la locazione a prezzo vile non è opponibile all’acquirente all’asta

E’ quanto statuito dal Tribunale di Massa (Trib. Massa 11 ottobre 2019 n. 606) con riferimento alla locazione ultra novennale stipulata dall’esecutato prima della vendita all’asta dell’immobile.

L’aggiudicatario, rilevato che la locazione era stata stipulata per 12 anni senza essere stata trascritta e sull’assunto che la stessa dovesse quindi ricondursi alle previsioni ordinarie,   agiva con sfratto per finita locazione, essendo già decorsi sette anni dalla stipulazione del contratto.

Proposta opposizione da parte del conduttore, che riteneva che la locazione fosse ancora in corso, l’attore mutava la domanda in sede di memorie integrative, adducendo  anche l’inopponibilità del contratto per essere stata la locazione stipulata a canone vile.

Il Tribunale ha ritenuto che – quanto alla durata, la locazione fosse astrattamente opponibile all’aggiudicatario nei limiti novennali previsti dall’art. 2923 c.c. e che pertanto non fosse ancora scaduta, che non avesse rilevanza la circostanza che gli organi della procedura avessero comunque proseguito il rapporto, non potendo la trascrizione ammettere equipollenti ai fini della opponibilità; ha  ritenendo, tuttavia, che la stessa violasse il disposto di cui all’art. 2923 n. 3 c.c.

Ha dunque  ritenuto legittima la domanda avanzata per la prima volta in sede di memorie integrative.

Premesso che è facoltà della parte proporre domande nuove nelle memorie integrative, a mente di consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass.8336/2004, Cass.21242/2006, Cass.25399/2010, Cass.12247/2013), di talché appare legittima la richiesta declaratoria di inopponibilità avanzata dall’attore nella memoria ex art 426 c.p.c.  

Alla luce del tenore delle pronunce di legittimità e dell’apparato di garanzia istituito dallo scambio differito di memorie, previsto con l’ordinanza di mutamento rito in data  21.11.2018, si deve ritenere che alle parti sia consentito delineare compiutamente petitum e causa petendi – anche con nuove istanze (tanto che è ammessa sino a quella fase anche la domanda riconvenzionale)   –  dovendosi ritenere che il deposito degli atti integrativi costituisca fase genetica e delimitativa del thema decidendum del procedimento di merito.

Ne consegue che  non può accogliersi la domanda per finita locazione, per le ragioni già evidenziate nella ordinanza sopra richiamata, che devono essere qui confermate, non avendo fornito l’attore ulteriori e diversi elementi di valutazione: la locazione non sarebbe ancora scaduta, dovendosi ritenere la mancata trascrizione inidonea ad opporre locazione ultra novennale ma senza che si possa ritenere che il contratto che eccede tale limite debba ricondursi – per tale sola circostanza – alla durata ordinaria di sei anni, e ciò a mente del dettato letterale di cui all’art. 2923 comma II c.c.”

nel merito a rilevato che “Viceversa, appare fondata la eccepita inopponibilità ex art. 2923 comma III c.c., posto che il canone di locazione convenuto dall’esecutato  e dal conduttore appare manifestamente sproporzionato al valore del bene, così come risultante dalla perizia di stima svolta in sede esecutiva, richiamata in atti e non contestata,  e dal conseguente valore locativo di mercato di immobili posti nel territorio cittadino in quella posizione e di quel valore.

A tal proposito va osservato che è consentito al giudice stimare d’ufficio la viltà del canone (Trib. Rimini 25.1.2017, Trib. Livorno 24.7.2018) ma, soprattutto, che parte convenuta nulla ha eccepito di specifico a tale fatto, dedotto da parte attrice nella memoria integrativa, di talchè la circostanza (nei termini dedotti dall’attore) può ritenersi provata ex art 115 c.p.c.: la difesa del convenuto, nella propria memoria integrativa, non ha preso sul punto specifica posizione, né la contestazione generica o la dichiarazione di mancata accettazione del contradditorio possono essere ritenute idonee ad evitare gli effetti di cui alla norma richiamata: “ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto, Cass. n. 8647 del 2016) un onere di allegazione (e/o prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto (Cass. n. 5191 del 2008; cfr. anche Cass. n. 1540 del 2007; Cass. n. 12636 del 2005; Cass. n. 3245 del 2003)” Cass 19490/2018.

Va peraltro osservato che ulteriori elementi che inducono a ritenere provata la pattuizione di un canone del tutto inadeguato ai valori di mercato, anche ex art 116 c.p.c., vanno ravvisati nel fatto che la società conduttrice risulta riconducibile alla moglie e al figlio dell’esecutato e che l’intera condotta – per tempi e modalità –  dell’allora locatore e del conduttore paiono volte ad evitare gli effetti pregiudizievoli della esecuzione, tanto che nell’immobile continua ad essere esercitata la medesima attività e lo stesso locatore, poi esecutato, è comparso – munito di procura del legale rappresentante della convenuta società – nel procedimento di mediazione esperito quale presupposto di procedibilità della presente causa. Si tratta di elementi tutti che rivestono valore fortemente indiziario circa la volontà di garantire il godimento del bene anche oltre l’attuazione dei provvedimenti del giudice della esecuzione, con esborsi minimi per i componenti del medesimo nucleo familiare.”

copyright massimo ginesi 15 ottobre 2018 “

mediazione, un tema controverso: alcune considerazioni sulla partecipazione personale e sulla procura a terzi.

Una recente sentenza apuana (Trib. Massa 29 maggio 2018 n. 398)  affronta alcuni aspetti relativi al procedimento di mediazione, tema a tutt’oggi di grande fermento nella giurisprudenza merito  e di legittimità

In particolare una delle parti eccepiva la mancata partecipazione dell’avversario al procedimento, poichè costui, legale rappresentante di una società di capitali, dopo il primo incontro – cui aveva preso personalmente parte – aveva delegato altro soggetto a proseguire nel procedimento.

Parte opposta eccepisce in via preliminare l’improcedibilità della opposizione, affermando che  non sarebbe stato ritualmente espletato il procedimento di mediazione  per la mancata partecipazione personale della parte opponente.

L’eccezione è infondata.

Ancor prima di verificare se si tratti di procedimento sottoposto obbligatoriamente alla condizione di procedibilità anzidetta, va osservato che la partecipazione di S. s.p.a. al procedimento di A.D.R. appare conforme alla normativa vigente che, ad avviso di questo giudice, deve essere valutata sia con riguardo ai fini che la stessa si prefigge e alle modalità tipiche ed idonee a perseguire tali fini (il confronto diretto fra le parti), senza che si possa tuttavia  prescindere da una lettura costituzionalmente orientata di tale peculiare condizione di procedibilità, poiché una visione eccessivamente rigida o formalistica del fenomeno potrebbe finire per precludere, o comunque intaccare, il diritto costituzionale di difesa garantito dall’art. 24 della carta fondamentale. 

Il dibattito sul tema ha assunto le più diverse connotazioni nella giurisprudenza di merito, sì che oggi è dato rinvenire più orientamenti che vanno da posizioni assai minoritarie che ritengono necessaria la presenza sia dell’avvocato che della parte personalmente, senza che costei possa in alcun modo delegare ad altri la partecipazione (Trib. Pordenone 10/3/2017), a visioni più flessibili,  e che appaiono di maggior diffusione, in cui si  ammette la possibilità della parte di farsi rappresentare nella mediazione da un procuratore speciale, pur escludendo che tale potere possa essere conferito al difensore ( Trib. Firenze 19/3/2014; Trib. Palermo 23/12/2016; tali pronunce traggono dal dato letterale dell’articolo 8 D.Lgs. n. 28/2010 – ove si afferma che “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” – la conseguenza che il difensore non possa cumulare in sé anche la posizione di parte, seppur in forma di delegato); non sono infine mancate posizioni in giurisprudenza, e più largamente in dottrina, che con argomentazioni non prive di pregio e suggestione hanno comunque ritenuto che nulla osti a che l’avvocato cumuli la posizione di difensore e di procuratore speciale della parte sostanziale (Trib. Verona  11 maggio 2017, in Dottrina, con ampia rassegna Morlini, “Mediazione e possibilità di partecipare al procedimento con procura speciale al proprio difensore” In Persona & Danno a cura P.Cendon 2017).

Il tema di cui si è fatto cenno è solo parzialmente contiguo a quello oggetto dell’odierno contendere, poiché nel caso di specie è pacifico che il legale rappresentante di S. (rectius, uno dei) abbia partecipato al primo incontro dinnanzi al mediatore e che, ai successivi, abbia partecipato un terzo soggetto, munito di procura speciale rilasciata da costui.  

Gli elaborati giurisprudenziali e dottrinali richiamati, tuttavia, pur se parzialmente attinenti al diverso tema della procura sostanziale rilasciata al difensore, paiono funzionali anche alla soluzione della questione sollevata oggi dall’opposto circa la procedibilità, poiché – salvo il più restrittivo – tutti ammettono, con ragioni che si ritiene di condividere, la possibilità di delegare ad un terzo soggetto il potere sostanziale di partecipare al procedimento (e quindi di conciliare la lite), esito interpretativo peraltro del tutto conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento in tema di mandato (art. 1392 c.c.), pacificamente ritenuti applicabili anche alla transazione (Cass. civ. Sez. III 27 gennaio 2012 n. 1181) e che appaiono del tutto conformi e funzionali anche allo spirito del D.Lgs 28/2010. 

Se lo scopo dichiarato della mediazione è quello enunciato programmaticamente all’art. 1 del testo normativo che la istituisce e la definsce come : “ l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”, non può non ritenersi che la partecipazione di un soggetto cui siano stati demandati dal titolare tutti i poteri sostanziali di gestione della situazione giuridica soggettiva oggetto di  lite sia più che sufficiente a consentire al mediatore di esperire tutti i possibili tentativi di componimento bonario, sollecitando ogni distretto anche metagiuridico, personale e/o patrimoniale che la parte titolare del diritto di disporre di quella situazione – anche su delega –  può utilmente attivare.

Ovviamente non potrà avere alcun rilievo, al fine di valutare la sussistenza della procedibilità, che la società abbia tre amministratori e, tuttavia, abbia preferito delegare un terzo, poiché, una volta ritenuto legittimo il conferimento di tale potere, non è dato al giudice sindacare le scelte amministrative e difensive della parte sotto il profilo della opportunità (va rilevata l’irritualità e tardività, con conseguente inammissibilità, dei documenti prodotti a tal fine dall’opposto  con la memoria difensiva finale). 

Va inoltre sottolineato che due dei presupposti su cui si fonda la sollevata eccezione appaiono erronei anche sotto il profilo letterale e non trovano corrispondente alcuno nel dato normativo testuale ad oggi vigente; sembra del tutto non condivisibile negare valenza alcuna al primo incontro dinanzi al mediatore, ritenendo che lo stesso abbia mero carattere informativo e che la partecipazione personale della parte debba essere considerata solo dal secondo incontro, poiché solo tale evento deve ritenersi quello in cui inizia il relativo procedimento: tale immotivata e apodittica tesi, avanzata dall’opposto,  è contradetta da quanto prevede l’art. 8 comma 1 D.lgs 28/2010 “Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”

La norma certamente prevede la possibilità (che pare essere quella fisiologica) di fissare più incontri successivi, ma certo non prevede o presuppone che il primo incontro abbia mera valenza informativa, né – tantomeno – esclude che in tale sede la mediazione possa avere inizio o addirittura compiuto svolgimento, sì che la partecipazione del legale rappresentante di Supermatic a tale primo incontro già elide l’eccezione di mancata partecipazione della parte.

Quanto agli incontri successivi, cui per le ragioni anzidette, si ritiene potesse legittimamente partecipare un mandatario speciale della parte, appare destituita di fondamento anche l’eccezione che costui dovesse essere necessariamente munito di procura notarile, poiché tale dato urta con quanto disposto dall’art. 1392 c.c. né trova alcuna previsione positiva (che, peraltro, parte opposta non indica) nelle norme in tema di mediazione.

Né si comprende (poiché l’opposto pare assumerlo come postulato, senza fornire in proposito alcuna utile argomentazione) per quale ragione – aldilà degli aspetti formali connessi al combinato disposto dagli artt. 1392 e 1350 c.c., che qui non ricorrono – la procura notarile dovrebbe avere maggior efficacia sotto il profilo sostanziale della procura comunque conferita in forma scritta e pacificamente prodotta in sede di mediazione dal mandatario di S.”

© massimo ginesi 30 maggio 2018  

 

l’amministratore ha obbligo di comunicare i dati dei morosi al creditore che ne faccia richiesta

Lo ha stabilito, in linea con una consolidata giurisprudenza di merito, il Tribunale di Massa con provvedimento del 5 gennaio 2018, emesso a seguito di ricorso ex art 702 bis c.p.c. del creditore.

Il provvedimento fissa anche una somma ex art 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nella esecuzione da parte del condominio.

Il tribunale rileva che, nonostante quanto osservato di recente dalla corte di legittimità in ordine alla possibilità di agire esecutivamente anche in assenza dei dati sugli effettivi condomini morosi, sia comunque interesse del creditore agire in via esecutiva senza esporsi al rischio di possibili opposizoni, ottenendo dall’amministratore le informazioni previste dall’art. 63 disp.att. cod.civ.

Da sottolineare come  tali informazioni debbano riguardare non i condomini morosi tout court ma quelli che siano inadempienti rispetto al credito espressamente vantato dal soggetto richiedente.

“Ritenuto che – pur potendo il creditore dar corso ad azione esecutiva anche senza conoscere le quote millesimali dei singoli condomini (Cass. 22856/2017) – sia suo pieno interesse, che lo legittima dunque all’azione oggi esperita, ottenere tali dati dall’amministratore onde procedere alla esecuzione dell’obbligazione parziaria che incombe in capo ai singoli obbligati senza il rischio di opposizione da parte dei singoli

Rilevato peraltro che l’obbligo della relativa comunicazione sia posto in capo all’amministratore da espressa previsione di legge (art. 63 disp.att. c.c.) e che pertanto costui debba comunicare al creditore insoddisfatto i dati dei condomini morosi nel pagamento delle rispettive quote del credito per il quale l’informazione è richiesta (Trib. Torre Annunziata 28.6.2017, Trib. Roma 1.2.2017).

Ritenuto che meriti accoglimento anche l’istanza dell’attore di fissare, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., una somma a carico dell’obbligato per ogni giorno di eventuale ritardo nella esecuzione del presente provvedimento; somma che, tenuto conto dell’importo del credito vantato e del significativo ritardo che la condotta dell’amministratore ha comportato per il soddisfacimento delle pretese del creditore, si determina in € 100 per ogni giorno di ritardo nella esecuzione del provvedimento

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in misura prossima agli importi medi per lo scaglione di valore di pertinenza ex dm 55/2014.

P.Q.M.

Visti gli artt. 702 bis e segg. c.p.c. condanna CONDOMINIO C. in persona amministratore pro tempore a comunicare al ricorrente i dati anagrafici dei condomini morosi rispetto al credito vantato dal ricorrente, nonché il valore millesimale riconducibile a ciascuno di costoro secondo la tabella di ripartizione in uso per tali spese.

Visto l’art. 614 bis c.p.c. dispone che tale comunicazione avvenga entro cinque giorni dalla notifica della presente ordinanza e fissa in cento euro la somma dovuta per ogni giorno di ritardo nella esecuzione del provvedimento

condanna CONDOMINIO C. al pagamento delle spese processuali sostenute dal ricorrente, liquidate in euro 76,50 per spese ed euro 2.200 per compenso professionale (applicati importi ex art 55/2014 in misura prossima a quelli medi previsti per il relativo scaglione di valore) oltre rimb. forf. Iva e Cpa come per legge”

© massimo ginesi 8 gennaio 2018

 

procedimento per convalida di sfratto e il mancato esperimento della mediazione obbligatoria

I procedimenti sommari, quali il ricorso per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto, sono esclusi dall’obbligo di preventiva mediazione stabilito dall’art. 5 comma I bis del d.lgs 28/2010 per alcune materie.

Lo prevede la stessa norma, al comma IV:” I commi 1-bis e 2 non si applicano:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile”.

Terminata la fase sommaria, tuttavia, la condizione di procedibilità – per le materie ove questa è obbligatoria – torna ad essere un vincolo imprescindibile.

I problemi applicativi in tema di opposizione a decreto ingiuntivo  sono assai complessi e fonte di vivace dibattito.

Problematiche assai simili si pongono in tema di giudizio conseguente alla opposizione alla convalida di sfratto, con particolare riguardo alle conseguenze che comporta il mancato avveramento della condizione di procedibilità.

Il tema è affrontato da sentenza del Tribunale di Massa del 28 novembre 2017: il caso è peculiare poiché l’intimante, a seguito della opposizione, della conversione del rito e dell’assegnazione del termine per introdurre la mediazione, non da più alcuna indicazione al proprio difensore, che deposita istanza ma si ritrova da solo alla comparizione dinanzi al mediatore.

Come risulta dal verbale di mediazione, prodotto in giudizio, la parte intimante che ha instaurato il procedimento di mediazione, non si è presentata al primo incontro, al quale era presente unicamente il difensore, che ha peraltro manifestato l’assenza di qualunque mandato specifico a partecipare a detto incombente.

Tale circostanza appare già di per sè idonea a ritenere non espletato il procedimento poiché al procuratore non era stato conferito alcuno specifico potere, anche a non voler aderire alla ormai predominante giurisprudenza che ritiene indispensabile la partecipazione personale della parte (fra le tante Trib. Pavia 20.1.2017).

La circostanza che il difensore presente all’incontro non avesse né potere né indicazioni per gestire il procedimento e agisse in totale dissociazione dalla parte lascia intendere che il locatore abbia manifestato totale disinteresse alla sua apertura, resa di fatto impossibile dalla sua assenza prima ancora che da quella del convenuto, sì che la condizione si dovrà ritenere non avverata, esattamente come se l’istanza non fosse stata proposta.”

Quanto alle conseguenze del mancato esperimento, il Tribunale osserva che “sussistono posizioni assai plastiche in giurisprudenza, che oscillano da valutazioni drastiche in cui si accollano al locatore sia l’onere della mediazione che le conseguenze del suo mancato esperimento, con dichiarazione di improcedibilità e condanna alle spese in caso di mancato avveramento della condizione (Trib. Mantova 15.1.2015) sino a per pervenire a letture invece in totale favore della parte attrice, nelle quali – ritenuta improcedibile la domanda, si considerano comunque consolidati gli effetti del provvedimento provvosirio reso ex art. 665 c.p.c e sostanzialmente vittoriosa l’intimante a cui devono essere riconosciute le spese (Tribunale Bologna 17.11.2015 n. 21324) sino a posizioni intermedie che, pur a fronte del consolidarsi degli effetti del provvedimento interinale, ritengono sussistenti idonee ragioni per provvedere a totale compensazione delle spese ( Trib. Rimini 24 maggio 2016).

La pronuncia del Tribunale felsineo appare a questo giudice maggiormente condivisibile sotto il profilo delle argomentazioni sistematiche, in analogia con quanto già statuito – anche dalla corte di legittimità, in materia contigua quale l’opposizione a decreto ingiuntivo (Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015, n. 24629 ) laddove riconosce ‘la la distribuzione dell’onere di attivazione della mediazione obbligatoria in capo ad entrambe le parti, seppure con diversi effetti stante la indiscutibile esistenza del provvedimento giurisdizionale consistente nella ordinanza di rilascio (tipico esempio di condanna con riserva, nella fattispecie con riserva delle eccezioni dell’intimato – opponente); l’improcedibilità del giudizio a cognizione piena originato dall’opposizione dell’intimato, stante la mancata instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria; il travolgimento (per improcedibilità) delle domande delle parti che siano ulteriori rispetto a quella proposta dal locatore intimante sfociata nell’ordinanza di rilascio; la preservazione dell’efficacia dell’ordinanza non impugnabile di rilascio, idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo, in quanto non travolta dalla declaratoria di improcedibilità; e ciò in quanto il provvedimento anticipatorio di condanna al rilascio è sottoposto alla condizione risolutiva consistente nella pronuncia di successiva sentenza di merito negativa (mentre la declaratoria di improcedibilità opera in rito)’.

Parimenti condivisibile, appare la conclusione, in linea con la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione, cui perviene lo stesso giudice “Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665667 c.p.c. vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell’ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell’ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio).

A carico dell’intimato opponente, non operoso in mediazione, resta l’effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore.

È ora possibile concludere nel senso che l’espressione “condizione di procedibilità della domanda” di cui al decreto legislativo 28/2010 va correttamente intesa con riferimento: alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall’intimatoopponente; alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall’intimato (essenzialmente pagamento somme).

Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall’intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena. Invece l’ordinanza di rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non impugnabile dall’articolo 665 c.p.c., e quindi non è neppure modificabile revocabile). Identica sorte avrebbe l’ordinanza di rilascio, in caso di declaratoria di estinzione del giudizio a cognizione piena”

Non appare invece condivisibile la tesi della sostanziale soccombenza del convenuto a fronte del provvedimento di rilascio ottenuto dal locatore ai sensi dell’art. 665 c.p.c., poiché ove l’attore intenbda giovarsi unicamente degli effetti di tale ordinanza deve arrestarsi a quella fase, mentre ove intenda coltivare le ulteriori domande – ivi comrpesa quella di condanna alle spese – diviene egli stesso parte che aveva interesse ad introdurre la mediazione onde avverare la condizione la condizione di procedibilità, di talché laddove ciò non abbia fatto ed insista nella successiva fase di merito nel coltivare domande palesemente improcedibili, mostra di abusare dello strumento processuale, contravvenendo proprio alla ratio delle norme di cui al D.lgs 28/2010 ragione che impedisce di riconoscerli alcun titolo a vedersi liquidate spese ex art 91 c.p.c.”

© massimo ginesi 30 novembre 2017

 

nel giudizio di divisione spetta al giudice stabilire cosa tocca a ciascuno

Una articolata sentenza della Suprema Corte (CAss. civ. Sez. II 12482/2016) fa il punto sulla divisione giudiziale di un compendio immobiliare e ribadisce il potere del Giudice di stabilire, con adeguata motivazione, le modalità di formazione dei lotti – che possono anche avere natura disomogenea – onde soddisfare al meglio il diritto di ciascun condividente.

La vicenda origina in terra ligure (Sestri Levante) sino ad arrivare al Palazzaccio.

Afferma la Suprema Corte che “il contenuto del diritto dei condividendi ad una porzione di beni immobili comuni, qualitativamente omogenea all’intero, consiste nella proporzionale divisione degli immobili considerati nel genere e non in un frazionamento quotistico delle singole entità immobiliari (fabbricati, terreni, ecc.) comprese nella massa da dividere, sicchè non è sindacabile in sede di legittimità la decisione con cui il giudice di merito abbia ritenuto che taluni dei beni immobili oggetto di comunione possano essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sebbene aventi caratteristiche diverse, invece ad altra quota, stimando comunque omogenee tra loro le quote stesse quanto al valore dei singoli cespiti, come attestato dall’esiguità dei conguagli, in relazione al valore dell’intero asse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27405 del 06/12/2013). Pertanto, nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, spetta al giudice del merito accertare se il diritto del condividente ad una porzione in natura dei beni in comunione sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio”

© massimo ginesi giugno 2016 

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