rappresentanza sostanziale e processuale dell’amministratore: i limiti.

La Cassazione (Cass.Civ. VI-2 sez. ord. 8 marzo 2017 n. 5833, rel. Scarpa) affronta un caso peculiare, che offre lo spunto per ripercorrere, alla luce delle SS.UU. del 2010, dell’art. 1131 cod.civ. e dei principi generali, il potere dell’amministratore di rappresentare il condominio, sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello processuale.

La vicenda riguarda una controversia relativa al pagamento delle spese di un cancello automatizzato, utilizzato dai condomini per accedere al fabbricato, ma che non  rientra fra le parti comuni ex art. 1117 cod.civ.

 La sentenza di secondo grado, in riforma della sentenza del Giudice di pace di Bologna: “Il Tribunale di Bologna ha ritenuto che il Condominio di via F. 6, si fosse obbligato a concorrere a tali spese di manutenzione del cancello carraio sul vicolo di proprietà di G. s.r.l. in conseguenza della missiva 8 febbraio 1991 inviata dalla stessa G s.r.l. allo Studio A-C, gestito anche da A Maria C, all’epoca amministratrice del Condominio di via F, 6. Quella lettera, sottolinea il Tribunale, reca una sottoscrizione per ricevuta dell’amministratrice condominiale e, si aggiunge in sentenza, “è pacifico che lo Studio A-C. ricevette in quell’occasione 4 chiavi e 4 telecomandi”. A partire dal 1991, scrive il Tribunale, il Condominio diede pacifica esecuzione all’accordo con G, senza che vi sia traccia di missive indirizzate singolarmente ai fruitori del cancello”

Preliminarmente la Corte affronta l’eccezione sulla legittimazione dell’amministratore ad impugnare: “Non è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente. L’amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, può costituirsi in giudizio, nonché impugnare le decisioni che vedano soccombenti il condominio, per tutte le controversie che rientrino nell’ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio da un terzo creditore in adempimento di un’obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti, ovvero per dare esecuzione a delibere assembleari, erogare le spese occorrenti ai fini della manutenzione delle parti comuni o l’esercizio dei servizi condominiali (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16260 del 03/08/2016).”

Quanto al principale motivo si ricorso, ritenuto assorbente: “A norma dell’art. 1131 c.c., l’amministratore ha la rappresentanza dei condomini nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c. o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio. Il limite della rappresentanza sostanziale dell’amministratore di condominio è dunque costituito dall’inerenza dell’affare alle “parti comuni” dell’edificio. Il contratto con cui un amministratore di condominio intenda assumere l’obbligo dei partecipanti allo stesso di sostenere le spese relative ad un bene non rientrante tra le parti comuni, oggetto della proprietà dei titolari delle singole unità immobiliari, a norma dell’art. 1117 c.c. (nella specie, oneri di manutenzione di un cancello elettrico utilizzato dai condomini per il transito su di un’area di proprietà esclusiva di un terzo), suppone, pertanto, uno speciale mandato conferito all’amministratore da ciascuno dei singoli condomini, ovvero la ratifica del pari effettuata da ciascuno, sicchè è irrilevante la spendita della qualità di amministratore condominiale, trattandosi di verificare la sussistenza di un potere di rappresentanza convenzionale estraneo all’ambito di operatività degli artt. 1130 e 1131 c.c. (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21826 del 24/09/2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5147 del 03/04/2003; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4623 del 03/08/1984).”

La Corte, dunque, cassa con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Bologna, che dovrà attenersi ai principi enunciati.

© massimo ginesi 9 marzo 2017

il diritto di impugnare la delibera compete (quasi sempre) al condomino e non al conduttore

La Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. II Civile, 5 gennaio 2017, n. 151) esaminando un caso peculiare – in cui il Condominio aveva deliberato di disporre la chiusura dei cancelli di accesso all’area cortilizia interna per impedire il transito veicolare – ribadisce un prinpicio consolidato.

Salvo che per le materia in cui è chiamato a decidere il conduttore (riscaldamento), il diritto di impugnare la delibera compete unicamente al condomino locatore: “la Corte d’appello si è attenuta al principio di diritto ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell’art. 1137 cod. civ., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, anche in caso di locazione dell’immobile, salvo che nella particolare materia dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria, per la quale la decisione e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere, sono attribuite ai conduttori (ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. n. 869 del 2012).”

La premessa in fatto e diritto, con cui in sentenza è descritta la vicenda sostanziale e processuale,  è indispensabile per comprendere anche l’altro punto su cui si esprime la Cassazione, ovvero la legittimità della delibera con cui il condominio limita l’uso dell’area interna cortilizia: è legittima l’innovazione che limiti per tutti i condomini e per finalità di interesse collettivo l’uso di un determinato bene comune. 

Il Tribunale di Terni aveva parzialmente accolto la domanda proposta dai sigg. L. , M. , F. , T. e I. in qualità di conduttori i primi due, e di proprietari gli altri di unità immobiliari ad uso commerciale facenti parte del Condominio di (omissis) , e per l’effetto aveva dichiarato la nullità della delibera 7 ottobre 2004 nella parte in cui prevedeva la chiusura permanente dei cancelli e delle sbarre di accesso all’area privata interna per tutto l’arco della giornata.
La Corte d’appello, adita dal Condominio, ha rilevato il difetto di legittimazione delle sigg. L. e M. ad impugnare la delibera, in quanto soltanto conduttrici delle unità immobiliari, e nel merito ha rigettato la domanda di accertamento della nullità della delibera condominiale 7 ottobre 2004.  Secondo la Corte territoriale, la legittimità della delibera condominiale, che prevedeva il divieto di apertura del cancello salvo che per effettuare le operazioni di carico e scarico di merci, doveva essere valutata in riferimento al disposto dell’art. 1120 cod. civ., in materia di innovazioni relative all’uso della cosa comune, e non al disposto dell’art. 1102 cod. civ., come ritenuto dal Tribunale. In tale prospettiva, la disposta limitazione era coerente con la previsione contenuta nel Regolamento condominiale, nel quale era stabilito che “gli spazi di proprietà comune, durante le ore diurne, saranno luogo sicuro di ricreazione dei bimbi del condominio e quindi le auto dei condomini non dovranno sostare in dette aree, ad eccezione di brevi istanti per la salita e la discesa dagli automezzi”. In esecuzione del Regolamento, infatti, già con delibera condominiale del 4 marzo 1981 era stata decisa l’installazione del cancello scorrevole, con chiusura che permetteva l’accesso per le operazioni di carico e scarico delle merci presso i negozi situati nello stabile condominiale. Tale delibera era stata confermata con la successiva del 29 agosto 1991, la cui impugnazione era stata rigettata dal Tribunale ed era diventata definitiva, per assenza di gravame sul punto.
La Corte d’appello ha inoltre osservato che la delibera del 7 ottobre 2004, ancora oggetto di controversia, ribadiva il contenuto di precedente delibera del 7 maggio 2004, che aveva risolto il contrasto tra condomini proprietari degli appartamenti e condomini proprietari dei locali ad uso commerciale, confermando la necessità della chiusura permanente del cancello, con l’eccezione indicata. La delibera non aveva prodotto l’inservibilità dell’area comune per alcuni condomini, e in particolare per quelli che l’avevano impugnata, ma soltanto la riduzione dell’uso dell’area comune per tutti i condomini, e tale decisione rientrava a pieno titolo nelle facoltà rimesse all’assemblea condominiale.”

La Suprema Corte, chiamata a censurare tale aspetto, afferma: “i ricorrenti evidenziano che la chiusura del cancello costituiva innovazione vietata, poiché aveva determinato una sensibile menomazione dell’utilità che in precedenza gli stessi ricorrenti traevano dal bene comune (è richiamata Cass., sez. 2, sentenza n. 20639 del 2005), sotto il profilo della visibilità e dell’accesso, anche potenziale della clientela, e che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che la verifica della legittimità della delibera dovesse essere condotta alla stregua soltanto dell’art. 1120 cod. civ.. La disciplina dell’uso del cancello doveva essere valutata, invece, anche in relazione al principio del pari godimento della cosa comune.
Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente perché connesse, sono infondate.
La ratio decidendi della sentenza impugnata è duplice: la Corte d’appello ha ritenuto, da un lato, che la delibera impugnata fosse meramente confermativa di precedente delibera, coerente con la destinazione dell’area risultante dal regolamento condominiale e con la già avvenuta installazione del cancello automatico, e, dall’altro lato, ha evidenziato che si trattava di delibera rispettosa della regola prevista dall’art. 1120 cod. civ., in quanto non aveva reso inservibile l’area ad alcuno dei condomini. La prima ratio è contestata con il terzo motivo, che tuttavia si risolve nella prospettazione di una interpretazione del contenuto della delibera difforme da quella operata dalla Corte di merito, vale a dire in un apprezzamento in fatto alternativo a quello e ciò, in sede di legittimità, non è consentito (ex plurimis, e, Cass. 15185 del 2001) in assenza di errori di diritto e vizi logici.
Rimanendo integra la prima ratio decidendi, la doglianza proposta con il quarto motivo risulta priva di decisività in quanto inidonea a condurre alla cassazione della sentenza, e come tale inammissibile (ex plurimis, Sez. U, sent. 15185 del 2001).”

© massimo ginesi 16 gennaio 2017

invio convocazione e verbale a mezzo posta: la cassazione ci ripensa

La Corte di Cassazione, II sezione, con sentenza 14 dicembre 2016 n. 25791 fornisce una interpretazione decisamente più rigida rispetto ad un orientamento che sembrava ormai consolidato.

Afferma la Corte che, quando il destinatario della raccomandata è assente, non  può ritenersi avverata la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod.civ. con il recapito del plico al suo domicilio, poiché l’avviso che lascia il postino, relativo al deposito presso l’ufficio postale, non contiene alcuna indicazione sui contenuti della lettera e come tale è inidoneo a rendere edotto i destinatario.

Ne consegue che, bilanciando gli interessi del mittente con quelli del destinatario, ad avviso della Corte – applicando un principio analogo a quello degli atti giudiziari – potrà ritenersi  perfezionata la comunicazione decorsi dieci giorni di giacenza presso l’ufficio postale (oppure nel momento intermedio in cui il soggetto si reca a ritirare effettivamente il plico presso l’ufficio).

La vicenda nasce dall’invio  di un verbale di assemblea, successivamente impugnato da un condomino nei trenta giorni dal ritiro della relativa raccomandata:  i giudici di primo grado e di appello avevano considerato tardiva l’impugnazione, in applicazione del precedente orientamento che faceva decorrere il termine dal rilascio dell’avviso di giacenza, mentre l’odierna pronuncia ha ritenuto l’impugnativa tempestivamente promossa.

La sentenza, seppur con implicazioni pratiche di rilievo, afferma principi che paiono astrattamente condivisibili e garantisti – rispetto al precedente orientamento che indubitabilmente comprimeva molto i diritti del destinatario – e merita integrale lettura.

Rappresenta in ogni caso motivo di grande attenzione per  gli amministratori, che dovranno tenere conto di questa lettura – ove non rimanga episodio isolato – soprattutto nell’invio degli avvisi di convocazione, onde non incorrere nella violazione del termine previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ.

© massimo ginesi 22 dicembre 2016

mediazione e 1137 cod.civ. : un paio di interessanti riflessioni

Il Tribunale di Milano, con la sentenza  n. 13360/2016 pubbl. il 02/12/2016, ha ribadito alcuni passaggi cruciali in tema di mediazione ed impugnazione delle delibere condominiali annullabili, ossia quelle che vedono la possibilità di ricorrere al Giudice nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 cod.civ.

Le norme sulla mediazione (art. 5 VI comma D.Lgs 28/2010 e succ. mod.) prevedono che: ” Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresi’ la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.”

La norma deve essere intesa nel senso che, una volta proposto (e comunicato all’altra parte) il procedimento di mediazione nel termine previsto dall’art. 1137 cod.civ., la relativa causa – ove la mediazione fallisca – dovrà essere proposta nel termine di trenta giorni dal deposito del verbale di mediazione.

La mediazione dunque interrompe e non sospende il termine per l’impugnativa, che ridecorrerà per intero ai fini dell’introduzione della causa.

In tal senso si sono già pronunciati molti giudici di merito (Tribunale di Monza, 12.1.2106 n.65), salvo  il Tribunale di Palermo che con  sentenza 19/09/2015 n° 4951 ha invece ritenuto l’effetto della mediazione solo sospensivo.

Il Tribunale lombardo ritorna sul punto con chiara motivazione: “instaurato tempestivamente il procedimento di mediazione, il predetto termine decadenziale di trenta giorni è stato interrotto salvo a riprendere nuovamente a decorrere, ai sensi dell’art. 5, comma sesto, del decreto legislativo n. 28 del 2010, a far data dal deposito del verbale presso la segreteria dell’organismo di mediazione avvenuto il 12 febbraio 2015; posto che l’atto di citazione è stato portato alla notifica il successivo 13 marzo 2015, non vi è chi non veda come il termine di trenta giorni – che deve decorrere nuovamente per una sola volta dal 12 febbraio 2015 – sia stato rispettato dal condomino attore, il che rende tempestivo l’odierno gravame e comporta l’infondatezza della superiore eccezione”

Interessante invece il corollario cui perviene lo stesso Giudice in ordine alla decadenza per quei motivi che non siano fatti valere nella istanza di mediazione, per i quali la delibera diverrà intangibile: La decadenza dall’impugnazione ex art. 1137 c.c. va piuttosto rilevata per i vizi scaturenti dalla violazione degli art. 1130 e 1130 bis c.c. che l’attore I.B. ha dedotto nei confronti dell’approvazione dei consuntivi per gli esercizi di gestione 2011, 2012 e 2013 stante il fatto che tali asseriti vizi non sono stati menzionati nella causa petendi prospettata in sede di mediazione obbligatoria: a fronte della specifica contestazione posta in essere dalla difesa di parte convenuta Supercondominio L.B. di P., la parte attrice nulla ha obiettato, di talché, in applicazione del principio di cui all’art. 115, primo comma, c.p.c. e in assenza di prova contraria desumibile dal vaglio del modello di presentazione della domanda di mediazione che non risulta allegato agli atti di causa, devesi pronunciare il rigetto della domanda attorea in parte qua per decadenza dal termine ad impugnare previsto dalle legge”.

© massimo ginesi 20 dicembre 2016

se il regolamento vieta l’esercizio rumoroso…

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Una clausola del regolamento condominiale contrattuale vieta di destinare gli appartamenti ad attività rumorose:  il condominio adotta una delibera con cui viene fatto divieto ad uno dei condomini di destinare una delle unità ad asilo nido e costui ricorre al giudice per sentirne dichiarare l’illegittimità.

In primo grado viene espletata CTU che rileva come la rumorosità proveniente dall’asilo nido, quantomeno per due delle altre unità del condominio, risulti superiore alla normale tollerabilità, tenuto conto anche dei parametri normativi in materia.

L’attività di asilo nido viene dunque ritenuta contraria alla clausola regolamentare, non già per definizione ma accertata la sua concreta rumorosità.

Sia in primo grado che in appello la pronuncia è favorevole al Condominio.

L. vicenda giunge in Cassazione che, nel pronunciarsi sul ricorso, detta  alcuni importanti principi, anche e soprattutto sui limiti del giudizio di legittimità, troppo spesso dimenticati.

Cass. Civ. II sezione 6 dicembre 2016 n. 24958 ricorda preliminarmente “L’insegnamento secondo cui l’interpretazione del  contratto e degli atti di autonomia privata – e, dunque, pur, siccome nel caso di specie, di un regolamento condominiale contrattuale -costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità  soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione

 “Si rappresenta in particolare che la corte di merito ha correttamente, ovvero in pieno ossequio al canone esegetico letterale, ancorato il riscontro cui poi ha concretamente atteso, alla previsione del regolamento ove, aldilà delle attività oggetto di esplicita e puntuale menzione, è tout court,  senza, ben vero, precisazione alcuna, fatto divieto di destinare  gli appartamenti ad esercizi    rumorosi (l’art. 3 del regolamento recita che è fatto divieto di destinare gli appartamenti ad uso di qualsiasi industria esercizi rumorosi, sì che il concetto di rumoroso va delineando in relazione al suo concreto  espletamento).”…

Sottolinea la Corte che “Nè la censura ex n. 3)  né la censura ex n. 5)  del primo comma dell’articolo 360 c.p.c.  possono risolversi una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera  contrapposizione di una differente interpretazione”

Non può così essere più censurata in cassazione l’interpretazione che della clausola regolamentare hanno dato i giudici di merito, ritenendo vietata l’attività ove rechi disturbo solo ad alcuni condomini e non all’intero fabbricato: “L’assunto della ricorrente secondo cui la corte distrettuale  avrebbe omesso di considerare il chiaro dettato letterale dell’articolo 3 del regolamento condominiale, nella parte in cui individua nella tranquillità dell’intero fabbricato il limite superato il quale le attività non tipizzate (qual è quella di asilo nido) possono ritenersi vietate poiché (nel caso di specie) rumorose, non puoi in alcun  modo essere recepito”

“Si rappresenta conseguentemente che il  preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell’omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente  dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia,  prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esiste insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Nei termini teste enunciati l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed  esaustivo sul piano logico formale”

Insomma l’asilo faceva un rumore concretamente superiore alla normale tollerabilità, accertato mediante CTU e non solo in base alla valutazione astratta della attività, il giudice di primo e quello di secondo grado hanno ampiamente e correttamente motivato la loro decisione, l’interpretazione della clausola regolamentare espressa dal giudice di merito non deve essere la migliore ma solo una di quelle astrattamente possibili e – soprattutto – ove sussistano tutti questi parametri, il ricorso in cassazione avrà con ogni probabilità esito infausto.

© massimo ginesi 8 dicembre 2016

QUANDO IL TERMINE NON DECORRE. UNA RECENTISSIMA PRONUNCIA SULL’ART. 1137 COD.CIV.

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E’ orientamento costante, a far data da Cass.Civ. SS.UU. 07/03/2005 n. 4806, che la mancata convocazione di un condomino all’assemblea dia luogo ad annullabilità del relativo deliberato, vizio che l’interessato può far valere in giudizio nel termine di trenta giorni.

L’art. 1137 cod.civ. prevede che il termine – oggi definito perentorio – decorra “dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti” (la L. 220/2012 ha modificato la norma ma ha lasciato immutato tale inciso, prima collocato nel terzo comma ed oggi trasferito nel secondo)

Ove il verbale non venga mai inviato al condomino assente il termine non inizierà mai a decorrere: se tale condizione si verifica potrà quindi accadere che il Condominio richieda un decreto ingiuntivo sulla scorta di quelle delibere, rimaste ancora impugnabili dall’interessato.

E’ il caso affrontato da Cass. civ. II sez. 2. 8.2016 n. 16081, relatore Scarpa: Il condomino assente ha proposto impugnazione delle delibere che mai gli erano state comunicate sino alla richiesta del decreto (non opposto per ragioni di opportunità).

Nella fase di merito Il Condominio si è difeso sostenendo che per l’assente il termine doveva comunque ritenersi decorso dalla data del deposito del ricorso, poiché da quel momento le delibere prodotte divenivano per lui conoscibili, tesi accolta dalla Corte d’Appello di Milano.

La Suprema Corte cassa la pronuncia di merito, interpretando letteralmente l’art. 1137 II comma cod.civ. e sottolineando che l’onere di comunicazione del verbale deve avere carattere attivo e positivo.

La Suprema Corte pone dunque l’accento sul concetto di conoscenza e non su quello di conoscibilità (conoscenza adeguata e sufficiente che potrà anche derivare aliunde, ma in tal caso il Giudice dovrà congruamente motivarne la ritenuta sussistenza in capo al condomino).

La pronuncia conferisce valenza dirimente alla conoscenza effettiva che deriva dalla ricezione del verbale, sottolineando che non può invece porsi a carico del condomino assente “un dovere di attivarsi per conoscere le decisioni adottate dall’assemblea ove difetti la prova dell’avvenuto recapito, al suo indirizzo, del verbale che le contenga”; E’ unicamente in forza di tale ultimo adempimento che “sorge la presunzione, iuris tantum, di conoscenza posta dall’art. 1335 cod.civ., e non già in conseguenza del mancato esercizio, da parte dello stesso destinatario del verbale assembleare, della diligenza nel seguire l’andamento della gestione comune e nel documentarsi su di essa”

Osserva ancora la Cassazione che l’art. 1137 cod.civ. “impone la trasmissione del verbale all’indirizzo del condomino assente destinatario” e che tale dovere in capo all’amministratore non “è surrogabile nel senso di ampliare l’autoresponsabilità del condomino ricevente fino al punto di obbligarlo ad acquisire immediate informazioni sul testo di una deliberazione prodotta dal condominio in sede monitoria”

© massimo ginesi 5 agosto 2016

il merito bizzarro – un lastrico lunare…

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Spesso davanti ai Giudici di merito arrivano liti che non hanno del temerario ma dell’incredibile…

Un condomino impugna la delibera con cui il condominio ha deciso di provvedere alla straordinaria manutenzione di una terrazza a livello posta all’ultimo piano del fabbricato condominiale e che si estende sui quattro lati dell’edificio.

La vicenda è decisa con sentenza del Tribunale di Massa in data 28.10.2015.

Il contenuto del procedimento: “L’attrice ha proposto impugnazione della delibera adottata dall’assemblea del Condominio convenuto in data 25.10.2014 assumendo tre profili di illiceità:

– Trattandosi di terrazza a livello (pur ostinandosi le parti a definirlo lastrico solare) di proprietà esclusiva il condominio non avrebbe potuto deliberarne il rifacimento, poiché in tal modo la decisione inciderebbe su beni di proprietà individuale e dovrebbe dunque ritenersi nulla.

– Poiché l’assemblea ha deciso di provvedere alla manutenzione del solo lato monti/strada, avrebbero dovuto votare solo i condomini che sono coperti da tale porzione

– La delibera sarebbe nulla/annullabile in quanto alla assemblea ha espresso il proprio voto la figlia della signora M.O., condomina danneggiata dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico, non munita di delega scritta”

osserva il giudice che:

“Quanto alla proprietà esclusiva della terrazza a livello, va rilevato che la diversa appartenenza del diritto inerente il suo utilizzo non vale ad escludere la sua natura di bene comune con la quale concorre, sicchè il manufatto è idoneo a fornire due distinte utilità, l’una al singolo l’altra alla collettività condominiale. Tale circostanza incide sul criterio di imputazione delle spese per il suo rifacimento, che dovrà informarsi ai principi dettatati dall’art. 1126 cod.civ., non già sulla legittimazione dell’assemblea a disporre il relativo intervento, che pertanto risulta correttamente oggetto di deliberazione dell’organo condominiale: “Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, poichè il lastrico solare dell’edificio svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo” Cass. 18164/2014. Apparirebbe peraltro assai bizzarro far ricadere sui condomini, nella misura dei due terzi, una spesa per un intervento che secondo le tesi di parte attrice dovrebbe decidere in via del tutto personale ed autonoma il solo proprietario del lastrico.”

Quanto ai soggetti legittimati a deliberare, va osservato che le foto prodotte dalla stessa parte attrice dimostrano l’esistenza di una terrazza di copertura che corre sui quattro lati dell’edificio senza alcuna soluzione di continuità, costituendo un unico piano di calpestio che svolge una unitaria funzione di copertura per le unità sottostanti. Tale circostanza comporta che l’intervento sul manto di copertura debba essere deliberato dalla intera collettività condominiale che se ne giova, atteso che non sono rinvenibili – nella fattispecie in esame – caratteristiche di autonomia funzionale e strutturale della porzione interessata che possano ricondurla ad ipotesi di parziarietà: “In materia condominiale le spese di manutenzione del tetto o del lastrico di copertura dell’edificio devono essere suddivise tra tutti i condomini secondo i millesimi di proprietà. E infatti, le spese effettuate per la conservazione delle parti comuni dello stabile condominiale e aventi lo scopo di preservarlo dagli agenti atmosferici sono assoggettate alla ripartizione in base al valore delle singole proprietà esclusive ex art.1123, comma 1, c.c., non rientrando esse tra le spese contemplate dai commi 2 e 3 della medesima norma, ovvero quelle relative a cose comuni suscettibili di essere destinate in misura diversa al servizio dei condomini o al godimento di una parte di essi. Ne deriva che la spesa per il rifacimento del tetto che è destinato a proteggere l’intero edificio e non solo gli ultimi piani dagli agenti atmosferici, coerentemente con quanto disposto dall’art. 1117 c.c., non può essere posta a carico dei soli proprietari delle unità immobiliari poste nella verticale sottostante la porzione da riparare o solo a carico dei proprietari degli immobili siti all’ultimo piano. “ Trib. Roma 18080/2013″

last but not least appare poco fondata anche la questione della delega scritta:

Di nessun pregio appare neanche la terza censura, relativa al voto espresso della figlia della condomina O. che sarebbe statao sfornita di delega. Il dato non risulta in realtà dal verbale di assemblea, ove è genericamente indicata la presenza di O. per millesimi 67, ma la partecipazione della figlia è pacificamente ammessa dal Condominio convenuto che tuttavia contesta l’asserita assenza di delega, osservando che per dimenticanza non è stata annotata la delega esistente (e che tuttavia non è stata prodotta). In assenza di prova sulla esistenza della procura scritta, va tuttavia rilevato che la votazione in assemblea espressa da un soggetto non munito di tale documento, oggi richiesto espressamente dall’art. 67 disp.att. cod.civ., lungi dal costituire nullità del deliberato, può al più condurre alla impossibilità di computare validamente il suo voto ai fini delle maggioranze necessarie alla costituzione e alla votazione. Nel caso di specie la decisione è stata assunta in seconda convocazione con il voto favorevole di 13 condomini su 14 presenti per millesimi 684, come risulta dal relativo verbale. Essendo i condomini del fabbricato in numero di 17, l’eventuale sottrazione del voto espresso dalla O., per una testa e 67 millesimi, non è idonea a incidere sulle maggioranze per la costituzione in seconda convocazione né su quelle necessarie per dar corso a lavori di straordinaria manutenzione così come previste dall’art. 1136 III e IV comma cod.civ., entrambe ampiamente raggiunte anche senza il suo voto”

© massimo ginesi 20 luglio 2016

la nullità della delibera può essere fatta valere anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo

E’ nota la posizione ormai consolidata della giurisprudenza sulla proprietà esclusiva dei balconi aggettanti, da riconoscere in capo ai titolari delle unità cui servono,  laddove gli stessi non abbiano caratteristiche decorative e architettoniche che consentano di qualificarli come elementi costituenti il prospetto architettonico dell’edificio. (Cass. 1156/2015)

Ove i balconi siano di proprietà esclusiva, la decisione in ordine al loro ripristino e alle relative spese è materia che esorbita dalla competenza della assemblea di condominio e da luogo a nullità della delibera. In tal senso si è espressa anche di recente la Suprema Corte  (  Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 1 dicembre 2015 – 12 gennaio 2016, n. 305), la quale ha rilevato che, in tal caso, il vizio radicale può essere fatto valere da chi vi abbia interesse anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.

Non altrettanto può dirsi del vizio che dia luogo a semplice annullabilità della delibera (tardiva o omessa convocazione, maggioranza insufficiente), di cui il giudice della opposizione non può essere investito e che deve essere fatto tempestivamente valere dall’interessato in autonomo giudizio. (Cassazione civile, sez. II, 12/11/2012, ud. 12/07/2012, n. 19605

Sui rapporti fra giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e vizi delle delibere e sullo spinosissimo tema del c.d. supercondominio e della sua gestione secondo le modalità delineate dall’art. 67 disp.att. cod.civ. si è svolto ieri a Roma un interessante convegno cui hanno partecipato come relatori il dr. Claudio Tedeschi, Giudice presso il Tribunale di Roma, e il dr. Alberto Celeste, noto studioso del diritto condominiale e sostituto procuratore presso la Corte di Cassazione.

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il ricorso in cassazione in tema di accertamento di diritti reali richiede delibera assembleare

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Lo afferma la Cassazione con una pronuncia (Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 14 aprile – 6 giugno 2016, n. 11566 Presidente Mazzacane – Relatore Falabella) che non si discosta da orientamenti già espressi dalle lezioni unite del 2010.

Osserva la corte che “In via preliminare va esaminata una questione sollevata dai controricorrenti. Essa ha ad oggetto la mancata autorizzazione dell’assemblea condominiale alla proposizione del ricorso per cassazione da parte dell’amministratore del condominio.
L’impugnazione proposta nella presente sede investe la statuizione della corte di merito con cui è stato accertato l’acquisto per usucapione del diritto di proprietà sulla strada privata denominata via (OMISSIS) da parte dei controricorrenti: statuizione resa con riferimento a una domanda dagli stessi proposta nei confronti del Condominio.
Rispetto a tale domanda l’odierno ricorrente ha affermato, nel corso del giudizio, che la strada fosse di sua proprietà: locuzione, questa, che va intesa nel senso dell’appartenenza di essa al novero dei beni comuni oggetto della proprietà indivisa dei condomini.
Va allora fatta applicazione del principio, espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131 2 e 3 co. c.c., può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione (Cass. S.U. 6 agosto 2010, n. 18331).
Consegue da ciò che va assegnato un termine al Condominio per il deposito dell’atto di ratifica dell’operato dell’amministratore, ovvero della delibera, non presente agli atti, che abbia preventivamente autorizzato la proposizione del ricorso.”

© massimo ginesi 7 luglio 2016