Accade con frequenza che l’ascensore, originariamente non previsto dal costruttore dell’edificio condominiale, venga installato successivamente, su iniziativa di alcuni condomini, che si fanno anche carico dei relativi costi.
La giurisprudenza si è ampiamente diffusa sui limiti di utilizzo della cosa comune, con particolare riguardo alla occupazione del vano scale e al necessario rispetto della statica e del decoro dell’edificio, con interpretazione che si rifà a criteri di favorevolezza, orientata dall’art. 42 Cost., norma cui si ispirano anche i precetti della L. 13/1989.
L’altro aspetto che, in tali vicende, è giunto con frequenza all’esame dei giudici è quello relativo ai diritti dei condomini che non hanno inizialmente partecipato alla installazione e ai criteri di riparto della spesa.
Cass.civ. sez. II ord. 4 settembre 2017 n. 20713 rel. Scarpa delinea con chiarezza tali aspetti: “l’installazione “ex novo” di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese, a differenza di quelle relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente, vanno ripartite non ai sensi dell’art. 1124 c.c., ma secondo l’art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino: Cass. Sez. 2, 25/03/2004, n. 5975; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264) costituisce innovazione che può essere deliberata dall’assemblea condominiale con le maggioranze prescritte dall’art 1136 c.c., oppure direttamente realizzata con il consenso di tutti i condomini, così divenendo l’impianto di proprietà comune.
Trattandosi, tuttavia, di impianto suscettibile di utilizzazione separata, proprio quando l’innovazione, e cioè la modificazione materiale della cosa comune (nella specie, il vano scale) conseguente alla realizzazione dell’ascensore, non sia stata approvata in assemblea (lo stesso art. 1121 c.c., al comma 2, parla di maggioranza dei condomini che abbia “deliberata o accettata” l’innovazione), essa può essere attuata anche a cura e spese di uno o di taluni condomini soltanto (con i limiti di cui all’art1102 c.c.), salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera (Cass. Sez. 2, 18/08/1993, n. 8746; Cass. Sez. 2, 18/11/1971, n. 3314; Cass. Sez. 2, 13/03/1963, n. 614).
Dunque, l’ascensore, installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese.
Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, analoga alla situazione avuta a mente dall’art. 1123, comma 3, c.c., comunione che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi.
L’art. 1121, comma 3, c.c. fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale.”
La vicenda ha origini in terra ligure e l’ordinanza del giudice di legittimità contiene anche una interessante delineazione del tema dell’interesse ad agire: gli originari attori avevano infatti chiesto al Tribunale di Genova e poi alla Corte di appello ligure di accertare il costo dell’impianto, e il giudice di merito aveva qualificato tale domanda come necessariamente funzionale anche all’esercizio del diritto previsto dall’art. 1121 cod.civ.
Afferma la Cassazione ” Come da questa Corte più volte affermato, poiché la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Pertanto, non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che rappresentino elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può formare oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza (Cass. Sez. U, 20/12/2006, n. 27187).
L’interesse ad agire, che conferisce titolo per proporre in giudizio una domanda, a sensi dell’art. 100 c.p.c., inteso quale bisogno inevitabile di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale o parziale del proprio diritto, va quindi valutato sulla base della interpretazione e qualificazione dei rapporti e delle situazioni dedotte nel materiale assertivo fornito dalle parti in causa.
I ricorrenti ravvisano nei primi due motivi la carenza dell’interesse ad agire e poi l’ultrapetizione della sentenza, in quanto sostengono che fosse stata proposta dagli attori una domanda di mero accertamento del costo di installazione dell’ascensore, ed invece poi accolta dal giudice una domanda di partecipazione alla comproprietà dell’impianto mai proposta.
La Corte d’Appello, come dapprima il Tribunale, hanno invece interpretato e qualificato la domanda di accertamento dei costi e delle rispettive quote di contribuzione all’impianto (e quindi così valutati sia l’interesse ad agire che il limite di corrispondenza tra chiesto e pronunciato), per come già inizialmente formulata in citazione, o comunque per come poi esplicitata nel corso di giudizio, quale domanda di accertamento giudiziario di quei fatti nella loro funzione genetica del diritto potestativo di partecipare alla comproprietà dell’ascensore, contribuendo “pro quota” nelle spese di esecuzione.
Pur dando effettivamente atto di una ridefinizione della loro pretesa effettuata dagli attori nel corso del giudizio, la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che la domanda così modificata risultasse comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e che non si fosse determinata alcuna compromissione delle potenzialità difensive delle controparti. “
© massimo ginesi 7 settembre 2017