divieto di parcheggio in cortile, regolamento nullo e art. 1102 cod.civ.

Cass. civ.  II sez. 27 dicembre 2016 n. 27043.

La Suprema Corte, sul finire dell’anno, si pronuncia  su una interessante questione: il regolamento di condominio contiene una clausola che vieta il parcheggio delle auto nel cortile condominiale, uno dei condomini lo impugna per difetto relativi al quorum deliberativo,  il Condominio ed i condomini, singolarmente costituiti, chiedono in via riconvenzionale di dichiarare comunque – ove il regolamento venga travolto dalla pronuncia – l’illegittimità del parcheggio per contrarietà all’art. 1102 cod.civ.

Osserva la corte che “Come chiarito dalle due sentenze di merito la declaratoria di nullità del regolamento condominiale approvato il 13.05.2002, per difetto deliberativo, non impediva il  vaglio della domanda riconvenzionale, con la quale i convenuti avevano  chiesto dichiararsi illegittima la pretesa dell’odierno ricorrente di posteggiare l’automobile nel cortile condominiale, in quanto in contrasto con gli articoli 1101, 1102, 1118 e 1120 codice civile. Invero, non si rinviene  il lamentato difetto di interesse in capo alla controparte, la quale, caducato il regolamento, il quale poneva il divieto, astratto e  generale, trova soddisfazione nell’affermazione che il cortile condominiale, a cagione suo modo di essere, non consentiva, in concreto, parcheggio, in quanto violava per articolo 1102 codice civile. Ovviamente, e specularmente, non si configura il giudicato prospettato, né la incompatibilità logica denunziata, trattandosi di aree decisorie  non sovrapponibili neppure in parte.”

In sostanza, rileva la Corte, una volta venuto meno il divieto astratto e generale di parcheggio stabilito dal regolamento caducato, nulla vieta che il Giudice possa comunque valutare  (e decidere, sulla scorta della domanda riconvenzionale avanzata a tal proposito) che il parcheggio, per le concrete modalità con cui viene effettuato, risulti comunque lesivo dei diritti degli altri condomini e quindi ritenerlo comunque non consentito.

Come si è cercato di spiegare, in assenza di preclusione di sorta, davanti alla domanda dell’attore, diretta ad ottenere l’invalidazione del regolamento condominiale, il condominio e gli altri condomini, nel caso in cui quella pretesa fosse stata giudicata fondata (evenienza in concreto poi verificatasi), avevano inteso perseguire la negazione dell’uso a  parcheggio, previo accertamento dell’incompatibilità dello stesso con il modo d’essere in concreto del predetto cortile. In altri termini, nel mentre il regolamento stabiliva  una regola tassativa, sganciata da qualsivoglia situazione di fatto che la investisse anche di sola mera opportunità, il divieto giudiziale si fonda su ben altri presupposti”

Per le stesse ragioni non può condividersi  che con una tale pronunzia il giudice si sia illegittimamente surrogato il potere deliberativo dell’assemblea: esattamente al contrario, qui il giudice si è limitato a vietare una data utilizzazione della cosa comune in quanto incompatibile con i diritti degli altri condomini”

Quanto all’applicabilità del principe di cui all’art. 1102 cod.civ. : “... Non resta da osservare che la statuizione, i cui  presupposti (implicanti accertamento di merito) non sono in questa sede censurabili, attraverso la fonte di sapere derivante dalla svolta c.t.u., ha ritenuto che l’uso a posteggio, anche di una sola autovettura, del piccolo cortile era  tale da impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (articolo 1102 codice civile) in specie rendendo particolarmente disagevole l’ingresso di mezzi all’interno delle esistenti private autorimesse.

Il collegio condivide, siccome recentemente chiarito (sezione due numero 7467 del 14.04.2015) che la nozione di pari uso della cosa comune, gli effetti dell’articolo 1102 codice civile, non va intesa nei termini  di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi  del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione. Tuttavia, nel caso al vaglio, la pretesa di utilizzare l’angusto cortile per posteggiare la propria autovettura, non solo impedirebbe l’uso paritario da parte degli altri condomini, ma renderebbe oltre modo difficoltosa l’utilizzazione dei garage di loro esclusiva proprietà, così immutando la destinazione del cortile. Peraltro il criterio dell’uso promiscuo della cosa comune, desumibile dall’articolo 1102 codice civile, richiede che ciascun partecipante abbia diritto di utilizzare la cosa comune come può (nel caso passandovi o stazionandovi a piedi o con l’ausilio di mezzi diversi e meno ingombrante di un’automobile) e non in qualunque modo voglia, atteso il duplice limite derivante dal rispetto della destinazione della cosa e della pari  facoltà di godimento degli altri comunisti.”

Spiace infine rilevare come, sempre più spesso, i giudici siano costretti  a censurare non già le ragioni di diritto ma il materiale confezionamento degli atti, come si legge in apertura di motivazioni, non certo un inno di lode per l’avvocatura: “La corte non può fare a meno di rilevare la mancanza di rigore formale e logico nell’esposizione delle doglianze, inquinata da ripetizioni, accorpamenti e promiscuità, tali da porre ai limiti dell’ammissibilità il ricorso.”

© massimo ginesi 2 gennaio 2017 

La Cassazione ritorna su parcheggi e prescrizione

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La Suprema Corte ritorna su un tema dalle mille sfaccettature e su cui, negli ultimi giorni, già si era pronunciata.

Cass. Civ. II sez. 21 novembre 2016 n. 23669 afferma un interessante principio, suscettibile di  significative conseguenze sul piano applicativo: il diritto di parcheggio, ove non usato per oltre venti anni si prescrive, sotto il profilo civilistico, in capo all’originario beneficiario, pur permanendo il vincolo di destinazione che ha invece rilievo pubblico ed è imprescrittibile.

Afferma la Corte “Ai sensi dell’articolo 41 sexies  della legge urbanistica nel testo vigente all’epoca di introduzione della lite le nuove costruzioni ed anche nelle aree di  pertinenza delle costruzioni stesse devono essere riservati spazi per parcheggi in misura non inferiore ad 1 m² per ogni 10 m³ di costruzione. Tale disposizione, come è noto,  è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che il diritto attribuito ex lege ai proprietari delle singole unità immobiliari sugli spazi di parcheggio, dei quali il venditore sì si è riservato la proprietà, è di natura reale e può estinguersi per non uso soltanto con il decorso di 20 anni in base al combinato disposto degli articoli 1014 n.1  e 1026 codice civile, fermo restando in ogni caso il vincolo di destinazione che ha carattere pubblicistico permanente.

Orbene la permanenza del vincolo pubblicistico di destinazione trae punto che questo possa esplicarsi solo a favore dei proprietari delle res principales (cioè, nella specie, dei condomini), ben potendo essere attuata anche dai terzi proprietari dell’area, ad esempio locando i relativi spazi a terzi…

Tale interesse pubblico,…, non giustifica però l’imprescrittibiltà del diritto d’uso del proprietario dell’appartamento ai sensi dell’articolo 2934 cpv codice civile… Vi osta la duplice ragione che  detta norma nel riferirsi ai diritti indisponibili intende cosiddetti iura status,  vale a dire i diritti relativi allo stato la capacità delle persone, il diritto di proprietà nel senso della imprescrittibilità dell’azione di rivendicazione e delle facoltà che formano il contenuto di un diritto soggettivo e che proprio il carattere pubblico e permanente del vincolo di destinazione pone quest’ultimo al riparo dalle vicende private, essendo indifferente ai fini del corretto assetto urbanistico  del territorio se la area di parcheggio sia goduta dei proprietari di quei medesimi appartamenti in relazione ai quali essa è stata calcolata, ovvero da terzi.”

L’area destinata a parcheggio – in attuazione di norme di carattere pubblicistico – dovrà continuare ad assolvere la propria funzione, e  non potrà quindi vedere mutata la sua destinazione, ma per lo Stato rimane indifferente chi sia il soggetto che in concreto ne fruirà, essendo invece tali rapporti soggetti a principi privatistici.

© massimo ginesi 22 novembre 2016 

il diritto di parcheggio si prescrive per mancato uso ventennale

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Lo afferma la Suprema corte in una recentissima ordinanza  (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 maggio – 7 novembre 2016, n. 22561 – Presidente Petitti – Relatore D’Ascola) chiarendo che: “Oggetto della controversia è il diritto reale d’uso sull’area di parcheggio condominiale pertinente alle unità immobiliari acquistate dai ricorrenti (e da altri attori che non hanno coltivato il giudizio nei gradi di impugnazione) nell’edificio”

Osserva la Corte che “il decorso della prescrizione coinciderebbe con il primo atto di trasferimento e non ricomincerebbe a decorrere ad ogni nuovo passaggio, poiché l’acquirente subentra nei diritti acquistati dal precedente proprietario.”

E che pertantoil non uso comincia in occasione del primo atto di vendita dell’immobile dal costruttore ad un acquirente dell’unità abitativa, che avrebbe diritto ad ottenere l’area di parcheggio e che omette di far valere tale diritto. Questi non può trasmettere ai suoi aventi causa un diritto maggiore di quello acquistato”

© massimo ginesi 9 novembre 2016

esiste il diritto di parcheggio?

come è noto i diritti reali delineati dal codice civile costituiscono un numero chiuso di figure tipiche, fra le quali non è indicato il diritto di parcheggio.

La Suprema Corte ha però più volte sottolineato che tale facoltà corrisponde all’esercizio del diritto di proprietà e, ove tale potere di fatto sia esercitato per il tempo previsto dalla legge, può condurre ad usucapire il corrispondente diritto.

Allo stesso modo l’esercizio di tale possesso può ricevere tutela possessoria, ove ne sussista turbativa o spoglio. E’ tuttavia altrettanto noto che in  regime di comunione e condominio, ove il potere di fatto sulla cosa può anche essere graduato con differente intensità dai partecipanti nei limiti di cui all’art. 1102 cod.civ., l’accertamento di una situazione di possesso, la sua lesione e l’eventuale interversione  debbano essere valutati dal Giudice con particolare attenzione e rigore.

Un’analisi dettagliata di tale fattispecie  si rinviene  nella sentenza della Suprema Corte II sezione civile 20 aprile – 23 maggio 2016, n. 10624 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa, dalla cui motivazione  si riporta uno dei principi  sopra evidenziati “Il parcheggio di autovetture su di un’area può, del resto, certamente costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo (Cass. 28/04/2004, n. 8137).

qui la sentenza per esteso

aprile 2016 – usucapione delle aree destinate a parcheggio anche se vi è vincolo

La proprietà delle aree interne o circostanziali ai fabbricati di nuova costruzione su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, può essere acquistata per usucapione, non comportando tale vincolo indisponibilità, inalienabilità e incommerciabilità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 marzo – 22 aprile 2016, n. 8220
Presidente Matera – Relatore Scarpa

Una massima semplice per una vicenda assai complessa in fatto e in diritto.
Il fatto: “Gli attori assumevano di aver acquistato dalla costruttrice S.r.l. Edilizia Egeria i loro rispettivi appartamenti in un complesso di tre edifici, siti in (…) ed aventi accesso da Via (omissis), da Via (omissis), e da Via (omissis) ; e che la S.r.l. Edilizia Egeria, in violazione dei cinque patti d’obbligo presentati al Comune per ottenere la licenza edilizia, non aveva destinato a parcheggio l’area di mq. 6.354,90, sottostante gli edifici e i cortili, avendo in detto spazio costruito posti auto, box e sottonegozi alienati a condomini degli edifici stessi. Aggiungevano gli attori che contro la S.r.l. Edilizia Egeria essi avevano iniziato altro giudizio, in esito al quale la Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 388/1992, aveva accertato il loro diritto reale all’uso dell’area destinata a parcheggio e condannato la S.r.l. Edilizia Egeria al rilascio della stessa. Poiché, nonostante le numerose richieste inoltrate agli attuali possessori, non era stato possibile ottenerne la consegna dell’area, la citazione era volta, in attuazione della citata sentenza, a conseguire la condanna dei convenuti al relativo rilascio… Costituitosi il contraddittorio, i convenuti in via preliminare chiedevano il rigetto della domanda, eccependo che la richiamata sentenza della Corte di Appello, svoltasi contra la S.r.l. Edilizia Egeria, era loro inopponibile, in quanto rimasti estranei a tale giudizio. Nel merito, i convenuti deducevano d’aver utilizzato le porzioni immobiliari, rispettivamente acquistate, secondo la destinazione urbanistica di cui alle licenze edilizie, ovvero alle concessioni in variante o in sanatoria, e aggiungevano che per tutte le porzioni era stata rilasciata la conforme certificazione di abitabilità. In via riconvenzionale, i medesimi convenuti chiedevano, quindi, che fosse accertato l’avvenuto acquisto per usucapione delle rispettive porzioni immobiliari, ai sensi dell’articolo 1159 c.c. ovvero dell’articolo 1158 c.c.; in via subordinata, domandavano che venisse determinata l’integrazione del prezzo d’acquisto, ovvero l’indennità loro spettante per la perdita del diritto sui locali acquistati.”

Le questioni di diritto risolte sono molteplici.

In primo luogo la Corte rileva che ove all’epoca dei fatti sussistesse regime vincolistico in ordine al trasferimento non può applicarsi la disciplina più favorevole intervenuta successivamente: “Basta ribadire, in proposito, come, secondo il costante orientamento di questa Corte, l’art.12, comma 9, della legge 28 novembre 2005, n. 246, che ha modificato l’art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ed in base al quale gli spazi per parcheggio possono essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari, non ha effetto retroattivo, né natura imperativa; ne consegue che nei casi in cui, come quello in esame, al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina risultassero già stipulati gli atti di vendita delle singole unità immobiliari, trova applicazione la disciplina anteriore, di cui al citato art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 (Cass. 5 giugno 2012, n. 9090; Cass. 1 agosto 2008, n. 21003).”

In secondo luogo si afferma l’assolutezza del vincolo di destinazione che può essere fatto valere, alla stregua di un diritto reale, nei conforti di qualunque terzo: “ il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dall’art. 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il testo introdotto dalla legge 6 agosto 1967 n. 765, art. 18, norma di per sé imperativa, non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, le cui clausole difformi sono perciò sostituite di diritto dalla medesima norma imperativa. Tale vincolo si traduce in una limitazione legale della proprietà, che può essere fatta valere, con l’assolutezza tipica dei diritti reali, nei confronti dei terzi che ne contestino l’esistenza e l’efficacia. Pertanto coloro che abbiano acquistato le singole unità immobiliari dall’originario costruttore – venditore, il quale, eludendo il vincolo, abbia riservato a sé la proprietà di detti spazi, ben possono agire per il riconoscimento del loro diritto reale d’uso direttamente nei confronti dei terzi ai quali l’originario costruttore abbia alienato le medesime aree destinate a parcheggio. In un tale giudizio (qual è quello in esame), intercorrente tra gli acquirenti degli immobili illegittimamente privati del diritto all’uso dell’area pertinente a parcheggio ex art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ed i terzi che abbiano acquistato porzioni di tale area, la nullità dei negozi stipulati dai primi, nella parte in cui sia stata omessa tale inderogabile destinazione, con conseguente loro integrazione “ope legis”, è rilevabile anche “incidenter tantum”, sicché non deve necessariamente correlarsi alla verifica della sussistenza e dell’opponibilità, in via immediata o, appunto, riflessa, di un giudicato conseguito nei confronti dell’originario costruttore – venditore. Come pure, in un giudizio così congegnato, non si impone nemmeno che sia convenuto il costruttore – venditore, pur spettando a questo l’eventuale diritto (personale) a conseguire l’integrazione del prezzo di acquisto da coloro che agiscano per ottenere il riconoscimento del loro diritto d’uso sugli spazi vincolati a parcheggio (Cass. 14 novembre 2000, n. 14731; Cass. 25 marzo 2004, n. n. 5755).”

Ulteriore statuizione sussiste circa la natura del vincolo di destinazione e la legittimazione della sola P.A. a variarne natura e caratteristiche per i profili di rilievo pubblicistico: “Per la concreta attuazione, invece, della costituzione del diritto reale di uso per parcheggio, soltanto in assenza di relativa previsione nell’atto concessorio, o nel regolamento condominiale, o negli atti di acquisto dei singoli appartamenti, è consentito chiedere al giudice tale identificazione (Cass. 11 agosto 1997, n. 7474). Ai fini del rispetto del vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dall’art. 41 sexies citato, infatti, il rapporto tra la superficie delle aree destinate a parcheggio e la volumetria del fabbricato, così come richiesto dalla legge, va effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della concessione edilizia. La rimozione del vincolo a parcheggio sulle aree individuate in sede di rilascio della concessione edilizia come condizione essenziale per lo stesso rilascio, può tuttavia avvenire tramite una nuova concessione in variante, al fine di trasferirlo su altre zone riconosciute idonee. L’art. 41 sexies della Legge urbanistica opera, pertanto, come norma di relazione nei rapporti privatistici e come norma di azione nel rapporto pubblicistico con la P.A., la quale non può autorizzare nuove costruzioni che non siano corredate di dette aree, costituendo l’osservanza della norma condizione di legittimità della licenza (o concessione) di costruzione, e alla quale esclusivamente spetta l’accertamento della conformità degli spazi alla misura proporzionale stabilita dalla legge e della loro idoneità ad assicurare concretamente la prevista destinazione. “

Di grande interesse anche la notazione circa la natura dell’atto con cui il costruttore vincola quelle aree e il diritto dei condomini ad azionare i diritti derivanti, che può trarre origine non direttamente dall’atto amministrativo ma da una eventuale disciplina negoziale che lo recepisca: “l’atto con il quale un proprietario costruttore si sia impegnato nei confronti del Comune, ai fini del rilascio della concessione edilizia, a conferire una particolare destinazione a determinate superfici, non è riconducibile alla figura del contratto a favore di terzi, di cui all’art. 1411 c.c., sia perché non costituisce un contratto di diritto privato, sia perché non ha neppure la specifica autonomia e natura di fonte negoziale di un regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, caratterizzandosi, piuttosto, come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento concessorio finale, dal quale promanano soltanto poteri autoritativi della P.A. e non la possibilità per i terzi privati di accampare diritti sulla sua base. Ne consegue che, per il rispetto dell’obbligo di destinazione assunto dal proprietario-costruttore, salva l’ipotesi che esso sia stato trasfuso in una disciplina negoziale all’atto del trasferimento della singola unità immobiliare da lui realizzata, i singoli condomini non hanno alcuna azione, fermo il diritto al risarcimento del danno qualora l’inosservanza dell’obbligo concreti una violazione delle norme urbanistiche (Cass. 20 novembre 2006, n. 24572; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2742).

Infine la statuizione relativa alla usucapione, che deve essere ritenuta ammissibile anche per tali beni e avrebbe anche effetto estintivo del vincolo “La Corte d’appello ha, in estrema sintesi e facendo salve le diversità delle singole posizioni scrutinate, riconosciuto in favore degli appellanti principali ed incidentali l’acquisto dei rispettivi beni per usucapione decennale, fermo restando il vincolo di destinazione a parcheggio. Ora, questa Corte ha effettivamente più volte riconosciuto come “la proprietà delle aree interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, può essere acquistata per usucapione, non comportandone tale vincolo indisponibilità, inalienabilità e incommerciabilità” (Cass. 15 novembre 2002, n. 16053; Cass. 7 giugno 2002, n. 8262). Tale possesso utile a fini di usucapione decorre in danno del proprietario dal momento dell’atto di acquisto, essendo soltanto a far tempo da esso possibile considerare distintamente il diritto dominicale (trasferito) e quello al parcheggio (non trasferito) sull’area destinata a parcheggio. Non è stata oggetto di censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha riconosciuto l’usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c. in favore degli appellanti. La soluzione adottata avrebbe dovuto indurre, in verità, ad affrontare il profilo della configurabilità dell’usucapione decennale, ai sensi dell’art. 1159 c.c., in favore di colui che abbia acquistato, come nella specie, un’area di parcheggio asseritamente vincolata al diritto d’uso “ex lege”, quanto, in particolare, alla sussistenza del requisito del titolo idoneo a trasferire la proprietà, trattandosi di atto nullo per contrarietà a norme imperative (cfr., in senso contrario all’ammissibilità, Cass. 24 maggio 2013, n. 12996). La questione è tuttavia sottratta all’esame di questa Corte giacché, come detto, non oggetto di gravame. Ora, è evidente che la ravvisata usucapione in favore dei terzi acquirenti dell’area di parcheggio, a differenza di quanto afferma la sentenza della Corte di Roma, avrebbe effetto estintivo anche del vincolo pubblicistico di destinazione, in forza dell’efficacia retroattiva reale dell’usucapione stessa.”

La sentenza è densa di moltissimi spunti di riflessione ed affronta ancora diverse questioni, assai rilevanti, così che – per coloro che siano interessati al tema – se ne consiglia comunque la lettura integrale.

© massimo ginesi aprile 2016 

pubblicato su “amministrare immobili” aprile 2016

qui la sentenza per esteso

 

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l’assemblea di condominio può solo regolamentare il parcheggio nel cortile comuni ma non può provvedere ad assegnazioni esclusive

Lo ha affermato la Cassazione, II sezione civile, con sentenza 27 maggio 2016 n. 11034, aderendo a princpio più volte espressi dalla stessa corte.

In particolare il Giudice di legittimità afferma che “si deve allora riconoscere che l’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito (al di fuori, dunque, da ogni logica di turnazione), di posti macchina all’interno di un’area condominiale sia illegittima, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune “

L’assemblea ha solo il potere di regolamentare l’uso, anche di natura turnaria, del bene comune senza possibilità di incidere sulla pari possibilità di godimento di tutti i condomin; osserva infatti la Corte come l’organo collegiale: “possa deliberare a semplice maggioranza l’uso a parcheggio di spazi comuni. In particolare, la delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall’art. 1136, 5 co. c.c., non essendo all’uopo necessaria l’unanimità dei consensi (per tutte: Cass. 15 giugno 2012, n. 9877; cfr. pure Cass. 29 dicembre 2004, n. 24146; Cass. 8 novembre 2004, n. 21287). Tuttavia, la proposizione in tanto vale in quanto la delibera regolamenti l’uso e il godimento nel senso di disporre una innovazione diretta al miglioramento, all’uso più comodo, o al maggior rendimento delle cose comuni a norma dell’art. 1120, 1 co. cod. civ.”

Utile la paradigmatica distinzione fra atti regolamentari e atti che finsicono per essere dispositivi: ” È lo stesso art. 1120 a marcare il limite che si frappone all’attuazione di innovazioni che abbiano un diverso effetto: il secondo (ora quarto) comma dell’articolo prevede infatti che sono vietate le innovazioni “che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”. Il divieto di tali innovazioni ha proprio lo scopo di evitare che il singolo condomino veda contrarsi il suo diritto di godere, entro i limiti della propria quota, di parti del condominio che sono comuni, e quindi destinate alla fruizione collettiva. Sul punto, la disposizione replica il precetto, di carattere più generale, dettato in materia di comunione dall’art. 1102 c.c.: precetto che trae origine dalla medesima ragione ispiratrice e che fa infatti divieto a ciascun comunista di impedire agli altri partecipanti della comunione di fare parimenti uso della cosa secondo il loro diritto. In tal modo, deve negarsi che l’utilizzo che il singolo condomino faccia del bene comune possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello, attuale o potenziale, degli altri.”

qui  la sentenza per esteso

© massimo ginesi giugno 2016

gennaio 2016 – le servitù in condominio e il diritto di parcheggio

il diritto reale di servitù può essere costituito anche nel condominio a carico di beni comuni ed a favore di beni individuali, non applicandosi in tale contesto il principio “nemini in res sua servit”.

Il diritto di parcheggio non costituisce diritto autonomo ma semplice facoltà di godimento del proprietario. (massima non ufficiale)

Tribunale di Massa 20 gennaio 2016

La vicenda all’esame del Tribunale è davvero peculiare. Un condomino si duole che altri condomini parcheggino nel cortile antistante il fabbricato, comune anche a soggetti terzi estranei al condominio e sul quale è costituita per titolo servitù di passo a favore della sua unità; a tal proposito sostiene che l’esistenza di servitù a carico del cortile è incompatibile con l’uso a parcheggio in assoluto – anche laddove non intralci il passaggio – e deve essere dichiarata l’inesistenza di tale diritto in capo ai comproprietari del fondo servente.

Il fatto è così delineato nella sentenza: “La complessa e non sempre lineare qualificazione giuridica che l’attore ha inteso dare alla propria istanza – così come anche risulta dalle conclusioni rassegnate all’udienza del 25 novembre 2015 – sembra volta a richiedere una pronuncia dichiarativa circa l’inesistenza di un diritto di parcheggio sull’intero mappale 3.. f. 1.. poiché, a suo dire, la mera attività del parcheggiare non sarebbe consentita ai comproprietari del fondo servente (fra i quali peraltro figura lo stesso attore) e sarebbe, in re ipsa, lesiva del diritto di servitù di passo pedonale e carraio, costituito su tale mappale con atto Notaio M. 15.9.53, in forza del quale veniva gravata di detto peso “una striscia di terreno della larghezza di metri 3,50 che partendo dalla via M. raggiunge con andamento rettilineo perpendicolare alla facciata del predetto edificio lì avancorpo della fabbrica stessa ove si apre la porta principale di ingresso”

Il Tribunale respinge la domanda ed osserva che “ l’attore non deduce specifiche condotte ostative nell’atto introduttivo né le lamenta e offre di provarle nelle memorie ex art. 183 c.p.c., ove si limita a dedurre prove circa l’appartenenza delle auto rappresentate nelle foto; immagini, da lui stesso prodotte, che peraltro mostrano tutte veicoli che sono parcheggiati in maniera tale da consentire pacificamente e ampiamente il transito veicolare nella striscia che costituisce proiezione del cancello di ingresso all’area”.

Richiamato un orientamento giurisprudenziale, che appare consolidato, in ordine all’esistenza della servitù in condominio (“ Premesso che può sussistere servitù ove il proprietario del fondo dominante sia anche comproprietario del fondo servente (Cassazione civile, sez. II, 17/07/1998, n. 6994”), il Giudice osserva che il diritto di parcheggio non costituisce un autonomo genere di posizione soggettiva ma è semplicemente una delle modalità con le quali, nell’ambito dei limiti previsti dall’art. 1102 cod.civ., il proprietario esercita il proprio diritto e che – ove tale esercizio non leda il pacifico godimento degli altri diritti sul bene – deve ritenersi perfettamente legittimo: “i comproprietari del fondo servente (fra i quali risulta lo stesso attore), esercitano la facoltà di parcheggio come una delle possibili manifestazioni della (com)proprietà di cui sono titolari (cass. 23708/2014). Non esiste un genus autonomo di diritto riconducibile al parcheggio di autoveicoli, che costituisce invece mera facoltà del titolare del diritto dominicale, che dovrà esercitarsi nei limiti dell’art. 1102 cod.civ. e nel rispetto di eventuali diritti di terzi. Tutti i comproprietari, per pacifica giurisprudenza, hanno diritto di trarre dal bene le utilità che lo stesso può dare, con l’unico limite di rispettarne la destinazione e di non impedirne agli altri di farne parimenti uso. L’attore non ha dedotto che a lui venga impedito di parcheggiare, mentre non è sostenibile che l’intero mappale sia destinato al passaggio e transito, essendo tale vincolo impresso solo alla striscia gravata di servitù che, peraltro, non risulta lesa nella sua funzione dalle condotte denunciate dall’attore. “

© massimo ginesi

pubblicato in

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