Una vicenda relativa alla occupazione di una porzione del cortile da parte di un condomino, proprietario di unità al piano terra destinata ad uso commerciale, offre alla Suprema Corte l’occasione per tracciare il discrimine fra le innovazioni (previste dall’art. 1120 cod.civ., deliberate dalla maggioranza e destinate a soddisfare una esigenza comune) e il maggior uso della cosa comune, consentito in determinate ipotesi, al singolo condomino (disciplinato dall’art. 1102 cod.civ., posto in essere unilateralmente e destinato a soddisfare una esigenza individuale del singolo proprietario).
Si tratta di aspetto che non sempre trova lineare applicazione nella giurisprudenza di merito, che anche nel caso in questione aveva impropriamente richiamato l’art. 1120 cod.civ. e che, anche di recente, ha erroneamente applicato tali principi al caso della terrazza a tasca realizzata dal singolo.
Cass.civ. sez. II 4 settembre 2017 n. 20712 rel. Scarpa chiarisce che “Per quanto accertato in fatto, e non rivalutabile nel giudizio di legittimità, si ha riguardo ad uno spazio esterno adiacente al fabbricato del Condominio A.F., via L M., Lignano Sabbiadoro, astrattamente utilizzabile per consentire l’accesso allo stesso edificio, e dunque da qualificare come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c.
Il Condominio AF. ha sostenuto che la società convenuta AF. s.n.c. abbia stabilmente occupato tale area comune utilizzata in parte come passaggio pedonale di comunicazione con la pubblica via ed in parte come accesso all’edificio ed al parcheggio condominiale, così realizzando una sottrazione definitiva della medesima parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all’altrui godimento.
Ciò configura, in astratto, non una violazione dell’art. 1120, comma 2, c.c. (testo antecedente alle modifiche introdotte con la legge n. 220/2012, qui operante ratione temporis), ma dell’art. 1102 c.c., disposizione invero applicabile a tutte le innovazioni che, come nella specie, non comportano interventi approvati dall’assemblea e quindi spese ripartite fra tutti i condomini.
L’art. 1102 c.c. implica che l’uso particolare o più intenso del bene comune da parte del condomino si configura come illegittimo quando ne risulta impedito l’altrui paritario uso e sia alterata la destinazione del bene comune, dovendosi escludere che l’utilizzo da parte del singolo della cosa comune possa risolversi nella compressione quantitativa o qualitativa di quella, attuale o potenziale, di tutti i comproprietari (Cass. Sez. 2, 06/11/2006, n. 23608).
Va pertanto corretto il riferimento che la sentenza impugnata fa in motivazione all’art. 1120 c.c., ritenendo integrata, nella specie, una “innovazione additiva”.
L’art. 1102 c.c. e l’art. 1120 c.c. sono disposizioni non sovrapponibili, avendo presupposti ed ambiti di operatività diversi. Le innovazioni, di cui all’art. 1120 c.c., non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l’art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 19/10/2012, n. 18052).
In realtà, tra le nozioni di modificazione della cosa comune e di innovazione (e, pertanto, tra le sfere di operatività delle norme di cui all’art. 1102 e dell’art. 1120 c.c.) corre una differenza che è di carattere innanzitutto soggettivo, giacché, fermo il tratto comune dell’elemento obiettivo consistente nella trasformazione della “res” o nel mutamento della destinazione, quel che rileva nell’art. 1120 c.c. (mentre è estraneo all’art. 1102 c.c.) è l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei partecipanti, espresso da una deliberazione dell’assemblea. Le modificazioni dell’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c., non si confrontano con un interesse generale, poiché perseguono solo l’interesse del singolo, laddove la disciplina delle innovazioni segna un limite alle attribuzioni dell’assemblea.”
© massimo ginesi 6 settembre 2017