fondi cassa e poteri dell’assemblea di condominio

L’assemblea può legittimamente deliberare l’istituzione di fondi cassa per la gestione di spese future che si prevedono necessarie in periodo successivo alla approvazione del preventivo: è quanto statuisce una recente pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II 25.6.2020 n. 12638 rel. Criscuolo) , in cui si rinviene un ulteriore obiter dictum anche in tema di fondi cassa per morosità, con ciò allineandosi a precedenti richiami alla giurisprudenza vigente prima di Cass. civ. III, n. . sez.un.9148/2008.

Ed, invero, a prescindere dalla correttezza dell’interpretazione adottata in sentenza circa la riferibilità del termine annuale contenuto nelle previsioni regolamentari, pur riportate in ricorso, all’anno solare, come opinato dai giudici di merito, ovvero all’anno di gestione, come invece affermato dai ricorrenti, risulta invece evidente come la reale finalità della Delib. fosse quella di assicurare alla collettività condominiale, gestita dall’amministratore, di poter far conto su di una liquidità economica per far fronte ai maggiori oneri economici che si sarebbero dovuti affrontare, una volta terminato il periodo in relazione al quale era stato approvato il preventivo.

Appare quindi corretto il richiamo dei giudici di appello ai precedenti di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 4531/2003) in tema di riparto di spese condominiali, ben può l’assemblea, in attesa dell’approvazione del bilancio preventivo, autorizzare l’amministratore a richiedere ai condomini pagamenti provvisori, con riserva di successivo conguaglio sulla base del bilancio approvato e tenuto conto dei valori millesimali attribuiti a ciascuna proprietà individuale (conf. Cass. n. 4679/2017, relativa peraltro ad analoga controversia tra le stesse parti, sebbene riferita ad una diversa annualità).

Nè appare fondato il rilievo di parte ricorrente secondo cui la possibilità di disporre acconti provvisori sarebbe consentita solo in assenza di tabelle millesimali, stante il chiaro riferimento nei precedenti citati alla necessità che anche gli acconti, come peraltro accaduto anche nel caso in esame, siano posti a carico dei condomini in proporzione ai valori millesimali, emergendo altresì il rispetto della regola del successivo conguaglio dallo stesso contenuto della Delib. impugnata, laddove, confermandosi quanto sostenuto in sentenza circa il fatto che fosse usuale la prassi di prevedere un’anticipazione a carico dei condomini, ragguagliata ad una percentuale del preventivo approvato per l’anno di gestione, in relazione al versamento delle somme derivanti dal preventivo di spesa per la gestione 1.10.2007-30.9.2008, si prevedeva che dalle somme dovute fosse dedotto l’importo della prima rata già incassata a titolo di acconto (cfr. pag. 7 del ricorso).

Ne discende che tale statuizione assembleare non contravviene al principio affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 7706/1996) secondo cui il disposto dell’art. 1129 c.c. (nomina annuale dell’amministratore), art. 1135 c.c., n. 2 (preventivo annuale di spesa), art. 1135 c.c., n. 3 (rendiconto annuale delle spese e delle entrate), configura una dimensione annuale della gestione condominiale, sicchè è nulla la deliberazione condominiale che, nell’assenza di un’unanime determinazione, vincoli il patrimonio dei singoli condomini ad una previsione pluriennale di spese, oltre quella annuale, ed alla quale si commisuri l’obbligo della contribuzione, dovendosi invece reputare che con la stessa, lungi dal disporsi una previsione di spesa pluriennale, il condominio abbia inteso, con una previsione limitata alla sola annualità immediatamente successiva, dare vita ad una sorta di fondo cassa (per la cui ammissibilità si veda da ultimo Cass. n. 20135/2017, che esclude che la decisione presa sul punto sia sindacabile in sede giudiziaria sotto il profilo dell’effettiva vantaggiosità per la collettività condominiale), che nel caso di specie viene alimentato con le anticipazioni da parte dei condomini, ma che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto possibile generare anche (cfr. Cass. n. 8167/1997) con l’accantonamento del canone di un bene condominiale, che altrimenti sarebbe stato oggetto di immediato riparto tra i singoli condomini.

La legittimità di tale deliberazione, ove accompagnata, come nel caso in esame, dalla previsione di un riparto dell’anticipazione secondo i valori millesimali (per l’invalidità invece di un riparto che venga fatto gravare solo su alcuni condomini e senza possibilità di poter recuperare quanto versato in eccedenza nei confronti dello stesso condominio, si veda Cass. n. 13631/2001 che ha affermato che in mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità, espressione dell’autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123 c.c. e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi, fatta salva l’eccezione rappresentata dall’ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di trarre aliunde somme – come nel caso di aggressione in executivis da parte del creditore del condominio, in danno di parti comuni dell’edificio – al fine di dover sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione di un fondo – cassa ad hoc, tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti dal vincolo di solidarietà passiva, previsione dalla quale conseguentemente sorge in capo al condominio e non ai singoli condomini morosi l’obbligazione di restituire ai condomini solventi le somme a tale titolo percepite, dopo aver identificato gli insolventi e recuperato dagli stessi quanto dovuto per le quote insolute e per i maggiori oneri; conf. Cass. n. 3463/1975), trova poi conforto anche nel testo della legge, alla luce della previsione di cui all’art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, il quale, per l’ipotesi di approvazione delle opere di manutenzione straordinaria e le innovazioni, prevede che la Delib. debba anche costituire un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori.

Ancorchè tale disposizione non sia applicabile alla vicenda in esame ratione temporis, atteso che i fatti oggetto della presente controversia risalgono a data anteriore all’entrata in vigore della legge di riforma del condominio, dalla stessa è però possibile trarre la conclusione circa la validità di previsioni assembleari che contemplino la creazione di fondi speciali per far fronte a spese che il condominio dovrà affrontare in futuro, e senza che su tale previsione possa incidere il richiamato principio della tendenziale annualità delle previsioni in materia di spese (e ciò anche laddove si tratti, come dedotto dal condominio di spese destinate ordinariamente ad essere sostenute, come nel caso di specie quelle di riattivazione del servizio comune di riscaldamento, e particolarmente elevate proprio nella fase di riaccensione dell’impianto).
Va pertanto esclusa la violazione delle norme indicate dai ricorrenti, avendo l’assemblea deliberato legittimamente e con i quorum richiesti su materia evidentemente alla stessa attribuita.”

© massimo ginesi 13 luglio 2020

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l’assemblea non può imputare responsabilità e spese a singoli condomini

Si tratta di principio consolidato e pacifico, ribadito da Cass.Civ.  sez. II ord. 31 gennaio 2018 n. 2415.

Nel condominio si da corso alla rimozione di due canne fumarie in eternit, l’assemblea ritenuto che le stesse fossero al servizio di un solo condomino imputa a costui l’intera spesa, che ricorre al giudice per far valere la nullità della delibera.

Il Tribunale di Terni da ragione al condomino, ritenendo nulla la delibera, la Corte di Appello di Perugia riforma la sentenza, riconoscendo dirimente la circostanza che le canne fossero di proprietà esclusiva ed accogliendo pertanto l’impugnazione promossa dal condominio.

Il singolo ricorre in cassazione: “con il primo motivo viene allegata la violazione degli artt. 1137 e 1135, cod. civ., … la delibera assembleare aveva travalicato dai poteri che le erano propri, avendo inciso sulla sfera giuridica soggettiva del ricorrente, addebitandogli responsabilità aquiliana, così impingendo in radicale nullità;

… la doglianza è fondata, in quanto: a) all’assemblea condominiale, siccome correttamente evidenziato dal Tribunale (sul punto non consta presa di posizione della Corte d’appello), non è consentito accertare fattispecie di responsabilità in capo al singolo condomino, vertendosi al di fuori delle attribuzioni legali assegnate al meccanismo deliberativo in parola; b) questa Corte ha già avuto modo di condivisamente chiarire che è affetta da nullità (la quale può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ed ancorché abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 cod. civ.) la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali (art. 1123 cod. civ.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune; ciò, perché eventuali deroghe, venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca (Sez. 2, n. 17101, 27/7/2006, Rv. 592302; conforme Sez. 2, n. 16793, 21/72006, Rv. 591434); c) l’esposto principio è strettamente correlato alla natura del condominio, che assegna al potere deliberativo dell’assemblea le decisioni che non incidono sulle regole del riparto (salvo l’unanimità) e che non consente allo stesso di avvalersi degli strumenti di autotutela speciali, ad esso assegnati dalla legge al solo scopo di consentire il recupero dei contributi dei singoli condomini, determinati in base alle tabelle regolarmente approvate;”

Interessante anche la riflessione della corte sul conflitto di interesse:

“considerato che il secondo motivo, con il quale viene denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2373, cod. civ., poiché la delibera era stata presa in situazione di conflitto d’interesse, in quanto gli altri condomini avevano l’interesse ad addebitare lo speso in via esclusiva al C. (a non voler considerare che la censura non risulta essere stata ritualmente riproposta in appello), non ha comunque alcun fondamento, stante che la situazione di conflitto d’interesse presa in considerazione dalla legge non coincide, al contrario di quel che assume il ricorrente, con il sussistere di un interesse di fatto del singolo votante ad una decisione piuttosto che ad un’altra, che importerebbe la paralisi dell’organo deliberativo, bensì nello specifico ed elettivo interesse, diverse da quello generico e fattuale, portato da uno dei votanti, in ragione delle sua precipua posizione; che in tal senso si è già più volte espressa questa Corte, la quale ha chiarito che sussiste il conflitto d’interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio. (principio affermato dalla S.C. con riguardo alla delibera di sistemazione del tetto e ripulitura del canale di gronda, motivatamente apprezzati nella sentenza impugnata come attività inquadrabili nella manutenzione ordinaria del fabbricato e non coinvolgenti la responsabilità del costruttore – anche condomino votante -, per presunti vizi dell’edificio, tra l’altro in assenza di specifica contestazione di difetti costruttivi) – Sez. 2, n. 10754, 16/5/2011, Rv. 617841″

© massimo ginesi 7  febbraio 2018