E’ quanto ha stabilito il Tribunale sabaudo ( Trib. Torino 11 novembre 2021 n. 4927) riguardo alla responsabilità per cose in custodia, contestata al condominio da un condomino danneggiato in forza di infiltrazioni provenienti da beni comuni.
Il giudice piemontese afferma che il proprietario dell’immobile danneggiato deve ritenersi terzo, che subisce un danno per l’inadempimento dell’obbligo di conservazione della cosa comune (Cassazione 1674 del 2015), circostanza che comporta una responsabilità extracontrattuale da porre in capo al titolare del bene da cui proviene l’evento dannoso, individuato nel caso di specie nel condominio, così che si deve ritenere fattispecie estranea al perimetro delineato dall’art. 71 quater disp.att. cod.civ. con conseguente inapplicabilità della mediazione quale condizione di procedibilità.
Un esercizio commerciale posto in condominio subisce danni in seguito ad infiltrazioni, provenienti da una terrazza a livello posta nel condomini; agisce dunque per il risarcimento nei confronti del condominio e del proprietario della terrazza.
L’attore è mero conduttore dei fondi e, tuttavia, avanza anche domanda relativa ai danni subito dall’immobile; il convenuto condominio si difende eccependo carenza di legittimazione passiva mentre il proprietario della terrazza adduce sussistenza di evento meteo eccezionale.
Il Giudice, alla prima udienza, non dispone la mediazione, nonostante la pronta eccezione del convenuto condominio che, in comparsa conclusionale, ancora eccepisce improcedibilità della domanda.
La vicenda è stata decisa dal Tribunale apuano (Trib. Massa 9 ottobre 2019 n. 595) il quale, quanto alla mediazione, ha rilevato che “Va preliminarmente rigettata anche l’eccezione di improcedibilità della domanda – reiterata dal convenuto condominio e dalla terza chiamata – per mancato esperimento del procedimento di mediazione; anche a voler ritenere la presente controversia ricompresa nell’ambito delineato dall’art. 5 comma 1 bis D.Lgs 28/2010, una volta che la parte abbia tempestivamente sollevato l’eccezione alla prima udienza, ove il giudice non provveda nell’ambito della stessa udienza a concedere termine per instaurare il procedimento di ADR, dando invece impulso al processo, il processo proseguirà secondo gli ordinari canoni, avuto riguardo ad una interpretazione sistematica delle norme in tema di mediazione, cui questo giudice ritiene di aderire: “ Un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme istitutive della cd. giurisdizione condizionata (quali quelle che prevedono lo svolgimento, in via precontenziosa, di un tentativo obbligatorio di conciliazione) impone di considerare tali oneri preprocessuali in termini tali da non costituire un aggravio eccessivamente oneroso per la parte che intenda far valere il suo diritto in giudizio (pena la violazione del precetto enunciato dall’art. 24 c. 1 della Cost.), così che se la questione sulla procedibilità della domanda giudiziaria (che rimane sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa al potere – dovere del giudice del merito, da esercitarsi nella prima udienza) non sia stata rilevata dal giudice entro detto termine (ancorchè segnalata), l’azione giudiziaria prosegue, in ossequio al principio di speditezza di cui agli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost.” (Trib. Bari 8/10/2015, n.4237).”
Quanto alla legittimazione processuale del conduttore il giudice ha osservato che “Va rilevato il difetto di legittimazione attiva dell’attore (eccepito dalle parti, ma rilevabile anche d’ufficio, Cass. Sez. Un., 16 febbraio 2016, n. 2951) per i capi della sua domanda che attengono al risarcimento dei danni subiti dall’immobile di cui è conduttrice (ovvero tutti quelli delineati nella perizia B. allegata alla costituzione dell’attore, che evidenzia sostanzialmente danni alle strutture murarie, agli infissi e agli impianti).
Certamente anche il conduttore è legittimato iure proprio ad agire nei confronti di terzi per il risarcimento del danno da loro cagionato: la giurisprudenza di legittimità ha più volte sottolineato che” ai fini della legittimazione attiva è sufficiente provare l’esistenza di questo potere di fatto, in quanto l’ingiustizia del danno non è necessariamente connessa alla proprietà del bene danneggiato nè all’esistenza di un diritto tutelato erga omnes (Cass. n. 12215/03).
Tuttavia, in tali ipotesi, il conduttore potrà far valere danni ad arredi e rifiniture che dimostri di aver installato in proprio ed ai fini dell’attività esercitata nel locale, oppure derivanti dalla mancata o diminuita disponibilità del bene in conseguenza dell’illecito posto in essere dal terzo. In ipotesi analoga la Corte di legittimità ha ritenuto legittimato il conduttore che “non lamentava un danno attinente alla struttura del locale, ma al pavimento in parquet, che aveva installato per rendere il locale più idoneo all’esposizione di mobilio e arredi, che costituivano l’oggetto dell’attività di esposizione e vendita da lui esercitata” (Cass. Cassazione civile sez. III, 31/08/2011, n.17881).”
Con riguardo a tali danni il conduttore non ha invece, nel giudizio in esame, fornito alcuna prova.
Relativamente alla eccepita carenza di legittimazione passiva del condominio il Tribunale ha rilevato che : “alla luce di Cass. Sez. Un. 9449/2016 – è onere del condominio, che adduca una responsabilità assorbente del proprietario esclusivo del lastrico, fornire la relativa prova: “in materia di ripartizione delle spese di manutenzione di lastrici solari e terrazze a livello che provocano danni da infiltrazioni agli immobili sottostanti, le sezioni unite hanno di recente affermato che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratoreex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria;il concorso di tali responsabilità va di norma risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio (v. Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016 Rv. 639821).” Cass. 3239/2017.
Ebbene, né il condominio né la compagnia terza chiamata, pur avendo dedotto prove in tal senso, dimostrandosi dunque consapevoli degli oneri processuali che incombevano loro, hanno poi addotto i relativi testimoni, preferendo dilungarsi su asserite ed inesistenti carenze di legittimazione passiva del condominio, dimostrando una condotta processuale assai poco diligente e costruttiva”
quanto infine alla sussistenza di caso fortuito il Tribunale osserva che “la deduzione di un evento atmosferico straordinario sulla provincia non costituisce, di per sé, dimostrazione che si tratti di fatto che abbia avuto autonoma incidenza causale sulla vicenda dedotta in causa, onere probatorio che incombe sul custode che intende vedersi esonerato dalla presunzione di responsabilità stabilità dall’art. 2051 c.c.”
Cass. civ. sez. III 12 luglio 2019 n. 18741 rimette alle Sezioni Unite la questione se sia onere dell’opponente a decreto ingiuntivo – oppure dell’opposto –introdurre il procedimento, per le materie ove la mediazione costituisca condizione di procedibilità, .
“Ritiene il Collegio che sussista il presupposto della questione di massima di particolare importanza che giustifica la rimessione alle Sezioni Unite. Entrambe le posizioni evidenziate sono assistite da valide ragioni tecniche e appaiono essere proiezione di diversi principi. La questione riveste particolare importanza perchè tocca un tema sul quale, per riprendere le parole di Cass. 15 dicembre 2011 n. 27063 (con cui fu chiesta la valutazione di opportunità della rimessione alle Sezioni Unite in ordine alla questione della fattibilità del concordato preventivo), “si registra non solo un ampio dibattito in dottrina ma anche un tuttora non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito, reso più acuto dalla frequenza delle questioni che in siffatta materia vengono sottoposte a giudizio”. La vastità del contenzioso interessato dalla mediazione (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), ed il diffuso ricorso al procedimento monitorio, richiedono a parere del Collegio, in considerazione dei presupposti evidenziati, la rilevanza nomofilattica della pronuncia delle Sezioni Unite.”
L’ordinanza, che contiene ampia disamina e sintesi delle posizioni giurisprudenziali ad oggi emerse, merita integrale lettura.
una importante sentenza della Cassazione ( Cass. civ. sez. III 27 marzo 2019 n. 8473) affronta per la prima volta la corretta interpretazione delle norme in tema di mediazione, in particolare per quel che attiene alla possibilità della parte di conferire mandato al proprio difensore di comparire all’incontro in propria vece sostanziale oltre che quale assistenza tecnica obbligatoria, tesi che la fazione più rigida e formale della giurisprudenza di merito aveva radicalmente escluso.
La pronuncia di legittimità, correttamente, riconosce tale possibilità a fronte di specifica procura sostanziale, ma ciò che più rileva nell’analisi della Suprema Corte è una lettura costituzionalmente orientata che evita di rendere il procedimento di mediazione, specie laddove costituisca obbligatoria condizione di proedibilità, una forca caudina che di fatto renda più difficile l’esercizio dei propri diritti.
Fra le righe della pronuncia sembra trasparire anche un certo scetticismo nei confronti dello strumento di ADR quale effettivo toccasana per la riduzione del contenzioso (chi frequenta abitualmente le aule di giustizia si sarà reso conto che in realtà i numeri sono drasticamente calati negli ultimi anni per una serie di fattori che, a leggere le statistiche ministeriali, paiono più imputabili ai costi astronomici di accesso alla giustizia e alla complessa congiuntura economica attuale più che all’efficacia degli strumenti approntati dal D.lgs 28/2010).
La Corte di Appello di Palermo con decreto n. 3203 del 31 luglio 2018 recepisce l’obiter dictum espresso a gennaio di quest’anno dalla cassazione: ai provvedimenti di volontaria giurisdizione, quale certamente è quello di revoca dell’amministratore, non si applica quanto disposto dall’art. 5 D.lgs 28/2018 in tema di condizione di procedibilità.
Il provvedimento palermitano appare interessante anche per il contenuto di merito, laddove sottolinea come la mancata indicazione del codice fiscale da parte dell’amministratore al momento della accettazione costituisca grave irregolarità, per l’obbligo che ha costui di comunicare tutti i propri dati e che – tuttavia – appaia dirimente, rispetto a tale inadempimento, la ben più grave circostanza che costui non abbia reso il conto della gestione dal 2014 al 2018.
la Corte siciliana ribadisce anche il principio, consolidato in giurisprudenza, che una volta promosso procedimento per la revoca, diviene ininfluente che medio tempore sia stato ratificato dal condominio l’operato dell’amministratore, poiché le delibere tardive di approvazione non valgono a sanare la grave irregolarità compiuta.
In particolare una delle parti eccepiva la mancata partecipazione dell’avversario al procedimento, poichè costui, legale rappresentante di una società di capitali, dopo il primo incontro – cui aveva preso personalmente parte – aveva delegato altro soggetto a proseguire nel procedimento.
“Parte opposta eccepisce in via preliminare l’improcedibilità della opposizione, affermando chenon sarebbe stato ritualmente espletato il procedimento di mediazioneper la mancata partecipazione personale della parte opponente.
L’eccezione è infondata.
Ancor prima di verificare se si tratti di procedimento sottoposto obbligatoriamente alla condizione di procedibilità anzidetta, va osservato che la partecipazione di S. s.p.a. al procedimento di A.D.R. appare conforme alla normativa vigente che, ad avviso di questo giudice, deve essere valutata sia con riguardo ai fini che la stessa si prefigge e alle modalità tipiche ed idonee a perseguire tali fini (il confronto diretto fra le parti), senza che si possa tuttaviaprescindere da una lettura costituzionalmente orientata di tale peculiare condizione di procedibilità, poiché una visione eccessivamente rigida o formalistica del fenomeno potrebbe finire per precludere, o comunque intaccare, il diritto costituzionale di difesa garantito dall’art. 24 della carta fondamentale.
Il dibattito sul tema ha assunto le più diverse connotazioni nella giurisprudenza di merito, sì che oggi è dato rinvenire più orientamenti che vanno da posizioni assai minoritarie che ritengono necessaria la presenza sia dell’avvocato che della parte personalmente, senza che costei possa in alcun modo delegare ad altri la partecipazione (Trib. Pordenone 10/3/2017), a visioni più flessibili,e che appaiono di maggior diffusione, in cui siammette la possibilità della parte di farsi rappresentare nella mediazione da un procuratore speciale, pur escludendo che tale potere possa essere conferito al difensore ( Trib. Firenze 19/3/2014; Trib. Palermo 23/12/2016; tali pronunce traggono dal dato letterale dell’articolo 8 D.Lgs. n. 28/2010 – ove si afferma che “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” – la conseguenza che il difensore non possa cumulare in sé anche la posizione di parte, seppur in forma di delegato); non sono infine mancate posizioni in giurisprudenza, e più largamente in dottrina, che con argomentazioni non prive di pregio e suggestione hanno comunque ritenuto che nulla osti a che l’avvocato cumuli la posizione di difensore e di procuratore speciale della parte sostanziale (Trib. Verona11 maggio 2017, in Dottrina, con ampia rassegna Morlini, “Mediazione e possibilità di partecipare al procedimento con procura speciale al proprio difensore” In Persona & Danno a cura P.Cendon 2017).
Il tema di cui si è fatto cenno è solo parzialmente contiguo a quello oggetto dell’odierno contendere, poiché nel caso di specie è pacifico che il legale rappresentante di S. (rectius, uno dei) abbia partecipato al primo incontro dinnanzi al mediatore e che, ai successivi, abbia partecipato un terzo soggetto, munito di procura speciale rilasciata da costui.
Gli elaborati giurisprudenziali e dottrinali richiamati, tuttavia, pur se parzialmente attinenti al diverso tema della procura sostanziale rilasciata al difensore, paiono funzionali anche alla soluzione della questione sollevata oggi dall’opposto circa la procedibilità, poiché – salvo il più restrittivo – tutti ammettono, con ragioni che si ritiene di condividere, la possibilità di delegare ad un terzo soggetto il potere sostanziale di partecipare al procedimento (e quindi di conciliare la lite), esito interpretativo peraltro del tutto conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento in tema di mandato (art. 1392 c.c.), pacificamente ritenuti applicabili anche alla transazione (Cass. civ. Sez. III 27 gennaio 2012 n. 1181) e che appaiono del tutto conformi e funzionali anche allo spirito del D.Lgs 28/2010.
Se lo scopo dichiarato della mediazione è quello enunciato programmaticamente all’art. 1 del testo normativo che la istituisce e la definsce come : “ l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”, non può non ritenersi che la partecipazione di un soggetto cui siano stati demandati dal titolare tutti i poteri sostanziali di gestione della situazione giuridica soggettiva oggetto dilite sia più che sufficiente a consentire al mediatore di esperire tutti i possibili tentativi di componimento bonario, sollecitando ogni distretto anche metagiuridico, personale e/o patrimoniale che la parte titolare del diritto di disporre di quella situazione – anche su delega –può utilmente attivare.
Ovviamente non potrà avere alcun rilievo, al fine di valutare la sussistenza della procedibilità, che la società abbia tre amministratori e, tuttavia, abbia preferito delegare un terzo, poiché, una volta ritenuto legittimo il conferimento di tale potere, non è dato al giudice sindacare le scelte amministrative e difensive della parte sotto il profilo della opportunità (va rilevata l’irritualità e tardività, con conseguente inammissibilità, dei documenti prodotti a tal fine dall’oppostocon la memoria difensiva finale).
Va inoltre sottolineato che due dei presupposti su cui si fonda la sollevata eccezione appaiono erronei anche sotto il profilo letterale e non trovano corrispondente alcuno nel dato normativo testuale ad oggi vigente; sembra del tutto non condivisibile negare valenza alcuna al primo incontro dinanzi al mediatore, ritenendo che lo stesso abbia mero carattere informativo e che la partecipazione personale della parte debba essere considerata solo dal secondo incontro, poiché solo tale evento deve ritenersi quello in cui inizia il relativo procedimento: tale immotivata e apodittica tesi, avanzata dall’opposto,è contradetta da quanto prevede l’art. 8 comma 1 D.lgs 28/2010 “Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”
La norma certamente prevede la possibilità (che pare essere quella fisiologica) di fissare più incontri successivi, ma certo non prevede o presuppone che il primo incontro abbia mera valenza informativa, né – tantomeno – esclude che in tale sede la mediazione possa avere inizio o addirittura compiuto svolgimento, sì che la partecipazione del legale rappresentante di Supermatic a tale primo incontro già elide l’eccezione di mancata partecipazione della parte.
Quanto agli incontri successivi, cui per le ragioni anzidette, si ritiene potesse legittimamente partecipare un mandatario speciale della parte, appare destituita di fondamento anche l’eccezione che costui dovesse essere necessariamente munito di procura notarile, poiché tale dato urta con quanto disposto dall’art. 1392 c.c. né trova alcuna previsione positiva (che, peraltro, parte opposta non indica) nelle norme in tema di mediazione.
Né si comprende (poiché l’opposto pare assumerlo come postulato, senza fornire in proposito alcuna utile argomentazione) per quale ragione – aldilà degli aspetti formali connessi al combinato disposto dagli artt. 1392 e 1350 c.c., che qui non ricorrono – la procura notarile dovrebbe avere maggior efficacia sotto il profilo sostanziale della procura comunque conferita in forma scritta e pacificamente prodotta in sede di mediazione dal mandatario di S.”
Per alcune controversie l’art. 5 D.lgs 28/2010 prevede obbligatoriamente l’esperimento del procedimento di mediazione, che costituisce condizione di procedibilità dell’azione.
Come è noto alla mediazione si sottraggono quelle fasi sommarie o cautelari che la legge – per la loro natura – affida alla cognizione del giudice ordinario senza alcuna barriera preventiva, fra i vanno annoverati il procedimento per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto.
Anche tali ipotesi, tuttavia, sussiste obbligo di mediazione una volta esaurita la fase sommaria o cautelare (in caso di opposizione al decreto ingiuntivo, una volta pronunciati i provvedimenti sulla provvisoria esecutorietà e nella opposizione a convalida di sfratto una volta statuito sull’ordinanza ex art 665 c.p.c. e mutato il rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c.).
In quelle ipotesi il giudice dispone che si dia corso a procedimento di mediazione a cura della parte che ne ha interesse, che dovrà provvedere nel termini di quindi giorni.
Si tratta di termine che da una parte (dominante) della giurisprudenza di merito è stato ritenuto non perentorio, sicché non incorrerà nella improcedibilità della domanda colui che abbia dato corso in ritardo, purché il procedimento sia stato introdotto prima della udienza di verifica e si sia concluso (o sia prossimo alla conclusione).
In tal senso si è espresso di recente anche Tribunale Massa con sentenza 8.3.2018 n. 202 che ha osservato “quanto alla improcedibilità della domanda, va osservato che questo giudice aderisce alla tesi della non perentorietà dello stesso (Tribunale Roma, sez. XIII 14 luglio 2016, n. 14185), specie laddove la parte abbia ottemperato all’introduzione del procedimento di mediazione non in prossimità dell’udienza di trattazione e il procedimento abbia trovato comunque il suo esaurimento prima di tale data, come avvenuto nel caso di specie.”
I procedimenti sommari, quali il ricorso per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto, sono esclusi dall’obbligo di preventiva mediazione stabilito dall’art. 5 comma I bis del d.lgs 28/2010 per alcune materie.
Lo prevede la stessa norma, al comma IV:” I commi 1-bis e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile”.
Terminata la fase sommaria, tuttavia, la condizione di procedibilità – per le materie ove questa è obbligatoria – torna ad essere un vincolo imprescindibile.
Problematiche assai simili si pongono in tema di giudizio conseguente alla opposizione alla convalida di sfratto, con particolare riguardo alle conseguenze che comporta il mancato avveramento della condizione di procedibilità.
Il tema è affrontato da sentenza del Tribunale di Massa del 28 novembre 2017: il caso è peculiare poiché l’intimante, a seguito della opposizione, della conversione del rito e dell’assegnazione del termine per introdurre la mediazione, non da più alcuna indicazione al proprio difensore, che deposita istanza ma si ritrova da solo alla comparizione dinanzi al mediatore.
“Come risulta dal verbale di mediazione, prodotto in giudizio, la parte intimante che ha instaurato il procedimento di mediazione, non si è presentata al primo incontro, al quale era presente unicamente il difensore, che ha peraltro manifestato l’assenza di qualunque mandato specifico a partecipare a detto incombente.
Tale circostanza appare già di per sè idonea a ritenere non espletato il procedimento poiché al procuratore non era stato conferito alcuno specifico potere, anche a non voler aderire alla ormai predominante giurisprudenza che ritiene indispensabile la partecipazione personale della parte (fra le tante Trib. Pavia 20.1.2017).
La circostanza che il difensore presente all’incontro non avesse né potere né indicazioni per gestire il procedimento e agisse in totale dissociazione dalla parte lascia intendere che il locatore abbia manifestato totale disinteresse alla sua apertura, resa di fatto impossibile dalla sua assenza prima ancora che da quella del convenuto, sì che la condizione si dovrà ritenere non avverata, esattamente come se l’istanza non fosse stata proposta.”
Quanto alle conseguenze del mancato esperimento, il Tribunale osserva che “sussistono posizioni assai plastiche in giurisprudenza, che oscillano da valutazioni drastiche in cui si accollano al locatore sia l’onere della mediazione che le conseguenze del suo mancato esperimento, con dichiarazione di improcedibilità e condanna alle spese in caso di mancato avveramento della condizione (Trib. Mantova 15.1.2015) sino a per pervenire a letture invece in totale favore della parte attrice, nelle quali – ritenuta improcedibile la domanda, si considerano comunque consolidati gli effetti del provvedimento provvosirio reso ex art. 665 c.p.c e sostanzialmente vittoriosa l’intimante a cui devono essere riconosciute le spese (Tribunale Bologna 17.11.2015 n. 21324) sino a posizioni intermedie che, pur a fronte del consolidarsi degli effetti del provvedimento interinale, ritengono sussistenti idonee ragioni per provvedere a totale compensazione delle spese ( Trib. Rimini 24 maggio 2016).
La pronuncia del Tribunale felsineo appare a questo giudice maggiormente condivisibile sotto il profilo delle argomentazioni sistematiche, in analogia con quanto già statuito – anche dalla corte di legittimità, in materia contigua quale l’opposizione a decreto ingiuntivo (Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015, n. 24629 ) laddove riconosce ‘la la distribuzione dell’onere di attivazione della mediazione obbligatoria in capo ad entrambe le parti, seppure con diversi effetti stante la indiscutibile esistenza del provvedimento giurisdizionale consistente nella ordinanza di rilascio (tipico esempio di condanna con riserva, nella fattispecie con riserva delle eccezioni dell’intimato – opponente); l’improcedibilità del giudizio a cognizione piena originato dall’opposizione dell’intimato, stante la mancata instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria; il travolgimento (per improcedibilità) delle domande delle parti che siano ulteriori rispetto a quella proposta dal locatore intimante sfociata nell’ordinanza di rilascio; la preservazione dell’efficacia dell’ordinanza non impugnabile di rilascio, idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo, in quanto non travolta dalla declaratoria di improcedibilità; e ciò in quanto il provvedimento anticipatorio di condanna al rilascio è sottoposto alla condizione risolutiva consistente nella pronuncia di successiva sentenza di merito negativa (mentre la declaratoria di improcedibilità opera in rito)’.
Parimenti condivisibile, appare la conclusione, in linea con la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione, cui perviene lo stesso giudice “Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665667 c.p.c. vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell’ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell’ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio).
A carico dell’intimato opponente, non operoso in mediazione, resta l’effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore.
È ora possibile concludere nel senso che l’espressione “condizione di procedibilità della domanda” di cui al decreto legislativo 28/2010 va correttamente intesa con riferimento: alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall’intimatoopponente; alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall’intimato (essenzialmente pagamento somme).
Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall’intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena. Invece l’ordinanza di rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non impugnabile dall’articolo 665 c.p.c., e quindi non è neppure modificabile revocabile). Identica sorte avrebbe l’ordinanza di rilascio, in caso di declaratoria di estinzione del giudizio a cognizione piena”
Non appare invece condivisibile la tesi della sostanziale soccombenza del convenuto a fronte del provvedimento di rilascio ottenuto dal locatore ai sensi dell’art. 665 c.p.c., poiché ove l’attore intenbda giovarsi unicamente degli effetti di tale ordinanza deve arrestarsi a quella fase, mentre ove intenda coltivare le ulteriori domande – ivi comrpesa quella di condanna alle spese – diviene egli stesso parte che aveva interesse ad introdurre la mediazione onde avverare la condizione la condizione di procedibilità, di talché laddove ciò non abbia fatto ed insista nella successiva fase di merito nel coltivare domande palesemente improcedibili, mostra di abusare dello strumento processuale, contravvenendo proprio alla ratio delle norme di cui al D.lgs 28/2010 ragione che impedisce di riconoscerli alcun titolo a vedersi liquidate spese ex art 91 c.p.c.”
in alcune materie, fra le quali condominio e locazioni, la mediazione è condizione di procedibilità per i relativi giudizi ai sensi dell’art. 5 comma 1 bis d.lgs 28/2010 e succ. mod.
Significa che il soggetto che voglia intraprendere una causa in siffatte materie dovrà necessariamente esperire la procedura di mediazione, dovendo altrimenti la sua domanda essere dichiarata improcedibile.
Ove la causa sia introdotta senza il rispetto di tale formalità, il giudice assegna alle parti un termine (che è stato ritenuto non perentorio) per introdurre il procedimento, dichiarando le domande improcedibili ove alla mediazione non venga dato corso.
Poiché la norma estende l’obbligo a chiunque voglia esercitare in giudizio un’azione nelle materie previste dal primo comma di detto art. 5, la previsione si deve ritenere estesa anche al convenuto che, a fronte della domanda principale non si limiti a difendersi ma proponga a propria volta una domanda nei confronti dell’attore (la c.d. domanda riconvenzionale).
Ci si è chiesti come debba essere interpretata la norma sulla procedibilità in tale particolare ipotesi, atteso che l’indicazione con il termine “convenuto” del soggetto che deve eccepire l’improcedibilità, non è apparso dirimente, poiché lo stesso attore assume la posizione sostanziale e processuale di convenuto rispetto alle domande riconvenzioni avanzate da colui che è stato citato in giudizio.
Con riferimento alla mediazione esperita prima del giudizio, si è ritenuto che, ove poi il convenuto si costituisca avanzando domanda riconvenzionale anche essa sia soggetta a condizione di procedibilità, sicché il giudice dovrà rimettere le parti dinanzi ad organismo di mediazione.
Più complesso il tema della mediazione cui le parti sono rimesse dal giudice all’esito della fase sommaria di un procedimento speciale quale la convalida di sfratto, ove – emessi i provvedimenti di cui all’art. 665 c.p.c. – il giudice disponga mutamento del rito e rimetta le parti dinanzi al mediatore.
In tal caso si è argomentato, in giurisprudenza, che entrambe le domande siano soggette a mediazione e che la condizione di procedibilità possa ritenersi avverata per entrambe solo sia demandato al mediatore l’intero oggetto della controversia e non già solo la domanda dell’attore (o del convenuto): in tale ultima ipotesi la parte che non veda investito il mediatore della propria istanza sarà tenuta a propria volta ad attivare un autonomo procedimento, eventualmente da riunire all’altro, a pena di improcedibilità della propria domanda (Trib. Roma 27.11.2014, una pronuncia che merita lettura anche per la singolarità della fattispecie, che non getta buona luce sulla categoria forense…)
In senso analogo si è pronunciato di recente il Tribunale di Massa, con sentenza 17 luglio 2017, osservando, con riferimento alla procedibilità della domanda riconvenzionale, che “tale condizione potrà ritenersi assolta ove una delle parti – nell’adire l’organismo di mediazione – abbia devoluto alla sua conoscenza l’intero rapporto oggetto di causa e non solo la propria domanda. A tal proposito è sufficiente esaminare l’istanza di mediazione depositata in atti dalla attrice, ove alla seconda pagina, sotto la voce “breve descrizione della controversia” si riporta l’intera materia del contendere, ivi compresa la riconvenzionale avanzata dalla B., con ciò mostrando l’intenzione di sottoporre al mediatore tutte le domande azionate nel presente giudizio. Ragione che induce, pertanto, a ritenere procedibile anche la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta, rilevando la sua mancata adesione non sotto il profilo della procedibilità ma unicamente sotto il profilo della responsabilità e delle conseguenze previste dall’art. 8 D.lgs. 28/2010.”
La Corte Europea è stata investita dal Tribunale di Verona della questione di legittimità del D.lgs 28/2010 laddove prevede l’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per determinate materie, ove comporta obbligatoriamente l’assistenza dell’avvocato e conseguenze sfavorevole nel successivo giudizio di merito connesse alla condotta tenuta dalle parti nel procedimento di mediazione.
Il contrasto attiene alla direttiva direttiva n. 11/2013, applicabile quando una delle due parti sia un consumatore (ed il Condominio tale è considerato dalla giurisprudenza).
Osserva la Corte di Giustizia UE con sentenza 14 giugno 2017 n. 457 che ” La direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i consumatori), dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede il ricorso a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate all’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie, purché un requisito siffatto non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario.
La medesima direttiva dev’essere invece interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione.”
Almeno per quei procedimenti in cui una delle parti sia qualificabile come consumatore la Corte individua dunque elementi di criticità del sistema normativo italiano.
Certamente in contrasto con la norma sovranazionale appare l’obbligo del difensore così come dovrà attentamente essere valutata la circostanza che dalla condotta delle parti in mediazione non derivino conseguenze nel successivo processo: “durante l’udienza, il governo italiano ha dichiarato che l’imposizione di un’ammenda da parte del giudice in un successivo procedimento è prevista soltanto in caso di mancata partecipazione senza giustificato motivo alla procedura di mediazione, e non in caso di ritiro dalla medesima. Se così è, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, la direttiva 2013/11 non osta a una normativa nazionale che consente al consumatore di rifiutare di partecipare a una previa procedura di mediazione solamente per un giustificato motivo, purché egli possa porvi fine senza restrizioni successivamente al primo incontro col mediatore.”