E’ quanto statuisce la Suprema Corte in una recentissima pronuncia (Cass.civ. sez. II ord. 24 novembre 2020 n. 26703 rel. Scarpa), ove è stato ravvisato un indebito utilizzo del bene comune da parte di un condomino che aveva aperto varchi sul cortile comune e sulla pubblica via per accedere alle proprie autorimesse.
Osserva la Corte che “La Corte d’Appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la condomina N.Y. avesse aperto sul muro perimetrale condominiale due porte carrabili, una verso il cortile comune ed una verso la pubblica via, porte che per le loro dimensioni comportavano una notevole alterazione della funzione di contenimento del muro, e che peraltro cagionavano una riduzione della possibilità di uso del cortile comune a scopo di parcheggio, per la necessità di lasciare uno spazio di manovra alle autovetture che dovessero accedere al garage privato.
Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto, in tema di uso della cosa comune, in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).
La nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo (dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione), implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.
Il proprietario di vani terranei di un edificio in condominio può, perciò, aprire porte di comunicazione tra tali vani e il contiguo cortile comune, ovvero per accedere ai primi dalla via pubblica, pur se uno o più dei detti vani siano già serviti da autonomo ingresso dalla stessa via, rientrando ciò nella facoltà di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune per il miglior godimento della stessa anche apportandovi opportune modificazioni, sempre che non ne risulti alterata la destinazione e ne sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708; Cass. 14/12/1994, n. 10704; Cass. Sez. 2, 17/07/1962, n. 1899).
L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa (come avvenuto nel caso di specie, quanto al ritenuto pregiudizio arrecato al diritto dei condomini ad utilizzare il cortile quale area di parcheggio, come alla funzione di contenimento del muro comune), ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità. Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta la ricorrente, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”
© massimo ginesi 27 novembre 2020