il pagamento al fornitore con fondi di altro condominio costituisce indebito oggettivo.

Fra i doveri che il novellato art. 1129 c.c. ha imposto all’amministratore vi è quello di istituire necessariamente un conto corrente condominiale e di amministrare con modalità tali da non creare consunzione con i patrimoni degli altri stabili amministrati ( tanto che costituisce grave irregolarità che può da luogo a revoca ex art 1129 comma XIII n. 4  “la gestione secondo modalita’ che possono generare possibilita’ di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini).

E’ tuttavia prassi tristemente nota quella posta in essere da alcuni amministratori di utilizzare i conti di altri stabili amministrati per far fronte a mancanze di fondi e a fronte di scadenze imminenti; é prassi che può avere significativi risvolti penali  e che, sotto il profilo civilistico, da luogo ad indebito oggettivo, per il quale il condominio che ha visto indebitamente utilizzati i propri fondi può agire direttamente verso il creditore ex art 2033 c.c. per ottenere ne la restituzione.

Lo afferma Cass.civ. sez. III 9 novembre 2020 n. 24976: Di recente, questa Corte ha avuto modo di statuire che “L’adempimento del debito altrui può avvenire sia direttamente sia per il tramite d’un mandatario; in tale ultima ipotesi, la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 1180 c.c. (esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento) vanno accertati con riferimento alla persona del mandante, non a quella del mandatario” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8101 del 23/4/2020).

E’ vero, difatti, che l’adempimento dell’obbligo del terzo, così come di qualsiasi altra obbligazione fungibile, può avvenire sia personalmente che per il tramite di un terzo, che può assumere la veste di un mero rappresentante (art. 1387 c.c.) o di un mandatario (art. 1703 c.c.), talchè per mezzo delle due figure menzionate è possibile adempiere sia l’obbligazione propria, sia l’obbligazione altrui. Senonchè, i requisiti consacrati dall’art. 1180 c.c. a elementi costitutivi della fattispecie – id est: esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento – devono essere considerati non rispetto alla persona dell’amministratore, mero mandatario, ma rispetto al Condominio, mandante dell’adempimento. D’altronde, secondo la giurisprudenza di legittimità non può sussistere l’indebito soggettivo ove un soggetto abbia adempiuto un debito altrui con la consapevolezza di non essere debitore, non potendo tale pagamento considerarsi effettuato in situazione di errore (Cass., Sez. L, Sentenza n. 17120 del 3/12/2002; Sez. 2, Sentenza n. 1981 del 22/2/1995; Sez. 2, Sentenza n. 6346 del 28/11/1981).

Anche in relazione al secondo dei profili indicati – la situazione di error del solvens che, solo se scusabile, attribuisce a questi il diritto alla ripetizione – deve ritenersi corretta la statuizione della sentenza gravata in base alla quale, nel caso specifico, non possa arguirsi che il Condominio (OMISSIS), versando in errore, si potesse ritenere debitore della Carbotermo, in quanto con essa non aveva mai stretto rapporti commerciali.

In particolare, non coglie nel segno, il rilievo, svolto dall’attuale ricorrente, secondo cui rileverebbe che i pagamenti siano andati ad estinguere debiti altrui effettivamente sussistenti, mediante assegni tratti dal conto corrente del condominio (OMISSIS), a firma dell’amministratore che, a sua volta, gestiva diversi Condomini debitori della accipiens, poichè dal mero pagamento di un debito altrui non può trarsi la volontà del solvens (in questo caso il mandante) di estinguerlo.

 Difatti, nel caso di specie, è stato correttamente ritenuto che non sussistono i presupposti che l’art. 2036 c.c., consacra ad elementi costitutivi della fattispecie di indebito soggettivo, id est: l’esistenza del credito in capo all’accipiens e la situazione di errore non scusabile in cui versa il solvens all’atto del pagamento. La circostanza che i pagamenti fossero andati a estinguere crediti effettivamente sussistenti tra la Carbotermo e altri condomini, amministrati dallo stesso amministratore, non può comunque assurgere essa sola a “causa del pagamento”, posto che non risulta che al momento dei versamenti l’amministratore abbia mai speso tale volontà del Condominio mandante, peraltro, venuto a conoscenza solo a distanza di anni dai pagamenti andati a soluzione di debiti altrui.”

© massimo ginesi 3 dicembre 2020

 

quando l’amministratore usa i conti in maniera disinvolta

L’amministratore che paga un debito di un condominio con un assegno tratto dal conto di altro condominio da lui amministrato, oltre a commettere un reato e a violare in maniera grave una delle specifiche previsioni dell’art. 1129 c.c.espone il condominio beneficiato dal pagamento ad una azione per arricchimento senza giusta causa.

 E’ quanto ha stabilito Trib. Milano sez. V 17.1.2019 n. 407 : “È infatti documentalmente provato che il condominio attore, a quel tempo rappresentato dalla An. Na., ha pagato la controversa fattura emessa dalla società F. ENERGIA SRL a carico del condominio convenuto, per una prestazione pacificamente resa in favore del medesimo condominio di via L.

La circostanza è infatti dimostrata sia dalla produzione sub 2 dell’attore (che documenta l’uscita patrimoniale per il pagamento della fattura n. 1223 del 9.3.2010) sia dalla dichiarazione (incontestata) del terzo F.

Del resto, quel pagamento neppure viene contestato dal convenuto, che si limita a attribuire la causa dell’erroneo pagamento a un errore contabile della sua ex amministratrice, qui rimasta contumace.

Secondo il costante orientamento del giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, ordinanza n. 16305 del 21/06/2018; Cass. Sez. 1, sentenza n. 20226 del 04/09/2013), l’azione generale di arricchimento ex a. 2041 cc presuppone che l’arricchimento di un soggetto e la diminuzione patrimoniale a carico di altro soggetto siano provocati da un unico fatto costitutivo e siano entrambi mancanti di causa giustificatrice.

Inoltre, l’arricchimento ben può consistere anche nel semplice risparmio di spesa, sempre che si tratti di risparmio ingiustificato, nel senso che la spesa risparmiata dall’arricchito sia stata sostenuta senza ragione giuridica dal soggetto depauperato.

Ne discende che, essendo stato accertato sia l’arricchimento del convenuto (per importo pari a quello che avrebbe dovuto versare alla F. e che invece non ha mai pagato) sia la corrispondente diminuzione patrimoniale (dell’attore, per la stessa cifra), e risultando incontestato che l’uno e l’altro dipendono del medesimo fatto costitutivo; rilevato infine che sia l’arricchimento sia il depauperamento sono privi di idonea causa giustificatrice, il convenuto deve essere dunque condannato a restituire all’attore l’importo in questione, oltre agli interessi legali dalla data del pagamento e fino al saldo (non essendo provata la malafede).”

copyright massimo ginesi 8 febbraio 2019 

quando l’amministratore non paga la polizza…

una recente sentenza della Corte di Appello di Roma (App. Roma 2 maggio 2018 n. 2779) affronta un tema delicato per la responsabilità dell’amministratore: il mancato pagamento della polizia a copertura del fabbricato condominiale.

Ovviamente l’amministratore non è tenuto ad adempiere ove il condominio non abbia costituito la necessaria provvista (id est, ove i condomini non abbiano versato le quote necessarie) né, tantomeno, è tenuto ad anticipare in proprio le somme necessarie, tuttavia il giudice capitolino osserva che – ove l’amministratore sia stato inadempiente nel predisporre tempestivamente la richiesta di pagamento delle quote e quindi non sia stato diligente nel procurarsi il denaro necessario – può essergli imputata   la responsabilità del mancato pagamento, dalla quale può discendere la sua eventuale responsabilità anche per i danni che la copertura avrebbe dovuto garantire (nel caso specifico si era verificato un incendio).

la vicenda: “il giudice monocratico del Tribunale di Roma ha rigettato la domanda con la quale (…), quale proprietario di un appartamento (intt. 10 e 11) sito nello stabile condominiale di via (…) aveva chiesto accertarsi l’esclusiva responsabilità dell’amministratore del Condominio, avv. (…), ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il mancato pagamento, da parte della società assicuratrice del condominio, dell’indennizzo per i danni subiti a causa di un incendio verificatosi il 10.6.2007 ( determinato dal perito dell’assicurazione in complessivi Euro 74.000.00 ovvero in Euro 65.000,00) per inoperatività della copertura assicurativa determinata dall’omesso versamento de premio annuale scaduto il 14.3.2007 e corrisposto solo il 12.6.2007, e ha compensato interamente le spese di lite fra tutte le parti. “

il giudizio della Corte di Appello: “Il giudice monocratico, con la sentenza impugnata, rigettava la domanda attrice, osservando che il (…), quale amministratore e , quindi, mandatario, non poteva ritenersi responsabile del mancato pagamento del premio assicurativo, in quanto i condomini/ mandatari non gli avevano fornito le risorse necessarie per poter provvedere al pagamento – non essendovi in cassa fondi sufficienti – e considerata la stretta contiguità temporale fra la materiale presa in consegna della gestione condominiale e la data di scadenza del rateo. 

Invero, il (…) ha agito nei confronti del (…), quale ex amministratore del condominio, deducendo di aver subito un danno ingiusto a seguito dell’illecito comportamento omissivo del predetto (mancato pagamento del premio annuale relativo alla polizza assicurativa fabbricati), che aveva determinato l’inoperatività della garanzia e il mancato pagamento dell’indennizzo da parte della compagnia assicuratrice, nonostante questa avesse già fatto effettuare una stima dei danni e concordato con il danneggiato il pagamento di un indennizzo per Euro 65.000,00, chiedendo di essere da questi risarcito. 

Non vi è dubbio che la responsabilità da fatto illecito extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c., viene a configurarsi anche a seguito di una condotta omissiva ogni qualvolta un soggetto- che abbia un preciso obbligo giuridico, specifico o generico, che impone la tenuta di quella condotta che avrebbe impedito il verificarsi dell’evento lesivo di cui si discute – non pone in essere la condotta dovuta. …

Come correttamente rilevato dal primo giudice, rientra sicuramente fra i compiti dell’amministratore del condominio quello di provvedere all’ordinaria gestione e pertanto di curare il pagamento delle utenze e delle rate delle polizze assicurative in corso. 

Il giudice di prime cure ha, però, ritenuto che, nel caso di specie, non fosse ravvisabile un comportamento negligente imputabile all’amministratore e, quindi, una sua responsabilità per le conseguenze patrimoniali derivate al (…) dall’omesso pagamento del premio in scadenza, sul presupposto che essendo pacifico che il rapporto che si instaura fra l’amministratore e il condominio costituisce un contratto di mandato, fosse onere della compagine condominiale, ai sensi dell’art. 1719 c.c., rendere disponibili al mandatario le risorse necessarie per l’esecuzione dell’incarico ricevuto. 

Ha, quindi, ritenuto che, essendo documentalmente provato, che alla data di scadenza della rata del premio assicurativo(14.3.2007) non vi fossero in cassa risorse sufficienti per il pagamento e che , “considerata l’immediata contiguità temporale tra la materiale presa in consegna, da parte del (…) , della gestione del condominio… e la data di scadenza del detto rateo”, è pervenuto al convincimento che non potesse addebitarsi al (…) alcuna negligenza. 

Il ragionamento del primo giudice non convince. 

Rileva la Corte che , pur essendo vero – come documentalmente provato- che il (…) ha assunto l’incarico di amministratore del Condominio in data 13.2.2007; che solo in data 6.3.2007 ha ricevuto in consegna dall’amministratore uscente la documentazione e la giacenza di cassa (a mezzo assegno); che in cassa non vi era il denaro sufficiente ad effettuare il pagamento del premio assicurativo; che non vi era il tempo necessario per procurarsi il denaro entro la data di scadenza del 14.3.2007, non può però revocarsi in dubbio che fosse compito del (…), al fine di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia, di adoperarsi presso i condomini per ottenere, nel più breve tempo possibile – anche eventualmente a rata già scaduta – il denaro necessario per il pagamento, al fine di rendere il periodo di inoperatività della polizza il più breve possibile essendo notorio che la polizza assicurativa si riattiva al momento del pagamento del premio, anche se effettuato in ritardo, fino alla scadenza successiva. 

Del resto, per consolidata giurisprudenza “l’adempimento del mandato esige e ricomprende non solo il diligente compimento, da parte del mandatario, degli atti per il quali il mandato stesso è stato conferito, ma anche degli arti preparatori e strumentali, nonché di quelli ulteriori che, dei primi, costituiscano il necessario completamento, e comporta, altresì, il dovere di informare tempestivamente il mandante della eventuale mancanza o inidoneità dei documenti occorrenti all’esatto espletamento dell’incarico (Cass. 2149/2000). 

Pertanto, era onere del (…), ai sensi dell’art. 1708 c.c., informare tempestivamente i condomini della situazione determinatasi e richiedere ai medesimi di effettuare, nel più breve tempo possibile, un’integrazione dei pagamenti per poter far fronte alle spese di ordinaria gestione. 

Del resto il (…), stante il titolo professionale di avvocato, non poteva non sapere che la polizza assicurativa, rimasta sospesa per il mancato pagamento del premio, riprende a decorrere , ai sensi dell’art. 1901 c.c., dalle ore 24 del giorno in cui il contraente paga quanto dovuto, con riduzione del periodo di scopertura della garanzia. 

Il (…), per andare esente da responsabilità, avrebbe dovuto, quindi, dimostrare di aver fatto tutto il possibile (informazione condomini, fissazione assemblea condominiale, recupero somme presso i morosi) per procurarsi il denaro sufficiente e di aver eseguito il pagamento non appena messo in condizione, dalla compagine condominiale, di poterlo fare. “

La pronuncia si chiude poi in maniera salomonica, posto che la Corte ritiene comunque non provato il danno nel suo ammontare e quindi, pur riconoscendo fondata la responsabilità dell’amministratore, respinge la domanda nei suoi confronti, con spese compensate.

© Massimo Ginesi 17 ottobre 2018

l’obbligazione condominiale: natura e corretto adempimento.

Una recentissima pronuncia della Cassazione (Cass.civ. sez. VI-2 9 giugno 2017 .n. 14530  rel. Scarpa) traccia i contorni dell’obbligazione condominiale da ricondurre alla fattispecie della obbligazione parziaria e  chiarisce le corrette modalità di adempimento della stessa, che deve ritenersi correttamente assolta dal singolo condomino con il pagamento a mani dell’amministratore, non potendosi riconoscere efficacia liberatoria al pagamento effettuato direttamente  a mani del terzo creditore. 

Un terzo creditore, ottenuto decreto nei confronti del Condominio, notifica precetto pro quota al condomino che,  tuttavia,  aveva nel frattempo versato la quota di propria spettanza all’amministratore, e pertanto, propone opposizione al precetto. Il Giudice di Pace in primo grado e il Tribunale in sede di appello accolgono l’opposizione, sull’assunto ” che il condomino paga bene la sua quota di contribuzione alle spese comuni nelle mani dell’amministratore ove, come nella specie, a tanto abbia provveduto prima ancora dell’inizio della procedura esecutiva nei suoi confronti”

Il creditore propone ricorso per cassazione, sostenendo  che debba essere rimeditato l’assunto della parziarietà dell’obbligazione condominiale e che il pagamento effettuato dal condomino all’amministratore non possa aver effetto nei suoi confronti.

La Suprema Corte respinge il ricorso offrendo interessanti spunti di riflessione su un tema di grande rilievo e che conferma l’impianto concettuale prospettato dalle Sezioni unite nel 2008 con la famosa sentenza Corona: “Il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto oggetto di causa in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, espressa da Cass. Sez. U, Sentenza n. 9148 del 08/04/2008, ad avviso della quale: “In riferimento alle obbligazioni assunte dall’amministratore, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti di terzi – in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l’amministratore i singoli condomini nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio – la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie”.

L’esame dei primi due motivi di ricorso non offre elementi per mutare tale orientamento.

In astratto, è condivisibile che la nozione di divisibilità o di indivisibilità, anche in un’obbligazione soggettivamente complessa, concerne la prestazione, ossia la sua suscettibilità di essere eseguita per parti, e non il vincolo soggettivo tra i condebitori. Sicché un’obbligazione soggettivamente complessa può ritenersi parziaria, e quindi scindersi in tante obbligazioni quanti sono i debitori, ognuno dei quali resta obbligato per la sua parte, soltanto se la solidarietà sia espressamente negata dalla volontà delle parti o dalla legge.

E’, tuttavia, proprio la stretta correlazione esistente tra l’obbligo dei condomini di sostenere le spese condominiali ed il diritto dominicale che lega pro quota il singolo partecipante alle parti ed ai servizi comuni, che comporta che il condomino debba vedere limitata la misura della propria responsabilità in rapporto alla misura della propria partecipazione. In tal senso, il criterio di ripartizione parziario delle spese, ex art. 1123 c.c., attiene, appunto, alla fase costitutiva dell’obbligo di contribuzione del singolo, e non a quella della sua opponibilità ai terzi.

Né ha rilievo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21907 del 21/10/2011, la quale ha riconosciuto il debito solidale dei comproprietari di un’unità immobiliare nei confronti del condominio per il pagamento degli oneri condominiali relativi alla loro intera porzione intesa come cosa unica. Questa pronuncia non contraddice il principio enunciato da Cass Sez. Un. n. 9148 del 2008, riguardando essa la diversa problennatica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale.

Si ha riguardo, nel caso in esame, a fattispecie sottratta ratione temporis all’applicabilità dei primi due commi dell’art. 63 disp. att. c.c. come riformulati dalla legge n. 220/2012.

Occorre considerare come, ogni qual volta l’amministratore contragga con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c.

In particolare, il terzo creditore può agire nei confronti del condomino moroso per ottenerne il pagamento della rispettiva quota di partecipazione alla spesa, ma sempre che e fintanto che questa sia inadempiuta. Presupposto per l’azione diretta portata dal terzo creditore nei confronti del singolo condomino è, quindi, che questi non abbia adempiuto al pagamento della sua quota dovuta ex art. 1123 c.c. all’amministratore fino ancora al momento il cui il giudice emetta la sua sentenza di condanna.

Di tal che, questa Corte ha affermato che il singolo condomino è pur sempre obbligato a pagare al condominio, e non al terzo, le spese dovute in forza dei criteri di riparto ex lege o da convenzione, né può utilmente opporre all’amministratore che il pagamento sia stato da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, si assume, ciò altererebbe la gestione complessiva del condominio (Cass. Sez. II, 29 gennaio 2013, n. 2049).

Altrettanto, si è affermato in giurisprudenza (Cass. Sez. VI-2, 17 febbraio 2014, n. 3636) che l’amministratore è l’unico referente dei pagamenti relativi agli obblighi assunti verso i terzi per la conservazione delle cose comuni, di tal che il pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del creditore del condominio non sarebbe comunque idoneo ad estinguere il debito “pro quota” dello stesso relativo ai contributi ex art. 1123 c.c.

Il pagamento effettuato, pertanto, dal condomino L. P. all’amministratore del Condominio di via F.  della propria quota di spese relative alla manutenzione dell’edificio condominiale non poteva lasciare lo stesso L.P. ancora debitore per lo stesso importo verso N. B., creditore della gestione condominiale.”

© massimo ginesi 12 giugno 2017

quietanze di pagamento simulate rilasciate dall’amministratore: il condominio è terzo e può darne prova con ogni mezzo.

Una vicenda singolare, in cui una condomina (per giunta avvocato) propone opposizione al decreto ingiuntivo richiesto dal Condominio nei sui confronti per il pagamento di spese straordinarie, assumendo di aver già versato tali importi e adducendo a sostegno della propria opposizione delle quietanze di pagamento rilasciate dall’amministratore, che si rivelano invece frutto di un accordo fraudolento fra la condomina stessa e l’amministratore.

La vicenda giunge all’esame della Cassazione (Cass. civ. sez. VI-2 25 maggio 2017 n. 13234 rel Scarpa) dopo un esito sfavorevole per la condomina opponente sia in primo che in secondo grado.

“Tanto il Tribunale che la Corte d’Appello hanno negato che l’opponente avesse fornito prova dell’eccepito pagamento, assumendo la comprovata simulazione delle allegate quietanze rilasciate dall’amministratore condominiale pro tempore M., e richiamando le risultanze di un processo penale che aveva visto la Mo. condannata – con sentenza del Tribunale di Avezzano, confermata dalla Corte d’Appello ma non ancora definitiva – per il delitto di appropriazione indebita.”

La condomina Mo. non si da per vinta e deduce due motivi di ricorso: “Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 1135 c.c., mentre il secondo motivo di ricorso censura l’ “omesso esame circa un fatto deciso del giudizio”.

Si fa presente che la condanna penale è stata annullata dalla Corte di cassazione per intervenuta prescrizione del reato e quindi si nega ogni significatività delle emergenze di quel giudizio. Si critica il ricorso alle presunzioni fatto dalla Corte d’appello per ritenere simulate le quietanze e se ne contestano le valutazioni probatorie”

LA Corte di legittimità rigetta l’impugnativa, con interessante argomentazione sulla  possibilità del condominio di provare l’accordo simulatorio intervenuto fra amministratore e condomina morosa circa le quietanza di pagamento delle quote oggetto di lite: ” E’ in ogni caso da affermare che il condominio, non partecipe ed ignaro dell’accordo simulatorio intervenuto tra un condomino e l’ex amministratore, ove deduca la simulazione delle quietanze relative all’avvenuto pagamento delle spese condominiali, è da considerarsi “terzo” rispetto a quell’accordo, con la conseguenza che lo stesso condominio può fornire la prova della simulazione “senza limiti”, ai sensi dell’art. 1417 c.c., e, quindi, sia a mezzo di testimoni, sia a mezzo di presunzioni, dovendosi inoltre escludere che, in dipendenza della natura di confessione stragiudiziale della quietanza, possano valere, riguardo alla sua posizione, i limiti di impugnativa della confessione stabiliti dall’art. 2732 c.c., che trovano applicazione esclusivamente nei rapporti fra il mandatario e il preteso simulato acquirente (arg. da Cass. Sez. 2, 24 aprile 2008, n. 10743; Cass. Sez. 2, 22 novembre 2016, n. 23758, non massimata).

In tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta di una quietanza, spetta poi al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che debbono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all’esito di un giudizio di sintesi, giudizio non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, come appunto quella espressa dalla Corte di L’Aquila.

Né rileva la dedotta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione nel giudizio che vedeva imputata l’attuale ricorrente, in quanto la Corte d’Appello, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, ha autonomamente rivalutato i fatti oggetto della presente causa.

Spettando al condomino ingiunto dal condominio per il pagamento dei contributi dare prova dell’avvenuto adempimento, l’affermata simulazione delle quietanze allegate dall’opponente ha inevitabilmente condotto i giudici del merito a respingere la proposta opposizione.”

© massimo ginesi 26 maggio 2017

In assenza di adeguate tabelle millesimali, spetta al Giudice stabilire i criteri di ripartizione delle spese condominiali

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 dicembre 2015 – 27 gennaio 2016, n. 1548

Una sentenza non dell’ultima ora, ma che contiene alcuni principi interessanti e vale la pena commentare.

I fatti: il Condominio richiede ed ottiene decreto ingiuntivo sulla scorta di una delibera che approva un rendiconto e l’attribuzione dello stesso per quote ai condomini, pur in assenza di una tabella millesimale legittimamente approvata. A tale decreto propone opposizione il condomino ingiunto, sostenendone  l’illegittima emissione.

La Suprema corte detta alcuni principi essenziali, legati alla prioritaria esigenza di funzionamento della compagine condominiale, all’obbligo di ciascuno di contribuire in forza dei parametri stabiliti dalla legge anche una senza di tabelle, al potere del giudice di stabilire anche d’ufficio e con riferimento alle norme di cui agli artt. 1123 e s.s. cod.civ. l’onere per ciascuno e alla idoneità della sola delibera a consentire l’emissione del provvedimento monitorio.

La motivazione è stringata ma efficace: “Tanto attesa la particolarità della vicenda in esame contrassegnata dalla pacifica assenza di una valida ed approvata tabella millesimale di ripartizione delle spese deliberate dall’assemblea condominiale. Nell’ipotesi la delibera alla cui stregua venivano ripartite le spese (idonea di per sé alla valida emissione dell’opposto D.I.) ben poteva ritenersi non adeguatamente idonea a comprovare nel giudizio di opposizione la pretesa creditoria del Condominio. Tanto in dipendenza dell’accennata inesistenza di valide tabelle eccepita dall’opponente.
In tal caso, tuttavia (e anche al fine di evitare comunque una sorta di esenzione generalizzata del pagamento a carico del debitore) incombeva comunque al Giudice un onere. E tutto ciò alla stregua, anche per effetto del principio di seguito affermato, di una corretta applicazione delle norme invocate con il primo motivo del ricorso in esame.
In particolare vi era un obbligo di verifica dell’esistenza, validità ed efficacia della delibera in conformità del valore delle singole posizioni condominiali anche in assenza tabelle regolari.
Ed, ancora, se la pretesa del Condominio era o meno conforme a criteri di ripartizione. Giova, specificamente e con precipuo riferimento al secondo motivo del ricorso, raffermare il principio già affermato da questa Corte, secondo cui “in tema di riparto di spese condominiali, qualora non possa farsi riferimento ad una tabella millesimale approvata da tutti i condomini, il condomino non può sottrarsi al pagamento della quota, spettando al giudice di stabilire se la pretesa del condominio nei confronti del singolo condomino sia conforme ai criteri di ripartizione che, con riguardo ai valori delle singole quote di proprietà sono stabiliti dalla legge in “subiecta materia”, determinando egli stesso in via incidentale, anche in assenza di specifica richiesta al riguardo, i valori di piano o di porzioni di piano espressi in millesimi” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 30 luglio 1992, n. 9107).
L’esposto, condiviso e qui ribadito principio rinviene la sua evidente ratio nella necessità di assicurare comunque le condizioni di corretta continuità gestionale dell’ente condominiale, atteso che – in assenza di una valida approvata tabella ed al cospetto dell’opposizione di un condominio- non potrebbe comunque crearsi e legittimarsi una situazione di totale sottrazione all’obbligo di contribuire alle spese comuni e, quindi, di paralisi del condominio stesso.”

© massimo ginesi giugno 2016