Le Sezioni Unite della Corte di legittimità, con pronuncia odierna (Cass.civ. sez. un. 14 aprile 2021 n. 9839) hanno deciso la questione a loro rimessa con ordinanza 1 ottobre 2019 .
La Corte ha confermato l’orientamento che riteneva nulla la delibera che modifichi scientemente i criteri di riparto e annullabile quella che invece li applichi erroneamente, chiarendo che la nullità della prima può essere rilevata d’ufficio del giudice anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, mentre sono annullabili quelle che provvedano alla ripartizione della spesa in modo erroneo e non conforme ai criteri di legge.
In tale ultima ipotesi il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo potrà statuire anche sull’annullamento del deliberato solo ove la relativa azione sia tempestivamente proposta dalla parte nel termine di cui all’art. 1137 c.c.
Questi i principi espressi dal massimo consesso, anche se il provvedimento – per l’ampio excursus interpretativo – merita lettura integrale:
«In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’ordine pubblico” o al “buon costume”; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 cod. civ.»;
– «In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, numeri 2) e 3), cod. civ. e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, secondo comma, cod. civ.»
La recente pronuncia delle sezioni unite chiarisce che l’onere di dare impulso al procedimento di mediazione nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo incombe al creditore e, ove questi non vi provveda, il giudice dovrà dichiarare improcedibile la domanda e revocare il decreto.
Una recente ordinanza del giudice di legittimità ha inoltre statuito che nel condominio l’amministratore deve essere sempre autorizzato dall’assemblea a partecipare (o a dare impulso) a procedimento di mediazione, non avendo poteri autonomi ai fini dell’art. 71 quater disp.att. cod.civ.
E’ evidente che l’effetto congiunto di tale due statuizioni comporta che i decreti ingiuntivi ottenuti dal condominio ex art 63 disp.att. cod.civ. nei confronti dei condomini morosi vedranno fiorire opposizioni fantasiose da parte di coloro che accampano mere pretese dilatorie, posto che a quel punto sarà onere del condominio promuovere la mediazione (a pena di revoca del decreto) e, come è noto, non sempre è semplice raggiungere la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma II c.c., così come richiesta dall’art. 71 quater disp.att. cod.civ. per autorizzare l’amministratore a partecipare al procedimento di ADR.
Ove il condominio non riesca deliberare in tal senso, al giudice non resterà che revocare il decreto e plausibilmente condannare pure il condominio alle spese della fase di opposizione.
una interessante pronuncia della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2 23 luglio 2020 n. 15696 rel. Scarpa) richiama gli orientamenti più recenti in tema di nascita dell’obbligazione condominiale e circa la valenza dell’approvazione della ripartizione, individuando nella delibera che approva interventi manutentivi l’atto costitutivo dell’obbligazione dei singoli condomini a corrispondere la propria quota, mentre l’approvazione della ripartizione ex art 63 disp.att. cod.civ. ha rilevanza dichiarativa, delineando l’importo che incombe a ciascuno.
In tema di lavori straordinari, infine, la delibera di approvazione dell’intervento è idonea a far sorgere l’obbligazione dei singoli, anche ove non sia stato approvato il consuntivo delle opere.
“La dottrina ravvisa un duplice oggetto della deliberazione assembleare che approvi un intervento di ristrutturazione delle parti comuni: 1) l’approvazione della spesa, che significa che l’assemblea ha riconosciuto la necessità di quella spesa in quella misura; 2) la ripartizione della spesa tra i condomini, con riguardo alla quale la misura del contributo dipende dal valore della proprietà di ciascuno o dall’uso che ciascuno può fare della cosa.
Se, allora, l’approvazione assembleare dell’intervento, ove si tratti lavori di manutenzione straordinaria, ha valore costitutivo della obbligazione di contribuzione alle relative spese, la ripartizione, che indica il contributo di ciascuno, ha valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione)(arg. da Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477; Cass. Sez. 2, 03/12/1999, n. 13505; Cass. Sez. 2, 15/03/1994, n. 2452; Cass. Sez. U, 05/05/1980, n. 2928).
L’approvazione assembleare dello stato di ripartizione delle spese è, piuttosto, condizione indispensabile per la concessione dell’esecuzione provvisoria al decreto di ingiunzione per la riscossione dei contributi, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 1, giacché ad esso il legislatore ha riconosciuto un valore probatorio privilegiato in ordine alla certezza del credito del condominio, corrispondente a quello dei documenti esemplificativamente elencati nell’art. 642 c.p.c., comma 1, (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588).
Ove, tuttavia, sia mancata l’approvazione dello stato di ripartizione da parte dell’assemblea, l’amministratore del condominio è comunque munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, in forza dell’art. 1130 c.c., n. 3. In tale evenienza, l’amministratore può agire in sede di ordinario processo di cognizione, oppure ottenere ingiunzione di pagamento senza esecuzione provvisoria ex art. 63, comma 1 disp. att. c.c..
Occorre pertanto ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569). Il giudice, pronunciando sul merito, emetterà una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare.
Da ciò consegue che la carenza di “documentazione attestante gli esborsi fatti e le motivazione degli stessi”, come esposto dalla Corte d’appello, ove comunque sia provata l’approvazione assembleare dell’intervento manutentivo, non può giustificare la statuizione di infondatezza della pretesa del condominio di riscuotere i contributi dai condomini obbligati ai sensi degli artt. 1123 c.c. e ss..
Nè può essere d’ostacolo alla riscossione dei contributi inerenti alla manutenzione straordinaria approvata dall’assemblea la mancata approvazione del “consuntivo”, come la sentenza impugnata suppone conclusivamente, in quanto (mentre per l’erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali, che non richiede la preventiva approvazione dell’assemblea, l’approvazione è poi richiesta in sede di consuntivo, perché l’amministratore possa agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a loro carico: da ultimo, Cass. Sez. 2, 11/01/2017, n. 454), per i lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, come già considerato, la delibera assembleare che dispone l’esecuzione dei detti interventi ha ex se valore costitutivo della relativa obbligazione di contribuzione (da ultimo: Cass. Sez. 2, 14/10/2019, n. 25839).
Una recente pronuncia della corte di legittimità (Cass.Civ. sez.VI-2 16 gennaio 2019 n. 994) affronta un tema interessante: un condomino propone opposizione a decreto ingiuntivo e, nelle more, il condominio adotta nuova delibera, a cui si richiama già nella comparsa di costituzione.
La bizzarra tesi del difensore dell’opponente, del tutto sconfessata dalla suprema corte, è che ciò costituisca mutato libelli non consentita.
Osserva invece il giudice di legittimità: “Si rappresenta altresì che sono appieno da condividere i rilievi del tribunale, allorché ha disconosciuto la mutatío dell’iniziale domanda monitoria, siccome correlata alla delibera assunta dall’assemblea condominiale in data 18.2.2016.
Invero le sezioni unite di questa Corte spiegano – e la relativa pronuncia è stata debitamente richiamata dal primo giudice – che la modificazione delladomanda, ammessa ex art. 183 cod. proc. civ., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali (cfr. Cass. sez. un. 15.6.2015, n. 12310; Cass. 22.12.2016, n. 26782).
Ebbene è più che evidente nella fattispecie che, nonostante la correlazione dell’iniziale domanda monitoria alla sopravvenuta delibera del 18.2.2016, è rimasta impregiudicata la connessione con la vicenda sostanziale inizialmente portata alla cognizione del giudice adito.
Né d’altro canto vi è stata, per l’opponente, V. G., menomazione alcuna delle sue prerogative difensive.
L’ancoraggio dell’iniziale domanda alla sopravvenuta delibera del 18.2.2016 è stato operato dal condominio opposto di già nella comparsa di costituzione depositata in cancelleria in data 8.3.2016, così come riferisce lo stesso ricorrente (cfr. ricorso, pagg. 2 – 3).
E’ innegabile dunque che alla data dell’ 8.3.2016 nessuna preclusione si era verificata, pur ai fini della mera emendatio libelli, giacché neppure era maturata la possibilità di richiedere la concessione dei termini ex art. 183 cod. proc. civ.”
La corte conferma anche, nel dichiarare infondato il secondo motivo di ricorso, il proprio orientamento in tema di mediazione: “ Per altro verso questa Corte non può che reiterare il proprio insegnamento.
Ossia che in tema di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione grava sulla parte opponente [nel caso per cui è controversia, su V. G.], poiché l’art. 5 del dec. Igs. n. 28/2010 deve essere interpretato in conformità alla sua “ratio” e, quindi, al principio della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente il giudizio di merito che l’opponente ha interesse ad introdurre (cfr. Cass. 3.12.2015, n. 24629)”
Cass.Civ. sez. II ord 21 febbraio 2019 n. 5151 rel. Scarpa affronta un tema peculiare e di grande rilievo per il creditore che si aggiunge a promuovere esecuzione contro il Condominio.
La vicenda trae spunto da una articolata vicenda processuale: “Il Tribunale di Milano con sentenza del 22 maggio 2008 condannò il Condominio L. 220/2012 N. di via D, Milano, in persona dell’amministratore pro tempore G., al pagamento in favore di NM, G C e L C della somma di C 3.097,50, oltre accessori.
Sulla base di tale sentenza, NM, GC e LC il 19 settembre 2008 notificarono precetto alla U. I. S.p.a., nella qualità di amministratrice del Condominio L N di via D, Milano. U I. S.p.a. propose opposizione al precetto negando di essere mai stata amministratrice del Condominio L N. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 4323/2010, accolse l’opposizione e dichiarò nullo il precetto. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 3098/2014 del 5 agosto 2014, ha poi rigettato l’appello di NM, GC e LC, rilevando come U I S.p.a. avesse interesse a far accertare giudizialmente in sede di opposizione l’inesistenza della qualifica di amministratrice dell’intimato Condominio L N attribuitale nel precetto e dunque la sua estraneità al processo esecutivo.
NM, GC e LC hanno proposto ricorso articolato in due motivi: il primo per violazione o falsa applicazione degli artt. 81, 99, 100 e 183 c.p.c., specificando come unico soggetto intimato per il pagamento nell’atto di precetto fosse il Condominio L N, essendo poi erroneamente indicata nella relata di notifica la U I S.p.a. “in qualità di amministratore” del condominio stesso; il secondo motivo di ricorso denuncia, invece, la violazione degli artt. 145 e 160 c.p.c., quanto al perfezionamento della notifica del precetto ritenuta dalla Corte d’Appello, seppur eseguita nei confronti di soggetto privo di qualsiasi relazione col destinatario dell’atto. U I S.p.a. resiste con controricorso.”
La Corte di legittimità, con cristallina motivazione, ritiene contatto il ricorso: “Il primo motivo è fondato, rimanendo assorbito conseguentemente il secondo motivo. Una sentenza di condanna al pagamento di una somma nei confronti di un condominio di edifici costituisce, per consolidata interpretazione giurisprudenziale, titolo esecutivo relativo all’intero importo azionabile nei confronti del predetto condominio (cfr. ad es. Cass. Sez. 2, 14/10/2004, n. 20304; Cass. Sez. 6 – 3, 29/03/2017, n. 8150).
Nella specie, sulla scorta del titolo esecutivo contenuto nella sentenza del Tribunale di Milano del 22 maggio 2008, NM, G C e L C intimarono l’adempimento al Condominio L N di via D, Milano. Il precetto venne però notificato il 19 settembre 2008, a norma dell’art. 479, comma 3, c.p.c., alla U I S.p.a., nella qualità di amministratrice del Condominio L N. L’opposizione a precetto proposta il 9 ottobre 2008 dalla U I S.p.a. era così volta unicamente a far dichiarare la propria carenza di legittimazione passiva, per non aver mai rivestito il ruolo di amministratrice del Condominio L N attribuitole nella notificazione.
L’opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c. introduce un giudizio che vede come unico legittimato attivo il soggetto contro cui l’esecuzione è minacciata, nonché come unico legittimato passivo il creditore che ha intimato il precetto, ed ha come oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere all’esecuzione forzata (Cass. Sez. 3, 13/11/2009, n. 24047; Cass. Sez. 3, 11/12/2002, n. 17630; Cass. Sez. 3, 23/06/1984, n. 3695).
L’opposizione in esame non venne proposta, allora, dal Condominio L N per lamentare che il precetto non indicasse il nome del proprio effettivo amministratore, oppure l’irregolarità della notificazione a soggetto diverso dal medesimo amministratore (cfr. Cass. Sez. 3, 06/07/2001, n. 9205).
Poiché l’amministratore, ai sensi dell’art. 1131 c.c., ha la rappresentanza sostanziale e processuale del condominio, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c., il precetto relativo a titolo esecutivo formatosi nei confronti del medesimo condominio va notificato all’amministratore presso il suo domicilio privato, ovvero presso lo stabile condominiale, se vi esistano appositi locali dove si svolge l’attività gestoria.
Se dalla relazione di notifica risulti che il destinatario abbia negato la qualità di amministratore del condominio, e la parte istante non dimostri la sussistenza in capo al soggetto indicato dei poteri rappresentativi del condominio, deve ritenersi affetta da nullità la relativa notificazione, nullità da far valere con l’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., salvo sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c., in virtù della proposizione dell’opposizione da parte del condominio correttamente rappresentato dall’amministratore in carica (arg. da Cass. Sez. 3 , 16/10/2017, n. 24291; Cass. Sez. 6 – 3, 15/12/2016, n. 25900; Cass. Sez. 2, 07/07/2004, n. 12460).
Per quanto finora detto, va enunciato il seguente principio di diritto:la notifica del precetto intimato ad un condominio di edifici, eseguita nei confronti di persona diversa da quella che rivesta la carica di amministratore del condominio stesso, non può ritenersi idonea a far assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di soggetto contro cui l’esecuzione forzata è minacciata in proprio (essendo l’amministratore non il soggetto passivo del rapporto di responsabilità, quanto il rappresentante degli obbligati), con conseguente difetto di legittimazione dello stesso a proporre opposizione iure proprio, al solo fine di contestare – come avvenuto nella specie – di rivestire la qualifica di amministratore del condominio intimato di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo.
Va, in definitiva, accolto il primo motivo di ricorso, va dichiarato assorbito il secondo motivo di ricorso, e la sentenza impugnata deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarandosi inammissibile l’opposizione proposta dalla U I S.p.a. al precetto notificato da NM, G C e L C”
Qualora un terzo creditore del condominio, per un servizio prestato nell’interesse comune, ottenga decreto ingiuntivo contro il condominio in persona dell’amministratore, solo quest’ultimo è legittimato a proporre opposizione, mentre tale legittimazione non può essere riconosciuta ai singoli condomini.
E’ quanto stabilisce con ordinanza – in linea con analoghe pronunce di legittimità – Cass.Civ. sez.VI-2 13 giugno 2018 n. 15567 : “va qui osservato che le parti nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo possono essere: da un lato colui che ha ottenuto il decreto ingiuntivo e, dall’altro colui contro il quale tale decreto ingiuntivo è stato ottenuto (Cass. Civ., 16069 del 18.4.2004).
Ora, da questa considerazione, scaturisce in modo chiaro ed inequivocabile il difetto di legittimazione attiva degli opponenti in quanto il decreto ingiuntivo è stato emesso nei confronti del condominio e, pertanto, solo quest’ultimo ente poteva opporsi e non i singoli condomini, come è avvenuto nel caso in esame, che non possono vantare, nel giudizio in questione, alcuna legittimazione attiva
Non può nemmeno trovare applicazione il principio in base al quale, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta rispetto a quella dei suoi partecipanti, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario non priverebbe i singoli condomini di agire per tutelare i diritti connessi alla loro partecipazione, perchè tale principio trova amplia applicazione solo in materia di controversie aventi ad oggetto azioni reali, che possono incidere sul diritto pro-quota che compete a ciascun condomino sulle parti comuni o su quello esclusivo sulla singola unità immobiliare, ma, al contrario, non può trovare applicazione nelle controversie, aventi ad oggetto la gestione di un servizio comune
Pertanto, posto che nel caso in esame, come emerge dal ricorso (pag. 3 dello stesso) e come è stato evidenziato dal controricorrente (pag. 4 del controricorso) il decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio è stato emesso a danno del Condominio di (OMISSIS), solo l’amministratore del Condominio avrebbe potuto impugnare siffatto decreto.
La mancanza di legittimazione attiva dei condomini oggi ricorrenti, rilevabile in ogni stavo e grado del giudizio, comporta l’annullamento dell’opposizione al decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio.
In definitiva, senza entrare nel merito dell’unico motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., perchè il processo non poteva essere iniziato da L.P. e C.G., contro il decreto ingiuntivo n. 1919 del 2005 del Tribunale di Genova.”
E’ principio pacifico in giurisprudenza che l’opponente al decreto ingiuntivo non possa, in quella sede, far valere vizi attinenti alla annullabilità della delibera, che dovranno invece essere dedotti in separato giudizio, tempestivamente introdotto e che non minano l’esistenza e l’efficacia della delibera (salvo che il giudice della impugnazione non disponga in tal senso).
A tale lettura sfuggono invece i vizi da ricondurre ad ipotesi di nullità del deliberato in forza del quale è stato ottenuto il provvedimento monitorio, posto che si tratta di vizio che il giudice può rilevare d’ufficio e che attiene all’esistenza stessa della delibera.
E’ quanto ribadisce, con motivazione cristallina, la recente ordinanza resa da Cass.Civ. sez.VI-2 21 giugno 2018 n. 16389 rel. Scarpa.
“E’ certamente da ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569).
Nello stesso giudizio di opposizione, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione.
Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; da ultimo, Cass. Sez. 2 , 23/02/2017, n. 4672).
Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137, comma 2, c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938; Cass. Sez. 6 – 2, 24/03/2017, n. 7741).
Questa Corte ha però anche chiarito, con orientamento che va ribadito e che depone per la correttezza della decisione del Tribunale diCastrovillari,comenelprocedimentodi opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti deliberenonoperaallorchési trattidiviziimplicantilaloronullità,trattandosi dell’applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda (Cass.Sez.2,12/01/2016,n.305).
La nullità di una deliberazione dell’assemblea condominiale, del resto, comporta che la stessa, a differenza delle ipotesi di annullabilità, non implichi la necessità ditempestiva impugnazioneneltermineditrentagiorniprevistodall’art. 1137 cod.civ.
Una deliberazione nulla, secondo i principigenerali degli organi collegiali, non può, pertanto, finché (o perché) non impugnata nel termine di legge, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti alcondominio,comesiafferma per le deliberazioni soltanto annullabili.
Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica,perciò,ilprincipio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 cod.civ. , secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche d’appello, il potere di rilevarne pure d’ufficio la nullità, ogni qual volta la validità (o l’invalidità) dell’atto collegiale rientri, appunto, tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere(Cass. Sez. 2, 17/06/2015, n. 12582; Cass. Sez. 6 -2, 15/03/2017, n.6652).
Ora, una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali (ovvero con regime “capitario”) degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in derogaai criteri di proporzionalità fissati dall’art. 1123 cod.civ., proprio come avvenuto nella delibera del 16 settembre 2005, va certamente ritenuta nulla, occorrendo semmai a tal fine una convenzione approvata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233; Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651).
La nullità di unasiffattadeliberapuò,quindi,esserefatta valere anche nel procedimento di opposizione adecreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei discendenti contributi condominiali, trattandosi di vizio che inficia la stessa esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa (esistenza che il giudice dell’opposizione deve comunque verificare) e che rimane sottratto al termine perentorio di impugnativa di cui all’art. 1137 cod.civ.
Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente Condominio va condannato a rimborsare al controricorrentelespesedel giudizio di cassazione.”
La corte di legittimità (Cass.Civ. sez. II 21 maggio 2018, n. 12525 rel. Scarpa) torna su un tema tormentato e complesso, che – sotto il profilo dei principi – ha trovato una definitiva consacrazione nelle sezioni unite 18331/2010 e che, tuttavia, continua a manifestare una complessità applicativa che non sempre consente all’amministratore o ai condomini di percepire la correttezza del loro operato.
La Corte – coordinando due pronunce a sezioni unite – esprime un concetto di significativo e pericoloso rilievo per il condominio: il criterio espresso dalle sezioni unite del 2010, ovvero la possibilità che – per le controversie che esulano dalla competenza dell’amministratore e in assenza di delibera – venga assegnato un termine ai sensi dell’art. 182 c.p.c. per munirsi della ratifica assembleare vale anche in sede di legittimità, ma solo ove il rilievo della carenza di legittimazione autonoma sia compiuto dal Giudice, poichè ove sia eccepito dalla controparte la sussistenza del potere rappresentativo processuale dovrà essere immediatamente giustificata dall’amministratore.
Nè si può ritenere, afferma la corte, che l’opposizione a decreto ingiuntivo rientri di per sé nei poteri dell’amministratore, poichè anche tali controversie vedranno una legittimazione autonoma di tale figura ratione materiae, ovvero secondo le attribuzioni previste dall’art 1130 c.c.
I fatti: “Il Condominio (omissis) ha proposto ricorso in cassazione articolato in sette motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 2921/2013, depositata il 21 maggio 2013. Resiste con controricorso R.S. , il quale propone ricorso incidentale in unico motivo, dal quale a sua volta si difende con controricorso il Condominio (omissis) . La Corte d’Appello accolse il gravame di R.S. contro la sentenza del Tribunale di Rieti n.576/2005 e rigettò perciò l’opposizione proposta dal Condominio (omissis) contro il decreto ingiuntivo per la somma di Euro 11.298,33, emesso il 25 febbraio 2002 su domanda del R. , ex amministratore condominiale, a titolo di compenso aggiuntivo per la cura dei lavori straordinari. La Corte di Roma superò l’eccezione del difetto di legittimazione del Condominio a proporre l’opposizione a decreto ingiuntivo, stanti i tempi ristretti per proporre la stessa. Quanto però al merito, i giudici di appello ritennero che dal verbale di assemblea del 14 marzo 1999 emergessero un riconoscimento del debito del Condominio in favore del R. di Lire 22.000.000, nonché una riduzione transattiva dell’importo del 50%, quale “gesto di collaboratrice sensibilità” dell’ex amministratore, con l’impegno del Condominio stesso di accreditare la somma nelle future quote “a copertura” del debito viceversa gravante sul R. . Questo accordo transattivo contenuto nel verbale del 14 marzo 1999 non poteva perciò essere modificato dall’assemblea nell’adunanza del 1 maggio 1999, che invece deliberò una riduzione della somma da accordare al R. , liquidata in Lire 8.000.000. Avendo poi il Condominio (omissis) azionato decreto ingiuntivo contro il R. , questo, a dire della Corte di Roma, ritenne “correttamente annullato l’accordo transattivo”, e perciò richiese a sua volta in via monitoria l’intera somma oggetto di riconoscimento nel verbale 14 marzo 1999.”
Le parti hanno articolato diversi motivi di censura in sede di legittimità, tuttavia: “Il Collegio antepone tuttavia una valutazione di tipo pregiudiziale.
Secondo l’insegnamento reso da Cass. Sez. U, 06/08/2010, n. 18331, l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni, ed essendo però tenuto a dare senza indugio notizia all’assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131, commi 2 e 3, c.c., può costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.
Nel ricostruire la portata dell’art. 1131, comma 2, c.c., Cass., sez. un., 6 agosto 2010, n. 18331, ha invero affermato che, ferma la possibilità dell’immediata costituzione in giudizio dell’amministratore convenuto, ovvero della tempestiva impugnazione dell’amministratore soccombente (e ciò nel quadro generale di tutela urgente di quell’interesse comune che è alla base della sua qualifica e della legittimazione passiva di cui è investito), non di meno l’operato dell’amministratore deve poi essere sempre ratificato dall’assemblea, in quanto unica titolare del relativo potere. La ratifica assembleare vale a sanare retroattivamente la costituzione processuale dell’amministratore sprovvisto di autorizzazione dell’assemblea, e perciò vanifica ogni avversa eccezione di inammissibilità, ovvero ottempera al rilievo ufficioso del giudice che abbia all’uopo assegnato il termine ex art. 182 c.p.c. per regolarizzare il difetto di rappresentanza.
La regolarizzazione ai sensi dell’art. 182 c.p.c., in favore dell’amministratore privo della preventiva autorizzazione assembleare, come della ratifica, può operare in qualsiasi fase e grado del giudizio, con effetti “ex tunc” (Cass. Sez. 6 – 2, 16/11/2017, n. 27236).
Peraltro, come di seguito ribadito da Cass. Sez. 2, 23 gennaio 2014, n. 1451, e da Cass. Sez. 2, 25/05/2016, n. 10865, la necessità dell’autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell’amministratore va riferita soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1131, commi 2 e 3, c.c.
Non può dunque sostenersi, come fatto dalla Corte d’Appello di Roma sul presupposto dell’urgenza dell’opposizione, che, poiché l’opponente a decreto ingiuntivo ha la posizione processuale di convenuto e così di legittimato passivo rispetto alla pretesa azionata con il ricorso monitorio, e tale posizione non muta nei successivi gradi del giudizio, indipendentemente dall’iniziativa dei mezzi di gravame adoperati, l’amministratore di un condominio che proceda a siffatta opposizione, nonché alla successiva impugnazione della pronuncia che l’abbia decisa, non ha, per ciò solo, necessità dell’autorizzazione dell’assemblea condominiale, a termini del secondo comma dell’art. 1131 c.c.
Piuttosto, l’amministratore di condominio può proporre opposizione a decreto ingiuntivo, e altresì impugnare la relativa decisione del giudice di primo grado, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, ad esempio, nella controversia avente ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di obbligazione assunta dal medesimo amministratore nell’esercizio delle sue attribuzioni in rappresentanza dei partecipanti, ovvero dando esecuzione a deliberazione dell’assemblea o erogando le spese occorrenti per la manutenzione delle parti comuni o per l’esercizio dei servizi condominiali, e quindi nei limiti di cui all’art. 1130 c.c. (così Cass. Sez. 2, 03/08/2016, n. 16260).
Diversa è la causa, quale quella in esame, in cui il precedente amministratore, cessato dall’incarico, agisca in sede monitoria nei confronti del nuovo amministratore del condominio per ottenerne la condanna al pagamento del compenso suppletivo inerente all’attività svolta con riguardo all’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio. Si tratta di controversia non rientrante tra quelle per le quali l’amministratore è autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell’art. 1130 e 1131 c.c., sicché, ai fini della sua costituzione in giudizio come della proposizione delle impugnazioni, gli occorre l’autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato (cfr. per analoga fattispecie Cass. Sez. 2, 31/01/2011, n. 2179).
Il Collegio ritiene tuttavia, per ciò che segue, di discostarsi da quanto disposto nell’ordinanza interlocutoria del 27 settembre 2017, e così di revocare la stessa, ai sensi dell’art. 177 c.p.c., norma applicabile anche al giudizio di cassazione (cfr. Cass. Sez. 2, 11/02/2011, n. 3409; Cass. Sez. L, 26/03/1999, n. 2911; Cass. Sez. U, 25/03/1988, n. 251).
Secondo quanto stabilito da Cass. Sez. U, 04/03/2016, n. 4248, il difetto di rappresentanza o autorizzazione può essere sanato ex art. 182 c.p.c. (come nella specie) in sede di legittimità, dando prova della sussistenza del potere rappresentativo o del rilascio dell’autorizzazione, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., sempre che il rilievo del vizio nel giudizio di cassazione sia officioso, e non provenga dalla controparte, come invece appunto qui fatto dal controricorrente R.S. , giacché, in tal caso, l’onere di sanatoria sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine da parte del giudice (a meno che lo stesso non sia motivatamente richiesto, il che neppure risulta avvenuto, nella specie), in quanto sul rilievo di parte l’avversario è chiamato prima ancora a contraddire (si veda già Cass. Sez. 2, 31/01/2011, n. 2179).
IV. Deve perciò essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’amministratore del Condominio (omissis) senza l’autorizzazione assembleare, trattandosi di controversia riguardante un credito per compenso straordinario preteso dal precedente amministratore cessato dall’incarico, e perciò non rientrante tra quelle per le quali l’amministratore è autonomamente legittimato ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c.; né può essere concesso il termine per la regolarizzazione ai sensi dell’art. 182 c.p.c., atteso che il rilievo del vizio in sede di legittimità è stato operato dalla controparte nel suo controricorso, e non d’ufficio, sicché l’onere di sanatoria dell’amministratore ricorrente doveva intendersi sorto immediatamente.
Il ricorso incidentale di R.S. , giacché proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, e relativo a questioni preliminari di merito e pregiudiziali di rito (quale, nella specie, il difetto di legittimazione processuale del condominio e la carenza dei poteri rappresentativi del nuovo amministratore), oggetto di decisione esplicita da parte della Corte d’Appello, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte. Ne consegue che, attesa l’inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale rimane assorbito per difetto di attualità dell’interesse. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza (con condanna del Condominio (omissis) , e non dell’amministratore personalmente, ex art. 94 c.p.c., avendo comunque l’assemblea, sia pure tardivamente agli effetti dell’ammissibilità del ricorso, ratificato l’operato dell’amministratore stesso) e vengono liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente R.S. .”
Cass.Civ. II sez. 25 gennaio 2018 n. 1851 rel Scarpa affronta il tema peculiare dell’obbligazione relativa alle anticipazioni sostenute dall’amministratore uscente.
Nel caso di specie costui ha ottenuto decreto ingiuntivo contro il condominio, che propone opposizione con una tesi quantomeno bizzarra, sostenendo che l’iniziativa doveva essere diretta solo contro i singoli condomini.
La Corte ribadisce principi noti, che non trovano deroga per il fatto che l’obbligazione riguardi l’amministratore uscente: “ l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento del mandato, che, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti) sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all’amministratore mandatario le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l’anticipazione e per effetto di essa, e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali. Soltanto ove l’ex amministratore del condominio agisca nei confronti dei singoli condomini per ottenere il rimborso di dette somme anticipate, ha rilievo il principio della limitazione del debito nei limiti delle rispettive quote, ex art. 1123 cod.civ.
Occorre, invero, considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 e.e. (cfr. Cass. Sez. 2,27/09/1996, n. 8530; Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148; Cass. Sez. 6 – 2, 09/06/2017, n. 14530). “
La pronuncia per l’interessante articolato processuale che riguarda l’intera vicenda, aldilà dello stretto principio di diritto enunciato, merita integrale lettura.
Di recente la Suprema Corte (Cass. 1502/2018) ha osservato che la mancata opposizione a decreto ingiuntivo impedisce successive contestazioni giudiziali sulle somme portate in quel decreto ingiuntivo e che l’effetto di giudicato che acquista il decreto non opposto si estende a tutto il dedotto e deducibile che poteva essere fatto valere in sede di opposizione.
Analogo principio è seguito da recente sentenza del Tribunale di Massa 23 gennaio 2018 in tema di opposizione alla convalida di sfratto, che deve essere respinta laddove il conduttore non abbia proposto opposizione al decreto ingiuntivo per i canoni non versati ottenuto dal locatore con autonomo e separato ricorso.
Osserva il Tribunale apuano che “L’esistenza di un decreto ingiuntivo definitivo per i canoni impagati, ottenuto dal locatore nei confronti del conduttore per canoni che vanno a costituire la morosità sulla quale si fonda l’intimazione di sfratto, oggi convertita nel presente giudizio a rito ordinario, impedisce di riesaminare la vicenda dei rispettivi obblighi e della sussistenza di inadempimento, per il principio del giudicato implicito discendente.
L’esistenza di un titolo definitivo, che accerti che non è stato versato il corrispettivo della locazione per l’importo recato nel decreto non opposto, impedisce qualunque ulteriore valutazione sulla debenza di quelle somme e sulla sussistenza del relativo inadempimento.
Si è, con costanza, osservato in giurisprudenza che “la domanda di accertamento del canone di locazione costituisce un presupposto implicito ai fini della proposizione e dell’accoglimento della domanda di condanna al pagamento dei canoni scaduti e non pagati in cui si sostanzia il provvedimento di ingiunzione.
Sta di fatto che sul decreto ingiuntivo non opposto recante intimazione di canoni locativi arretrati accolto si forma il giudicato che fa stato perciò fra le stesse parti circa l’esistenza e validità del rapporto corrente inter partes e sulla misura del canone preteso, nonchè fa stato circa l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi o estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio di opposizione, quali quelli atti a prospettare l’insussistenza totale o parziale del credito azionato in sede monitoria dal locatore a titolo di canoni insoluti, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte in ragione di maggiorazioni contra legem del canone (v. Cass. n. 5801/1998).
Evidente, pertanto, che, in applicazione del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, qualora i conduttori avessero voluto contestare la determinazione del canone, avrebbero dovuto proporre opposizione a decreto ingiuntivo, il che non hanno fatto, con la conseguenza che l’accertamento circa la misura del canone preteso e richiesto dai locatori è da ritenersi coperto dal giudicato.” Cass 16319/2017)”
Il Tribunale ha ritenuto infondate anche due eccezioni in rito dell’opponente, che assumeva il decreto ingiuntivo dovesse essere notificato nel domicilio eletto per il procedimento di sfratto: “Va perlatro osservato che appaiono prive di pregio anche le due obiezioni avanzate dal convenuto circa la asserita nullità della notifica del decreto ingiuntivo (tesi che perlatro dovrebbero legittimare – semmai un opposizione tardiva in quel procedimento e non possono essere oggetto di valutazione nel presente, se non in via meramente incidentale): Per quanto possa qui rilevare, quanto alla notifica alla parte ai sensi dell’art. 140 c.p.c. appaiono rispettate tutte le formalità previste dalla norma e dalle successive interpretazioni rese dalla Consulta, posto che dalla copia depositata in via telematica risulta effettuata la notifica presso la dimora del convenuto (luogo che neanche egli stesso disconosce sia tale), è stato effettuato il deposito presso l’ufficio e il contestuale avviso raccomandato di cui risulta risulta – dall’avviso di ricevimento reso con l’atto – che il destinatario non abbia curato il ritiro per dieci giorni. Né peraltro l’opponente, aldilà di generiche riflessioni circa le modalità di notifica ai sensi dell’art 140 c.pc., ha spiegato in quali violazioni sarebbe incorsa la notifica del decreto.
Quanto la doglianza circa l’omessa notifica al domicilio eletto, è di tutta evidenza che tale norma sia volta favorire le comunicazioni in corso di causa alle parti costituite, e tale non può considerarsi la notifica alla parte – in vista della esecuzione – di un decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva, che deve necessariamente essere notificato al debitore e non al suo procuratore domiciliatario e che – in ogni caso – è relativo a procedimento monitorio del tutto autonomo rispetto a quello di opposizione alla convalida per cui si discute e sarebbe, pertanto, escluso dagli atti soggetti a notifica nel domicilio eletto”.