Ieri il consiglio dei Ministri, sordo alle indicazioni di modifica provenienti da ogni parte del mondo della giustizia e dell’utenza e nonostante le preannunciate aperture – rivelatesi del tutto infondate – nel corso di quesi mesi, ha approvato in via definitiva il secondo decreto legislativo attuativo della legge delega 57/2016 di riforma della magistratura onoraria.
In attesa della pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, chi ha voglia di provare a comprendere il significato operativo di una pessima riforma, può dare un’occhiata alle bozze che circolano in rete
Oltre ad una cervellotica riorganizzazione degli uffici giudiziari, a disposizioni su malattia, ferie, previdenza, decadenza dall’incarico che paiono violare ogni possibile norma di garanzia costituzionale e sovranazionale, si prevede l‘attribuzione delle cause condominiali al giudice onorario a far data dal 31 ottobre 2025.
E’ plausibile che sia il primo caso nella storia repubblicana di un provvedimento che posticipa la sua entrata in vigore di otto anni, probabilmente conscio esso stesso della sua inopportunità.
Da sottolineare che i decreti attuativi hanno del tutto omesso di regolamentare, come prevedeva la legge delega, il trasferimento dei magistrati onorari, con seri dubbi sulla legittimità di una simile attuazione.
Allo stato, chi svolge le proprie funzioni in un certo tribunale è destinato a dover rimanere in quello sino al termine della sua carriera, quale che siano le sue esigenze di vita privata e lavorativa. Chi si trovi a fare il magistrato onorario a Vercelli e per esigenze familiari si trasferisca a Roma, o rinuncia all’incarico o farà il pendolare con Vercelli.
Considerato che per i magistrati onorari attualmente in servizio è prevista la permanenza nell’incarico per altri sedici anni o comunque sino ai sessantotto anni di età, non dovrebbe essere difficile comprendere l’assurdità e l’illegittimità di una simile ipotesi.
Coloro che avevano sperato in una riforma di garanzia e nella elaborazione di uno status che garantisse i diritti minimi a soggetti che da quindici anni lavorano a tempo pressoché pieno nelle aule di giustizia sono evidentemente soggetti che amano sognare.
L’unico punto che segna un passaggio favorevole, almeno per gli attuali GOT, è un regime retributivo che – per quanto del tutto inadeguato alle funzioni svolte (16mila euro l’anno lordi) – prevede, seppur a far data dal 2020, un superamento parziale del regime di cottimo attuale, che ha connotazioni del tutto inaccettabili.
Interessanti lue note critiche del Prof. Scarselli, che erano state rese allo schema di decreto che oggi possono applicarsi al decreto così come approvato:
Fra le tante, alcune riflessioni e la chiusura colpiscono:
“V’è da chiedersi se sia costituzionalmente legittimo che i magistrati onorari vengano pagati con una retribuzione che, in parte, è condizionata al raggiungimento di obiettivi fissati dal Presidente del tribunale. Se la retribuzione dei magistrati professionali dipendesse dai risultati raggiunti, da ogni parte si griderebbe alla incostituzionalità; sono da indicare, allora, le ragioni per le quali una simile forma di retribuzione può esser invece legittima per il magistrato onorario, che, parimenti a quello professionale, svolge funzioni giurisdizionali.”
“V’è da chiedersi, ancora, se sia costituzionalmente legittimo che un giudice onorario, ancorché privo della qualifica di pubblico impiego, e pur tuttavia svolgente pubbliche funzioni, possa rendere la propria attività senza alcun riconoscimento di assistenza, infortuni, gravidanza, in contrasto con le direttive europee, che escludono che detti costi possano porsi interamente a carico del lavoratore, e in contrasto anche con un minimo senso di giustizia sostanziale, che imporrebbe una qualche solidarietà sociale dinanzi a simili eventi.”
“Da un punto di vista generale, tuttavia, la riforma non promette niente di buono.
“Non bisogna essere psicologi per capire che un lavoratore è più produttivo se è contento del suo ruolo e del suo lavoro.”
“ la lingua italiana – scriveva Flaiano – non è adatta alla protesta, alla rivolta, alla discussione dei valori e delle responsabilità, è una lingua buona per fare le domande in carta da bollo, ricordi d’infanzia, inchieste sul sesso degli angeli e buona, questo sì, per leccare. Lecca, lecca, buona lingua italiana infaticabile fai il tuo lavoro per il partito o per i buoni sentimenti “
In realtà il paradosso di Flajano era il frutto dell’amara delusione e disillusione di fronte ad un paese, non ad un linguaggio, che ha sempre omesso di considerare il bene del gruppo, preferendo quello dei pochi, ammantandolo di parole fuorvianti.
Oggi il legislatore, con quella stessa lingua, ci dice da un lato che l’amministratore deve essere un professionista serio, preparato, rigoroso, soggetto a ben precise caratteristiche di affidabilità personale e sociale (basti vedere i numerosi requisiti previsti dall’art. 71 bis disp.att. cod.civ.), che risponde a parametri di deontologia, trasparenza e correttezza verso il suo utente consumatore, secondo un modello che – seppure non strutturato in ordini o collegi – è in tutto e per tutto rapportato dalla L. 4/2013 alle caratteristiche delle professioni ordinistiche.
Last but not least, il D.M. 140/2014, come norma attuativa dell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., prevede che l’amministratore deve essere un professionista soggetto a formazione continua e, cosa ancor più singolare, sottoposto obbligatoriamente ad una valutazione annuale, cosa che forse è richiesta oggi solo ai piloti da combattimento e a poche altre professioni.
Tutto ciò, seppure con qualche auspicabile correzione e qualche rigidezza in meno, è stato salutato come il dovuto riconoscimento – trascorsi settanta anni dalla entrata in vigore del codice civile – ad una figura che occupa un ruolo tecnico, complesso, sfaccettato e che richiede competenze eterogenee e non comuni che vanno dal diritto alla contabilità, alla fiscalità, alla sicurezza sul lavoro. L’amministratore di condominio non deve essere né un avvocato, né un ingegnere né un commercialista ma deve essere un professionista di grande preparazione che – come i medici condotti di una volta – sia in grado di percepire celermente la natura di un problema e di indirizzare il paziente dallo specialista più adatto.
Ciò richiede, indubbiamente, una seria preparazione e un costante aggiornamento, che deve abbinarsi ad una provata affidabilità, ritenuta imprescindibile in un soggetto che – nell’adempimento del proprio dovere professionale – è chiamato anche a gestire ingenti quantità di denaro dei suoi amministrati.
Insomma negli anni dal 2012 al 2014 il legislatore ci ha detto che, finalmente, l’amministratore non era più quel quisque de populo che emergeva dal silenzio del codice del 1942 ma doveva diventare un professionista di grande competenza e attendibilità, in quanto chiamato ad operare in un settore di fra i più complessi e rilevanti nel contesto socioeconomico, ovvero la multiforme realtà degli edifici in condominio; una realtà che rappresenta un laboratorio sperimentale ove si mescolano i profili più delicati del diritto (dai diritti reali alle obbligazioni plurisoggettive, con i relativi articolati processuali) insieme a quelli tecnici degli impianti, degli edifici, della contabilità e della normativa fiscale e tributaria fino alla gestione dei gruppi; un breve sguardo alle materie di aggiornamento obbligatorio previste dall’art. 5 del DM 140/2014 fa impallidire i programmi di diversi corsi universitari: “I corsi di formazione e di aggiornamento contengono moduli didattici attinenti le materie di interesse dell’amministratore, quali:a) l’amministrazione condominiale, con particolare riguardo ai compiti ed ai poteri dell’amministratore; b) la sicurezza degli edifici, con particolare riguardo ai requisiti di staticita’ e di risparmio energetico, ai sistemi di riscaldamento e di condizionamento, agli impianti idrici, elettrici ed agli ascensori e montacarichi, alla verifica della manutenzione delle parti comuni degli edifici ed alla prevenzione incendi; c) le problematiche in tema di spazi comuni, regolamenti condominiali, ripartizione dei costi in relazione alle tabelle millesimali; d) i diritti reali, con particolare riguardo al condominio degli edifici ed alla proprieta’ edilizia; e) la normativa urbanistica, con particolare riguardo ai regolamenti edilizi, alla legislazione speciale delle zone territoriali di interesse per l’esercizio della professione ed alle disposizioni sulle barriere architettoniche; f) i contratti, in particolare quello d’appalto ed il contratto di lavoro subordinato; g) le tecniche di risoluzione dei conflitti; h) l’utilizzo degli strumenti informatici; i) la contabilita’.”
A fronte della conclamata complessità della materia, che il legislatore ha ritenuto motivo essenziale per riqualificare (opportunamente) il ruolo e la figura professionale dell’amministratore di condominio, è stata di recente approvata la Legge, 28/04/2016 n° 57, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29/04/2016, che delega al Governo la riforma della magistratura onoraria.
Già è singolare che una legge che tocca un settore tanto delicato sia delegata all’esecutivo e non sottoposta ad un serio ed approfondito confronto parlamentare. Peraltro il disegno di legge, oltre ad intervenire in maniera assolutamente discutibile – precarizzandola definitivamente – su una figura che da vent’anni regge un bel pezzo del carico dei Tribunali facendo appello spesso solo alla propria buona volontà – unifica Giudici Onorari di Tribunale e Giudici di Pace in un unico ibrido definito Magistrato Onorario di Pace e introduce una sconcertante previsione: “Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera p), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi,:…“attribuendo alla competenza dell’ufficio del giudice di pace:a) le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici”.
Oggi quella materia che è stata definita di tale complessità da richiedere a chi la pratica quotidianamente come attività professionale parametri stringenti e di grande livello, viene in blocco attribuita alla cognizione di un giudice che la stessa legge definisce come figura minore, transitoria e di mero complemento, destinata a rimanere in servizio un quadriennio (prorogabile una sola volta) e con obbligo di dedicarsi contemporaneamente ad altra professione che gli assicuri da vivere, con un tetto massimo di tempo settimanale da dediciare allo svolgimento della attività giurisdizionale.
L’intera cognizione sulla materia del Condominio sarà dunque affidata in primo grado ad non professionista, un soggetto che lo stesso legislatore relega a figura minore della giurisdizione.
Tutte le controversie in tema di nomina e revoca dell’amministratore diventeranno di competenza del magistrato onorario che – non dedicandosi professionalmente, perché la legge glielo impedisce – a tale attività le guarderà come e quando potrà; stessa sorte attende le impugnative delle delibere condominiali, qualche che sia il loro valore.
Con l’ulteriore problematica che, essendo la materia cautelare sottratta al magistrato onorario, della eventuale sospensiva della efficacia delle delibere si dovrà forse andare a discutere dinanzi al Tribunale, con inutile duplicazione di fasi e costi.
Con la stessa lingua di Flaiano il legislatore ci ha detto che la materia del Condominio è materia assai tecnica e complessa, e di ciò non ne dubitiamo, essendo diversi i grandi giuristi che hanno dedicato a quel tema molte delle loro energie (da Salis a Corona), dall’altra ci sta per dire che, tuttavia, le liti che scaturiscono da quella materia così complessa è bene che le decida un giudice onorario, precario e non professionista.
Contro tale stranissima visione si è già levata alta la voce di diverse associazioni di amministratori e anche di personalità del mondo dell’avvocatura come Maurizio de Tilla, presidente dell’Associazione Nazionale Avvocati Italiani nonché prolifico e attento studioso della materia del Condominio.
Non resta che confidare nei decreti governativi, che comunque dovranno attenersi ai parametri dettati dalla delega e quindi non potranno certo mutarne l’impianto.