modalità di calcolo delle distanze fra edifici: la cassazione fa chiarezza

Cass. civ. sez. II 2 ottobre 2018 n. 23856 detta, richiamando precedenti e consolidati orientamenti, i criteri di calcolo delle distanze fra edifici, affermando con chiarezza che:

a) la nozione di edificio fa estesa a qualunque corpo solido stabilmente infisso al suolo

b) le distanze si calcolano fra manufatti indipendentemente dalla circostanza che gli stessi si fronteggino o si pongano su fondi a dislivello, ossia va calcolata in senso assoluto fra i due piani ideali su cui si collocano i bordi più vicini di ciascun edificio

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti cod. civ. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 15972 del 20/07/2011 Rv. 618711; Sez. 2, Sentenza n. 27399 del 29/12/2014 non massimata; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 5753 del 12/03/2014 Rv. 630205; Sez. 2, Sentenza n. 7706 del 2016 non massimata; v. anche Sez. 2, Sentenza n. 23189 del 17/12/2012 Rv. 624754, soprattutto in motivazione; v. altresì Cass. nn. 3199/02, 12045/00, 45/00, 5116/98, 1509/98 5956/96, 11948/93 e 5670/91).

E ancora, le norme dei regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze tra le costruzioni, e di esse dal confine, sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini nocive tra edifici frontistanti, ma anche a tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la densità edificatoria in relazione all’ambiente, sicché, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che le costruzioni si fronteggino e dall’esistenza di un dislivello tra i fondi su cui esse insistono (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 3854 del 18/02/2014 Rv. 629629; Sez. 2, Sentenza n. 19350 del 04/10/2005 Rv. 584412).

Nel caso in esame, dalla stessa sentenza impugnata risulta che il basamento in calcestruzzo è distinto in due scomparti, sul quale sono stati installati, mediante piastre affogate nella base in calcestruzzo nove profilati in acciaio a doppia T dell’altezza di mt. 1,50 circa, imbullonati alle piastre stesse. Le pareti del manufatto sono formate da traversine ferroviarie di risulta, di materiale ligneo, incastrate nei profilati metallici.

Il fatto – pure evidenziato nella sentenza impugnata – che il basamento sia posizionato a 20 cm al di sotto del circostante piazzale del convenuto va però correlato all’intero manufatto e alla sua sporgenza dal suolo, al livello del fondo contiguo e al principio che solo l’opera completamente interrata è esonerata dal rispetto delle distanze. Logica conseguenza è che l’assenza di intercapedini dannose non può farsi discendere dalla collocazione del basamento in calcestruzzo, dovendosi invece valutare il manufatto nella sua interezza.
Tali elementi non risultano presi in debita considerazione dalla Corte d’Appello e pertanto si impone la cassazione della sentenza per nuovo esame da parte del giudice di rinvio che, sulla scorta dei citati principi, proceda ad accertare se l’opera denunziata sia o meno annoverabile nel concetto di costruzione ai sensi dell’art. 873 cc traendo poi le debite conseguenze in tema di rispetto delle distanze.”

copyright massimo ginesi 15 ottobre 2018

ripartizione spese di lite: mai in parti uguali ed escluso il condomino vittorioso.

Lo ha stabilito la corte di legittimità (Cass.Civ. sez.VI-2 21 febbraio 2018 n. 4259 rel. Scarpa), con una pronuncia  che riprende temi consolidati.

I fatti – “A. C. impugnò la deliberazione assembleare del 2 aprile 2013 approvata dal Condominio di Largo L. A., la quale aveva ripartito in parti uguali (€ 14,00 per ogni condomino), e non secondo millesimi, le spese dovute dal medesimo Condominio per effetto della soccombenza maturata con riguardo al decreto ingiuntivo n. 1780/2013 del Giudice di Pace di Roma, pronunciato su domanda del medesimo avvocato C. per l’attività di difensore svolta in favore del Condominio.

Il Giudice di Pace aveva dichiarato improcedibile l’impugnazione di delibera giacchè proposta con ricorso e non con citazione.

Il Tribunale di Roma ha invece ritenuto legittima la ripartizione in quote paritarie delle spese di soccombenza derivanti dal decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, non esistendo tabelle millesimali e non essendo applicabile l’art. 1132 c.c. proprio perché quest’ultimo non aveva deliberato di resistere alla pretesa monitoria”. 

IMPUGNATIVA MEDIANTE RICORSO – Osserva la corte che già il giudice di appello ha riformato la sentenza di primo grado, ritenendo ammissibile la domanda anche se proposta con ricorso: “Se è vero che il Tribunale non ha espressamente statuito sul motivo d’appello relativo alla declaratoria di improcedibilità della domanda (la quale effettivamente contrastava con l’interpretazione fornita da Cass. Sez. Un. 14/04/2011, n. 8491, trovando nella specie applicazione l’art. 1137 c.c. nel testo antecedente alle modifiche introdotte con legge n. 220/2012, e dovendosi perciò ritenere comunque valida l’impugnazione delle delibere dell’assemblea proposta impropriamente con ricorso, purchè l’atto risultasse depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’art. 1137 citato), è pur vero che la sentenza impugnata ha esaminato il merito della pretesa dell’attore appellante, con ciò implicitamente superando la questione di improcedibilità sollevata erroneamente dal Giudice di pace.”

LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE – “Ove, come nel caso in esame, vi sia stata una condanna giudiziale definitiva del condominio, in persona dell’amministratore (nella specie, a seguito di decreto ingiuntivo non opposto), al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale (nella specie, dello stesso condomino avvocato C. a titolo di compenso per prestazioni professionali), la ripartizione tra i condomini degli oneri derivanti dalla condanna del condominio va comunque fatta alla stregua dei criteri dettati dall’art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione (arg. da Cass. Sez. 2, 12/02/2001, n. 1959).

Né ha rilievo in senso contrario alla necessaria ripartizione interna dell’importo oggetto di condanna la mera mancanza formale delle tabelle millesimali (come considerato dal Tribunale di Roma), spettando semmai al giudice di stabilire l’entità del contributo dovuto dal singolo condomino conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà (Cass. Sez. 2, 26/04/2013, n. 10081; Cass. Sez. 2, 30/07/1992, n. 9107).

La deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali degli oneri derivanti dalla condanna del condominio, in deroga all’art. 1123 c.c., proprio come avvenuto nell’impugnata delibera del 2 aprile 2013, va peraltro certamente ritenuta nulla (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233)

L’IMPUTAZIONE DELLE SPESE – “Il Tribunale di Roma ha affermato che l’avvocato C., in quanto condomino, doveva egli stesso partecipare al pagamento delle spese legali in suo favore consacrate nel decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, richiamando la giurisprudenza sul necessario concorso del condomino danneggiato al risarcimento del danno da lui subito per effetto della mancata custodia o manutenzione di un bene comune.

Questa Corte ha invece già sancito l’invalidità della deliberazione dell’assemblea che, all’esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest’ultimo, “pro quota”, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 c.c. (Cass Sez. 2, 18/06/2014, n. 13885; Cass. Sez. 2, 25/03/1970, n. 801).”

© massimo ginesi 26 febbraio 2018