 giugno 2017

 

una sentenza che grida vendetta e una prassi assai poco virtuosa…

Schermata 2016-07-29 alle 15.29.27

E’ fatto arcinoto che l’amministratore può ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti dei condomini morosi.

Altrettanto pacifico che tale iniziativa giudiziale rientri fra i poteri autonomi dell’amministratore (sino al 2013 lo affermava pacificamente la giurisprudenza, oggi è scritto nel novellato art. 63 disp.att. cod.civ. ) e che lo stesso sia provvisoriamente esecutivo al fine di consentire una rapida ed efficiente gestione della vita patrimoniale del condominio.

LA norma richiede unicamente, per la concessione del provvedimento monitorio, la sussistenza di una ripartizione  approvata: ” Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione”

In tal senso vi è costante giurisprudenza, così come le pronunce più recenti escludono la possibilità di sindacare in sede di opposizione vizi della delibera che rientrano nella previsione di cui all’art. 1137 cod.civ.,  che devono essere fatti valere in separato giudizio ed entro il termine di decadenza previsto dalla stessa norma: “Il titolo per agire ex art. 63 disp. Att. c.c., è costituito dalla delibera che integra, da sola, idonea prova del credito anche nella fase dell’opposizione; in ogni caso, il merito delle delibere emesse dall’assemblea di un condominio non è sindacabile in sede di opposizione ex art. 645 c.p.c. in quanto il legislatore prevede uno specifico e tipico mezzo per l’impugnazione dei vizi dell’atto della volontà dell’assemblea e dei fatti nello stesso rappresentati e che pertanto le questioni accertate o i fatti anteriori alla delibera non possono essere introdotti se non nella sede espressamente prevista dal legislatore”. Tribunale Roma, sez. V, 09/01/2015, n. 378, Cass. 17206/05 e Cass. SSUU 4421/07.

Poiché l’assemblea approva lo stato di ripartizione e le relative scadenze, si tratta di un tipico caso di mora ex re, in cui il debitore non deve necessariamente essere costituito in mora trovandosi in posizione inadempiente al semplice maturare del termine (Cass., 25 febbraio 2014, n. 4489), né la norma fa menzione di ulteriori condizioni per la concessione del decreto oltre allo stato di ripartizione e alla relativa delibera di approvazione.

Il preventivo sollecito  non potrà essere condizione per la richiesta del decreto ingiuntivo neanche sia obbligatoriamente previsto dal regolamento contrattuale: “La mancata preventiva messa in mora del condomino inadempiente, in violazione di norma regolamentare che preveda come obbligatoria la formale contestazione della morosità, non preclude all’amministratore condominiale di agire in via monitoria, potendo – al più – la violazione di tale regola di condotta far discendere in capo all’amministratore medesimo una responsabilità da inesatto adempimento del mandato” Cassazione civile, sez. II, 16/04/2013, n. 9181

Ebbene, accade con frequenza che i Giudici di Pace ignorino o –  peggio – leggano in maniera creativa l’art. 63 disp.att. cod.civ. e omettano di concedere la provvisoria esecutorietà (fatto frequentissimo, ad esempio, presso gli uffici di Roma) oppure pretendano la produzione del  sollecito.

Se ciò rappresenta un piccolo e facilmente “sanabile” abuso in corso di procedimento (Giudice di Pace La Spezia 4.4.2016), diventa davvero inquietante quando tali peculiarità  interpretative conducono a sentenze che destano più di una perplessità (Giudice di Pace Taranto 1.3.2016).

La pronuncia del Giudice pugliese accoglie l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo proposta dal comproprietario di un immobile, sull’assunto che sia onere dell’amministratore effettuare un preventivo sollecito di pagamento, in assenza del quale il decreto deve ritenersi nullo.

Sono diverse le affermazioni “forti” contenute nella pronuncia tarantina.

di fondamentale importanza il decreto ingiuntivo non era stato preceduto da alcuna intimazione e messa in mora; in data 15.10.2014, infatti, il dott. S. riceveva unicamente copia del verbale relativo all’assemblea del 06.10.2014 di approvazione del rendiconto 22.07.2013 – 31.08.2014 nonché copia dello stesso rendiconto senza che, con la relativa lettera di accompagnamento o separato atto di diffida stragiudiziale, gli venisse intimato alcunché;”

“si consideri, infine, che il dott. S. è comproprietario, insieme ad altri eredi, dell’unità (immobiliare sita nel Condominio di via (…) sicché ancora più evidente è l’avventatezza dell’azione giudiziale senza prima accertamento dell’interessamento degli altri partecipanti al pagamento delle quote richieste.”

A tal riguardo, il Condominio opposto non ha provato di aver eseguito la messa in mora nei confronti di tutti gli aventi diritti e comproprietari dell’unità immobiliare e poi la successiva richiesta del decreto ingiuntivo e successiva notifica del precetto ad uno solo degli intestatari dell’unità immobiliare interessata, se ne ricorrono le condizioni, atteso che tutte le spese (compresa la corrispondenza) vanno a carico del condomino inadempiente o moroso. Dette circostanze non possono essere provate tramite testi, in quanto devono essere private solo documentalmente”.

Con buona pace dell’art. 63 disp.att. cod.civ., della solidarietà fra comproprietari di una stessa unità (Cassazione civile, sez. II, 21/10/2011, n. 21907), della mora ex re e anche della Conservatoria RR.II. (la lettura della sentenza farà comprendere le ragioni di tale ultima notazione).

© massimo ginesi 29 luglio 2016

processo penale, la mancata comparizione dinanzi al giudice di pace comporta remissione tacita della querela

Schermata 2016-07-13 alle 09.17.32

Lo ha affermato la Cassazione V sez. pen. con sentenza 12 luglio 2016 n. 29209.

La natura del processo penale dinanzi al giudice di pace e lo scopo deflattivo e conciliativo della prima udienza, a fronte di vicende che hanno un modesto contenuto offensivo e uno scarso disvalore sociale, impone di considerare come non più sussistente la pretesa punitiva del querelante ove costui ometta consapevolmente di comparire in udienza.

Ritiene la Corte che “è la mancata collaborazione al processo (accusatorio e che vuole dunque che la prova sia formata a dibattimento) e l’assenza della voce di chi dovrebbe dare corpo e fondamento alla pretesa punitiva che consente di dubitare della persistenza di tale volontà”

Nella sentenza viene dunque espresso il seguente principio di diritto: “Tenuto conto del principio generale del favor conciliationis, cui è improntato il sistema normativo che regola il procedimento penale dinanzi al giudice di pace, e che esso è collocabile nell’ambito del più ampio principio della ragionevole durata dei processi, la mancata comparizione del querelante – previamente e chiaramente avvisato del fatto che l’eventuale successiva assenza possa essere interpretata come volontà di non perseguire nell’istanza di punizione – integra gli estremi della remissione tacita, sempre che lo stesso querelante abbia personalmente ricevuto detto avviso, non sussistano manifestazioni di segno opposto e nulla induca a dubitare che si tratti di perdurante assenza dovuta a libera e consapevole scelta”.

Attenzione dunque che anche reati assai frequenti in ambito condominiale (nelle assemblee o nei rapporti fra condomini e amministratori, quali le minacce,  la diffamazione o le lesioni)  richiedono che colui che sporge la querela sia poi attivo anche nella successiva fase processuale, dovendo altrimenti ritenersi cessato il suo interesse alla punizione del colpevole.

© massimo ginesi 13 luglio 2016