La Corte di legittimità (Cass.Civ. sez.VI ord. 16 gennaio 2019 n. 1032) ribadisce un orientamento consolidato.
Ove il portiere del condominio accetti un atto, la cui notifica è destinata ad uno dei condomini, e si qualifichi quale addetto al ritiro, la notifica deve ritenersi corretta e sarà rigoroso onere del destinatario fornire prova contraria, ovvero che il portiere non fosse delegato a tale incombente.
“L’art. 148 c.p.c. stabilisce che l’ufficiale giudiziario certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta che indica la persona alla quale la copia è consegnata e le sue qualità nonchè il luogo della consegna oppure le ricerche anche anagrafiche, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario.
Nella specie, a prescindere dalla circostanza che il ricorso genericamente si duole che non vi è prova di aver suonato al citofono prima della notifica al portiere, deduzione apodittica ed assertiva, l’affermazione che tutte le notifiche siano state effettuate a quest’ultimo, e non si contesta che ciò sia avvenuto, dimostra che era autorizzato alla ricezione e l’indicazione della persona che ha ricevuto l’atto e della sua qualità esime da ulteriori ricerche, dovendosi indicare i motivi della mancata consegna e non altro. Controparte replica, peraltro, che una prima notifica è stata effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. con indicazione che non è stata rinvenuta persona capace e convivente, con successivo invio di raccomandata consegnata al portiere in assenza del destinatario o di persone abilitate mentre altra notifica è stata effettuata alla portiera addetta alla ricezione.
Su quest’ultimo profilo la giurisprudenza è consolidata nel senso che la presunzione legale della qualità dichiarata per essere vinta necessita di rigorosa prova contraria da parte del destinatario (Cass. nn. 24933/2017, 5220/2014, 18492/2012, 14191/2000)”.
Cass.Civ. sez.II 12 luglio 2018, n. 18504 ha stabilito che “per la notifica della cartella esattoriale emessa per la riscossione di imposte o sanzioni amministrative, trova applicazione l’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, per il quale la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario (nella specie, il portiere) senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, come risulta confermato per implicito dal penultimo comma del citato art. 26, secondo il quale l’esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione (Cass. n. 16949 del 2014; cfr. anche Cass. n. 14327 del 2009; Cass. n. 14105 del 2000).
Nella specie, non si pone, qundi, un problema di conseguenze, in termini di mera irregolarità o di nullità della notifica per omesso invio della lettera raccomandata di cui al comma quarto dell’art. 139 cpc. (in ragione della ritenuta non attinenza dell’invio al perfezionamento dell’operazione di notificazione o viceversa), bensì della necessità o meno della redazione di un’apposita relata di notifica, in riferimento alla specialità del procedimento di riscossione delle sanzioni amministrative, ai sensi del richiamato art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, che non la richiede.
Peraltro, l’indirizzo giurisprudenziale citato dal controricorrente – secondo cui si determina la nullità della notificazione in caso di omessa spedizione della raccomandata prevista dall’art. 139, quarto comma, c.p.c. in caso di consegna dell’atto ai soggetti di cui al precedente comma terzo (tra cui appunto il portiere: Cass. n. 21725 del 2012; Cass. n. 6345 del 2013; Cass. n. 10554 del 2015; Cass. sez. un. n. 18992 del 2017) – non rileva nella specie, in quanto (per stessa esplicita affermazione del giudice del gravame, che tuttavia erroneamente ne svaluta l’effetto probatorio in favore del notificante) l’allegato prospetto attinente gli adempimenti curati dall’ufficiale giudiziario nella notifica in oggetto reca anche l’indicazione dell’effettuato invio della raccomandata al destinatario; sicché tale prospetto avrebbe semmai dovuto essere impugnato per querela di falso, da parte del soggetto interessato.”
Laddove il portiere del condominio riceva sic et simpliciter la notifica destinata all’ente collettivo e non menzioni la sua qualifica, la notifica si intenderà perfezionata con la consegna a sue mani ai sensi dell’art. 139 II comma c .p.c. che prevede che “Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace” e non ai sensi del IV comma della stessa norma, ove invece è previsto per l’ufficiale giudiziario un onere aggiuntivo: “Il portiere o il vicino deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”.
Il principio è affermato da Cass. civ. sez. lav., 16/04/2018, n. 9315: “Nell’ipotesi in cui il portiere di un condominio riceva la notifica della copia di un atto qualificandosi come “incaricato al ritiro”, senza alcun riferimento alle funzioni connesse all’incarico afferente al portierato, ricorre la presunzione legale della qualità dichiarata la quale per essere vinta necessita di rigorosa prova contraria da parte del destinatario, in difetto della quale deve applicarsi il secondo comma (e non il quarto) dell’art. 139 cod. proc. civ.”
Di recente la Suprema Corte (Cass. 1502/2018) ha osservato che la mancata opposizione a decreto ingiuntivo impedisce successive contestazioni giudiziali sulle somme portate in quel decreto ingiuntivo e che l’effetto di giudicato che acquista il decreto non opposto si estende a tutto il dedotto e deducibile che poteva essere fatto valere in sede di opposizione.
Analogo principio è seguito da recente sentenza del Tribunale di Massa 23 gennaio 2018 in tema di opposizione alla convalida di sfratto, che deve essere respinta laddove il conduttore non abbia proposto opposizione al decreto ingiuntivo per i canoni non versati ottenuto dal locatore con autonomo e separato ricorso.
Osserva il Tribunale apuano che “L’esistenza di un decreto ingiuntivo definitivo per i canoni impagati, ottenuto dal locatore nei confronti del conduttore per canoni che vanno a costituire la morosità sulla quale si fonda l’intimazione di sfratto, oggi convertita nel presente giudizio a rito ordinario, impedisce di riesaminare la vicenda dei rispettivi obblighi e della sussistenza di inadempimento, per il principio del giudicato implicito discendente.
L’esistenza di un titolo definitivo, che accerti che non è stato versato il corrispettivo della locazione per l’importo recato nel decreto non opposto, impedisce qualunque ulteriore valutazione sulla debenza di quelle somme e sulla sussistenza del relativo inadempimento.
Si è, con costanza, osservato in giurisprudenza che “la domanda di accertamento del canone di locazione costituisce un presupposto implicito ai fini della proposizione e dell’accoglimento della domanda di condanna al pagamento dei canoni scaduti e non pagati in cui si sostanzia il provvedimento di ingiunzione.
Sta di fatto che sul decreto ingiuntivo non opposto recante intimazione di canoni locativi arretrati accolto si forma il giudicato che fa stato perciò fra le stesse parti circa l’esistenza e validità del rapporto corrente inter partes e sulla misura del canone preteso, nonchè fa stato circa l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi o estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio di opposizione, quali quelli atti a prospettare l’insussistenza totale o parziale del credito azionato in sede monitoria dal locatore a titolo di canoni insoluti, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte in ragione di maggiorazioni contra legem del canone (v. Cass. n. 5801/1998).
Evidente, pertanto, che, in applicazione del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, qualora i conduttori avessero voluto contestare la determinazione del canone, avrebbero dovuto proporre opposizione a decreto ingiuntivo, il che non hanno fatto, con la conseguenza che l’accertamento circa la misura del canone preteso e richiesto dai locatori è da ritenersi coperto dal giudicato.” Cass 16319/2017)”
Il Tribunale ha ritenuto infondate anche due eccezioni in rito dell’opponente, che assumeva il decreto ingiuntivo dovesse essere notificato nel domicilio eletto per il procedimento di sfratto: “Va perlatro osservato che appaiono prive di pregio anche le due obiezioni avanzate dal convenuto circa la asserita nullità della notifica del decreto ingiuntivo (tesi che perlatro dovrebbero legittimare – semmai un opposizione tardiva in quel procedimento e non possono essere oggetto di valutazione nel presente, se non in via meramente incidentale): Per quanto possa qui rilevare, quanto alla notifica alla parte ai sensi dell’art. 140 c.p.c. appaiono rispettate tutte le formalità previste dalla norma e dalle successive interpretazioni rese dalla Consulta, posto che dalla copia depositata in via telematica risulta effettuata la notifica presso la dimora del convenuto (luogo che neanche egli stesso disconosce sia tale), è stato effettuato il deposito presso l’ufficio e il contestuale avviso raccomandato di cui risulta risulta – dall’avviso di ricevimento reso con l’atto – che il destinatario non abbia curato il ritiro per dieci giorni. Né peraltro l’opponente, aldilà di generiche riflessioni circa le modalità di notifica ai sensi dell’art 140 c.pc., ha spiegato in quali violazioni sarebbe incorsa la notifica del decreto.
Quanto la doglianza circa l’omessa notifica al domicilio eletto, è di tutta evidenza che tale norma sia volta favorire le comunicazioni in corso di causa alle parti costituite, e tale non può considerarsi la notifica alla parte – in vista della esecuzione – di un decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva, che deve necessariamente essere notificato al debitore e non al suo procuratore domiciliatario e che – in ogni caso – è relativo a procedimento monitorio del tutto autonomo rispetto a quello di opposizione alla convalida per cui si discute e sarebbe, pertanto, escluso dagli atti soggetti a notifica nel domicilio eletto”.
L’amministratore che reclami competenze non saldate dal condominio, e per quelle ottenga decreto ingiuntivo, non può provvedere alla notifica del decreto e del relativo precetto a sé stesso, per la sussistenza di un evidente conflitto di interesse e per la circostanza che tale notifica in realtà impedisce al condominio di venire a conoscenza dell’atto.
In tal caso l’amministratore avrebbe dovuto procedere alla richiesta di nomina di un curatore speciale per il condominio ai sensi degli artt. 65 disp.att.cod.civ. e 80 c.p.c.
Lo afferma una condivisibile pronuncia del Tribunale di Milano 30 novembre 2017.
Il giudice meneghino osserva: “A riguardo, premesso che, secondo quanto è pacifico tra le parti, il decreto ingiuntivo in base al quale è stato notificato il qui opposto precetto risulta notificato dall’avv. P.F.M. allo stesso P., quale amministratore del condominio, non può non rilevarsi che la notifica è avvenuta ad un soggetto in palese conflitto di interessi, essendo in realtà necessaria (al fine della ricezione del decreto ingiuntivo) la nomina di un curatore speciale del condominio (argg. ex Cass. 19149/14, Cass. 20659/09, Cass. 8803/03).
La notifica del decreto ingiuntivo allo stesso ricorrente deve pertanto ritenersi inesistente in quanto effettuata a persona in palese conflitto di interessi ed in luogo che (con riferimento alla specifica notificazione che viene qui in rilievo) non è in alcun modo riconducibile al destinatario dell’atto.
L’accertamento dell’inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo consente di non esaminare le questioni ulteriori alla base della proposta opposizione.”
Ormai da tempo la giurisprudenza ha chiarito che l’impugnativa di delibera assembleare va introdotta con citazione (e non con ricorso): l’appello segue lo stesso rito, anche laddove il giudizio di primo grado sia stato introdotto con ricorso.
In ogni caso, ai fini del rispetto del termine per l’impugnazione, quale che sia il sistema adottato, vale la notifica all’appellato e non il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice di appello.
Il principio è ribadito da Cass.Civ. II sez. 14 dicembre 2017 n. 30044.
Il ricorso al giudice di legittimità viene proposto contro una sentenza della Corte di Appello di Napoli: “Con sentenza n. 2684 dei 19/27.6.2013 la corte d’appello di Napoli dichiarava inammissibile il gravame, siccome tardivamente proposto, e condannava gli appellanti alle spese. Evidenziava la corte che il gravame era stato notificato in data 10.2.2009, ben oltre la scadenza – coincidente con l’1.12.2008 – del termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ.. Evidenziava altresì che nessun rilievo rivestiva la circostanza che il ricorso, con cui l’impugnazione era stata spiegata, era stato depositato in data 1.12.2008; che invero l’appello era da proporre con citazione, sicché la tempestività del gravame era da riscontrare “in base alla data di notifica dell’atto di citazione e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice ad quem” (così sentenza d’appello, pag. 3).”
La Cassazione richiama, con ampio excursus, principi che ormai dovrebbero essere noti a qualunque operatore del diritto:” Il ricorso va respinto.Alla data – 1.12.2008 – di deposito del ricorso recante l’atto di gravame avverso la sentenza n. 2225/2007 del tribunale di Nola l’indirizzo giurisprudenziale enunciato in via assolutamente prioritaria da questa Corte di legittimità era ben chiaro e si esprimeva nel senso che l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una delibera dell’assemblea condominiale, in assenza di previsioni di legge “ad hoc”, va proposto – secondo la regola generale contenuta nell’art. 342 cod. proc. civ. – con citazione;
cosicché la tempestività dell’appello va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice “ad quem” (cfr. Cass. 8.4.2009, n. 8536; Cass. 25.2.2009, n. 4498, secondo cui, nei procedimenti nei quali l’appello, in base al principio di cui all’art. 342 cod. proc. civ., va proposto con citazione, ai fini della “vocatio in ius”, vale la regola della conoscenza dell’atto da parte del destinatario; cosicché se, erroneamente, l’impugnazione, anziché con citazione, venga proposta con ricorso, per stabilirne la tempestività occorre avere riguardo non alla data di deposito di quest’ultimo, ma alla data in cui lo stesso risulta notificato alla controparte unitamente al provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza; Cass. 11.9.2008, n. 23412, secondo cui, qualora l’appello a sentenza pronunciata in esito ad un giudizio celebrato con rito ordinario (nella specie, impugnazione prevista dall’art. 99 della legge 16.3.1942, n. 267) venga proposto con la forma prescritta per l’appello alle sentenze pronunciate in esito a giudizio camerale, il deposito del ricorso, pur se tempestivo, non è idoneo alla costituzione di un valido rapporto processuale, il quale richiede che l’atto recettizio di impugnazione venga portato a conoscenza della parte entro il termine perentorio stabilito dall’art. 325 cod. proc. civ., nella forma legale della notificazione e nel luogo indicato dall’art. 330 cod. proc. civ., sicché l’eventuale sanatoria di tale atto nullo è ammissibile soltanto a condizione che non si sia verificata “medio tempore” alcuna decadenza – quale, appunto, quella conseguente all’inosservanza del termine perentorio entro il quale deve avvenire la ricezione dell’atto – che abbia determinato il passaggio in giudicato della sentenza e, quindi, l’inammissibilità dell’appello; Cass. 11.4.2006, n. 8440, secondo cui in tema di condominio, l’impugnazione della delibera dell’assemblea può avvenire indifferentemente con ricorso o con atto di citazione, ma in quest’ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui all’art. 1137 cod. civ., occorre tenere conto della data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, anziché di quella del successivo deposito in cancelleria, che avviene al momento dell’iscrizione a ruolo della causa).
In questo quadro non si delineano i margini dell’”overruling”.
Viepiù giacché l’insegnamento, di segno contrario, espresso da questa Corte con la pronuncia n. 18117 del 26.7.2013 (secondo cui in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari del condominio, qualora il giudizio di primo grado sia stato introdotto con ricorso, anziché con citazione, può essere introdotto con ricorso anche il giudizio di appello, e, in questo caso, il rispetto del termine di gravame è assicurato già dal deposito del ricorso in cancelleria, a prescindere dalla sua successiva notificazione) non solo è evidentemente minoritario, ma risulta “contraddetto” dal successivo arresto n. 23692 del 6.11.2014 di questo stesso Giudice del diritto (secondo cui l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una deliberazione dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., va proposto, in assenza di specifiche previsioni di legge, mediante citazione in conformità alla regola generale di cui all’art. 342 cod. proc. civ., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice “ad quem”) esattamente conforme al prioritario indirizzo ricostruttivo già consolidatosi in precedenza e comunque consolidato alla data dell’1.12.2008 (nel medesimo senso cfr. ulteriormente Cass. (ord.) 5.4.2017, n. 8839).
Al cospetto del riferito “stato” dell’elaborazione giurisprudenziale ben avrebbero potuto e dovuto i ricorrenti alla data dell’1.12.2008 (allorché ebbero a depositare nella cancelleria della corte d’appello di Napoli il ricorso recante atto di gravame avverso la sentenza di prime cure del tribunale di Nola) aver piena cognizione dell’indirizzo giurisprudenziale del tutto prioritario e su tale scorta proporre l’atto di gravame nella forma “dovuta”, cioè mediante atto di citazione, o quanto meno notificare il ricorso entro l’1.12.2008.”
Il processo telematico e la progressiva informatizzazione dell’attività delle cancellerie ha comportato significative variazioni nelle modalità di gestione delle normali attività processuali.
Per operatore del diritto molti sono i vantaggi delle nuove modalità operative, a partire dalla possibilità di depositare nel fascicolo telematico in ogni ora, sino alle 24 del giorno di scadenza, atti e memorie che prima era necessario correre a consegnare in cancelleria entro l’orario di chiusura.
Tuttavia la normativa non nasconde insidie, ad esempio in tema di notifiche a mezzo PEC, anch’esse svincolate dai rigidi orari degli sportelli degli Ufficiali Giudiziari ma che mantengono una zona franca dalle 21 alle 7, di tal che la notifica eseguita dopo le 21 si intende effettuata il giorno successivo, senza che si possa applicare alla notifica telematica neanche il differenziarsi degli effetti per notificante e notificato: lo stabilisce l’art. 16 septies del d.l. 179/2012 il quale ha espressamente previsto che “la disposizione dell’articolo 147 del codice di procedura civile si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”.
E lo ha confermato, con riguardo agli effetti, anche la Suprema Corte (Cass. civ. sez. lavoro 4 maggio 2016 n. 8886): il citato art. 16-septies d.l. 179/12 “non prevede la scissione tra il momento di perfezionamento della notifica per il notificante ed il tempo di perfezionamento della notifica per il destinatario espressamente disposta, invece, ad altri fini dal precedente art. 16 quater”
Oggi il giudice di legittimità ritorna su un aspetto del processo telematico che richiede grande attenzione, ovvero l’idoenità della comunicazione di cancelleria del provvedimento integrale a far decorrere – in taluni casi – il termine breve per l’impugnazione.
Cass. civ., sez. II, ord. 27 settembre 2017 n. 22274 rel. Scarpa, con riferimento al procedimento ex art. 702 bis c.p.c, chiarisce che “E’ tuttavia di per sé conforme ai principi costantemente affermati da questa Corte in tema di comunicazioni e notificazioni, la conclusione secondo cui la comunicazione telematica di un provvedimento del giudice emesso in formato cartaceo, effettuata in data antecedente all’entrata in vigore del comma 9-bis dell’art. 16 bis d.l. n. 79/2012, seppur priva della firma digitale del cancelliere, deve ritenersi validamente avvenuta, ai fini della decorrenza del termine perentorio di trenta giorni di cui all’art. 702-quater, c.p.c., in presenza dell’attività del cancelliere consistita nel trasmettere all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario il testo integrale dell’ordinanza, comprensivo del dispositivo e della motivazione, in maniera che vi sia comunque certezza che il provvedimento sia stato portato a compiuta conoscenza delle parti e sia altresì certa la data di tale conoscenza (si veda indicativamente Cass. Sez. 3, 19/12/2016, n. 26102, che ha ritenuto superflua per la regolarità delle notifica del ricorso per cassazione la sottoscrizione con firma digitale della copiai nformatica dell’atto originariamente formato su supporto analogico, essendo sufficiente che la copia telematica sia attestata conforme all’originale).”
Si tratta di ipotesi peculiare, relativa al solo procedimento sommario di cognizione, ma che è opportuno tenere in debito conto: “L’art. 702 quater c.p.c. stabilisce che, in tema di procedimento sommario di cognizione, l’ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell’articolo 702-ter c.p.c. produce gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile se non è appellata (con citazione, ovvero comunque avendo riguardo alla data di notifica dell’atto di gravame alla controparte) nel rispetto del termine di trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione.
Ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni, occorre quindi far riferimento alla data della notificazione del provvedimento ad istanza di parte ovvero, se anteriore, della sua comunicazione di cancelleria, comunicazione che deve avere ad oggetto il testo integrale della decisione, comprensivo del dispositivo e della motivazione, in maniera da consentirne alla parte destinataria la piena conoscenza (Cass. Sez. 3 – 23/03/2017, n. 7401; Cass. Sez. 6 – 2, 09/05/2017, n. 11331).
Tale comunicazione dell’ordinanza emessa ai sensi del comma 6 dell’art. 702-ter c.p.c. può essere eseguita anche a mezzo posta elettronica certificata: questa Corte ha infatti già chiarito come il periodo aggiunto in coda al secondo comma dell’art. 133 c.p.c. dall’art. 45 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c., è finalizzato a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni, solo nel caso di atto di impulso di controparte, ma non incide sulle norme processuali, derogatorie e speciali (come appunto l’art. 702 quater c.p.c.), che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 05/11/2014, n. 23526).
Il caso concreto, posto all’attenzione della Corte, consente di meglio comprendere il principio di diritto esposto in apertura, onde mantenere costante attenzione alle nuove modalità telematiche che, fra le molte agevolazioni, nascondono non poche insidie, evitando una interpretazione eccessivamente formale delle norme .
Nel caso in esame, la ricorrente ha ricevuto comunicazione telematica del testo integrale dell’ordinanza del Tribunale di Catanzaro in data 21 gennaio 2014, ma deduce la violazione dell’art. 15, comma 4, del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, secondo cui “se il provvedimento del magistrato è in formato cartaceo, il cancelliere o il segretario dell’ufficio giudiziario ne estrae copia informatica nei formati previsti dalle specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34 e provvede a depositarlo nel fascicolo informatico, apponendovi la propria firma digitale”.
Dalla mancanza della firma digitale del cancelliere la ricorrente desume la nullità della comunicazione e quindi l’inidoneità della stessa a far decorrere il termine di trenta giorni di cui all’art. 702 quater c.p.c. Va detto che il comma 9-bis dell’art. 16 bis d.l. n. 79/2012, convertito con modificazioni in legge n. 221/2012 (norma però aggiunta in epoca successiva al compimento della comunicazione per cui è causa – e ciò ai fini del principio tempus regit actum – dall’art. 52, d.l. n. 90/2014, convertito in legge n. 114/2014, poi ancora modificato dal d.l. n. 83/2015, convertito in legge n. 132/2015) dispone che “Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonchè dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale (…)” (si veda al riguardo Cass. Sez. 6 – 3, 22/02/2016, n. 3386).”
Cass.civ. sez. VI-2 ord. 12 settembre 2017 n. 21130 affronta un tema delicato, circoscrivendo a pochi casi, gravi e ben delineati, le ipotesi di inesistenza della notifica e ascrivendo alla categoria della nullità le ulteriori e diverse ipotesi (con la conseguente possibilità di rinnovazione della notifica ritenuta nulla).
La vicenda origina dalla eccepita inesistenza della notifica di un atto di appello al difensore presso la cancelleria del Tribunale.
La corte rileva che “Effettivamente nel corso del giudizio di primo grado l’avv. F., con studio in Roma, si era costituito per gli attori in luogo dei precedenti difensori (che avevano rinunciato al mandato: v. verbali udienze 15.3.2006 e 21.6.2006), senza tuttavia eleggere domicilio nel circondario del giudice adito. Dunque la prima notifica dell’atto d’appello, effettuata ai sensi dell’art. 82 R.D. n. 37 del 1934 presso la cancelleria del Tribunale di Velletri è senz’altro valida.”
Il principio di diritto richiamato è netto: “ad ulteriore confutazione dell’affermazione di diritto contenuta nella sentenza impugnata, circa l’asserita inesistenza, piuttosto che nullità, della notifica effettuata a persona non avente la rappresentanza processuale della parte e in un luogo diverso dal domicilio, va richiamato il recente arresto delle S.U. di questa Corte (n. 14916/16), in base al quale, l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, sicché, in definitiva, è inesistente solo la notificazione mancata meramente tentata. Con la duplice conseguenza che una notificazione nulla dell’atto d’appello non rende inammissibile il gravame, ma deve essere rinnovata, e che la sua valida rinnovazione nel termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 291 c.p.c. opera con efficacia retroattiva, e dunque conservativa dell’appello stesso.”
Cass.civ. sez. II 28 giugno 2017, n. 16211 affronta con pragmatismo e rigore interpretativo una questione interessante, che coinvolge le notifiche effettuate in proprio dal difensore.
La legge 53/1994 consente all’avvocato di procedere in via autonoma alla notifica degli atti giudiziari a mezzo posta – dunque senza ricorrere all’ufficiale giudiziario – provvedendo alla spedizione del plico mediante raccomandata ed annotando in apposito registro cronologico i dati relativi all’inoltro, peraltro con una puntigliosità e una burocraticità borboniche (va annotato numero della raccomandata, costo, numero dell’ufficio postale di spedizione diversi altri dati).
Nel caso di specie un soggetto, nei cui confronti la spedizione era stata effettuata correttamente, seppur con qualche imprecisione nella registrazione di tali dati, e per il quale – in suo assenza – il plico aveva effettuato regolare compiuta giacenza, pretende di proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo oggetto della notificazione, adducendo irregolarità formali della notifica e la circostanza che sia stato molto tempo lontano dalla propria abitazione per problemi familiari documentati in giudizio.
La Corte afferma due principi netti:
a) può essere ammesso ad opposizione tardiva solo chi dimostri che dalla irregolarità della notifica sia derivata per il destinatario l’impossibilità di conoscere tempestivamente l’atto, non rilevando la mera irregolarità formale ove la notifica abbia raggiunto lo scopo
b) colui che si assenta per lunghi periodi da casa ha l’onere di curare il ritiro della posta o di organizzare metodi alternativi che gli consentano di essere raggiunto dal servizio, senza che possa addossare al mittente – in difetto – le conseguenze della sua assenza.
“La Corte ha rilevato due errori del procedimento notificatorio: la mancanza del numero cronologico dell’atto sul registro del professionista e dell’ufficio giudiziario (tribunale di Sassari che aveva emesso il provvedimento). Ha però osservato che tali vizi non potevano determinare la mancata conoscenza e non erano quindi rilevanti ex art. 650 c.p.c…
non ogni irregolarità – quali quelle appena descritte – rileva per giustificare l’opposizione tardiva, ma solo quelle decisive per impedire la conoscenza della notificazione. Ciò non può certo dirsi né quanto alla tenuta del registro notifiche del mittente, né quanto alla modulistica degli avvisi di ricevimento, posto che questi ultimi non furono ritirati.
Era quindi stato assolto l’onere della notifica ed era conseguente onere del destinatario dimostrare sia i vizi di nullità sia che da essi fosse dipesa la mancata conoscenza della notificazione e la mancata opposizione…
…chi si assenta per lunghi periodi dalla propria residenza e non effettui la modifica anagrafica conoscibile ai terzi ha l’onere di provvedere al ritiro della corrispondenza, organizzandone l’inoltro o tramite servizi di posta o tramite soggetti incaricati, dall’altro perché privi di riscontro.”
conclude dunque la Corte che “Ed è vero anche che il regime delle nullità delle notificazioni è stato rivisitato da Cass. SU 14916/16 in senso opposto a quanto dedotto in ricorso circa l’insanabilità di ogni vizio formale e sostanziale…
Orbene, le irregolarità – tutte formali – non incidono sulla mancata conoscenza; l’assenza protratta nel tempo non eliminava l’obbligo imposto dal dovere di comportarsi secondo l’ordinaria diligenza nel presidiare la residenza anagrafica conoscibile dai terzi.”
Qualora la legge richieda che una comunicazione o notificazione sia effettuata mediante posta raccomandata, tale servizio può esser reso solo da poste italiane, mentre è stato ritenuto non idoneo quello svolto da servizi di posta privata.
Per tali ragioni un creditore si è visto respingere l’opposizione alla mancata ammissione di un credito al passivo fallimentare, inviata al curatore con un servizio di posta diverso da poste italiane.
E’ quanto ha affermato Cassazione civile, sez. I, 01/06/2017, n. 13870: “L’art. 97, comma 2 L. fall. (nel testo, qui da applicarsi, anteriore alle modifiche introdotte nel 2012), là dove prescrive che la comunicazione in questione “sia data tramite raccomandata con avviso ricevimento”, fa implicito riferimento al disposto del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, secondo cui “per esigenze di ordine pubblico, sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale: a) i servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni; b) i servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201)”.
Fornitore del servizio universale (art. 1 D.Lgs. n. 261 cit.) è l’Ente Poste.
Ciò posto, dalla verifica (cui questa Corte può e deve procedere quando, come nella specie, è denunziato un error in procedendo) in ordine alla comunicazione in questione emerge come in effetti essa sia stata eseguita dal Curatore mediante posta privata (cfr.doc.1 fasc.opp. della ricorrente).
Ne deriva, alla stregua dell’orientamento più volte espresso sul punto da questa Corte (cfr.ex multis: Cass.n.2262 del 31/01/2013; n.2035 del 30/01/2014), che il Collegio condivide, la nullità della comunicazione, atteso che le attestazioni redatte dagli incaricati di un servizio di posta privata non sono assistite dalla funzione probatoria che il già richiamato D.Lgs. n. 261 ricollega alla nozione di “invii raccomandati”. Sì che, in mancanza di valida prova in ordine alla data di decorrenza iniziale -corrispondente a quella di consegna della comunicazione-, il termine per proporre l’opposizione non può considerarsi decorso al momento della proposizione.”