contabilizzazione calore, un criterio vincolante nel riparto delle spese di riscaldamento

importante e interessante pronuncia della suprema corte (Cass.civ. sez. II  ord. 4 novembre 2019 28282 rel. Scarpa) in tema di ripartizione delle spese di riscaldamento, con significativi risvolti applicativi: Tale criterio legale di ripartizione delle spese di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, come visto in precedenza, risale già alla L. 9 gennaio 1991, n. 10, art. 26, comma 5, il quale, peraltro, costituisce applicazione di specie del criterio generale previsto dall’art. 1123 c.c., comma 2.

L’adozione dei sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore è, infatti, funzionale a collegare il vantaggio economico del risparmio energetico, conseguente alla minor richiesta di calore, esclusivamente al patrimonio del condomino che decida di prelevare minor energia.

Nel caso in esame, risulta accertato in fatto che il Condominio (omissis) aveva adottato nel 2011 un sistema di contabilizzazione autonomo del calore, mentre la deliberazione assembleare del 19 settembre 2012 aveva ripartito le spese di riscaldamento per il metano al 50% in base al consumo registrato e per il restante 50% in base alla tabella millesimale, prescindendo, perciò, dalla contabilizzazione dei consumi effettivi di ciascuna unità immobiliare.
Occorre, in definitiva, enunciare il seguente principio di diritto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1:
“le spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, ove sia stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, devono essere ripartite in base al consumo effettivamente registrato, risultando perciò illegittima una suddivisione di tali oneri operata, sebbene in parte, alla stregua dei valori millesimali delle singole unità immobiliari, nè possono a tal fine rilevare i diversi criteri di riparto dettati da una delibera di giunta regionale, che pur richiami specifiche tecniche a base volontaria, in quanto atto amministrativo comunque inidoneo ad incidere sul rapporto civilistico tra condomini e condominio”.

© massimo ginesi 5 novembre 2019

il frazionamento di un’unità immobiliare non comporta necessariamente revisione dell’intera tabella millesimale.

E’ quanto ha statuito, aderendo ad una lettura intuitiva e non controversa, Cass.civ. sez. II  sent. 3 giugno 2019 n. 15109.

Ove il proprietario di una unica unità immobiliare proceda a frazionarla dividendola in due unità, resta immutato – salvo prova contraria, il cui onere compete alla assemblea –  il valore complessivo del bene, mentre le quote frazionarie dello stesso dovranno essere attribuite ai singoli titolari delle due unità derivate, compiendo una mera operazione algebrica.

Il frazionamento in oggetto ha determinato una diversa intestazione della quota millesimale, in precedenza attribuita ad un unico condomino ed ora suddivisa tra due, e ciò imponeva di adeguare le regole di gestione del condominio alla mutata situazione, mentre non ha inciso sulle tabelle millesimali, con la conseguenza che non sussistevano i presupposti di applicazione dell’art. 69 disp. att. c.c..

La norma citata, nel testo antecedente alla riforma attuata con la L. n. 220 del 2012, applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevede(va) la revisione dei valori tabellare in caso di errore o di sopravvenute modifiche strutturali che avessero notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano (tra le molte, Cass. 19/02/1999, n. 1408, anche richiamata dalla Corte d’appello; Cass. 11/07/2012, n. 11757; Cass. 14/12/2016, n. 25790).

Il testo vigente, modificato dalla L. n. 220 del 2012, esplicita la nozione di “notevole alterazione” prevedendo che l’incremento/diminuzione di unità immobiliari impone la revisione delle tabelle se comporta un’alterazione per più di un quinto del valore proporzionale dell’unità immobiliare.

L’insussistenza del presupposto della notevole alterazione, nella fattispecie in esame, è peraltro confermato a contrario dall’argomentazione posta dalla Corte d’appello a sostegno del decisum: “l’appartamento non solo è stato frazionato, ma attribuito a due diversi acquirenti (…) così determinandosi un aumento delle unità abitative e pure dei condomini. Tale situazione certamente altera i valori ed in particolare il valore dell’originaria unità immobiliare, che a seguito del frazionamento aumenta” (pag. 2 della sentenza).

Diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, si deve affermare che, in ipotesi di divisione orizzontale in due parti di un appartamento in condominio, non si determina alcuna automatica incidenza dell’opera sulle tabelle millesimali ai fini della revisione dei valori delle unità immobiliari (Cass. 24/06/2016, n. 13184; Cass. 17/10/1967, n. 2493), mentre grava sull’assemblea l’onere di provvedere a ripartire le spese tra le due nuove parti così create ed i rispettivi titolari, determinandone i valori proporzionali espressi in millesimi sulla base dei criteri sanciti dalla legge.

In materia condominiale, del resto, non trova applicazione il principio dell’apparenza del diritto – non sussistendo una relazione di terzietà tra condominio e condomino – sicché le spese gravano esclusivamente sul proprietario effettivo dell’unità immobiliare, e l’amministratore è tenuto ad aggiornare i propri dati alla realtà della composizione dell’edificio, ai fini del riparto, eventualmente consultando i registri immobiliari (ex plurimis, Cass. 0/10/2017, n. 23621; Cass. 03/08/2007, n. 17039).”

© massimo ginesi 11 giugno 2019 

art. 1124 cod.civ.: fondi terranei e valutazione del parametro dell’altezza nella ripartizione della spesa per scale ed ascensori

L’art. 1124 cod.civ. prevede che le spese per scale ed ascensori siano ripartite per metà in funzione della quota millesimale di ciascuna unità e per metà in funzione dell’altezza dal suolo.

La riforma del 2012 ha recepito nel tessuto normativo l’indicazione giurisprudenziale che estendeva la norma al riparto delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori ed ha specificato, con riguardo all’altezza dal suolo, che metà della spesa dovrà essere imputata  “esclusivamente” in funzione di quel parametro.

Ci si è chiesti se, in presenza  di più unità poste allo stesso piano, queste rispondano per la metà suddivisa in funzione dell’altezza in misura paritaria oppure se, ferma l’identità di piano, la quota relativa dovesse tener conto anche della diversa estensione millesimale.

Nel primo caso 4 unità poste al terzo piano avrebbero risposto per metà della spesa in misura uguale, nel secondo la spesa – fermo il coefficiente di piano – sarebbe stata comunque ripartita in funzione del diverso valore millesimali delle quattro unità.

E’ il tema affrontato da un recente sentenza del Tribunale apuano  (Trib. Massa 12 ottobre 2018 n. 712) che pronuncia in via definitiva su una complessa vicenda che ha visto l’accertamento della proprietà comune di una scala:“… i due punti controversi attengono unicamente alla imputazione delle spese ai fondi terranei (e dunque alla attribuzione di un valore nella relativa tabella per il riparto degli oneri relativi alle scale) e le modalità di calcolo del coefficiente di altezza con riguardo al 50% che l’art. 1124 c.c. prevede sia calcolato secondo tale parametro.

Con riguardo ai fondi terranei posti nel condominio C., va osservato che tale complesso edilizio appare formato – come già rilevato nella sentenza che ha accertato la proprietà comune delle scale a tutti i condomini – da diversi corpi di fabbrica, serviti da diverse copertura che tuttavia, per la loro natura e ubicazione, non appaiono riconducibili ad ipotesi di parzialità ex art 1123 comma III c.c., come ha ampiamente documentato il CTU, che pure ha tenuto conto nella valutazione delle specifiche caratteristiche di ubicazione di ogni immobile.

Ne deriva che la scala per cui è causa va ritenuto comune anche ai fondi terranei poiché, aldilà della sua specifica idoneità ad accedere al tetto, rappresenta comunque un elemento strutturale ed indispensabile per accedere all’edificio multipiano, le cui strutture (non solo di copertura) rimangono comunque beni comuni a tutti ex art 1117 c.c.

Per tali ragioni le relative spese andranno imputate anche ai fondi, secondo un orientamento della giurisprudenza che appare ormai consolidato (ex multis Cass. 12 settembre 2018 n. 22157, Cass. 20 aprile 2017 n. 9986, Cass. 10 luglio 2007 n. 15444); appare peraltro evidente che tali unità contribuiranno unicamente per la metà relativa al valore millesimale (App. Napoli 1.6.2017 n. 2404), essendo pari a zero il coefficiente di altezza, secondo principi già espressi nella relazione al codice del 1942 e come è chiaramente espresso dall’art. 1124 comma II c.c.

Più complessa appare la problematica relativa all’applicazione del parametro altezza previsto dall’art. 1124 c.c., posto che talune delle parti in causa – ovviamente in funzione del vantaggio che alle stesse ne deriva – sostengono che fra più unità poste allo stesso piano debba comunque valutarsi anche la loro diversa consistenza ed altre ritengono invece che il parametro dell’altezza – in base al quale va ripartito il 50% delle spese – vada considerato puro, ovvero calcolando il solo dato della elevazione dal suolo, indipendentemente dalla diversa caratura millesimale delle unità ivi poste.

Tale ultima soluzione appare più rispondente alla ratio della norma, che considera già la diversa consistenza delle unità immobiliari imputando metà delle spese secondo i valori generali previsti dall’art. 1123 c.c.

Quanto all’altra metà delle spese, l’art. 1124 c.c. – così come modificato dalla novella del 2012 – prevede siano calcolate “esclusivamente” in base all’altezza dal suolo.

L’introduzione dell’avverbio esclusivamente pare collocarsi in un’ottica di continuità e ulteriore conferma rispetto a quanto già era contenuto nella relazione del Guardasigilli al codice civile del 1942 ove si affermava “”per quanto riguarda le scale ho abbandonato il sistema del codice del 1865 che poneva le relative spese a carico dei proprietari di quei piani a cui serviva ciascun tratto di scala, in ragione del valore dei piani stessi… Ho ripartito invece le spese per la manutenzione e ricostruzione tra i proprietari dei diversi piani, a cui le scale servono, per metà in ragione dei singoli piani e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. E’ giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano in misura maggiore, perché è da presumere che con il maggior uso diano luogo a maggior consumo delle scale”

Tale criterio misto rappresenta indubbiamente una applicazione ponderata della norma generale di cui all’art. 1123 comma II c.c., con predeterminazione della quota di contribuzione parametrata alla diversa utilità tratta dal bene a seconda della posizione della unità immobiliare a cui la scala serve (Cass. 12.1.2007 n. 432)

La diversa consistenza delle unità e quindi la necessità di evitare disparità con riguardo a beni di diversa entità, valore e ampiezza è già considerata nella metà della spesa che l’art. 1124 c.c. impone di ripartire secondo i principi generali di proporzionalità previsti dall’art. 1123 comma I c.c., sì che parrebbe un’ulteriore e non consentita reiterazione di tale principio – con diluzione del parametro di piano voluto dal legislatore – tornare a distinguere, per la determinazione della quota ripartita in funzione dell’altezza, il valore delle singole unità poste a quel piano; non appare secondario, in tal senso, tenere conto della attuale indicazione della norma (“esclusivamente”), che pare ribadire e puntualizzare i principi generali sottesi alla adozione del precetto sin dal codice del 1942, tenuto conto che, per il parametro dell’altezza, deve valere unicamente il criterio del maggior uso e della maggior utilità – in senso potenziale – effettuato dai condomini dei piani alti, criteri con riferimento ai quali la estensione delle relative unità poste a ciascun livello non ha diretta ed effettiva incidenza (arg. dalle cit. cass. 22157/2018 e Cass. 432/2007).

Peraltro che il criterio dell’altezza di piano debba essere applicato in maniera pura, con riguardo a quelle utilità che si ritraggono in funzione della posizione della unità di proprietà individuale all’interno dell’edificio in condominio, è principio che pare conforme alla natura mista della norma codicistica che, da un lato, valorizza il parametro legato all’uso e alle utilità potenziali (che certamente le unità collocate ai piani alti traggono in misura maggiore) e, dall’altro, tiene comunque conto del valore millesimale delle diverse unità poiché, come si è osservato acutamente in dottrina, “il legislatore sa pure che il godimento delle scale non è bene perfettamente misurabile, e, dunque, è irrinunciabile tenere in considerazione paritariamente la quota millesimale”

© Massimo Ginesi 16 ottobre 2018 

 

la nomina dell’amministratore che non indica il compenso è nulla

Lo ha stabilito  una recente sentenza (Tribunale di Massa 6 novembre 2017 n. 917 ), che ha dichiarato nulla la nomina di un amministratore che non aveva indicato analiticamente la propria richiesta di compenso. La pronuncia affronta anche diversi altri motivi fatti valere dalle parti, che tuttavia si rivelano infondati.

Il compenso dell’amministratore non risultava da alcun documento, né antecedente né posteriore alla assemblea, né sussisteva formale accettazione. Alcuni mesi dopo la riunione il presiedente ed il segretario della riunione avevano predisposto, a loro firma, una nota di correzione del verbale ove si dichiarava che l’assemblea – prima di procedere alla nomina – era stata resa edotta dell’importo richiesto dall’amministratore.

Il condominio si è difeso osservando anche che il compenso dell’amministratore era stato comunque indicato come voce del preventivo approvato.

il Tribunale ha osservato che “Risulta (…) fondata la censura sulla nullità della nomina dell’amministratore, in assenza di una valida accettazione che contenga specifica indicazione del suo compenso; il dettato dell’art. 1129 comma XIV cod.civ. è tassativo e non ammette equipollenti: “È nulla la nomina dell’amministratore di condominio – con conseguente nullità della delibera in parte qua – in assenza della specificazione analitica del compenso a quest’ultimo spettante per l’attività da svolgere, in violazione dell’art. 1129, comma 14, c.c. Tale norma, che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, si applica sia nel caso di prima nomina dell’amministratore che nel caso delle successive riconferme” . Tribunale Milano, sez. XIII, 03/04/2016, n. 4294
A tal fine va osservato che nel verbale di assembla nulla risulta in ordine al compenso, né potrà a tal fine rilevare – come pretenderebbe il convenuto – la mera indicazione di una somma complessiva, per nulla dettagliata, inserita fra le voci del preventivo che – anche ove si possa ritenere che comprenda tutto quanto dovuto all’amministratore alla luce di Cass. 22313/2013 – non soddisfa quella esigenza di chiarezza documentale, trasparenza e formalità che traspaiono dal meccanismo di nomina ed accettazione individuati dal novellato art. 1129 cod.civ., meccanismo che non può prescindere da un atto formale dal quale risulti l’espressa e analitica indicazione del compenso.

Mette conto di rilevare, in proposito, che il preventivo di spesa costituisce una semplice stima – che potrebbe anche essere variata in sede di consuntivo – e non rappresenta invece quell’assunzione di un obbligo negoziale da parte dell’amministratore in ordine al corrispettivo (che rappresenta l’obbligazione assunta dal condominio) che oggi appare indispensabile a mente del novellato art. 1129 cod.civ., a tutela della posizione contrattuale del mandante.
Il Condomino non ha peraltro provato che tale indicazione fosse stata allegata alla convocazione, che neppure è stata prodotta, né che vi sia stato un formale atto di accettazione conforme al dettato di cui all’art. 1129 commi II e XIV cod.civ., norma inderogabile ex art 1138 cod.civ.”

La sentenza contiene anche ulteriori statuizioni che possono essere di interesse, attenendo ad aspetti frequentemente controversi in ambito condominiale:

PRESIDENTE E SEGRETARIO ASSEMBLEA – gli attori si dolevano che gli organi assembleari  non fossero stati ritualmente nominati e che avessero provveduto, altrettanto irritualmente, a correggere a posteriori il verbale, integrandolo con i dati del compenso richiesto dall’amministratore. Osserva il Tribunale che “paiono altresì non provate (e comunque destituite di fondamento) le istanze circa l’invalidità della delibera per la irregolare nomina di presidente e segretario.
Va a tal proposito evidenziato che dal verbale risulta che costoro siano stati eletti dalla assemblea e che le parti attrici, seppur presenti, non abbiano in quella sede contestato alcunché: era peraltro in capo a loro l’onere di provare, ex art 2697 I comma cod.civ., la sussistenza del vizio lamentato, prova che non risulta fornita: “.Il verbale di una assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova. Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l’onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale.” Cass. 11375/2017
Né, peraltro, risulta alcuna norma che preveda l’esistenza di tali figure nella assembla condominiale e, anche a voler mutuare la loro funzione dai principi generali in tema di funzionamento degli organi collegiali, non si rinviene alcun dato normativo – ne parte attrice lo individua – che preveda che eventuali vizi afferenti alla nomina di tali soggetti comportino nullità dei deliberati della assemblea, sussistendo anzi giurisprudenza in senso assolutamente contrario (Tribunale Milano, 24/07/1997)”

SULLA POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE SUCCESSIVA DEL VERBALE – “non può avere alcun rilievo il bizzarro atto di integrazione del verbale inviato ai condomini alcuni mesi dopo l’assemblea e che reca almeno tre date diverse: tale scrittura rappresenta una mera dichiarazione – parrebbe a posteriori – di coloro che lo sottoscrivono ed al quali non si può riconoscere alcun valore se non quello di semplice dichiarazione riconducibile agli estensori, atteso che è lecito ritenere che gli organi assembleari (presidente e segretario) cessino la loro funzione – e vengano meno i relativi poteri – con la chiusura della riunione e non potendo ritenersi consentito emendare, a posteriori e in sedi diverse dalla assemblea (con il relativo assenso dei partecipanti), la carenza di elementi essenziali del verbale e delle delibere che quel verbale attesta esser avvenute.”

SULLA LEGITTIMAZIONE DEGLI USUFRUTTUARI – Deve preliminarmente essere dichiarata infondata anche l’eccezione, avanzata dal convenuto, relativa alla asserita di carenza di legittimazione attiva degli usufruttuari M F e C F, per le delibere che riguarderebbero lavori straordinari, atteso che a fronte della solidarietà fra usufruttuario e nudo proprietario, oggi prevista dall’art. 67 disp.att.cod.civ., la delibera è direttamente ed immediatamente azionabile contro entrambi, sì che a costoro va riconosciuta la pari facoltà di agire per far dichiarare la sua invalidità.

SULL’OBBLIGO DI INDICAZIONE NOMINATIVA DEI VOTANTI – Parimenti del tutto infondata si rivela la doglianza rispetto alle irregolarità che inficerebbero la votazione per non essere stati nominativamente indicati tutti i soggetti che hanno votato a favore e contro: il verbale contiene, in apertura, l’elenco di tutti i soggetti presenti e, per ogni punto in votazione, l’indicazione di chi abbia eventualmente votato contro, con l’espressa quantificazione del loro valore millesimale complessivo. Si tratta, in accordo con la giurisprudenza consolidata, di modalità più che sufficienti a garantire la facoltà di impugnazione ai dissenzienti e la possibilità di individuare i soggetti che abbiano votato a favore e il loro valore millesimale. (Cass. 6552/2015; Cass. 2413272009, cass. 10329/1998); 

SULLA FACOLTA’ DI TESTIMONIARE DEI CONDOMINI  -Altrettanto singolare che parte attrice si ostini a reiterare istanze istruttorie in cui elenca quali testimoni unicamente soggetti che rivestono la qualità di condomino, sostenendo che costoro “sono gli unici a poter testimoniare sulla materia condominiale e, in particolare, sulle circostanze avvenute in sede di assemblea” (pag. 7 comparsa conclusionale).
Sulla mancata ammissione delle testimonianze sarà sufficiente osservare che “I singoli condomini sono privi di capacità a testimoniare nelle cause che coinvolgono il condominio, poiché l’eventuale sentenza di condanna è immediatamente azionabile nei confronti di ciascuno di essi.” Cass. 17199/2015; l’inammissibilità è stata tempestivamente eccepita dal convenuto nella terza memoria ex art 183 VI comma c.p.c.

SUL MANCATO INVIO DEI PREVENTIVI PER LAVORI STRAORDINARI –Infondata risulta la censura relativa alla approvazione di spese straordinarie, che si assume illegittima poiché non sarebbero stati preliminarmente inviati preventivi: posto che tale procedura non è prevista da alcuna norma in materia di condominio e che l’assemblea, ove raggiunga le maggioranze necessarie, è assolutamente sovrana nella scelta delle opere da eseguire, ivi compresi i relativi costi, ciò nell’ambito delle attribuzioni dell’organo collegiale stabilite dall’art. 1135 cod.civ. e salvi solo i limiti delineati dagli artt. 1102 e 1120 cod.civ

SULLA CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE – la dedotta nullità della delibera impedisce qualunque sanatoria, di tal chè la delibera successivamente assunta in data 3.6.2017 – con cui è stato nominato lo stesso amministratore B. – si pone come atto autonomo e distinto da quello impugnato, avente effetti dal momento della sua adozione ed inidoneo a sanare il vizio dedotto nel presente procedimento, circostanza che se da un lato consente di ritenere ovviato il problema concreto della nomina dell’amministratore a far data dal 3.6.2017, dall’altro lascia intatto l’interesse dagli attori di veder dichiarare la nullità della precedente nomina e impedisce di ritenere cessata la materia del contendere, sì che si dovrà pronunciare anche in punto di soccombenza, ai sensi dell’art. 91 cod.proc.civ., senza alcun criterio virtuale.

© massimo ginesi 13 novembre 2017

 

 

la sentenza risulta pubblicata sulla banca dati giuffrè e sul portale giuffrè Condominio&locazioni, con nota di Luigi Salciarini.

16 novembre 2017

tabelle millesimali: l’errore che da luogo a revisione.

La Corte di Cassazione ritorna su un tema ormai consolidato, ovvero la natura dell’errore che consente la revisione delle tabelle a mente dell’art. 69 disp.att. cod.civ., e lo fa con una pronuncia che fornisce qualche utile spunto di riflessione.

Cass. Civ. sez. II 11 maggio 2017 n. 11575  afferma che “discende da quanto rilevato che, benché il c.t.u. non si esprima in termini di errore, ciò opera la corte d’appello quale peritus peritorum nel momento in cui – in aderenza a un solido indirizzo giurisprudenziale secondo cui comportano la revisione delle tabelle gli errori nella determinazione del valore che siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo (cfr. ad es. Cass. n. 3001 del 10/02/2010) e non i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare – qualifica come erronea, con motivazione che si sottrae a censure di carattere logico e giuridico, la disomogenea parametrazione delle singole unità dell’edificio senza tener conto del coefficiente di altezza.”

La corte ritiene di dover “ dar seguito all’indirizzo giurisprudenziale (v. Cass. n. 21950 del 25/09/2013) per cui l’errore determinante la revisione del- le tabelle millesimali, a norma dell’art. 69 disp. att. cod. civ., è costituito dalla obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente previsto.”

Interessante la notazione circa l’onere della prova: “La parte che chiede la revisione delle tabelle millesimali non ha, al riguardo, l’onere di provare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella, potendo limitarsi a fornire la prova anche implicita di siffatta divergenza, dimostrando in giudizio l’esistenza di errori, obiettivamente verificabili, che comportano necessariamente una diversa valutazione dei propri immobili rispetto al resto del condominio; mentre il giudice, sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unità immobiliari, sia per la prima caratura delle stesse, deve verificare – di norma  a mezzo di c.t.u. – i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi – quali la superficie, l’altezza di piano, la luminosità, l’esposizione – incidenti sul valore effettivo di esse e, quindi, adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati.”

© massimo ginesi 1 giugno 2017

art. 1135 cod.civ., appalto in condominio : anche le variazioni vanno approvate dalla assemblea

Una articolata sentenza della Cassazione fa il punto sul complesso tema dell’appalto e dei relativi poteri assembleari previsti  dall’art. 1135 cod.civ.

Cass.Civ. II sez. 21 febbraio 2017 . n. 4430 (rel. Scarpa): la causa nasce nel 2004 con una impugnazione di delibera con cui gli attori chiedono al Tribunale di Lanciano  di dichiarare invalida “la deliberazione dell’assemblea condominiale del 9 dicembre 2003, che aveva approvato il rendiconto dall’1.11.2002 al 31.10.2003 e la relativa ripartizione, comprensivi di un importo dei lavori di manutenzione della fogna per un importo di C 13.840,63, oltre I.V.A., maggiore di quello preventivato e pattuito con l’appaltatrice B.D. SRL, pari ad C 7.790,89. Gli attori avevano chiesto di dichiarare invalida la deliberazione dell’assemblea, per motivi inerenti alle carenze dell’ordine del giorno, al merito dei lavori effettivamente eseguiti dall’impresa ed alla ripartizione delle spese, effettuata sulla base di 986,42 millesimi anziché 1000 millesimi”

Osserva la corte, in primo luogo, che l’approvazione dell’appalto è materia di pertinenza dell’assemblea ai sensi dell’art. 1135 cod.civ. “E’ pacifico che occorra l’autorizzazione dell’assemblea (o, comunque, l’approvazione mediante sua successiva ratifica), ai sensi dell’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., e con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 4, c.c., per l’approvazione di un appalto relativo a riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale (si veda indicativamente Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016).”

La decisione passa poi ad esaminare il contenuto della delibera di approvazione di contratto di appalto e il potere del sindacato del giudice, che non potrà mai estendersi al merito:  “Il contenutLa delibera assembleare in ordine alla manutenzione straordinaria deve determinare l’oggetto del contratto di appalto da stipulare con l’impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell’opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa.

Sono, peraltro, ammissibili successive integrazioni della delibera di approvazione dei lavori, pure inizialmente indeterminata, sulla base di accertamenti tecnici da compiersi. In ogni caso, l’autorizzazione assembleare di un’opera può reputarsi comprensiva di ogni altro lavoro intrinsecamente connesso nel preventivo approvato (arg. da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 5889 del 20/04/2001). I condomini non possono, però, sollecitare il sindacato dell’autorità giudiziaria sulla delibera di approvazione dei lavori straordinari, censurando l’utilità dei lavori, l’adeguatezza tecnica dell’intervento manutentivo stabilito, o la scelta di un preventivo di spesa meno vantaggioso di quello contenuto in altra offerta. Il controllo del giudice sulle delibere delle assemblee condominiali è limitato al riscontro della legittimità, in base alle norme di legge o del regolamento condominiale, e giunge fino alla soglia dell’eccesso di potere, mentre non può mai estendersi alla valutazione del merito ed alla verifica delle modalità di esercizio del potere discrezionale spettante all’assemblea”.

Ove intervengano significative varianti nel corso della esecuzione dell’opera, queste dovranno formare oggetto di ulteriore specifica approvazione assembleare: Quanto detto in ordine all’approvazione delle modalità costruttive ed al prezzo vale, ovviamente, anche per le varianti dell’opera di manutenzione straordinaria appaltata dal condominio, dovendo parimenti le variazioni alle originarie modalità convenute essere autorizzate dall’assemblea del condominio, sempre ex artt. 1135, comma 1, n. 4, e 1136, comma 4, c.c. E’ tuttavia certamente consentito all’assemblea di approvare successivamente le varianti delle opere di manutenzione straordinarie appaltate, comportanti un aumento delle spese medesime, disponendone il rimborso, trattandosi di delibera riconducibile fra le attribuzioni conferitele dall’art. 1135 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6896 del 04/06/1992; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016, in motivazione). L’assemblea può, infatti ratificare le spese straordinarie erogate dall’amministratore senza preventiva autorizzazione, anche se prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, e, di conseguenza, approvarle, surrogando in tal modo la mancanza di una preventiva di delibera di esecuzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18192 del 10/08/2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2864 del 07/02/2008).”

Detta ratifica  ben potrà avvenire anche durante l’approvazione del rendiconto annuale, ove l’ordine del giorno sia sufficientemente esteso da poter comprendere tutti gli esborsi dell’esercizio (seppure, plausibilmente, la delibera sullo specifico punto sia da adottare con le diverse maggioranze richieste dalla materia straordinaria):  “Quanto detto in ordine all’approvazione delle modalità costruttive ed al prezzo vale, ovviamente, anche per le varianti dell’opera di manutenzione straordinaria appaltata dal condominio, dovendo parimenti le variazioni alle originarie modalità convenute essere autorizzate dall’assemblea del condominio, sempre ex artt. 1135, comma 1, n. 4, e 1136, comma 4, c.c. E’ tuttavia certamente consentito all’assemblea di approvare successivamente le varianti delle opere di manutenzione straordinarie appaltate, comportanti un aumento delle spese medesime, disponendone il rimborso, trattandosi di delibera riconducibile fra le attribuzioni conferitele dall’art. 1135 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6896 del 04/06/1992; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016, in motivazione). L’assemblea può, infatti ratificare le spese straordinarie erogate dall’amministratore senza preventiva autorizzazione, anche se prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, e, di conseguenza, approvarle, surrogando in tal modo la mancanza di una preventiva di delibera di esecuzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18192 del 10/08/2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2864 del 07/02/2008).”

Da quella delibera sorge l’obbligo dei condomini di versare le proprie quote e non dalla stipulazione del contratto con l’appaltatore e, per le stesse ragioni,  non può darsi azione diretta del singolo condomino verso l’appaltatore: “Ritenuta la deliberazione dell’assemblea 9 dicembre 2003 utile ratifica dell’obbligo di spesa per i lavori di manutenzione della fogna nell’importo di C 13.840,63, oltre I.V.A., dovuto all’appaltatrice B. D. SRL, è da essa (salvi gli effetti invalidanti dell’impugnazione ex art. 1137 c.c.), e non dal rapporto contrattuale con l’appaltatrice, che discende l’obbligo dei singoli condomini di partecipare agli esborsi derivanti dall’esecuzione delle opere. Ponendosi il condominio (e non ciascun condomino) come committente nei confronti dell’appaltatrice (giacché unitario è l’interesse sottostante alla posizione dei singoli partecipanti al condominio, espresso nell’atto collegiale), la tutela del singolo condomino, riguardo agli effetti pregiudizievoli derivanti dalle obbligazioni assunte nei confronti della stessa appaltatrice, può concepirsi soltanto nell’ambito dell’impugnazione della deliberazione dell’assemblea di approvazione, e non sotto il profilo dei rimedi contrattuali.

E’ perciò sostanzialmente corretto quanto deciso dalla Corte d’Appello dell’Aquila, dichiarando inammissibile la pretesa dei condomini D.D.V. e M. P. di agire in via diretta verso l’appaltatrice per accertare il minor compenso spettante a quest’ultima.”

Il ricorso al Giudice di legittimità trova invece fondamento sulla ripartizione millesimale errata, che comporta rinvio al giudice di merito: “D.D.V. e M. P. avevano impugnato con specifico motivo la sentenza del Tribunale di Lanciano anche riproponendo la domanda di annullamento della deliberazione dell’assemblea condominiale del 9 dicembre 2003, perché il riparto era stato effettuato sulla base di 986,42 millesimi anziché 1000 millesimi, in quanto domanda su cui il primo giudice non aveva deciso. Su tale motivo di appello la Corte di L’Aquila ha omesso di pronunciarsi. Si impone pertanto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, richiedendo la decisione nel merito accertamenti di fatto in ordine alla sussistenza nella deliberazione di ripartizione della spesa del valore delle unità immobiliari, espresso in millesimi, ragguagliato a quello dell’intero edificio.”

L’impugnazione risulta fondata anche per quel che attiene al tema delle spese, sullo spinoso problema della compensazione, soluzione con troppa frequenza adottata dai Tribunali (e su cui gli ultimi interventi legislativi hanno opportunamente posto qualche limite applicativo): “La Corte di L’Aquila ha altresì omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione attinente all’omessa compensazione ed all’entità della liquidazione delle spese di primo grado operata in favore dei convenuti. Il giudice di appello, in presenza di una censura che investe la pronunzia del giudice di primo grado sulle spese, specificamente indicando giusti motivi di compensazione o un’eccessiva liquidazione di esse, ha il dovere di apprezzare, anche nel contesto di ogni altro elemento, la consistenza ed importanza dei fatti dedotti e di precisare, così, la ragione per la quale egli ritenga di condividere la decisione di primo grado (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9758 del 10/05/2005).”

© massimo ginesi 23 febbraio 2017