Decreto ingiuntivo e mediazione, nubi all’orizzonte: aumenteranno le opposizioni meramente dilatorie?

La recente pronuncia delle sezioni unite chiarisce che l’onere di dare impulso al procedimento di mediazione nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo incombe al creditore e, ove questi non vi provveda, il giudice dovrà dichiarare improcedibile la domanda e revocare il decreto.

Una recente ordinanza del giudice di legittimità ha inoltre statuito che nel condominio l’amministratore deve essere sempre autorizzato dall’assemblea a partecipare (o a dare impulso) a procedimento di mediazione, non avendo poteri autonomi ai fini dell’art. 71 quater disp.att. cod.civ.

E’ evidente che l’effetto congiunto di tale due statuizioni comporta che i decreti ingiuntivi ottenuti dal condominio ex art 63 disp.att. cod.civ. nei confronti dei condomini morosi vedranno fiorire opposizioni fantasiose da parte di coloro che accampano mere pretese dilatorie, posto che a quel punto sarà onere del condominio promuovere la mediazione (a pena di revoca del decreto) e, come è noto, non sempre è semplice raggiungere la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma II c.c., così come richiesta dall’art. 71 quater disp.att. cod.civ. per autorizzare l’amministratore a partecipare al procedimento di ADR.

Ove il condominio non riesca deliberare in tal senso, al giudice non resterà che revocare il decreto e plausibilmente  condannare pure il condominio alle spese della fase di opposizione.

 

@ massimo ginesi 25 settembre 2020     

 

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mediazione e decreto ingiuntivo: per le sezioni unite l’onere è del creditore

La più recente giurisprudenza era orientata a ritenere che – in caso di opposizione a decreto ingiuntivo – l’onere di promuovere la mediazione, ove per materia la stessa costituisca condizione di procedibilità, incombesse all’opponente, con la conseguenza  che – in difetto di attivazione da parte di costui – veniva dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione e la definitività del decreto.

Le Sezioni unite (Cass.civ. sez. un. 18 settembre 2020 n. 19596), cui la questione era stata rimessa a fronte di orientamenti non concordi, hanno invece statuito che – ove la mediazione non sia correttamente instaurata – non vada dichiarata improcedibile l’opposizione ma l’azione originaria, seppur proposta in via monitoria, con conseguente revoca del decreto poichè solo tale lettura pare essere conforme al dato normativo e costituzionalmente orientata.

La pronuncia, per l’ampia motivazione, merita integrale lettura.

19596

© massimo ginesi 22 settembre 2020

 

 

 

la mediazione non deve divenire un forca caudina: una condivisibile lettura del Tribunale di Savona

La materia condominiale è sottoposta, ex art 5 D.lgs 28/2010 a mediazione obbligatoria, sì che colui che agisce in giudizio dovrà procedere al preliminare esperimento della mediazione a condizione di improcedibilità dell’azione.

Tuttavia la materia richiede una lettura isprirata a criteri di ragionevolezza, onde non pregiudicare diritti costituzionalmente garantiti, fra i quali certamente rientra  quello di difesa.

Il Tribunale di Savona con sentenza 19 Ottobre 2018 Est. Pelosi sottolinea come non possa darsi luogo ad una applicazione rigida della discplina;  l’unico adempimento necessario al fine di evitare l’improcedibilità deve dunque riteenrsi il deposito della relativa istanza presso organismo abiliatato.

La pronuncia si pone meritoriamente in contrasto con quella giurisprudenza che addirittuva ricconnette alla mancata presenza  personale della parte l’improcedibilità dell’azione.

L’obbligatorietà della mediazione in materia condominiale è prevista dall’art. 5 del Dlgs 28/10 e dall’art. 71 quater disp. att. c.c.

Al riguardo, l’art. 5, co. 1-bis prevede: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio … è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto …L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

Si pone il problema di identificare qual è l’adempimento richiesto perché il procedimento di mediazione possa dirsi esperito.

Sul punto, il co. 2 bis del medesimo art. 5 precisa che “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.

La giurisprudenza maggioritaria (si vedano, tra gli altri, Corte d’Appello di Milano, sentenza 10 maggio 2017 in Leggi d’Italia; Corte d’Appello di Ancona, sentenza 23 maggio 2018 in www.mondoadr.it; Tribunale di Pavia, sez. III, sentenza 20 gennaio 2017 e Trib. di Roma, Ord., 26 ottobre 2015, n. 100801 in Leggi d’Italia; Trib. Vasto, 9 marzo 2015, in Giur. it., 2015, 1885; Trib. Firenze, 26 novembre 2014, in Riv. dir. proc., 2015, 558; Trib. Firenze, 19 marzo 2014, in Plurisonline – Giurisprudenza di merito) ha sostenuto che, perché la mediazione possa dirsi esperita, è necessario dar vita ad un tentativo di conciliazione effettivo.

Ciò presuppone, in primis, la presenza fisica delle parti al primo incontro fissato dal mediatore. Qualora ciò non avvenga, la domanda dovrà essere dichiarata improcedibile.

Sul piano letterale, si dice, il co. 2 bis dell’art. 5 del Dlgs 28/10 richiede, perché la condizione di procedibilità possa dirsi avverata, che “il primo incontro” si concluda “senza accordo”.

Tale incontro è disciplinato dall’art. 8 che prevede, tra l’altro, che ad esso “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”.

La condizione di procedibilità, quindi, può dirsi realizzata solo quando le parti (a ciò giuridicamente tenute) si sono materialmente incontrate davanti ad un mediatore.

Sul piano teleologico, invece, si richiama la ratio dell’istituto: se bastasse, la sola presentazione della domanda all’organismo di mediazione e non fosse necessaria la presenza delle parti medesime, la mediazione non potrebbe mai realizzare il suo fine, che consiste nel creare le condizioni perché si riattivi la comunicazione tra i litiganti, al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto. In sostanza, basterebbe adempiere solo formalmente all’obbligo della mediazione, presentando la domanda ma senza usufruire in concreto delle potenzialità dell’istituto, per svuotarlo completamente di ogni significato. Ecco allora che il legislatore, per evitare che ciò si verifichi, ha fatto ricorso ad un incentivo forte: l’improcedibilità della domanda.

Tuttavia, tale conclusione non convince, in quanto sembra fondarsi più su argomenti de jure condendo che non su argomenti de jure condito.

La tesi criticata non considera che ogni ostacolo frapposto alla piena esplicazione del diritto all’azione tutelato dalla Costituzione deve considerarsi eccezionale.

Con riferimento ad ipotesi di giurisdizione condizionata, qual è quella in esame, la giurisprudenza ha affermato il “principio, espresso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo” (Corte Cost. 403/07; Cass. 967/04) e, anzi, “devono essere interpretate in senso restrittivo” (Cass. 26560/2014), “dovendo limitarsene l’operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato” (Cass. 6130/2011).

La Cassazione ha, poi, precisato che “l’improcedibilità, quale conseguenza sanzionatoria di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario nella sequenza procedimentale”“dev’essere espressamente prevista, non potendo procedersi ad applicazione analogica in materia sanzionatoria, attese le gravi conseguenze del rilievo dell’improcedibilità”, ragion per cui l’improcedibilità non può operare in difetto di espressa previsione legislativa (Cass. 20975/17) che, nel caso di specie, manca.

Infatti, l’ipotesi di mancata partecipazione delle parti al procedimento di mediazione è disciplinata da una norma specifica: l’art. 8, co. 4 bis, Dlgs 28/10 che prevede, come conseguenza dell’assenza delle parti, l’applicazione di una sanzione pecuniaria e la rilevanza di tale comportamento ex art. 116 c.p.c.

Nulla viene detto, invece, in ordine all’improcedibilità dell’azione. O meglio: qualcosa, sul punto, implicitamente la norma dice. Si prevede, infatti, che la mancata partecipazione al procedimento di mediazione è valutabile ex art. 116 c.p.c. Questo significa che, se la parte non partecipa alla mediazione, il processo andrà avanti e dovrà concludersi con una pronuncia di merito, nell’ambito del quale l’assenza dell’attore o del convenuto sarà valutabile come argomento di prova contro l’assente.

Non è neppure sostenibile che le sanzioni di cui all’art. 8 si cumulino con quella dell’improcedibilità.

Infatti, la norma non distingue a seconda che sia assente l’attore o il convenuto.

Questo significa che la sola assenza del convenuto (e, quindi, il mancato incontro di cui agli artt. 5, co. 2 bis ed 8) dovrebbe comportare il mancato realizzarsi della condizione di procedibilità.

Ma è impensabile che il convenuto possa, con la propria colpevole o volontaria inerzia, addirittura beneficiare delle conseguenze favorevoli di una declaratoria di improcedibilità della domanda, che paralizzerebbe la disamina nel merito delle pretese avanzate contro di sé o possa, comunque, rallentare l’andamento del processo per almeno 3 mesi.

Né può ritenersi che solo l’attore dovrebbe presenziare all’incontro di mediazione.

Tale soluzione non è sostenibile, in primo luogo, in quanto nessuna norma distingue la posizione dell’attore da quella del convenuto ai fini della mediazione, per cui sarebbe arbitrario ritenere sussistere un obbligo solo per tale parte. L’art. 8, co. 1, è chiaro nell’affermare che entrambe le parti “devono partecipare” al primo incontro, per cui non c’è alcuna ragione per sanzionare l’inosservanza dell’una o dell’altra in modo diverso. Una soluzione diversa determinerebbe, infatti, una disparità di trattamento tra la parte che ha interesse alla realizzazione della condizione di procedibilità e le sue controparti, perché sola la prima è esposta alla grave sanzione processuale ipotizzata (sul punto, Trib. Verona Ord. 11 maggio 2017, n. 1626 in www.altalex.com).

In secondo luogo, non solo non c’è alcun dato normativo a differenziare la disciplina dell’assenza dell’attore da quella del convenuto, ma non c’è neppure alcuna valida ragione perché ciò avvenga. L’attore ed il convenuto, di fronte al mediatore, perdono il loro ruolo processuale: non c’è più un soggetto che si afferma titolare di un diritto ed un convenuto indicato come gravato, invece, da un corrispondente dovere, come nel processo. Con la mediazione “scompaiono” i diritti e fanno ingresso gli interessi, originariamente confliggenti e che, per effetto della mediazione, sono destinati a divenire convergenti: entrambi i contendenti devono impegnarsi a porre fine ad una controversia tra loro esistente, collaborando, a tal fine, in modo soddisfacente e sfruttando le opportunità offerte dalla mediazione, evitando i costi economici ed umani del giudizio.

Neppure può sostenersi che l’improcedibilità è prevista dall’art. 5 del Dlgs 28/10 laddove precisa che la condizione di procedibilità è avverata quando il primo incontro si conclude senza accordo.

Infatti, il legislatore ha semplicemente descritto quello che il legislatore ha pensato poter essere lo sviluppo della procedura. Ciò che interessa al legislatore, perché si realizzi la condizione di procedibilità è che, nel primo incontro, le parti si esprimano sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, come si evince dall’art. 8 che prevede che, nel corso di tale incontro, “il mediatore invita poi le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione”.

Accertata tale impossibilità, il processo deve andare avanti. Con l’assenza, la parte ed il suo avvocato danno una risposta chiara alla possibile prosecuzione del procedimento: la mancata partecipazione è espressione inconfutabile di mancanza di volontà di iniziare la mediazione.

Del resto, se l’ordinamento riconosce il diritto a non partecipare al processo restando contumace, senza che ciò abbia alcuna diretta conseguenza sul piano processuale, in modo analogo deve essere riconosciuto il diritto a non aderire al procedimento di mediazione, in un sistema, quale il nostro, retto dal principio dispositivo e dal diritto costituzionale all’azione in giudizio. Ciò è tanto più vero ove si consideri la contraddittorietà intrinseca nel voler costringere le parti alla mediazione ed alla conciliazione.

Non è, poi, vero quanto sostenuto dall’orientamento qui criticato, secondo cui, se l’assenza della parte non comportasse la sanzione dell’improcedibilità e fosse sufficiente solo la presentazione della domanda alla mediazione, l’istituto sarebbe svuotato di ogni sua utilità. A parte il fatto che, comunque, la presenza fisica della parte non garantisce un impegno effettivo a conciliare la lite, comunque, si osserva che il Dlgs 28/10 istituisce una gerarchia fra le varie fattispecie sanzionatorie, al cui vertice si pone l’improcedibilità dell’azione, da dichiararsi unicamente nei casi più gravi; in posizione mediana, si pongono la condanna pecuniaria ed il potere giudiziale di desumere argomenti di prova di cui all’art. 8; infine, nel caso in cui le parti abbiano partecipato alla mediazione, senza, però, sfruttare immotivatamente l’occasione offerta di una conciliazione, la conseguenza sanzionatoria è la condanna alle spese legali ex art. 13. Da tale quadro emerge che la pacifica affermazione secondo cui le parti hanno l’obbligo di presenziare all’incontro di mediazione non comporta automaticamente che l’inosservanza sia punita con l’improcedibilità.

Infatti, il legislatore ha, comunque, previsto uno stimolo per le parti a presenziare all’incontro di mediazione: l’assenza viene punita con una pena pecuniaria (il pagamento di un importo pari al contributo unificato) e con una pena processuale (applicazione dell’art. 116 c.p.c.), secondo quanto previsto dall’art. 8.

Qualora tali rimedi si rivelino non adeguati, sarà compito del legislatore porvi rimedio.

A questo, deve aggiungersi che l’art. 6 prevede che il procedimento di mediazione non possa avere una durata superiore a 3 mesi. Trascorso tale lasso di tempo, quindi, il processo può proseguire verso la definizione nel merito; in questo caso, quindi, la condizione di procedibilità può dirsi realizzata, pur in assenza dell’incontro di cui all’art. 8 del Dlgs 28/10 che, in ipotesi, potrebbe non intervenire prima della sentenza conclusiva.

Ciò che, invece, non manca mai, perché il processo possa proseguire, è la proposizione della domanda ex art. 4.

A ciò va aggiunto che tale conclusione trova supporto anche da un confronto tra l’istituto in esame e l’altro istituto “fratello”: la convenzione assistita. L’art. 3 del Dlgs 132/14, disciplinando l’invito obbligatorio alla stipula di una “convenzione di negoziazione assistita” dagli avvocati, fra le parti di una controversia rientrante nel novero di quelle assoggettate a tale (nuova) ipotesi di improcedibilità della domanda giudiziale, stabilisce, al comma 2°, che “Quando l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se l’invito non è seguito da adesione, è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione, ovvero quando è decorso il periodo di tempo di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a)”: eventi, tutti, innegabilmente riconducibili – espressamente o implicitamente (nel caso di mancata adesione o di infruttuoso decorso del termine) – alla mera volontà negativa delle parti in lite alla negoziazione.

L’assenza della parte, quand’anche sia attrice, all’incontro di mediazione disposto ex art. 5 Dlgs 28/10, è, quindi, sì punita dal Dlgs 28/10, ma non con l’improcedibilità, bensì con le sanzioni di cui all’art. 8.

In conclusione, deve ritenersi che l’unico adempimento richiesto ai fini della procedibilità della domanda è il deposito della domanda di mediazione presso l’organismo deputato.”

© massimo ginesi 17 dicembre 2018

mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo: il termine non è perentorio ma è pericoloso…

Interessante sentenza del Tribunale di Vasto (27 settembre 2017) che affronta l’ormai annoso tema della procedibilità della domanda ad opposizione a decreto ingiuntivo in assenza di mediazione, pervenendo  alla tesi della improcedibilità della opposizione e della definitività del decreto con particolare riguardo alla mediazione tardivamente introdotta rispetto all’ordine del giudice.

Il tribunale accede alla  tesi che il termine per inizio non sia perentorio, tuttavia perviene a soluzione che appare interessante e condivisibile: il termine per l’introduzione del procedimento (fissato dal giudice indicato dall’art. 5 D.lgs 28/2010 in quindici giorni) non ha natura processuale e non è perentorio, così che le parti potranno anche introdurla in ritardo senza perdita di chance, tuttavia in tal caso si assumono il rischio che – ove il procedimento non sia terminato entro la successiva udienza fissata dal giudice per la verifica della condizione di procedibilità – l’azione venga dichiarata improcedibile.

 La sentenza contiene una ampia disamina dello stato della giurisprudenza sul punto ed una articolata motivazione: per tale ragione merita integrale lettura.

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© massimo ginesi 5 dicembre 2017

 

mediazione obbligatoria e domanda riconvenzionale, quale disciplina?

in alcune materie, fra le quali condominio e locazioni, la mediazione è condizione di procedibilità per i relativi giudizi ai sensi dell’art. 5 comma 1 bis d.lgs 28/2010 e succ. mod.

Significa che il soggetto che voglia intraprendere una causa in siffatte materie dovrà necessariamente esperire la procedura di mediazione, dovendo altrimenti la sua domanda essere dichiarata improcedibile.

Ove la causa sia introdotta senza il rispetto di tale formalità, il giudice assegna alle parti un termine (che è stato ritenuto non perentorio) per introdurre il procedimento, dichiarando le domande improcedibili ove alla mediazione non venga dato corso.

Poiché la norma estende l’obbligo a chiunque voglia esercitare in giudizio un’azione nelle materie previste dal primo comma di detto art. 5, la previsione si deve ritenere estesa anche al convenuto che, a fronte della domanda principale non si limiti a difendersi ma proponga a propria volta una domanda nei confronti dell’attore (la c.d. domanda riconvenzionale).

Ci si è chiesti come debba essere interpretata la norma sulla procedibilità in tale particolare ipotesi, atteso che l’indicazione con il termine “convenuto” del soggetto che deve eccepire l’improcedibilità, non è apparso dirimente, poiché  lo stesso attore assume la posizione sostanziale e processuale di convenuto rispetto alle domande riconvenzioni avanzate da colui che è stato citato in giudizio.

Con riferimento alla mediazione esperita prima del giudizio, si è ritenuto che, ove poi il convenuto si costituisca avanzando domanda riconvenzionale anche essa sia  soggetta a condizione di procedibilità, sicché il giudice dovrà rimettere le parti dinanzi ad organismo di mediazione.

Più complesso il tema della mediazione cui le parti sono rimesse dal giudice all’esito della fase sommaria di un procedimento speciale quale la convalida di sfratto, ove – emessi i provvedimenti di cui all’art. 665 c.p.c.  – il giudice disponga mutamento del rito e rimetta le parti dinanzi al mediatore.

In tal caso si è argomentato, in giurisprudenza, che entrambe le domande siano soggette a mediazione e che la condizione di procedibilità possa ritenersi avverata per entrambe solo sia demandato al mediatore l’intero oggetto della controversia e non già solo la domanda dell’attore (o del convenuto): in tale ultima ipotesi la parte che non veda investito il mediatore della propria istanza sarà tenuta a propria volta ad attivare un autonomo procedimento, eventualmente da riunire all’altro, a pena di improcedibilità della propria domanda (Trib. Roma 27.11.2014, una pronuncia che merita lettura anche per la singolarità della fattispecie, che non getta buona luce sulla categoria forense…)

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In senso analogo si è pronunciato di recente il Tribunale di Massa, con sentenza 17 luglio 2017, osservando,  con riferimento alla procedibilità della domanda riconvenzionale, che “tale condizione potrà ritenersi assolta ove una delle parti – nell’adire l’organismo di mediazione – abbia devoluto alla sua conoscenza l’intero rapporto oggetto di causa e non solo la propria domanda.
A tal proposito è sufficiente esaminare l’istanza di mediazione depositata in atti dalla attrice, ove alla seconda pagina, sotto la voce “breve descrizione della controversia” si riporta l’intera materia del contendere, ivi compresa la riconvenzionale avanzata dalla B., con ciò mostrando l’intenzione di sottoporre al mediatore tutte le domande azionate nel presente giudizio.
Ragione che induce, pertanto, a ritenere procedibile anche la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta, rilevando la sua mancata adesione non sotto il profilo della procedibilità ma unicamente sotto il profilo della responsabilità e delle conseguenze previste dall’art. 8 D.lgs. 28/2010.”

© massimo ginesi 18 luglio 2017 

mediazione ed opposizione a decreto ingiuntivo: un tema complesso e dibattuto.

Il legislatore ha previsto che alcune liti, fra cui le controversie in materia bancaria e quelle in tema di condominio, siano sottoposte a procedimento di medizione obbligatoria, a mente dell D.lgs 28/2010 e succ. mod.

L’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità e deve essere attuato su iniziativa delle parti o su ordine del giudice, in difetto  la controversia sarà dichiarata improcedibile.

La ratio dell’istituto è palesemente volta a deflazionare l’enorme carico della giustizia civile, auspicando (con risultati statistici in realtà assai poco  lusinghieri) che le parti possano risolvere il contrasto su basi metagiuridiche e personali – poiché tali sono i presupposti primi della mediazione – prima di arrivare a chiedere tutela giudiziale.

Il procedimento delineato dal D.lgs 28/2010  va in realtà a toccare distretti che attengono alle origini conflittuali e personali che spesso fondano la domanda e, ove condotto da un bravo mediatore, può effettivamente condurre alla risoluzione del conflitto fra le parti e alla rinuncia alle domande che a quel conflitto erano strumentali.

A fronte di tali presupposti appare non priva di fondamento la giurisprudenza sempre più restrittiva che impone la presenza delle parti personalmente al primo incontro, poiché è evidente che la capacità di disporre del diritto e di coinvolgere i distretti emotivi – che spesso sottendono la lite – risulta enormemente affievolita ove all’incontro partecipi un delegato e non la parte.

Vi è però un altro aspetto di grande rilievo e che attiene alla mediazione in  quei procedimenti a contraddittorio differito, quali il decreto ingiuntivo e la successiva eventuale opposizione.

In tal caso l’art. 5 comma 4a del D.lgs 28/2010 prevede che il procedimento di mediazione obbligatoria non si applica “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”

Accade quindi che, nella prassi operativa, il Condominio ottenga legittimamente decreto ingiuntivo ex art. 63 disp.att. cod.civ nei confornti del condomino moroso, costui proponga opposizione, alla prima udienza si discuta della eventuale sospensione della esecuzione ex art 649 c.p.c. (fase che ha natura latamente  cautelare) e poi il Giudice, emessi i provvedimenti sulla esecutorietà, rilevi che si tratta di procedimento in cui la mediazione è obbligatoria e rimetta le parti dinanzi al mediatore, affinchè si avveri la condizione di procedibilità.

Ci si è posti il dubbio su  chi debba essere il soggetto onerato di introdurre il procedimento e quali siano gli effetti dell’eventuale inosservanza dell’ordine del giudice: qualora la mediazione non venga esperita si darà luogo alla improcedibilità della sola opposizione o anche alla revoca del decreto ingiuntivo?

Il problema è stato affrontato e risolto da Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015,  n. 24629, con una pronuncia che chi scrive trova condivisibile ma – indubitabilmente – unisce considerazioni di natura giuridica a riflessioni di politica giudiziaria: “La disposizione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio. La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale. In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per cosi dire – a rendere il processo la estrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse. Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione. Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta. Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perchè è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perchè premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo. E’, dunque, l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.. Soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale. Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l’opposizione sarà improcedibile.”

Non sono mancate pronunce di merito di segno opposto, alcune recenti, altre precedenti alla conclusione del giudice di legittimità.

Il Tribunale di Benevento, con pronuncia del 23 gennaio 2016, è pervenuto a soluzione diametralmente opposta, discostandosi dall’orientamento della suprema corte con argomenti ampi e che – tuttavia – non convincono: il giudice campano, criticando l’orientamento espresso da Cass. 24629/2015, afferma” Tali asserzioni sono difficilmente compatibili col testo dell’art. 5, co. 4, d. lgs. 4.3.2010, n. 28: «I commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; [OMISSIS]».
Ciò significa che: 1) non è vero che l’opponente abbia inteso «precludere la via breve per percorrere la via lunga»: l’opponente, infatti, prima della pronunzia sulle istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione, non deve esperire la mediazione: sicché non gli si può imputare di averla omessa; 2) non è vero che al creditore sia imposto «l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo»: la questione, infatti, che si pone nei casi come quello di specie, non è certo se il creditore, che abbia depositato il ricorso monitorio, debba proporre la domanda di mediazione prima che la controparte abbia sollevato l’opposizione (e, dunque, senza neppure sapere se opposizione sorgerà): il problema, invece, è di verificare quale delle parti debba esperire la mediazione medesima, ma solo una volta proposta l’opposizione ed esaurita la fase attinente alla concessione, od alla sospensione, della provvisoria esecuzione. Una volta che le argomentazioni della motivazione della sentenza in esame siano ritenute contrastanti con la disciplina della mediazione, che potrebbe essere stata fraintesa, l’intera decisione non può più essere condivisa.
Si deve, dunque, tornare al testo della legge: il più volte menzionato co. 1 bis dell’art. 5, d. lgs. 28/2010, onera della mediazione «Chi intende esercitare in giudizio un’azione»: ed è jus receptum che, nel caso del procedimento monitorio, seguito da opposizione, chi esercita l’azione, ossia l’attore, è il creditore, che insta per l’emanazione del decreto ingiuntivo (e, del resto, la pendenza della lite tra ricorrente e debitore risale, ai sensi dell’art. 643, co. 3, c.p.c., alla notificazione del ricorso e del decreto): anzi, prim’ancora, che chiede al Giudice l’attribuzione di un bene della vita. L’opponente, al contrario, subisce la domanda, ed appare anomalo e vessatorio imporgli di adempiere ad un onere, posto come condizione di procedibilità, quando, evidentemente, nessun interesse esso nutre, contrariamente al creditore opposto, all’emissione di una condanna contro di lui. Il principio affermato dalla S.C., del resto, troverebbe applicazione in ogni altro caso, nel quale la mediazione è differita ad un momento successivo all’introduzione della controversia (art. 5, comma 4, d. lgs. 4.3.2010, n. 28, lettere ‘b’ e ‘d’), ossia «nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile», e «nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile»: così dilagando in ulteriori ambiti, nei quali si propagherebbe la deroga al principio secondo cui la procedibilità della domanda è onere di chi pretende un bene della vita, e non certo di chi si limita a resistere. La conseguenza di quanto affermato, allora, è che l’improcedibilità non colpisce la domanda dell’opponente (domanda che tale non è, salve le riconvenzionali), bensì quella dell’opposto: e, pertanto, il decreto ingiuntivo dev’essere revocato.”

Sulla rilevanza della mediazione in tema di opposizione a decreto ingiuntivo si è stratificata numerosa giurisprudenza di merito; in senso contrario a quanto  indicato dalla Suprema Corte nel 2015 si segnalano sentenze del  Tribunale di Firenze: due in data  12 febbraio 2015 (estensore Guida), una del 24 settembre 2014 (estensore Guida) e una del 17 marzo 2014 (estensore Scionti), nonché pronunce del  Tribunale di Varese (estensore Buffone; 18 maggio 2012) e  del Tribunale di Verona (estensore Vaccari; 28 ottobre 2014), pronunce che fanno propria la tesi che per attore deve intendersi l’attore in senso sostanziale ossia l’opposto.

Di diverso avviso altri Tribunali, che si sono attenuti al principio poi espresso dal giudice di legittimità: Tribunale di Nola (estensore Frallicciardi), 24 febbraio 2015, Tribunale di Firenze 30 ottobre 2014 (estensore Ghelardini), Tribunale di Prato del 18 luglio 2011 (estensore Iannone), Tribunale di Siena  25 giugno 2012 (estensore Caramellino),  Tribunale di Rimini 17 luglio 2014 (estensore Bernardi); in tal senso anche una recente ordinanza del Tribunale di Massa 13.4.2017.

Si è detto di condividere la pronuncia della Suprema Corte del 2015 e di non ritenere convincenti le tesi dei giudici di merito che hanno espresso argomenti e decisioni  contrarie: le ragioni che inducono a tale lettura sono essenzialmente di ordine sistematico e prescindono da considerazioni deflative e di politica giudiziaria.

L’impianto processuale previsto dagli artt. 633 c.p.c. e seguenti prevede che il creditore, in determinate condizioni e a fronte della produzione di  documentazione espressamente indicata dalle norme, possa ottenere decreto ingiuntivo.

L’art. 63 disp.att. cod.civ., in materia condominiale, prevede  che tale provvedimento sia ottenuto dal condominio in forma provvisoriamente esecutiva, su istanza dell’amministratore, dietro la presentazione dei riparti ritualmente approvati.

Il decreto è ottenuto in assenza di contraddittorio e costituisce provvedimento di condanna anticipata in sé perfetto, suscettibile di divenire definitivo in assenza di opposizione, che l’ingiunto può proporre entro quaranta giorni dalla notifica. Si ritiene che il modello italiano sia ispirato al  c.d procedimento monitorio documentale, sicché “il provvedimento emesso dal giudice, diversamente rispetto al modello del procedimento monitorio puro, è risolutivamente condizionato alla proposizione di una eventuale opposizione e, dunque, può avere fin da subito efficacia esecutiva, e il giudizio che viene ad instaurarsi a seguito dell’opposizione risulta assimilabile ad una impugnazione”.

Dunque, ove l’ingiunto non si attivi, la condanna emessa in sede monitoria acquista definitività (art. 647 c.p.c.), al pari di qualunque titolo giudiziale e solo l’iniziativa dell’ingiunto (convenuto sostanziale) è idonea ad introdurre un ordinario giudizio di merito a cognizione piena, che condurrà alla emanazione di una sentenza in contraddittorio fra le parti, avente ad oggetto l’intero  merito della controversia.

Ne deriva che, poiché il legislatore ha ritenuto il decreto suscettibile di divenire cosa giudicata in assenza di attività dell’ingiunto, abbia poco senso rifarsi alle posizioni di attore e convenuto sostanziale contrapposte a quelle di attore e convenuto processuale, atteso che l’unica parte che ha interesse ad introdurre l’opposizione – al fine di  contestare la pretesa azionata in via monitoria e sottoporre al giudice il merito della vicenda – risulta  l’opponente e che la sua inerzia conduce , ex lege, alla definitività del decreto.

Ne consegue in via del tutto logica, ad avviso di chi scrive, che onerato della mediazione – in quanto soggetto interessato alla proposizione e prosecuzione del giudizio  di merito – non possa essere che l’opponente, atteso che il legislatore ha fornito il provvedimento emesso in via monitoria di una ossatura iniziale autoportante, idonea ad esser scalfita solo dalle iniziative dell’ingiunto e suscettibile di sopravvivere in via autonoma anche alle vicende estintive della causa di opposizione.

Non si comprende dunque per quali ragioni, a fronte di tale quadro sistematico, l’improcedibilità della opposizione per mancata proposizione della mediazione da parte dell’unico soggetto che ha interesse a coltivare la causa in via ordinaria, debba condurre alla revoca del decreto.

Un tale orientamento, tra l’altro, fornirebbe all’opponente dotato di un certo grado di disinvoltura l’opportunità di proporre opposizioni del tutto garibaldine – in materie in cui la mediazione è condizione obbligatoria di procedibilità, qual’è il condominio  – lasciando poi al creditore l’onere di coltivare la procedibilità della opposizione, pena la revoca del decreto: una vera e propria contraddizione in termini.

© massimo ginesi 27 aprile 2017 

mediazione ed opposizione a decreto ingiuntivo: una tesi innovativa.

La afferma il Tribunale di Pavia che, con ordinanza 9 marzo 2017, ha stabilito – dissentendo dall’orientamento della cassazione – che, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo in cui sia stata negata la provvisoria esecutorietà, il giudice può disporre la mediazione stabilendo che sia l’opposto a dover dare formale inizio al procedimento e che – ove ciò non avvenga – verrà dichiarata l’improcedibilità della opposizione e revocato il decreto.

Con lo stesso provvedimento il Tribunale lombardo ha anche ordinato che al procedimento di mediazione partecipi un terzo che non è parte del processo, ma dalla cui posizione può dipendere l’esito positivo della mediazione e che il mediatore debba verbalizzare al primo incontro le ragioni che impediscono la prosecuzione della mediazione.

“Considerato che la mediazione è una procedura informale che consente, con l’accordo delle parti, di chiamare in mediazione anche soggetti diversi da quelli coinvolti nel giudizio, specie se con la loro partecipazione a quella procedura essi possono oggettivamente aiutare le parti processuali nella ricerca di una soluzione amichevole della causa in corso e, nel contempo, prevenire la formazione di ulteriore contenzioso giudiziario, rispetto al quale la definizione giudiziale della presente opposizione sarebbe l’antecedente logico;

Valutato preliminarmente che la parte onerata dell’avvio della procedura di mediazione, come stabilito da Cass. 24629/15, sarebbe normalmente l’opponente e che il mancato avvio della mediazione determinerebbe la sanzione della conferma del decreto, ex art. 653, co. 1, cpc;

Ritenuto tuttavia che, da un lato, con ordinanza del 17.09.2015 non era concessa la provvisoria esecuzione del decreto di consegna della documentazione fideiussoria, emesso in sede monitoria e, dall’altro, che residua al magistrato la discrezionalità, da applicare nel caso di specie, di ritenere più opportuno porre l’onere dell’avvio in capo al convenuto opposto, dissentendo motivatamente da quanto stabilito dalla citata Cass 24629/15, che non aveva mai preso in considerazione la pur rilevante distinzione tra decreti ingiuntivi ai quali è concessa la provvisoria esecuzione (che da una prima valutazione possono apparire fondati) e decreti ai quali tale provvisoria esecuzione è stata negata (che da una prima valutazione possono invece apparire infondati), come appunto verificatosi nella specie;

Ritenuto infine che per imprescindibili motivi di organizzazione del ruolo, l’udienza di precisazione conclusioni, già programmata per il 9.03.2017 deve necessariamente essere rinviata al 2018;

Ciò premesso, visto l’art. 5, co. 2, D.Lgs. 28/2010, dispone Che le parti partecipino a una procedura di mediazione, invitando la parte più diligente ad avviare la procedura ma ponendo l’onere formale dell’avvio in capo al convenuto opposto, avvisandolo che in difetto la sua domanda di merito sarà dichiarata improcedibile e il decreto sarà revocato;

Viste le particolarità del presente giudizio, si invita la parte che avvia la procedura di mediazione a convocare avanti al mediatore sia la controparte processuale che il terzo, debitore principale, dal quale dipende, secondo le prospettazioni della banca opponente, l’impossibilità giuridica di produrre la documentazione chiesta dall’opposto con l’ingiunzione di pagamento;

Ritenuto che il regolare ed effettivo svolgimento della mediazione sarà condizione di procedibilità del giudizio, si avvisa che non sarà considerata soddisfatta la condizione con un mero incontro preliminare tra i difensori delle parti e il mediatore, essendo all’uopo necessaria la personale presenza delle parti o di loro procuratori ad negotia, muniti del potere di concludere l’accordo;

Si invitano le parti, ove una di esse dichiarasse la propria impossibilità di partecipare o di proseguire nella mediazione oltre il primo incontro, e ove in tale eventualità non fosse disposto un rinvio per consentirle di partecipare, a chiedere che il mediatore verbalizzi quali ostacoli oggettivi impediscono la partecipazione al primo incontro o si frappongono alla prosecuzione della mediazione oltre il primo incontro. Tale verbalizzazione non sarà considerata in violazione della riservatezza, riportando elementi valutabili ai fini delle decisione, ex art. 116, co. 2, cpc.”

© massimo ginesi 31 marzo 2017

mediazione: giurisprudenza di merito sempre più rigida sull’obbligo di partecipazione personale.

Una articolata sentenza del Tribunale di Pavia del 20 gennaio 2017  aderisce al sempre più diffuso orientamento dei giudici di merito sull’obbligo di partecipazione personale della parte al procedimento, pena l’improcedibilità del giudizio ove ciò non avvenga.
Le conseguenze sono particolarmente gravi, come nel caso di specie, ove è stata dichiarata improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo poichè l’opponente non ha preso parte alla mediazione demandata dal giudice, limitandosi a comunicare i motivi di tale mancata partecipazione.

Il Tribunale ha ritenuto che  tale condotta fosse ingiustificata e risultasse avere conseguenze analoghe al mancato esperimento della mediazione, poichè la parte opponente “non partecipando al primo incontro avanti al mediatore  nella mediazione avviata dalla parte convenuta opposta – parte più diligente ma non onerata per legge – ha anch’essa posto in essere una inattività qualificata che determina il passaggio in giudicato del decreto opposto”

Afferma ancora il giudice lombardo che “se ne deve dedurre che l’opponente – onerato per legge dello svolgimento della mediazione, inteso non solo come avvio ma anche come corretta partecipazione – non ha voluto assolvere all’onere di realizzare la condizione di procedibilità, che si sostanzia nell’obbligo di iniziare e/o partecipare in modo attivo alla procura di mediazione, salvo il richiamo all’esistenza di ostacoli oggettivi che impediscono la sua partecipazione.”

Per il giudice la parte che ha solo mandato il difensore al primo incontro, incaricandolo di dichiarare che non intendeva aderire alla mediazione, ha così dimostrato di non con siderale la mediazione con sufficiente impegno e serietà; di ritenerla invece un mero e inutilmente costoso adempimento burocratico da assolvere con la semplice presenza avanti al mediatore del difensore munito di procura e per un semplice incontro informativo. Sintomo del comportamento della parte che, sottovalutando la mediazione, abusa invece del processo. Si ritiene che la sanzione applicabile nella specie, sia l’improcedibilità della domanda giudiziale, ex art. 5 comma 2 D.lgs 28/2010, intesa come domanda giudiziale che formula l’opponente verso i decreti ingiuntivi opposti”

La sentenza è assai articolata e merita integrale lettura per l’ampia disamina dell’istituto della mediazione e delle ragioni sottese ad un orientamento così  rigido.

Non può tuttavia dettare perplessità una giurisprudenza che sembra sacrificare sull’altare delle esigenze di speditezza e deflazione il diritto di difesa e accesso alla giurisdizione che l’art. 24 Costituzione garantisce come presupposto fondamentale dell’organizzazione sociale.

© massimo ginesi 25 gennaio 2017