Tribunale di Milano e terrazze a tasca: una pronuncia che fa acqua da tutte le parti.

Il problema dalla realizzazione di una  terrazza a tasca sul manto di copertura condominiale, da parte del condomino proprietario del sottotetto,   ha avuto una costante interpretazione  sfavorevole della giurisprudenza di legittimità sino al 2012.

Sino a quell’anno la giurisprudenza della Cassazione era stata costante nell’affermare che la creazione  di una terrazza a tasca da parte del singolo, in luogo del tetto originario, costituisse alterazione della cosa comune che sottraeva agli altri condomini una porzione del tetto e, come tale, travalicava  i limiti di cui all’art. 1102 cod.civ.; richiedeva  quindi – per la sua realizzazione – il consenso unanime dei condomini: “trasformando il tetto dell’edificio condominiale in terrazza adibita al servizio esclusivo della sua proprietà singola, il ricorrente aveva alterato la destinazione della cosa comune, sottraendola in tal modo al godimento collettivo: il diritto riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano di sopraelevare (art. 1127 cod.civ.) era comunque subordinato ai limiti sanciti dagli artt. 1102 e 1120 cod.civ.  in materia di uso e godimento dei beni comuni.” (Cassazione civile, sez. II, 28/01/2005,  n. 1737; Cassazione civile, sez. II, 20/05/1997,  n. 4466″

Nel 2012 la Corte di legittimità, con una pronuncia innovativa,  ha mutato orientamento in maniera drastica (e discutibile) affermando che: “Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene“. Cassazione civile, sez. II, 03/08/2012,  n. 14107

La sentenza vede immediata conferma poco dopo, con altra pronuncia della stessa corte (Cassazione civile, sez. II, 03/08/2012,  n. 14109) e recepisce  una lettura dinamica e socialmente orientata dell’art. 1102 cod.civ., introdotta dalla Cassazione nello stesso anno in tema di ascensore installato dal singolo (Cassazione civile, sez. II, 14/02/2012,  n. 2156).

Se, tuttavia, in tema di abbattimento delle barriere architettoniche, la compressione dei diritti dei condomini vede un contraltare importante nelle ragioni di solidarietà sociale che impone l’art. 42 Costituzione, in tema di terrazze a tasca tali presupposti paiono difettare e la compressione del diritto dei singoli si confronta  unicamente con la utilitas materiale che  dall’intervento trae il proprietario del sottotetto.

La Corte afferma che “Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può effettuare la trasformazione di una parte del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo proprio, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene.

La Corte, con ampia motivazione, ha richiamato  principi solidaristici per superare la ristretta lettura dell’art. 1102 cod.civ. sino ad allora forniti: “Muovendo da questi principi, che contengono pertinenti richiami al principio solidaristico, si impone una rilettura delle applicazioni dell’istituto di cui all’art. 1102 c.c., che sia quanto più favorevole possibile allo sviluppo delle esigenze abitative.

Questo sviluppo si ripercuote favorevolmente sulla valorizzazione della proprietà del singolo, ma mira soprattutto a moderare le istanze egoistiche che sono sovente alla base degli ostacoli frapposti a modifiche delle parti comuni come quella in esame. In una visione del regime condominiale tesa a depotenziare i poteri preclusivi dei singoli e a favorire la correntezza dei rapporti (si pensi a Cass. SU 4806/05 in tema di deliberazioni nulle o annullabili) non è coerente, nè credibile, intendere la clausola del “pari uso della cosa comune” come veicolo per giustificare impedimenti all’estrinsecarsi delle potenzialità di godimento del singolo.

Qualora non siano specificamente individuabili i sacrifici in concreto imposti al condomino che si oppone, non si può proibire la modifica che costituisca uso più intenso della cosa comune da parte del singolo, anche in assenza di un beneficio collettivo derivante dalla modificazione.

Non lo si può chiedere in funzione di un’astratta o velleitaria possibilità di alternativo uso della cosa comune o di un suo ipotetico depotenziamento (cfr Cass. 4617/07), ma solo ove sia in concreto ravvisabile che l’uso privato toglierebbe reali possibilità di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini-utenti”

La motivazione non è priva di suggestione e si attaglia comunque a modifiche di limitata portata che non stravolgano la funzione essenziale della copertura: “La destinazione della cosa, di cui è vietata l’alterazione, è da intendere in una prospettiva dinamica del bene considerato. La possibilità, dianzi ricordata, di applicare finestre da tetto con notevole efficacia coibente e gradevoli esteticamente contribuisce senz’altro a far ritenere compatibile tale utilizzo con il rispetto della destinazione del bene.

Altrettanto può valere per la realizzazione di piccole terrazze che sostituiscano efficacemente il tetto spiovente nella funzione di copertura dell’edificio.

Non è funzionalmente alterata la destinazione del tetto, se alla falda si sostituisce un’opera di isolamento e coibentazione inserita nel piano di calpestio.

Rimane da chiedersi se la materiale soppressione di una porzione limitata della falda sia di per sè alterazione della destinazione della cosa.

La risposta deve essere negativa, perchè per destinazione della cosa si intende la complessiva destinazione di essa, che deve essere salva in relazione alla funzione del bene e non alla sua immodificabile consistenza materiale.

Pertanto la soppressione di una piccola parte del tetto, se viene salvaguardata diversamente la funzione di copertura e si realizza nel contempo un uso più intenso da parte del condomino, non può esser intesa come alterazione della destinazione, comunque assolta dal bene nel suo complesso.

Ovviamente il giudizio sul punto andrà formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari e si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimità solo avendo riguardo alla motivazione.”

Non sono mancate, successivamente, letture restrittive della giurisprudenza di merito, rimasta ancorata all’orientamento ante 2012: Tribunale Todi, 22/04/2014,  n. 771All’uopo, si è anche evidenziato come la modifica di una parte del tetto condominiale in una terrazza deve ritenersi illecita, non potendosi invocare l’art. 1102 c.c., poiché non si è in presenza di una modifica finalizzata al miglior godimento della res comune, bensì nell’appropriazione di una parte di questa che viene definitivamente sottratta a ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri, non avendo rilevanza il fatto che la parte di tetto sostituita continui a svolgere una funzione di copertura dell’immobile.”

La realizzazione di terrazze a tasca è generalmente malvista dai restanti condomini del fabbricato che, da un lato, temono che l’intervento possa arrecare pregiudizio alla funzionalità e durata della copertura, dall’altro vivono come un sopruso l’attività del singolo che utilizza in via esclusiva il bene comune e tendono a riconnettere a tale iniziativa un obbligo patrimoniale, che pretendono spesso di imporre al condomino che realizza la modifica.

Va a tal proposito osservato che, se l’intervento si pone nel rispetto dei canoni indicati dalla Corte nel 2012, va ascritto alle previsioni dell’art. 1102 cod.civ. e che pertanto costituisce facoltà del singolo, cui non è preordinata alcuna autorizzazione assembleare e a cui gli altri condomini potranno eventualmente opporsi – anche giudizialmente – adducendo motivi  di lesione del decoro, della statica o dei propri diritti individuali.

Il novellato art. 1122 cod.civ. prevede oggi che il singolo comunichi all’amministratore le proprie intenzioni, cosicché questi possa riferirne in assemblea, non già per sollecitare una delibera di approvazione (ove sussistessero lesioni dei limiti sopra evidenziati, nessuna decisione a maggioranza potrebbe porvi rimedio) ma semplicemente per facilitare il controllo e l’eventuale attivazione dell’amministratore o dei singoli condomini, ove l’intervento si preannunci illegittimo per modalità e contenuti.

Va ancora osservato che una lettura difforme dall’orientamento del 2012 pare invece essere fornita dalla Cassazione in una recente pronuncia in tema di altane.

Non vi è però dubbio che, se un ripensamento deve intervenire sulla realizzazione delle terrazze a tasca, questo non possa che passare attraverso una rivisitazione della lettura dell’art. 1102 cod.civ.

In questo contesto interviene invece la sentenza  Tribunale di Milano 7.4.2017 n. 4049 che  trae i propri argomenti circa l’illiceità della realizzazione di terrazze a tasca da una lettura poco  condivisibile sotto il profilo sistematico, poiché appare amalgamare  in maniera  inammissibile la portata dell’art. 1102 cod.civ. – che attiene agli interventi effettuati dai singoli sulle cose comuni – e quella dell’art. 1120 cod.civ. – che attiene alle innovazioni decise dalla maggioranza su parti comuni e nell’interesse della collettività – pervenendo alla inaccettabile conclusione che la terrazza a tasca,  realizzata dal singolo, debba essere approvata dalla assemblea con le maggioranze di cui all’art. 1120 cod.civ.

Giova osservare che si tratta di pronuncia di primo grado che, plausibilmente, potrebbe non reggere al vaglio dell’appello o, comunque, dell’eventuale giudizio di legittimità e che pare opportuno evitare di utilizzare come punto di riferimento interpretativo.

Il Giudice milanese afferma che: “l’intervento operato dalla società convenuta sulla falda del tetto condominiale è da ritenersi illegittimo , trattandosi di innovazione non autorizzata dall’assemblea condominiale. A norma dell’art. 1120 c.c., le innovazioni alla cosa comune sono consentite solo previa approvazione assembleare e sono comunque vietate qualora pregiudichino la sicurezza o la stabilità del fabbricato e ne alterino il decoro architettonico o rendano alcune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.”

La tesi, assolutamente bizzarra, contrasta con il costante orientamento giurisprudenziale che distingue le innovazioni (art. 1120 cod.civ.) dall’uso della cosa comune da parte del singolo (art. 1102 cod.civ.); tale netta distinzione  è stata reiteratamente affermata in ordine a diversi interventi:

terrazza a tasca –  “Una terrazza a tasca non può essere considerata innovazione che, ai sensi dell’art. 1120 c.c., rende talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e godimento anche di un solo condomino. Come tale può essere realizzata dai condomini stessi. Ciò perché esulano dalla nozione di innovazione, quelle modificazioni eseguite dal singolo che si sostanziano in funzione di un più intenso e migliore uso della cosa comune e non conducano ad una totale o parziale alterazione che ecceda il limite della conservazione.” Tribunale Firenze, sez. III, 09/05/2005

apertura muro comune – “Aprire un vano nel muro perimetrale comune ad opera di un condomino, di una o più finestre o porte del suo appartamento, anche ampliando le finestre già esistenti a livello del suo appartamento, non importa una innovazione della cosa comune, a norma dell’art. 1120 c.c., bensì soltanto quell’uso individuale della cosa comune il cui ambito ed i cui limiti sono disciplinati dagli art. 1102 e 1122 c.c..” Tribunale Salerno, sez. II, 08/01/2016,  n. 67

canna fumaria – “In materia condominiale costituisce opera lecita l’installazione di una canna fumaria sulla facciata comune, consentita ai sensi dell’art. 1102 c.c. Per costante orientamento della giurisprudenza, infatti, l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale, integra una modifica della cosa che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico. L’esecuzione di tale opera non costituisce innovazione ma una modifica lecita finalizzata all’uso migliore e più intenso previsto dall’art. 1102 c.c., conforme alla destinazione del muro perimetrale che ciascun condomino può legittimamente apportare a sue spese, se non impedisce agli altri condomini di farne un pari uso, non pregiudichi la stabilità e la sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro.” Tribunale Trento, 16/05/2013,  n. 432

© massimo ginesi 24 maggio 2017

l’installazione di ascensore e la lesione dei diritti dei condomini

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La Cassazione, con recentissima pronuncia (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 luglio – 29 novembre 2016, n. 24235 Presidente Migliucci – Relatore Manna) torna su un tema di grande rilevanza in ambito condominiale e su cui si era  già espressa, in maniera conforme, molte volte.

La vicenda trae origine da fatti accaduti in terra di Puglia: “Nell’assemblea del 13.10.1999 il condominio di (omissis) , deliberava l’installazione di un ascensore all’interno dell’androne delle scale. Assumendosi proprietari esclusivi di un’area retrostante e dei box auto ivi esistenti, e lamentando che la realizzazione dell’ascensore avrebbe impedito loro l’accesso all’area anzi detta e ai box, D.G.G. e C.G. e C. , comproprietari di unità singole al piano terra dell’edificio quali eredi di C.L. , impugnavano detta delibera innanzi al Tribunale di Taranto. assembleare volta alla installazione di ascensore condominiale, impianto che tuttavia avrebbe ristretto considerevolmente lo spazio di accesso ai box posti sul retro dell’impianto”

I proprietari dei box, attori, si vedevano respingere la domanda sia in primo grado che in appello,  sulla scorta di curiose interpretazioni: “Nel resistere in giudizio il condominio eccepiva la prescrizione della servitù di passo carraio, eccezione che l’adito Tribunale di Taranto accoglieva rigettando così la domanda.L’impugnazione proposta avverso detta sentenza da C.G. e C. , anche quali eredi di D.G.G. , nel frattempo deceduta, era respinta dalla Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto. Osservava detta Corte, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che l’installazione dell’ascensore non impediva l’accesso degli appellanti all’area di loro proprietà, lasciando libero a tal fine uno spazio di m. 1,12. Circa la dedotta violazione del godimento dei condomini appellanti, quale limite alle innovazioni di cui al 2 comma dell’art. 1120 c.c., aggiungeva che i testi escussi avevano confermato che gli eredi C. non erano mai entrati con autoveicoli all’interno dell’area di loro proprietà e che i manufatti ivi esistenti non erano mai stati utilizzati quali box auto.”

Il caso approda al giudice di legittimità che ribalta il verdetto, ripercorrendo criteri più volte affermati in tema di barriere architettoniche e di violazione degli artt. 1102 e 1120 cod.civ.,  dettando principi che risultano di grande interesse nella prassi applicativa quotidiana, per ciò che  attiene alla valutazione delle singole fattispecie in discussione, che vanno dalla misura minima del passaggio al c.d. uso potenziale.

Il primo motivo di ricorso attiene alla violazione dell’art. 1120 cod.civ.: “Sostiene parte ricorrente che l’innovazione in oggetto viola l’art. 1120, 2 comma c.c., perché lo spazio di mq. 1,12 lasciato libero per il passaggio menoma gravemente il godimento della stessa area comune e degli immobili di sua proprietà. Ciò si desume dal fatto che tale misura è inferiore a quella minima di m. 1,20 fissata dall’art. 4.1.10 del D.M. n. 236/89, relativamente al superamento delle barriere architettoniche, per la lunghezza delle rampe di scale, e impedisce il passaggio contemporaneo di due persone e quello di una barella con un’inclinazione massima del 15% lungo l’asse longitudinale”

Il motivo coglie nel segno: afferma infatti la Corte  “Occorre premettere che in tema di deliberazioni condominiali, l’installazione dell’ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art. 27 primo comma della legge n. 118/1971 e all’art. 1 primo comma del d.P.R. n. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell’art. 2 legge n. 13/89, è approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall’art. 1136 secondo e terzo comma c.c.; tutto ciò ferma rimanendo la previsione del terzo comma del citato art. 2 legge n. 13/1989, che fa salvo il disposto degli artt. 1120 secondo comma e 1121 terzo comma c.c. (Cass. n. 14384/04).
La condizione di inservibilità del bene comune all’uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell’art. 1120, comma secondo, c.c., rende illegittima e quindi vietata l’innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l’innovazione produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (cfr. Cass. n. 20639/05, che in applicazione di tale principio ha ritenuto illegittima una delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garages, rendeva disagevole il transito delle autovetture).
Dunque, le innovazioni dirette a eliminare barriere architettoniche, come appunto quelle che dispongano l’installazione di un ascensore, non derogano all’art. 1120, 2 comma c.c. (vecchio testo), ma solo alla maggioranza che diversamente è prescritta dall’art. 1136, 5 comma c.c., richiamato dal 1 comma dell’art. 1120 c.c.
E di tali principi la giurisprudenza di questa Corte ha fatto applicazione, segnatamente, anche nell’ipotesi dell’installazione di un ascensore (Cass. n. 12930/12), ancorché volto a favorire le esigenze di condomini portatori di handicap, ove detta innovazione sia lesiva dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative (Cass. n. 6109/94), ed ove l’installazione renda talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino (Cass. n. 28920/11)”

LA Corte sottolinea anche come occorra, per valutare la lesione del diritto dei singoli, considerare non già l’uso effettivo da costoro posto in essere ma l’uso naturale e possibile connesso alla natura e destinazione della cosa, ovvero il c.d. uso potenziale :  ” Di tali principi di diritto la sentenza impugnata mostra di aver operato una falsa applicazione, lì dove, nel valutare se l’innovazione in oggetto avesse compromesso il godimento delle proprietà individuali degli attori, ha escluso ogni lesione sulla base dell’uso che negli anni questi ne avevano fatto, mentre l’apprezzamento avrebbe dovuto essere operato a stregua della natura e della destinazione economica dei beni stessi. In particolare, la circostanza, valorizzata dalla Corte territoriale, che gli eredi C. non fossero mai entrati con autoveicoli nell’area interna del palazzo e che non avessero mai utilizzato i manufatti di loro proprietà per il ricovero di autovetture, è del tutto priva di significato al fine di valutare la compromissione della facoltà di godimento dei beni di proprietà esclusiva, facoltà che, essendo inerente al contenuto del diritto di proprietà, non si estingue per non uso.”

© massimo ginesi 30 novembre 2016