quando l’amministratore usa i conti in maniera disinvolta

L’amministratore che paga un debito di un condominio con un assegno tratto dal conto di altro condominio da lui amministrato, oltre a commettere un reato e a violare in maniera grave una delle specifiche previsioni dell’art. 1129 c.c.espone il condominio beneficiato dal pagamento ad una azione per arricchimento senza giusta causa.

 E’ quanto ha stabilito Trib. Milano sez. V 17.1.2019 n. 407 : “È infatti documentalmente provato che il condominio attore, a quel tempo rappresentato dalla An. Na., ha pagato la controversa fattura emessa dalla società F. ENERGIA SRL a carico del condominio convenuto, per una prestazione pacificamente resa in favore del medesimo condominio di via L.

La circostanza è infatti dimostrata sia dalla produzione sub 2 dell’attore (che documenta l’uscita patrimoniale per il pagamento della fattura n. 1223 del 9.3.2010) sia dalla dichiarazione (incontestata) del terzo F.

Del resto, quel pagamento neppure viene contestato dal convenuto, che si limita a attribuire la causa dell’erroneo pagamento a un errore contabile della sua ex amministratrice, qui rimasta contumace.

Secondo il costante orientamento del giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, ordinanza n. 16305 del 21/06/2018; Cass. Sez. 1, sentenza n. 20226 del 04/09/2013), l’azione generale di arricchimento ex a. 2041 cc presuppone che l’arricchimento di un soggetto e la diminuzione patrimoniale a carico di altro soggetto siano provocati da un unico fatto costitutivo e siano entrambi mancanti di causa giustificatrice.

Inoltre, l’arricchimento ben può consistere anche nel semplice risparmio di spesa, sempre che si tratti di risparmio ingiustificato, nel senso che la spesa risparmiata dall’arricchito sia stata sostenuta senza ragione giuridica dal soggetto depauperato.

Ne discende che, essendo stato accertato sia l’arricchimento del convenuto (per importo pari a quello che avrebbe dovuto versare alla F. e che invece non ha mai pagato) sia la corrispondente diminuzione patrimoniale (dell’attore, per la stessa cifra), e risultando incontestato che l’uno e l’altro dipendono del medesimo fatto costitutivo; rilevato infine che sia l’arricchimento sia il depauperamento sono privi di idonea causa giustificatrice, il convenuto deve essere dunque condannato a restituire all’attore l’importo in questione, oltre agli interessi legali dalla data del pagamento e fino al saldo (non essendo provata la malafede).”

copyright massimo ginesi 8 febbraio 2019 

locazione: il contratto non registrato è nullo e non produce alcun effetto

Una severissima sentenza in materia di locazioni, depositata ieri dalla Suprema Corte (Cass. civ. III sez. 13 dicembre 2016 n. 25503).

Due i principi di diritto affermati:  a) Il contratto di locazione non registrato è nullo ai sensi dell’articolo 1 uno comma 346 della legge  30/12/2004 n. 311 b) la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dall’articolo 2033 cod.civ. e non dall’articolo 1458 cod.civ.; l’ eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, diritto a risarcimento del danno ex articolo 2043 cod.civ.  o al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art.  2041 cod.civ. 

Ne consegue che dal contratto nullo non potrà scaturire alcun effetto ed  il Giudice non potrà statuire sull’indennità di occupazione senza titolo, commisurandola  al canone pattuito dalle parti, in assenza di specifica domanda in tal senso e della relativa prova fornita dalla parte. La sentenza merita lettura integrale per l’importanza delle questioni affrontate e la rigidissima prospettiva che sottende.

© massimo ginesi 14 dicembre 2016