Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.Civ. sez. II ord. 28.2.2018 n. 4686 rel. Scarpa) affronta due temi interessanti, consolidando principi che riprendono orientamenti più volte espressi.
La pronuncia ha il pregio di statuire puntualmente, più di altre, su aspetti di sicuro rilevo pratico e di quotidiana incidenza sulla vita del condominio e dei soggetti che con esso si interfacciano, sia sotto il profilo sostanziale che processuale.
Quanto alla richiesta di copie di documenti, la suprema corte sottolinea alcuni principi cardine (e spesso disattesi dagli interessati condomini o amministratore): l’attività di verifica, controllo e richiesta copie può svolgersi in qualunque momento e non solo in vista della assemblea, non può tuttavia costituire aggravio per l’attività dell’amministratore, chi la richiede deve sopportare i costi delle copie mentre l’attività in tal senso prestata dall’amministratore è compresa nel suo mandato e non può essere oggetto di ulteriore compenso se non espressamente pattuito al momento del conferimento dell’incarico.
Ove ciò sia avvenuto, non è consentito al giudice sindacare la misura di tale compenso, salvo che per entità non finisca per ostacolare in maniera significativa il diritto del singolo, circostanza che potrebbe tradursi in un vizio di legittimità per violazione di legge della delibera che lo ha approvato.
“L’art. 1129, comma 2, c.c., dopo la Riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012 (nella specie inapplicabile, ratione temporis), prevede ora espressamente che l’amministratore debba comunicare il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, su preventiva richiesta, possa, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata.
E’ quindi vieppiù meritevole tuttora di conferma l’orientamento di questa Corte secondo cui la vigilanza ed il controllo, esercitati dai partecipanti essenzialmente, ma non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea, non devono mai risolversi in un intralcio all’amministrazione, e quindi non possono porsi in contrasto con il principio della correttezza, ex art. 1175 c.c. (Cass. Sez. 6 – 2, 18/05/2017, n. 12579; Cass. Sez. 2, 21/09/2011, n. 19210; Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159; Cass. Sez. 2, 19/09/2014, n. 19799).
… l’esercizio della facoltà del singolo condomino di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili non deve risolversi in un onere economico per il condominio, sicché i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condomini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale (Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159), e non invece costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell’amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale (arg. da Cass. Sez. 2, 28/04/2010, n. 10204; Cass. Sez. 2, 12/03/2003, n. 3596).
Quanto poi al profilo di doglianza secondo cui il compenso deciso per il rilascio di copia degli atti fosse di “elevatisimo ed oscillante importo”, e rivelasse perciò un “carattere dissuasivo e deterrente” rispetto all’esercizio dello stesso diritto di controllo sulla gestione attribuito al singolo partecipante, viene così di fatto sollecitato un controllo non sulla legittimità della scelta operata dall’assemblea, ma sulla congruenza economica della stessa, e quindi sul merito, controllo esulante dai limiti consentiti al sindacato giudiziale ex art. 1137 c.c., se non quando l’eccesso di potere dell’organo collegiale arrechi grave pregiudizio alla cosa comune ed ai servizi che ne costituiscono parte integrante (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20135).”
La corte affronta anche la questione relativa al contenuto della domanda di annullamento della delibera laddove connota il petitum e la causa petendi.
“E’ nota la ripartizione tra cause di nullità e di annullabilità delle delibere condominiali autorevolmente operata da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806. La sussistenza di un vizio di annullabilità della delibera condominiale comporta la necessità di espressa e tempestiva domanda “ad hoc” proposta dal condomino interessato nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c.
Va aggiunto che l’assemblea dei condomini, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione indicate nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, con la conseguente astratta configurabilità di ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra delibera.
Di tal che, ogni domanda di declaratoria di invalidità di una determinata delibera dell’assemblea dei condomini si connota per la specifica esposizione dei fatti e delle collegate ragioni di diritti, ovvero per una propria “causa petendi”, che rende diversa, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., la richiesta di annullamento di una delibera dell’assemblea per un motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo collegiale per un motivo di contrarietà alla legge o alle regole statutarie distinto da quello indicato dalla parte (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1378 del 18/02/1999; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5101 del 20/08/1986).
Ne consegue che la prospettazione in domanda e poi come motivo di appello di una ragione di invalidità della deliberazione assembleare impugnata, consistente, nella specie, nella dedotta illegittimità del compenso riconosciuto all’amministratore per il recupero forzoso del credito e per l’impedimento nella lettura del contatore obbliga il giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), a prendere in esame la questione oggetto di doglianza”