La Corte di Appello di Palermo con decreto n. 3203 del 31 luglio 2018 recepisce l’obiter dictum espresso a gennaio di quest’anno dalla cassazione: ai provvedimenti di volontaria giurisdizione, quale certamente è quello di revoca dell’amministratore, non si applica quanto disposto dall’art. 5 D.lgs 28/2018 in tema di condizione di procedibilità.
Il provvedimento palermitano appare interessante anche per il contenuto di merito, laddove sottolinea come la mancata indicazione del codice fiscale da parte dell’amministratore al momento della accettazione costituisca grave irregolarità, per l’obbligo che ha costui di comunicare tutti i propri dati e che – tuttavia – appaia dirimente, rispetto a tale inadempimento, la ben più grave circostanza che costui non abbia reso il conto della gestione dal 2014 al 2018.
la Corte siciliana ribadisce anche il principio, consolidato in giurisprudenza, che una volta promosso procedimento per la revoca, diviene ininfluente che medio tempore sia stato ratificato dal condominio l’operato dell’amministratore, poiché le delibere tardive di approvazione non valgono a sanare la grave irregolarità compiuta.
Ove il giudice, rilevato che si tratta di materia sottoposta a procedimento obbligatorio di mediazione, abbia concesso alle parti termine per darvi corso, non potrà reiterarsi tale facoltà ove le parti siano rimaste colpevolmente inerti.
Si tratta di principio pacifico in giurisprudenza, riaffermato in recente sentenza del Tribunale di Massa 20 luglio 2018 n. 546.
Qualora il condomino impugni la delibera viziata, tale atto venga ratificato da successiva delibera e il singolo condomino impugni anche – nel medesimo giudizio – il secondo deliberato, dovrà essere svolto nuovo procedimento di mediazione a pena di improcedibilità di tale domanda .
Così ha statuito il Tribunale Roma sez. V 31 maggio 2018 n. 11090, ritenendo che la seconda domanda dovesse essere dichiarata improcedibile mentre sulla prima impugnativa doovrà essere dichiarata cessazione della materia delibera contendere e il giudizio dovrà proseguire ai soli fini della decisione sulla c.d. soccombenza virtuale .
Una applicazione assai formale (anche se sotto il profilo letterale difficilmente contestabile) quella effettuata dal giudice capitolino in tema di impugnazione di delibera e mediazione, che tuttavia desta più di una perplessità sotto il profilo sostanziale, ove la condizione di procedibilità attenga alla impugnativa di due atti dal contenuto sostanzialmente coincidente e sia fallito fra le parti il primo tentativo di risoluzione alternativa della controversia.
E’ quanto stabilito in una recentissima sentenza dalla Corte di Appello di Genova (13 giugno 2018 n. 946), che ha confermato l’orientamento già espresso dal Tribunale della Spezia.
“Ai sensi dell’art.5 co.6 D.Lgs.28/2010 la domanda di mediazione dal momento della sua comunicazione alle altre parti impedisce la decadenza.
Nella fattispecie – come ha osservato il Tribunale – la domanda di mediazione è stata depositata dagli attori in data 10.04.15, ma è stata comunicata dall’organismo di mediazione dopo il 29.04.15, quando il termine di trenta giorni di cui all’art.1137 C.C. era già ampiamente decorso.
Per la difesa degli appellanti l’effetto di impedire la decadenza dovrebbe collegarsi non già alla comunicazione, ma alla presentazione della domanda di mediazione. La presentazione della domanda – infatti – dipende dall’iniziativa del soggetto interessato ad impedire la decadenza, mentre la sua comunicazione al convenuto è demandata all’organismo di mediazione, che deve fissare la data del primo incontro, ed è sottratta pertanto all’ingerenza dell’istante.
L’assunto pur distaccandosi dal dato letterale sarebbe conforme ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame ed al principio enunciato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e della stessa Corte Costituzionale, per cui l’effetto di impedire una decadenza si collega, di regola, al compimento da parte del soggetto interessato dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione alla controparte, non potendo farsi dipendere il rispetto del termine di decadenza dal compimento di attività indipendenti dall’iniziativa dell’istante.
L’appello è infondato. Il Tribunale ha osservato giustamente che l’istante avrebbe potuto anche di propria iniziativa comunicare la domanda alla controparte in tempo utile ad evitare la decadenza.
Lo prevede l’art.8 del D.Lgs.28/10 per il quale la comunicazione della domanda di mediazione alla controparte può avvenire anche a cura della parte istante, e non necessariamente del mediatore: sicché la parte che intenda giovarsi degli effetti della domanda può rendersi attiva e diligente per effettuare nei termini la comunicazione.
La facoltà della parte istante di provvedere direttamente alla comunicazione della domanda – prevista espressamente dalla legge – salvaguarda l’interpretazione letterale della norma, secondo la quale gli effetti impeditivi della decadenza sono collegati alla comunicazione della domanda di mediazione, non già al suo deposito presso l’organismo prescelto.
La difesa dell’appellante ha osservato in comparsa conclusionale che la decadenza in questione, di natura sostanziale, non essendo stata eccepita dalla controparte, non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il rilievo è tardivo. Non essendo stato proposto tempestivamente come motivo di appello non può essere preso in considerazione per la decisione della causa. “
In particolare una delle parti eccepiva la mancata partecipazione dell’avversario al procedimento, poichè costui, legale rappresentante di una società di capitali, dopo il primo incontro – cui aveva preso personalmente parte – aveva delegato altro soggetto a proseguire nel procedimento.
“Parte opposta eccepisce in via preliminare l’improcedibilità della opposizione, affermando chenon sarebbe stato ritualmente espletato il procedimento di mediazioneper la mancata partecipazione personale della parte opponente.
L’eccezione è infondata.
Ancor prima di verificare se si tratti di procedimento sottoposto obbligatoriamente alla condizione di procedibilità anzidetta, va osservato che la partecipazione di S. s.p.a. al procedimento di A.D.R. appare conforme alla normativa vigente che, ad avviso di questo giudice, deve essere valutata sia con riguardo ai fini che la stessa si prefigge e alle modalità tipiche ed idonee a perseguire tali fini (il confronto diretto fra le parti), senza che si possa tuttaviaprescindere da una lettura costituzionalmente orientata di tale peculiare condizione di procedibilità, poiché una visione eccessivamente rigida o formalistica del fenomeno potrebbe finire per precludere, o comunque intaccare, il diritto costituzionale di difesa garantito dall’art. 24 della carta fondamentale.
Il dibattito sul tema ha assunto le più diverse connotazioni nella giurisprudenza di merito, sì che oggi è dato rinvenire più orientamenti che vanno da posizioni assai minoritarie che ritengono necessaria la presenza sia dell’avvocato che della parte personalmente, senza che costei possa in alcun modo delegare ad altri la partecipazione (Trib. Pordenone 10/3/2017), a visioni più flessibili,e che appaiono di maggior diffusione, in cui siammette la possibilità della parte di farsi rappresentare nella mediazione da un procuratore speciale, pur escludendo che tale potere possa essere conferito al difensore ( Trib. Firenze 19/3/2014; Trib. Palermo 23/12/2016; tali pronunce traggono dal dato letterale dell’articolo 8 D.Lgs. n. 28/2010 – ove si afferma che “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” – la conseguenza che il difensore non possa cumulare in sé anche la posizione di parte, seppur in forma di delegato); non sono infine mancate posizioni in giurisprudenza, e più largamente in dottrina, che con argomentazioni non prive di pregio e suggestione hanno comunque ritenuto che nulla osti a che l’avvocato cumuli la posizione di difensore e di procuratore speciale della parte sostanziale (Trib. Verona11 maggio 2017, in Dottrina, con ampia rassegna Morlini, “Mediazione e possibilità di partecipare al procedimento con procura speciale al proprio difensore” In Persona & Danno a cura P.Cendon 2017).
Il tema di cui si è fatto cenno è solo parzialmente contiguo a quello oggetto dell’odierno contendere, poiché nel caso di specie è pacifico che il legale rappresentante di S. (rectius, uno dei) abbia partecipato al primo incontro dinnanzi al mediatore e che, ai successivi, abbia partecipato un terzo soggetto, munito di procura speciale rilasciata da costui.
Gli elaborati giurisprudenziali e dottrinali richiamati, tuttavia, pur se parzialmente attinenti al diverso tema della procura sostanziale rilasciata al difensore, paiono funzionali anche alla soluzione della questione sollevata oggi dall’opposto circa la procedibilità, poiché – salvo il più restrittivo – tutti ammettono, con ragioni che si ritiene di condividere, la possibilità di delegare ad un terzo soggetto il potere sostanziale di partecipare al procedimento (e quindi di conciliare la lite), esito interpretativo peraltro del tutto conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento in tema di mandato (art. 1392 c.c.), pacificamente ritenuti applicabili anche alla transazione (Cass. civ. Sez. III 27 gennaio 2012 n. 1181) e che appaiono del tutto conformi e funzionali anche allo spirito del D.Lgs 28/2010.
Se lo scopo dichiarato della mediazione è quello enunciato programmaticamente all’art. 1 del testo normativo che la istituisce e la definsce come : “ l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”, non può non ritenersi che la partecipazione di un soggetto cui siano stati demandati dal titolare tutti i poteri sostanziali di gestione della situazione giuridica soggettiva oggetto dilite sia più che sufficiente a consentire al mediatore di esperire tutti i possibili tentativi di componimento bonario, sollecitando ogni distretto anche metagiuridico, personale e/o patrimoniale che la parte titolare del diritto di disporre di quella situazione – anche su delega –può utilmente attivare.
Ovviamente non potrà avere alcun rilievo, al fine di valutare la sussistenza della procedibilità, che la società abbia tre amministratori e, tuttavia, abbia preferito delegare un terzo, poiché, una volta ritenuto legittimo il conferimento di tale potere, non è dato al giudice sindacare le scelte amministrative e difensive della parte sotto il profilo della opportunità (va rilevata l’irritualità e tardività, con conseguente inammissibilità, dei documenti prodotti a tal fine dall’oppostocon la memoria difensiva finale).
Va inoltre sottolineato che due dei presupposti su cui si fonda la sollevata eccezione appaiono erronei anche sotto il profilo letterale e non trovano corrispondente alcuno nel dato normativo testuale ad oggi vigente; sembra del tutto non condivisibile negare valenza alcuna al primo incontro dinanzi al mediatore, ritenendo che lo stesso abbia mero carattere informativo e che la partecipazione personale della parte debba essere considerata solo dal secondo incontro, poiché solo tale evento deve ritenersi quello in cui inizia il relativo procedimento: tale immotivata e apodittica tesi, avanzata dall’opposto,è contradetta da quanto prevede l’art. 8 comma 1 D.lgs 28/2010 “Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”
La norma certamente prevede la possibilità (che pare essere quella fisiologica) di fissare più incontri successivi, ma certo non prevede o presuppone che il primo incontro abbia mera valenza informativa, né – tantomeno – esclude che in tale sede la mediazione possa avere inizio o addirittura compiuto svolgimento, sì che la partecipazione del legale rappresentante di Supermatic a tale primo incontro già elide l’eccezione di mancata partecipazione della parte.
Quanto agli incontri successivi, cui per le ragioni anzidette, si ritiene potesse legittimamente partecipare un mandatario speciale della parte, appare destituita di fondamento anche l’eccezione che costui dovesse essere necessariamente munito di procura notarile, poiché tale dato urta con quanto disposto dall’art. 1392 c.c. né trova alcuna previsione positiva (che, peraltro, parte opposta non indica) nelle norme in tema di mediazione.
Né si comprende (poiché l’opposto pare assumerlo come postulato, senza fornire in proposito alcuna utile argomentazione) per quale ragione – aldilà degli aspetti formali connessi al combinato disposto dagli artt. 1392 e 1350 c.c., che qui non ricorrono – la procura notarile dovrebbe avere maggior efficacia sotto il profilo sostanziale della procura comunque conferita in forma scritta e pacificamente prodotta in sede di mediazione dal mandatario di S.”
Per alcune controversie l’art. 5 D.lgs 28/2010 prevede obbligatoriamente l’esperimento del procedimento di mediazione, che costituisce condizione di procedibilità dell’azione.
Come è noto alla mediazione si sottraggono quelle fasi sommarie o cautelari che la legge – per la loro natura – affida alla cognizione del giudice ordinario senza alcuna barriera preventiva, fra i vanno annoverati il procedimento per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto.
Anche tali ipotesi, tuttavia, sussiste obbligo di mediazione una volta esaurita la fase sommaria o cautelare (in caso di opposizione al decreto ingiuntivo, una volta pronunciati i provvedimenti sulla provvisoria esecutorietà e nella opposizione a convalida di sfratto una volta statuito sull’ordinanza ex art 665 c.p.c. e mutato il rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c.).
In quelle ipotesi il giudice dispone che si dia corso a procedimento di mediazione a cura della parte che ne ha interesse, che dovrà provvedere nel termini di quindi giorni.
Si tratta di termine che da una parte (dominante) della giurisprudenza di merito è stato ritenuto non perentorio, sicché non incorrerà nella improcedibilità della domanda colui che abbia dato corso in ritardo, purché il procedimento sia stato introdotto prima della udienza di verifica e si sia concluso (o sia prossimo alla conclusione).
In tal senso si è espresso di recente anche Tribunale Massa con sentenza 8.3.2018 n. 202 che ha osservato “quanto alla improcedibilità della domanda, va osservato che questo giudice aderisce alla tesi della non perentorietà dello stesso (Tribunale Roma, sez. XIII 14 luglio 2016, n. 14185), specie laddove la parte abbia ottemperato all’introduzione del procedimento di mediazione non in prossimità dell’udienza di trattazione e il procedimento abbia trovato comunque il suo esaurimento prima di tale data, come avvenuto nel caso di specie.”
Interessante sentenza del Tribunale di Vasto (27 settembre 2017) che affronta l’ormai annoso tema della procedibilità della domanda ad opposizione a decreto ingiuntivo in assenza di mediazione, pervenendo alla tesi della improcedibilità della opposizione e della definitività del decreto con particolare riguardo alla mediazione tardivamente introdotta rispetto all’ordine del giudice.
Il tribunale accede alla tesi che il termine per inizio non sia perentorio, tuttavia perviene a soluzione che appare interessante e condivisibile: il termine per l’introduzione del procedimento (fissato dal giudice indicato dall’art. 5 D.lgs 28/2010 in quindici giorni) non ha natura processuale e non è perentorio, così che le parti potranno anche introdurla in ritardo senza perdita di chance, tuttavia in tal caso si assumono il rischio che – ove il procedimento non sia terminato entro la successiva udienza fissata dal giudice per la verifica della condizione di procedibilità – l’azione venga dichiarata improcedibile.
La sentenza contiene una ampia disamina dello stato della giurisprudenza sul punto ed una articolata motivazione: per tale ragione merita integrale lettura.
I procedimenti sommari, quali il ricorso per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto, sono esclusi dall’obbligo di preventiva mediazione stabilito dall’art. 5 comma I bis del d.lgs 28/2010 per alcune materie.
Lo prevede la stessa norma, al comma IV:” I commi 1-bis e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile”.
Terminata la fase sommaria, tuttavia, la condizione di procedibilità – per le materie ove questa è obbligatoria – torna ad essere un vincolo imprescindibile.
Problematiche assai simili si pongono in tema di giudizio conseguente alla opposizione alla convalida di sfratto, con particolare riguardo alle conseguenze che comporta il mancato avveramento della condizione di procedibilità.
Il tema è affrontato da sentenza del Tribunale di Massa del 28 novembre 2017: il caso è peculiare poiché l’intimante, a seguito della opposizione, della conversione del rito e dell’assegnazione del termine per introdurre la mediazione, non da più alcuna indicazione al proprio difensore, che deposita istanza ma si ritrova da solo alla comparizione dinanzi al mediatore.
“Come risulta dal verbale di mediazione, prodotto in giudizio, la parte intimante che ha instaurato il procedimento di mediazione, non si è presentata al primo incontro, al quale era presente unicamente il difensore, che ha peraltro manifestato l’assenza di qualunque mandato specifico a partecipare a detto incombente.
Tale circostanza appare già di per sè idonea a ritenere non espletato il procedimento poiché al procuratore non era stato conferito alcuno specifico potere, anche a non voler aderire alla ormai predominante giurisprudenza che ritiene indispensabile la partecipazione personale della parte (fra le tante Trib. Pavia 20.1.2017).
La circostanza che il difensore presente all’incontro non avesse né potere né indicazioni per gestire il procedimento e agisse in totale dissociazione dalla parte lascia intendere che il locatore abbia manifestato totale disinteresse alla sua apertura, resa di fatto impossibile dalla sua assenza prima ancora che da quella del convenuto, sì che la condizione si dovrà ritenere non avverata, esattamente come se l’istanza non fosse stata proposta.”
Quanto alle conseguenze del mancato esperimento, il Tribunale osserva che “sussistono posizioni assai plastiche in giurisprudenza, che oscillano da valutazioni drastiche in cui si accollano al locatore sia l’onere della mediazione che le conseguenze del suo mancato esperimento, con dichiarazione di improcedibilità e condanna alle spese in caso di mancato avveramento della condizione (Trib. Mantova 15.1.2015) sino a per pervenire a letture invece in totale favore della parte attrice, nelle quali – ritenuta improcedibile la domanda, si considerano comunque consolidati gli effetti del provvedimento provvosirio reso ex art. 665 c.p.c e sostanzialmente vittoriosa l’intimante a cui devono essere riconosciute le spese (Tribunale Bologna 17.11.2015 n. 21324) sino a posizioni intermedie che, pur a fronte del consolidarsi degli effetti del provvedimento interinale, ritengono sussistenti idonee ragioni per provvedere a totale compensazione delle spese ( Trib. Rimini 24 maggio 2016).
La pronuncia del Tribunale felsineo appare a questo giudice maggiormente condivisibile sotto il profilo delle argomentazioni sistematiche, in analogia con quanto già statuito – anche dalla corte di legittimità, in materia contigua quale l’opposizione a decreto ingiuntivo (Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015, n. 24629 ) laddove riconosce ‘la la distribuzione dell’onere di attivazione della mediazione obbligatoria in capo ad entrambe le parti, seppure con diversi effetti stante la indiscutibile esistenza del provvedimento giurisdizionale consistente nella ordinanza di rilascio (tipico esempio di condanna con riserva, nella fattispecie con riserva delle eccezioni dell’intimato – opponente); l’improcedibilità del giudizio a cognizione piena originato dall’opposizione dell’intimato, stante la mancata instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria; il travolgimento (per improcedibilità) delle domande delle parti che siano ulteriori rispetto a quella proposta dal locatore intimante sfociata nell’ordinanza di rilascio; la preservazione dell’efficacia dell’ordinanza non impugnabile di rilascio, idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo, in quanto non travolta dalla declaratoria di improcedibilità; e ciò in quanto il provvedimento anticipatorio di condanna al rilascio è sottoposto alla condizione risolutiva consistente nella pronuncia di successiva sentenza di merito negativa (mentre la declaratoria di improcedibilità opera in rito)’.
Parimenti condivisibile, appare la conclusione, in linea con la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione, cui perviene lo stesso giudice “Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665667 c.p.c. vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell’ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell’ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio).
A carico dell’intimato opponente, non operoso in mediazione, resta l’effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore.
È ora possibile concludere nel senso che l’espressione “condizione di procedibilità della domanda” di cui al decreto legislativo 28/2010 va correttamente intesa con riferimento: alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall’intimatoopponente; alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall’intimato (essenzialmente pagamento somme).
Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall’intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena. Invece l’ordinanza di rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non impugnabile dall’articolo 665 c.p.c., e quindi non è neppure modificabile revocabile). Identica sorte avrebbe l’ordinanza di rilascio, in caso di declaratoria di estinzione del giudizio a cognizione piena”
Non appare invece condivisibile la tesi della sostanziale soccombenza del convenuto a fronte del provvedimento di rilascio ottenuto dal locatore ai sensi dell’art. 665 c.p.c., poiché ove l’attore intenbda giovarsi unicamente degli effetti di tale ordinanza deve arrestarsi a quella fase, mentre ove intenda coltivare le ulteriori domande – ivi comrpesa quella di condanna alle spese – diviene egli stesso parte che aveva interesse ad introdurre la mediazione onde avverare la condizione la condizione di procedibilità, di talché laddove ciò non abbia fatto ed insista nella successiva fase di merito nel coltivare domande palesemente improcedibili, mostra di abusare dello strumento processuale, contravvenendo proprio alla ratio delle norme di cui al D.lgs 28/2010 ragione che impedisce di riconoscerli alcun titolo a vedersi liquidate spese ex art 91 c.p.c.”
Posto che i tempi della giustizia sono ormai biblici e il carico di lavoro significativo, la corte di appello può decidere di disporre la c.d. mediazione demandata, ovvero disporre che le parti compaiano per ordine del giudice dinanzi al mediatore, per provare a conciliare la controversia.
Si tratta di un istituto originariamente previsto dall’art. 5 comma II D.Lgs. 28/2010 e profondamente rivisto dal legislatore nel 2013: oggi il giudice non è più chiamato a proporre alle parti un semplice invito a tentare la strada della mediazione ma, quando lo ritiene opportuno, dispone l’esperimento del procedimento di mediazione che, in tal caso, diviene condizione di procedibilità della domanda.
In tal senso ha statuito di recente la Corte di Appello di Napoli ord. 21.9.2017, ponendo a fondamento della decisione la prevedibile lunghezza del procedimento di secondo grado.
Si tratta di un uso decisamente creativo dell’istituto, nato per favorire la conciliazione di quelle liti in cui il giudice percepisce l’opportunità – per la natura degli interessi in gioco e l’atteggiamento delle parti – di una possibile soluzione pacifica, volto a sopperire invece alle inefficienze del sistema.
Di interesse invece l’indicazione sulle modalità di partecipazione alla mediazione, che ribadisce l’orientamento giurisprudenziale che sempre più vede affermarsi la necessità di un effettivo esperimento del tentativo di conciliazione e non la mera partecipazione formale delle parti: