La seconda sezione della corte di legittimità (Cass.Civ. sez. II 30 luglio 2018 n. 20061), con una articolata ordinanza, ha rimesso alle Sezioni unite la valutazione circa la nullità degli atti che abbiano ad oggetto immobili urbanisticamente non legittimi, sull’assunto che debba essere contemperata l’esigenza di contrasto all’abusivismo edilizio con quella di agile circolazione dei beni.
In sostanza si distingue fra irregolarità urbanistica, che potrebbe dar luogo ad una possibile trasferibilità del bene, e radicale abusivismo, che invece dovrebbe comportare l’applicazione della sanzione massima.
il tema è di non poco rilievo e l’ordinanza, per l’ampio excursus interpretativo, merita lettura integrale.
E’ quanto afferma, con condivisibile interpretazione, la sentenza Tribunale di Roma, sez. V civ., 9 aprile 2018, n. 7192 “In particolare va accolta la domanda di nullità della delibera condominiale che, in data 26.10.2015, ha nominato amministratore del condominio lo Studio Professionale C. di R.C. & C. sas., atteso che nel relativo verbale non risulta indicato l’importo dovutogli a titolo di compenso, né la relativa determinazione risulta dall’atto, eventualmente successivo, con cui questi ha dichiarato di accettare la nomina.
La nomina è pertanto nulla, ai sensi dell’art. 1129, comma 14, cod. civ., che prevede tale indicazione come obbligatoria, a pena di nullità della nomina stessa.
Per la stessa ragione va dichiarata nulla la delibera del 29.9.2016, laddove al punto 9 dell’o.d.g.ha confermato l’amministratore nell’incarico, mancando anch’essa dell’indicazione del compenso a lui spettante.
Sostiene sul punto il condominio convenuto che tali deliberazioni assembleari sono state sanate dalla successiva delibera dell’11.4.2017, che nel confermare nella carica l’amministratore ha determinato l’importo a lui spettante a titolo di compenso ed ha espressamente dichiarato la propria volontà di sanare le precedenti delibere riguardanti la sua nomina, chiedendo che con riguardo a tali domande sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.
La deduzione non merita però di essere condivisa, atteso che, come si è detto, la legge nel caso di specie espressamente sanziona la mancata indicazione del compenso dell’amministratore di condominio, all’atto della sua nomina o dell’accettazione dell’incarico, con la previsione della nullità della nomina stessa, con l’effetto che nel caso di specie, per coerenza logica e sistematica, debbono trovare applicazione le norme sulla nullità del contratto, a cui pacificamente la delibera condominiale in quanto manifestazione dì volontà soggiace, tra cui quella dell’art. 1423 cod. civ., che esclude la convalida del negozio nullo, se non diversamente disposto dalla legge.
Ne discende l’inapplicabilità del principio invocato dalla parte circa la possibilità di sanatoria delle delibere condominiali affette da vizi di illegittimità, che può estendersi solo alle delibere annullabili non già a quelle nulle”
La corte di legittimità affronta un tema complesso e ricco di sfumature con due sentenze del 25 maggio 2018.
La prima (Cass.Civ. sez. III 25 maggio 2018 n. 13070), dal contenuto monumentale, afferma che anche la notifica n alla di un atto di citazione è idoneo ad interrompere la prescrizione.
l’ampiezza delle argomentazioni consiglia la lettura integrale della pronuncia
la seconda (Cass.Civ. sez.VI lav. 25 maggio 2018 n.13224) ribadisce la nullità della notifica effettuata ad indirizzo pec diverso da quello risultante da pubblici registri, anche se si tratti dell’indirizzo indicato dalla parte nella propria comparsa di costituzione (obbligo eliminato dalla L. 114/2014 proprio per la ragione che tale indirizzo può e deve essere desunto dal Reginde),
Cass.Civ. II sez. 30 marzo 2018, n. 8014 rel. Giusti affronta una ipotesi in cui il costruttore si era riservato la proprietà dell’area esterna al fabbricato: “P.A. ricorreva al Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, al fine di sentire dichiarare nulla la delibera in data 9 marzo 2003 del condominio (omissis) , al quale egli apparteneva essendo proprietario di un appartamento nell’edificio F e di un box nell’edificio E. Con tale delibera veniva stabilito che i posti macchina “disegnati… sul cortile” dal costruttore – il medesimo P.A. – fossero assegnati ai condomini che non avevano acquistato un box. Deduceva il ricorrente che, essendosi egli riservato, al momento della costituzione del condominio, la proprietà esclusiva del terreno sul quale erano situati i suddetti posti auto, l’assemblea non poteva disporre del suo diritto. Costituendosi in giudizio, il condominio resisteva.”
Il Tribunale di Savona sez. disse. Albenga e poi la Corte di Appello di Genova respingevano la domanda, sull’assunto che ““l’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942 comporta che il contratto di compravendita con il quale il costruttore-venditore si riservi la proprietà esclusiva di aree destinate al parcheggio, è affetto da nullità parziale, con automatica sostituzione della clausola nulla ed integrazione del contratto, ex art. 1419, secondo comma, cod. civ.. La Corte di Genova ha quindi affermato che la delibera assembleare si è limitata ad assegnare i posti auto, senza in alcun modo qualificare la natura del diritto in contestazione. Ad ogni modo – ha sottolineato la Corte distrettuale – la giurisprudenza di legittimità individua tale diritto come reale ed assoluto, avente ad oggetto l’utilizzo delle aree destinate a parcheggio. Infine, la Corte territoriale ha escluso la retroattività del principio stabilito dall’art. 12, comma 9, della legge n. 246 del 2005, che consente di trasferire gli spazi per parcheggio in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari.”
Tesi totalmente bocciata dal giudice di legittimità che cassa la sentenza, dichiarando nulla la delibera impugnata ben quindici anni fa: “Occorre premettere che nel fabbricato condominiale di nuova costruzione ed anche nelle relative aree di pertinenza, ove il godimento dello spazio per parcheggio – nella misura fissata dalla norma imperativa ed inderogabile di cui all’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art.18 della legge n. 765 del 1967 – non sia assicurato in favore del singolo condomino, essendovi un titolo contrattuale che attribuisca ad altri la proprietà dello spazio stesso, si ha nullità di tale contratto, nella parte in cui sia omessa tale inderogabile destinazione, con integrazione ope legis del contratto tramite riconoscimento di un diritto reale di uso di detto spazio in favore del condomino, nella misura corrispondente ai parametri della disciplina normativa applicabile per l’epoca dell’edificazione (Cass., Sez. II, 27 dicembre 2011, n. 28950).
Questa Corte (Cass., Sez. U., 17 dicembre 1984, n. 6602) ha altresì precisato che la citata normativa, nel disporre che nelle nuove costruzioni debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi, ha istituito inderogabilmente un vincolo pertinenziale permanente di natura pubblicistica tra tali aree e il fabbricato, con riflessi anche di carattere civilistico, consistenti nella possibilità di far dichiarare la nullità parziale, ai sensi degli artt. 1418 e 1419 cod. civ., dei contratti di alienazione delle singole unità immobiliari dell’edificio, in quanto escludenti dal trasferimento il diritto di proprietà o di uso del parcheggio, salva la corresponsione all’alienante del relativo compenso, in quanto non compreso nei prezzi delle vendite.
Si tratta di distinti diritti, spettanti non alla collettività condominiale, ma separatamente a ognuno dei singoli compratori delle varie porzioni dello stabile, in base ai rispettivi titoli di acquisto (Cass., Sez. II, 11 febbraio 2009, n. 3393).
Erroneamente pertanto – in fattispecie nella quale il costruttore P. ha venduto gli appartamenti e i box siti nel fabbricato (fatto salvo un appartamento ed un box che sono rimasti di sua proprietà), riservandosi la proprietà esclusiva dell’area residuata dalla costruzione all’esterno dei muri perimetrali del fabbricato – la Corte d’appello ha ritenuto che l’assemblea condominiale, con l’impugnata delibera, avesse titolo a disciplinare il godimento di un’area non condominiale, assegnando direttamente i posti macchina insistenti sulla detta area esterna di proprietà dell’originario costruttore ai condomini che non avevano acquistato un box nel caseggiato dove si trova il loro alloggio, e ciò tra l’altro senza che, su iniziativa degli acquirenti degli immobili (in ipotesi) illegittimamente privati del diritto all’uso dell’area pertinente a parcheggio e con onere della prova a loro carico, sia stata accertata giudizialmente la nullità dei negozi da loro stipulati, nella parte in cui è stata omessa tale inderogabile destinazione, con conseguente loro integrazione ope legis.
Infatti, l’assemblea di condominio non può adottare delibere che, nel predeterminare ed assegnare le aree destinate a parcheggio delle automobili, incidano sui diritti individuali di proprietà esclusiva di uno dei condomini, dovendosi tali delibere qualificare nulle (cfr., da ultimo, Cass., Sez. II, 31 agosto 2017, n. 20612).”
Si tratta di principio consolidato e pacifico, ribadito da Cass.Civ. sez. II ord. 31 gennaio 2018 n. 2415.
Nel condominio si da corso alla rimozione di due canne fumarie in eternit, l’assemblea ritenuto che le stesse fossero al servizio di un solo condomino imputa a costui l’intera spesa, che ricorre al giudice per far valere la nullità della delibera.
Il Tribunale di Terni da ragione al condomino, ritenendo nulla la delibera, la Corte di Appello di Perugia riforma la sentenza, riconoscendo dirimente la circostanza che le canne fossero di proprietà esclusiva ed accogliendo pertanto l’impugnazione promossa dal condominio.
Il singolo ricorre in cassazione: “con il primo motivo viene allegata la violazione degli artt. 1137 e 1135, cod. civ., … la delibera assembleare aveva travalicato dai poteri che le erano propri, avendo inciso sulla sfera giuridica soggettiva del ricorrente, addebitandogli responsabilità aquiliana, così impingendo in radicale nullità;
… la doglianza è fondata, in quanto: a) all’assemblea condominiale, siccome correttamente evidenziato dal Tribunale (sul punto non consta presa di posizione della Corte d’appello), non è consentito accertare fattispecie di responsabilità in capo al singolo condomino, vertendosi al di fuori delle attribuzioni legali assegnate al meccanismo deliberativo in parola; b) questa Corte ha già avuto modo di condivisamente chiarire che è affetta da nullità (la quale può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ed ancorché abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 cod. civ.) la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali (art. 1123 cod. civ.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune; ciò, perché eventuali deroghe, venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca (Sez. 2, n. 17101, 27/7/2006, Rv. 592302; conforme Sez. 2, n. 16793, 21/72006, Rv. 591434); c) l’esposto principio è strettamente correlato alla natura del condominio, che assegna al potere deliberativo dell’assemblea le decisioni che non incidono sulle regole del riparto (salvo l’unanimità) e che non consente allo stesso di avvalersi degli strumenti di autotutela speciali, ad esso assegnati dalla legge al solo scopo di consentire il recupero dei contributi dei singoli condomini, determinati in base alle tabelle regolarmente approvate;”
Interessante anche la riflessione della corte sul conflitto di interesse:
“considerato che il secondo motivo, con il quale viene denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2373, cod. civ., poiché la delibera era stata presa in situazione di conflitto d’interesse, in quanto gli altri condomini avevano l’interesse ad addebitare lo speso in via esclusiva al C. (a non voler considerare che la censura non risulta essere stata ritualmente riproposta in appello), non ha comunque alcun fondamento, stante che la situazione di conflitto d’interesse presa in considerazione dalla legge non coincide, al contrario di quel che assume il ricorrente, con il sussistere di un interesse di fatto del singolo votante ad una decisione piuttosto che ad un’altra, che importerebbe la paralisi dell’organo deliberativo, bensì nello specifico ed elettivo interesse, diverse da quello generico e fattuale, portato da uno dei votanti, in ragione delle sua precipua posizione; che in tal senso si è già più volte espressa questa Corte, la quale ha chiarito che sussiste il conflitto d’interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio. (principio affermato dalla S.C. con riguardo alla delibera di sistemazione del tetto e ripulitura del canale di gronda, motivatamente apprezzati nella sentenza impugnata come attività inquadrabili nella manutenzione ordinaria del fabbricato e non coinvolgenti la responsabilità del costruttore – anche condomino votante -, per presunti vizi dell’edificio, tra l’altro in assenza di specifica contestazione di difetti costruttivi) – Sez. 2, n. 10754, 16/5/2011, Rv. 617841″
Una recente sentenza di merito (Trib. Massa 15 dicembre 2017) affronta il problema della forma scritta del contratto di locazione e della facoltà, concessa al conduttore in determinate ipotesi, di ottenere conversione di quel contratto in una forma rispondente alle previsioni di legge.
La vicenda fatto prende le mosse dalla concessione in godimento di alcuni mini appartamenti ad un soggetto per la stagione estiva in una località termale e turistica della Garfagnana, mentre la stipulazione del relativo contratto di locazione subisce alcuni ritardi per ragioni legate alle certificazioni energetiche: “Risulta pacificamente che la signora M. sia stata immessa nella detenzione dei beni immobili dei convenuti all’inizio dell’estate 2016 e che costei abbia versato tre canoni di euro 750 ciascuno nei mesi di giugno, luglio e agosto, come peraltro pacificamente riconosce anche parte convenuta. I convenuti negano di aver ricevuto altri pagamenti, mentre i documenti prodotti dalla attrice paiono attestare anche il pagamento di euro 750 per il mese di settembre, posto che fra le (non del tutto decifrabili) produzioni di parte attrice si rinvengono: un ordine di bonifico periodico in data 25 maggio 2016 con primo pagamento al 1.7.2017, documento che appare congruente con l’elenco storico dei versamenti in data 1.7.16, 1.8.16 e 1.9.16, ad un ordine di bonifico separato in data 3.6.2016, peraltro compatibile con il fatto che – come risulta dalla esposizione dei fatti resa da entrambe le parti – l’attrice avrebbe utilizzato il bene sin dal giugno 2016. Ne deriva che lo schema contrattuale astrattamente posto in essere dalle parti è riconducibile alla fattispecie della locazione, che deve necessariamente rivestire forma scritta a pena di nullità ai sensi del dictum di Cass. SS.UU.18241/2015, principio interpretativo che – a mente dell’art. 1 comma 346 L. 30.12.2004 n. 311 – deve ritenersi valere per le locazioni destinate a soddisfare qualunque esigenza.
La tesi che il contratto di locazione, di qualunque natura, richieda forma scritta a pena di nullità è comunque risalente anche nella giurisprudenza di merito, che la riconduce, ancor prima che alla L. 311/2004, all’art. 1 della L. 431/1998 (Trib. Trani 22.4.2008)“
Posto che la forma scritta deve ritenersi requisito imprescindibile di qualunque contratto di locazione, l’istanza della attrice di veder attuato il rimedio previsto dalla legge – per quelle ipotesi in cui la forma orale sia imposta dal locatore – risulta priva di fondamento.
“Va tuttavia rilevato che tale nullità è ascritta alle c.d. nullità di protezione solo nella ipotesi di locazione destinata a soddisfare esigenze abitative ordinarie, come tale sottoposta a regime vincolistico circa durata ed entità del canone, ciò per espressa previsione del combinato disposto dagli artt. 3 comma 2 e 13 commi 6 e 4 L. 431/1998, come eprlatro si ricava agevolmente dalla pronuncia delle Sezioni unite sopra richiamata, che fa riferimento unicamente ai rapporti previsti dall’art. 3 comma 2 del testo normativo del 1998.
In ipotesi di contratto di locazione che non rientri in tale previsione normativa dovrà semplicemente accertarsi – anche d’ufficio – la nullità della pattuizione, senza che sia consentito al conduttore ottenere pronuncia giudiziale che valga in luogo del contratto non perfezionato.
L’onere di dimostrare che sussista la situazione di fatto sottesa al principio dettato dalle Sezioni Unite del 2015, sopra richiamate, incombe all’attore ex art 2697 I comma c.c. e non pare essere stato assolto dall’odierna ricorrente, né in ordine alla natura delle esigenze per cui è stato dato corso alla locazione priva di forma, né riguardo alla sussistenza di coercizione da parte del locatore in tal senso”
L’attrice, secondo il Tribunale, non ha dato prova degli elementi costitutivi della domanda e – in ogni caso – poichè il bene è risultato del tutto fuori legge per ciò che attiene alla parte impiantistica, con ordinanza sindacale che ne vieta l’uso, al domanda apparirebbe comunque non accoglibile anche sotto tale profilo: “la circostanza che l’immobile sia dotato di impianti elettrici e di riscaldamento che ne rendono del tutto impossibile l’uso anche temporaneo (peraltro oggi accertato – e vietato – espressamente da provvedimento pubblico ord. Comune F. 40/2017) rende di fatto impossibile l’oggetto del contratto, con ulteriore motivo di nullità ex art. 1346 c.c., attenendo ad aspetti che non incidono sulla liceità (che consente comunque la locazione, cass. 4228/1999) ma sulla possibilità della prestazione dedotta.
Circostanza che se da un lato costituisce ulteriore motivo di nullità rilevabile anche d’ufficio ex art. 1421 c.c., dall’altro impedisce al Giudice – anche a voler tacere della assenza di prova in ordine alla riconducibilità della fattispecie all’art. 13 L. 431/1998 – qualunque pronunzia in ordine al godimento di detto bene volta a sostituire l’inattività del proprietario”.
Lo ha stabilito una recente sentenza (Tribunale di Massa 6 novembre 2017 n. 917 ), che ha dichiarato nulla la nomina di un amministratore che non aveva indicato analiticamente la propria richiesta di compenso. La pronuncia affronta anche diversi altri motivi fatti valere dalle parti, che tuttavia si rivelano infondati.
Il compenso dell’amministratore non risultava da alcun documento, né antecedente né posteriore alla assemblea, né sussisteva formale accettazione. Alcuni mesi dopo la riunione il presiedente ed il segretario della riunione avevano predisposto, a loro firma, una nota di correzione del verbale ove si dichiarava che l’assemblea – prima di procedere alla nomina – era stata resa edotta dell’importo richiesto dall’amministratore.
Il condominio si è difeso osservando anche che il compenso dell’amministratore era stato comunque indicato come voce del preventivo approvato.
il Tribunale ha osservato che “Risulta (…) fondata la censura sulla nullità della nomina dell’amministratore, in assenza di una valida accettazione che contenga specifica indicazione del suo compenso; il dettato dell’art. 1129 comma XIV cod.civ. è tassativo e non ammette equipollenti: “È nulla la nomina dell’amministratore di condominio – con conseguente nullità della delibera in parte qua – in assenza della specificazione analitica del compenso a quest’ultimo spettante per l’attività da svolgere, in violazione dell’art. 1129, comma 14, c.c. Tale norma, che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, si applica sia nel caso di prima nomina dell’amministratore che nel caso delle successive riconferme” . Tribunale Milano, sez. XIII, 03/04/2016, n. 4294 A tal fine va osservato che nel verbale di assembla nulla risulta in ordine al compenso, né potrà a tal fine rilevare – come pretenderebbe il convenuto – la mera indicazione di una somma complessiva, per nulla dettagliata, inserita fra le voci del preventivo che – anche ove si possa ritenere che comprenda tutto quanto dovuto all’amministratore alla luce di Cass. 22313/2013 – non soddisfa quella esigenza di chiarezza documentale, trasparenza e formalità che traspaiono dal meccanismo di nomina ed accettazione individuati dal novellato art. 1129 cod.civ., meccanismo che non può prescindere da un atto formale dal quale risulti l’espressa e analitica indicazione del compenso.
Mette conto di rilevare, in proposito, che il preventivo di spesa costituisce una semplice stima – che potrebbe anche essere variata in sede di consuntivo – e non rappresenta invece quell’assunzione di un obbligo negoziale da parte dell’amministratore in ordine al corrispettivo (che rappresenta l’obbligazione assunta dal condominio) che oggi appare indispensabile a mente del novellato art. 1129 cod.civ., a tutela della posizione contrattuale del mandante. Il Condomino non ha peraltro provato che tale indicazione fosse stata allegata alla convocazione, che neppure è stata prodotta, né che vi sia stato un formale atto di accettazione conforme al dettato di cui all’art. 1129 commi II e XIV cod.civ., norma inderogabile ex art 1138 cod.civ.”
La sentenza contiene anche ulteriori statuizioni che possono essere di interesse, attenendo ad aspetti frequentemente controversi in ambito condominiale:
PRESIDENTE E SEGRETARIO ASSEMBLEA – gli attori si dolevano che gli organi assembleari non fossero stati ritualmente nominati e che avessero provveduto, altrettanto irritualmente, a correggere a posteriori il verbale, integrandolo con i dati del compenso richiesto dall’amministratore. Osserva il Tribunale che “paiono altresì non provate (e comunque destituite di fondamento) le istanze circa l’invalidità della delibera per la irregolare nomina di presidente e segretario. Va a tal proposito evidenziato che dal verbale risulta che costoro siano stati eletti dalla assemblea e che le parti attrici, seppur presenti, non abbiano in quella sede contestato alcunché: era peraltro in capo a loro l’onere di provare, ex art 2697 I comma cod.civ., la sussistenza del vizio lamentato, prova che non risulta fornita: “.Il verbale di una assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova. Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l’onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale.” Cass. 11375/2017 Né, peraltro, risulta alcuna norma che preveda l’esistenza di tali figure nella assembla condominiale e, anche a voler mutuare la loro funzione dai principi generali in tema di funzionamento degli organi collegiali, non si rinviene alcun dato normativo – ne parte attrice lo individua – che preveda che eventuali vizi afferenti alla nomina di tali soggetti comportino nullità dei deliberati della assemblea, sussistendo anzi giurisprudenza in senso assolutamente contrario (Tribunale Milano, 24/07/1997)”
SULLA POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE SUCCESSIVA DEL VERBALE – “non può avere alcun rilievo il bizzarro atto di integrazione del verbale inviato ai condomini alcuni mesi dopo l’assemblea e che reca almeno tre date diverse: tale scrittura rappresenta una mera dichiarazione – parrebbe a posteriori – di coloro che lo sottoscrivono ed al quali non si può riconoscere alcun valore se non quello di semplice dichiarazione riconducibile agli estensori, atteso che è lecito ritenere che gli organi assembleari (presidente e segretario) cessino la loro funzione – e vengano meno i relativi poteri – con la chiusura della riunione e non potendo ritenersi consentito emendare, a posteriori e in sedi diverse dalla assemblea (con il relativo assenso dei partecipanti), la carenza di elementi essenziali del verbale e delle delibere che quel verbale attesta esser avvenute.”
SULLA LEGITTIMAZIONE DEGLI USUFRUTTUARI – Deve preliminarmente essere dichiarata infondata anche l’eccezione, avanzata dal convenuto, relativa alla asserita di carenza di legittimazione attiva degli usufruttuari M F e C F, per le delibere che riguarderebbero lavori straordinari, atteso che a fronte della solidarietà fra usufruttuario e nudo proprietario, oggi prevista dall’art. 67 disp.att.cod.civ., la delibera è direttamente ed immediatamente azionabile contro entrambi, sì che a costoro va riconosciuta la pari facoltà di agire per far dichiarare la sua invalidità.
SULL’OBBLIGO DI INDICAZIONE NOMINATIVA DEI VOTANTI – Parimenti del tutto infondata si rivela la doglianza rispetto alle irregolarità che inficerebbero la votazione per non essere stati nominativamente indicati tutti i soggetti che hanno votato a favore e contro: il verbale contiene, in apertura, l’elenco di tutti i soggetti presenti e, per ogni punto in votazione, l’indicazione di chi abbia eventualmente votato contro, con l’espressa quantificazione del loro valore millesimale complessivo. Si tratta, in accordo con la giurisprudenza consolidata, di modalità più che sufficienti a garantire la facoltà di impugnazione ai dissenzienti e la possibilità di individuare i soggetti che abbiano votato a favore e il loro valore millesimale. (Cass. 6552/2015; Cass. 2413272009, cass. 10329/1998);
SULLA FACOLTA’ DI TESTIMONIARE DEI CONDOMINI -Altrettanto singolare che parte attrice si ostini a reiterare istanze istruttorie in cui elenca quali testimoni unicamente soggetti che rivestono la qualità di condomino, sostenendo che costoro “sono gli unici a poter testimoniare sulla materia condominiale e, in particolare, sulle circostanze avvenute in sede di assemblea” (pag. 7 comparsa conclusionale). Sulla mancata ammissione delle testimonianze sarà sufficiente osservare che “I singoli condomini sono privi di capacità a testimoniare nelle cause che coinvolgono il condominio, poiché l’eventuale sentenza di condanna è immediatamente azionabile nei confronti di ciascuno di essi.” Cass. 17199/2015; l’inammissibilità è stata tempestivamente eccepita dal convenuto nella terzamemoria ex art 183 VI comma c.p.c.
SUL MANCATO INVIO DEI PREVENTIVI PER LAVORI STRAORDINARI –Infondata risulta la censura relativa alla approvazione di spese straordinarie, che si assume illegittima poiché non sarebbero stati preliminarmente inviati preventivi: posto che tale procedura non è prevista da alcuna norma in materia di condominio e che l’assemblea, ove raggiunga le maggioranze necessarie, è assolutamente sovrana nella scelta delle opere da eseguire, ivi compresi i relativi costi, ciò nell’ambito delle attribuzioni dell’organo collegiale stabilite dall’art. 1135 cod.civ. e salvi solo i limiti delineati dagli artt. 1102 e 1120 cod.civ
SULLA CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE – la dedotta nullità della delibera impedisce qualunque sanatoria, di tal chè la delibera successivamente assunta in data 3.6.2017 – con cui è stato nominato lo stesso amministratore B. – si pone come atto autonomo e distinto da quello impugnato, avente effetti dal momento della sua adozione ed inidoneo a sanare il vizio dedotto nel presente procedimento, circostanza che se da un lato consente di ritenere ovviato il problema concreto della nomina dell’amministratore a far data dal 3.6.2017, dall’altro lascia intatto l’interesse dagli attori di veder dichiarare la nullità della precedente nomina e impedisce di ritenere cessata la materia del contendere, sì che si dovrà pronunciare anche in punto di soccombenza, ai sensi dell’art. 91 cod.proc.civ., senza alcun criterio virtuale.
Le Sezioni unite civile della Cassazione, con sentenza 9 ottobre 2017 n. 23601 affrontano il complesso e tormentato tema della mancata registrazione del contratto di locazione quale causa di nullità.
Il regolamento condominiale, che non abbia natura contrattuale ma venga approvato a maggioranza ai sensi dell’art. 1138 cod.civ. non può contenere – per un ormai granitico orientamento giurisprudenziale – clausole che incidano sul diritto dominicale dei singoli condomini.
Uno dei classici divieti, che cadono sotto la censura giudiziaria, è quello che impedisce di destinare le abitazioni ad uso turistico-alberghiero.
Cass.Civ. II sez. 28 settembre 2017 n. 22711 affronta un caso davvero peculiare: il Tribunale di Messina e poi la Corte di appello di Messina respingevano la domanda di alcuni condomini, lamentavano che il Tribunale con latra e precedente sentenza avesse dichiarato nulla la clausola regolamentare introdotta con delibera nel regolamento condominiale con il quale “era stato introdotto il divieto di destinare i locali di proprietà dei singoli condomini ad uso diverso da quello abitativo, di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o albergo.”
Ebbene questi condomini lamentavano che fra la data di adozione della delibera e la pronuncia del Tribunale con cui tale divieto era stato dichiarato illegittimo erano stati danneggiati economicamente per non aver potuto utilizzare i propri immobili per gli affitti stagionali a causa del divieto introdotto dal condominio e pertanto chiedevano al condominio risarcimento in tal senso.
Le corti di merito hanno ritenuto che non fosse provato tale danno, poiché “la disposizione regolarmente annullata introduceva il divieto di destinare il locale ad uso diverso dalla privata abitazione, attesa la destinazione degli immobili al luogo di riposo e di villeggiatura e, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, detto disposizione, benché annullata dal Tribunale di Messina perché lesiva delle prerogative dei singoli condomini ed illegittimamente invasiva delle facoltà connessi al diritto di proprietà individuale, tuttavia, non precludeva la possibilità di locare i vani ad uso abitativo anche per brevissimi periodi.
Il divieto riguardava esclusivamente l’affitto degli immobili sotto forma di pensione o albergo, mentre erano consentite tutte quelle utilizzazioni compatibili con la natura del luogo, ivi comprese le locazione ad uso abitativo anche per brevi periodi.
Tali locazioni rappresentavano la forma usuale di sfruttamento degli immobili degli appellanti, come emerso dalle disposizioni dei testi e dalle stesse dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio, dalle quali risultava che gli immobili in questione, fino all’approvazione del regolamento condominiale, erano affittati per brevi periodi dai clienti dello stabilimento balneare gestito dagli stessi A.”
Secondo i giudici di merito la clausola che vieta la destinazione alberghiera è dunque nulla, ma non perla due l’utilizzo delle brevi locazioni stagionali (ad esempio bed&breakfast) che vanno ricondotte all’utilizzo abitativo.
La vicenda approda in cassazione, su ricorso dei condomini che si ritengono danneggiati, impugnazione che viene respinta, con un interessante motivazione sulla rilevanza del giudicato portato dalla sentenza che ha dichiarato nulla la clausola regolamentare.
Osservano i giudici di legittimità che: “secondo la giurisprudenza di questa Corte cui questo collegio intende dare continuità, “La violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 cod. civ., è denunziabile in cassazione, ma il controllo di legittimità deve limitarsi all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potersi sindacare l’interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perché essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica” Sez. L., Sentenza n. 14297 del 08/06/2017.
Nella specie l’interpretazione del giudicato è congruamente motivata con riferimento al tenore complessivo della clausola annullata – pretermesso nell’esposizione del motivo in esame ma ricavabile dalla lettura della sentenza qui impugnata (fol. 5) – che faceva divieto di “destinare i locali ad uso diverso di privata civile abitazione, attesa la destinazione dell’immobile a luogo di riposo e di villeggiatura e pertanto è fatto divieto di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo”, con ciò mettendosi in relazione il diverso uso intensivo dei locali allorché fossero stati destinati a pensione o albergo rispetto all’uso non abitativo in generale.
Sicché la motivazione della sentenza risulta effettivamente immune da errori giuridici e vizi di logica, essendosi limitata a ritenere che la clausola del regolamento condominiale annullata non si riferisse ad un divieto assoluto di adibire i singoli vani dell’immobile ad uso diverso da quello di privata abitazione, e che, pertanto, fosse consentita la locazione per brevi periodi, come dimostrato anche dal tenore letterale del regolamento condominiale e dal fatto che in istruttoria si era accertato che la clausola era stata modificata proprio per chiarire tale aspetto, e che gli stessi appellanti avevano ammesso che la previsione regolamentare consentiva gli affitti saltuari, cui avevano dovuto ricorrere, conseguendo minori guadagni rispetto a quelli derivanti dall’esercizio della preclusa attività alberghiera.
D’altra parte, deve anche evidenziarsi che il significato dell’espressione utilizzata nella sentenza del tribunale di Messina passata in giudicato di cui il ricorrente lamenta la violazione non è affatto univoco. In tale sentenza si legge, secondo quanto riportato nel ricorso, che l’assemblea del condominio non poteva vietare la destinazione dei locali di proprietà esclusiva ad uso diverso di privata abitazione e, tanto meno, vietare di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo. Ben poteva, pertanto, la Corte d’Appello interpretare tale espressione, come poi effettivamente ha fatto, nel senso che, se in astratto è illegittimo un regolamento condominiale che vieti una particolare destinazione agli immobili di proprietà esclusiva, in concreto tale illegittimità certamente ricomprende quella di vietare l’affitto sotto forma di pensione o di albergo. Alla luce di ciò deve allora ritenersi coperta da giudicato l’illegittimità della clausola ma non le argomentazioni svolte nella sentenza di annullamento in merito agli altri usi che sarebbero stati comunque consentiti, non costituendo, tale svolgimento logico, un presupposto ineliminabile per sostenere la illegittimità della delibera.
Lo afferma Cass.civ. sez. II 27 settembre 2017, n. 22678 Rel. Scarpa in relazione ad una vicenda nata in terra di Sardegna, in cui l’0assembela aveva autorizzato un condomino alla costruzione di una tettoia a copertura del suo posto auto, delibera impugnata da un condomino.
I fatti e il processo: “Nel giudizio di primo grado, svolto dinanzi al Tribunale di Cagliari, S.T. agiva nei confronti del Condominio (omissis) , affinché l’autorità giudiziaria adita accertasse la nullità della delibera condominiale, datata 10 marzo 1992, con la quale il Condominio aveva annullato la delibera adottata in data 22 aprile 1991, che lo autorizzava alla realizzazione di una tettoia (pergolato) nel cortile condominiale da utilizzare quale copertura del posto auto. Il giudice adito, con sentenza n. 1344 del 2008, nella resistenza del condominio che formulava domanda riconvenzionale al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità della costruzione realizzata dal S. nonostante il dissenso espresso dall’assemblea, rigettava la domanda attorea e nel contempo accoglieva la domanda riconvenzionale del condominio. Avverso la menzionata sentenza proponeva appello il medesimo S. che impugnava la decisione del giudice di prime cure sostenendo la tesi dell’illegittimità della condizione apposta alla delibera iniziale, ossia l’assenso dell’Istituto Autonomo per le case popolari, proprietario di oltre un terzo dell’edificio, e l’assenza di modifiche nella destinazione dell’area, la Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 307 del 2013, dichiarava inammissibile il gravame, stante la novità delle questioni dedotte con l’atto di appello.”
Il principio di diritto affermato dalla Cassazione: “La questione attinente la nullità della delibera condominiale derivante dalla illiceità della condizione apposta alla delibera del 1991, che subordinava l’autorizzazione alla realizzazione del pergolato al consenso dello I.A.C.P., non può ritenersi nuova ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. e, quindi, inammissibile, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, perché l’allora appellante, oggi ricorrente, non ha “arricchito” con diversi profili la propria originaria domanda, ma si è difeso sulla “nuova” prospettazione adottata con la sentenza che aveva deciso il giudizio.
Deve dunque escludersi la novità della domanda, agli effetti dell’art. 345 c.p.c., risultando la stessa comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio con la citazione introduttiva, e tale, perciò, da non determinare la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, né l’allungamento dei tempi processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015).
Nello stesso senso si è di recente chiarito che: “Il divieto di proporre domande nuove in appello implica che è preclusa la facoltà di avanzare pretese che involgano la trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda proposta in primo grado, ma non quella di prospettare rilievi che importino una diversa qualificazione giuridica del rapporto e l’applicazione di una norma di diritto non invocata in primo grado, tanto più quando la nuova ragione giuridica dedotta in sede di gravame derivi da una norma di legge che il giudice è tenuto ad applicare” (Sez. 2 -, n. 6854 del 2017).
La seconda ragione di fondatezza del ricorso risiede nel fatto che il ricorrente, con l’appello, ha prospettato un presunto ulteriore vizio di nullità della delibera condominiale, rispetto a quelli fatti valere con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado.
In relazione ai motivi di nullità delle delibere condominiali deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui: “Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica il principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 cod. civ., secondo cui è attribuito al giudice il potere di rilevarne d’ufficio la nullità” Sez. 2, n. 12582 del 2015 (Rv. 635891).
Ne consegue che, anche in relazione alla nullità delle delibere condominiali, deve trovare applicazione il principio affermato in materia contrattuale, secondo cui: “La domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345, primo comma, cod. proc. civ., salva la possibilità per il giudice del gravame – obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. – di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante, giusta il secondo comma del citato art. 345” Sez. U, n. 26243 del 2014 (Rv.633566).
Alla luce di quanto esposto la Corte d’Appello di Cagliari ha errato nel dichiarare domanda nuova quella esposta con il motivo di appello relativo alla dedotta nullità della delibera condominiale del 1992 per l’illiceità della condizione, motivo che, invece, andava esaminato nel merito.”
La sentenza è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari.