responsabilità del progettista, del direttore lavori e dell’appaltatore: l’obbligo risarcitorio.

Cass.Civ. sez.III ord. 21 giugno 2018 n. 16323 si sofferma su un tema di diffusa applicazione, richiamando principi stabili  nella giurisprudenza di legittimità e delineando il contenuto del diritto al risarcimento del soggetto che sia incorso in una prestazione inadeguata da parte dell’appaltare e delle figure tecniche allo stesso contigue.

Si trattava, nella fattispecie, della realizzazione di un muro di contenimento rivelatosi inidoneo a svolgere la propria funzione.

sugli obblighi  dell’appaltatore: la corte tratteggia, incidentalmente, la sussistenza di “un obbligo in capo all’appaltatore, a fronte di un progetto che sia visibilmente contrario alle regole dell’arte, di individuarne le criticità e farle presenti al committente, rifiutandosi di realizzare un’opera che ad un professionista non possa non apparire non rispondente alle regole dell’arte.

L’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è infatti obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. In mancanza di tale prova, l’ appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.: v. in questo senso Cass. n. 23594 del 2017.

L’ appaltatore, essendo tenuto alla realizzazione di un’opera tecnicamente idonea a soddisfare le esigenze del committente risultanti dal contratto, ha il conseguente dovere di rendere edotto il committente medesimo di eventuali obiettive situazioni o carenze del progetto, rilevate o rilevabili con la normale diligenza, ostative all’utilizzazione dell’opera ai fini pattuiti (Cass. n. 1981 del 2016).

sulla entità del risarcimento dovuto“Sotto il profilo della responsabilità contrattuale, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale deve comprendere sia la perdita subita dal creditore, sia il mancato guadagno, quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, al fine di ristabilire l’equilibrio economico turbato, mettendo il creditore nella stessa situazione economica nella quale si sarebbe trovato se il fatto illecito (inadempienza) non si fosse verificato, e, quindi, la somma liquidata a titolo di risarcimento deve essere equivalente all’effettivo valore dell’utilità perduta (Cass. n. 2458 del 1980; Cass. n 12578 del 1995).

Nel caso di specie, il danno effettivamente patito dal proprietario committente e che possa causalmente ricondursi all’operato del progettista è costituito dai costi di realizzazione dell’opera ( il muro) da questi progettata, inidonea all’uso, e dai costi necessari per l’eliminazione dei danni provocati, costituiti nel caso di specie nei consti necessari per l’eliminazione del predetto muro.

Diversamente opinando, ossia addebitando al ricorrente il costo integrale di realizzazione di un muro nuovo e avente caratteristiche tecniche differenti rispetto a quello progettato e realizzato, ovvero avente le effettive caratteristiche tecniche necessarie per poter svolgere una funzione di contenimento, per un verso si incorrerebbe nella violazione del principio per cui il risarcimento del danno deve tendere alla mera restitutio in integrum (art. 1223 c.c.), e per l’altro si accorderebbe al danneggiato un vantaggio indebito (in violazione dell’art. 2041 c.c.), consistente nell’ottenere un quid pluris rispetto alla sua situazione antecedente, ossia nel venire a fruire gratuitamente della realizzazione di un’opera.

In definitiva, il progettista, in conseguenza della sua errata progettazione, può essere chiamato a rispondere dei costi della progettazione e della realizzazione dell’opera che ha effettivamente progettato, del risarcimento dei danni a terzi eventualmente provocati dall’opera realizzata non a regola d’arte in conformità dell’errore nella progettazione (siano essi terzi estranei o, come in questo caso, lo stesso committente che ha dovuto rimuovere il muro inidoneo alla funzione di contenimento), ma non anche dei diversi costi di esecuzione dell’opera a regola d’arte, perché ciò non costituisce oggetto della prestazione pattuita, né è un danno conseguente all’illecito.”

sulla responsabilità dele diverse figure: Della responsabilità solidale di appaltatore e progettista o direttore dei lavori non si dubita: è consolidata affermazione nella giurisprudenza della Corte (da ultimo, Cass. n. 3651 del 2016), quella per cui in tema di responsabilità risarcitoria, contrattuale ed extracontrattuale, se l’unico evento dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente, al fine di ritenere la solidarietà di tutte nell’obbligo al risarcimento, che le azioni e le omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse.

Pertanto nel caso di danno risentito dal committente di un opera, per concorrenti inadempimenti del progettista e dell’appaltatore, sussistono le condizioni di detta solidarietà, con la conseguenza che il danneggiato può rivolgersi indifferentemente all’uno o all’altro per il risarcimento dell’intero danno e che il debitore escusso ha verso l’altro corresponsabile azione per la ripetizione della parte da esso dovuta.”

sulla transazione conclusa con uno soltanto dei responsabili: ” in ordine al legame di solidarietà che lega i due professionisti, questa Corte ha recentemente puntualizzato (Cass. n. 23418 del 2016, che richiama la pronuncia a Sezioni Unite n. 30174 del 2011) che in presenza di una transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido, è anzitutto da accertare se la transazione abbia riguardato l’intero debito o, invece, abbia avuto ad oggetto unicamente la quota del debitore con cui essa è stata stipulata, riferendosi la previsione dell’art. 1304 c.c. alla prima fattispecie.

Mentre nel primo caso – transazione per l’intero – gli altri debitori possono dichiarare di volerne profittare, come previsto dalla menzionata disposizione, con l’effetto che anche per essi opera l’estinzione del debito, nel secondo caso – transazione pro quota – si determina lo scioglimento della solidarietà passiva unicamente rispetto al debitore che vi aderisce, corrispondentemente riducendosi il debito per gli altri.

La ratio di tale norma, allorché il negozio transattivo riguardi l’intero debito, risiede nella comunanza dell’oggetto della transazione, che consente al condebitore in solido di avvalersene, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e, quindi, in deroga al principio dell’art. 1372 c.c. secondo cui il contratto produce effetto solo tra le parti. Viceversa, tale fondamento non sussiste in presenza di una transazione interna per la singola quota, la quale non può coinvolgere gli altri condebitori, che non avrebbero alcun titolo per profittarne e per vedere estendere nei loro confronti l’effetto estintivo della obbligazione: ma, in ogni caso, ne consegue la riduzione del loro debito per effetto di quanto pagato dal debitore transigente. Nel nostro caso, all’accoglimento del motivo di ricorso consegue la caducazione dell’accertamento, contenuto nella sentenza impugnata, secondo la quale l’appaltatore avrebbe transatto non l’intero debito ma solo la quota di sua spettanza, ed anche la conseguente esclusione dell’applicabilità dell’art. 1304 c.c.

Deve al contrario affermarsi che, poiché nel caso di specie l’obbligazione risarcitoria del progettista comprende le stesse voci risarcitorie a carico dell’appaltatore, che sono comprese nell’accordo transattivo e coperte dalla transazione (pari ai costi sostenuti per la costruzione del muro, conforme al progetto ma inidoneo all’uso e per la sua eliminazione), il progettista si possa utilmente giovare – come richiesto fin dal primo grado – della transazione conclusa dal suo condebitore solidale onde ritenere estinta anche nei suoi confronti l’obbligazione risarcitoria”

© massimo ginesi 11 luglio 2018

se l’edificio manifesta gravi errori di esecuzione: la responsabilità di progettista e appaltatore.

Nella realizzazione di un edificio emerge, poco dopo la conclusione dei lavori, che il pavimento del piano terra risulta non orizzontale e con un dislivello di oltre  31 centimetri. LA CTU svolta in primo grado accerta che la responsabilità del problema è attribuibile per il 80% al progettista – che ha omesso le necessarie indagini geologiche – e per il 10% all’appaltatore, che ha male realizzato il fabbricato, e stima il danno in oltre 200.000 euro.

Nel corso del giudizio di primo grado  interviene transazione fra committente e appaltatore,  il Tribunale dichiara l’estinzione parziale del giudizio relativamente  a tale rapporto e – stimata nel 10% la responsabilità di costui – condanna il progettista, che ha svolto anche la direzione lavori, a risarcire la residua parte, pari a circa 202.000 euro.

La Corte di appello di Venezia giungeva alle stesse conclusioni nel merito, ma rideterminava la somma dovuta in circa 140.000 euro, sottraendo all’importo risarcitorio determinato dal Tribunale le spese per la palificazione e per le indagini geognostiche. Escludeva inoltre che sussistesse solidarietà fra appaltatore e progettista, a seguito della intervenuta transazione fra il primo e il committente.

La vicenda giunge all’esame della corte di legittimità, che con una complessa e articolata pronuncia (Cass.civ. sez. II  ord. 27.9.2017 n. 22672 rel. Scarpa) affronta i due interessanti temi:

a) la natura della responsabilità che lega appaltatore e progettista/direttore lavori

b) gli effetti, in un rapporto trilaterale di risarcimento con solidarietà fra i condebitori, della transazione stipulata fra uno solo degli obbligati e il creditore.

Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore ed il progettista e direttore dei lavori (come nella specie, per i difetti della costruzione dipendenti dal cedimento del terreno dovuto alle caratteristiche geologiche del suolo, rientrando nei compiti di entrambi l’indagine sulla natura e consistenza del terreno edificatorio), i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (Cass. Sez. 2, 27/08/2012, n. 14650; cfr. altresì Cass. Sez. 2, 23/07/2013, n. 17874; Cass. Sez. 3, 31/05/2006, n. 12995; Cass. Sez. 2, 23/09/1996, n. 8395).

La responsabilità solidale dell’appaltatore e del progettista e direttore dei lavori per l’intero danno arrecato al committente, stabilita dall’art. 2055, comma 1 c.c., obbliga, peraltro, il giudice, quando sia stata a tal fine formulata apposita domanda, all’accertamento ed all’attribuzione delle rispettive quote di ripartizione della colpa, potendosi applicare il criterio sussidiario della parità delle cause, di cui all’ultimo comma dello stesso art. 2055, solo se non sia possibile provare le diverse entità degli apporti causali e residui perciò una situazione di dubbio oggettivo e reale.

Tuttavia, gli apprezzamenti qui svolti dalla Corte d’Appello di Venezia sulla sussistenza della colpa dei vari soggetti e del concorso di più fatti colposi nella determinazione dell’evento dannoso (nella specie, la sorpresa geologica e il riporto di terreno), nonché sulla valutazione dell’efficienza causale di ciascuna delle colpe concorrenti, si risolvono in un giudizio di fatto immune da errori logici e di diritto, e che perciò si sottrae al sindacato in sede di legittimità.

Sotto il profilo processuale, del resto, l’esistenza di un vincolo di solidarietà passiva ai sensi dell’art. 2055 c.c. tra appaltatore e progettista non genera un litisconsorzio necessario, avendo il creditore committente titolo per valersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione, anche in appello, del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi nei confronti di uno solo dei coobbligati.

Nel caso in esame, era avvenuto che il giudice di primo grado, con la sentenza del 29/08/2009, aveva dichiarato estinto il giudizio nei rapporti tra Bon. ed il condebitore Bar., a seguito della transazione intervenuta tra di loro, mentre aveva condannato l’altro condebitore Z al risarcimento della rispettiva quota-parte attribuitagli, pari al 90% del danno complessivo, in quanto non assorbita dalla transazione.

F Zor, unico convenuto soccombente, ha poi proposto appello nei soli confronti del creditore G Bon., sicchè non è stata riproposta in appello nei confronti dell’altro convenuto nel giudizio di primo grado, C. Bar., una domanda di regresso, ai sensi dell’art. 2055, comma 2, c.c. In sostanza, il Tribunale di Vicenza, dichiarando estinto per l’intervenuta transazione il giudizio tra il Bon. ed il Bar., aveva altresì sciolto la solidarietà passiva tra il debitore liberato e l’altro debitore Z., con l’accertamento delle reciproche quote di responsabilità in misura del 10% e del 90%.

in ordine ai riflessi della transazione fra il creditore e uno dei debitori solidali, la Corte rileva che:

la Corte d’Appello di Venezia, accertata, appunto, nella misura del 90% la responsabilità del progettista Zor., e stimata quella concorrente dell’appaltatore Bar. nella misura del 10%, ha sottratto all’importo totale dei danni liquidati in favore di G. Bon. la somma di Lire 70.000.000, in quanto cifra corrisposta a seguito di transazione pro quota dal condebitore Zor.. La conclusione cui è pervenuta la Corte di merito è perciò corretta, anche se è errata l’invocazione che essa ha fatto dell’art. 1304 c.c.

Secondo consolidato orientamento, infatti, l’art. 1304, comma 1, c.c., si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito (accordando al condebitore solidale la facoltà di avvalersene pur non avendo partecipato alla sua stipulazione), e non la sola quota del debitore con cui è stipulata. Se la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto la sola quota del condebitore che l’ha stipulata (secondo quanto accertato in fatto nel caso in esame, atteso che nella transazione intervenuta del 17 gennaio 2000 C. Bar. dichiarava di versare l’indicato importo “a saldo e stralcio della quota parte del debito da risarcimento danni che fosse a suo carico”, con l’aggiunta che “l’ing Zor. … non potrà profittare della presente transazione”), occorre distinguere:

nel caso in cui il condebitore che ha transatto abbia versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito (come qui avvenuto, dovendo il Barban soltanto il 10% del debito totale), il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato, proprio come fatto dalla Corte di Venezia;

nel caso in cui, invece, il pagamento sia stato inferiore, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.

Questa interpretazione giurisprudenziale ha anche chiarito come lo stabilire se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota del debitore transigente comporti, evidentemente, un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 e segg. c.c.

E la Corte di Venezia ha ben spiegato le ragioni per le quali la transazione del 17 gennaio 2000 riguardasse la sola quota debitoria facente capo al Bar. (accertata nei rapporti tra i coobbligati in base alle ricordate argomentazioni di fatto) e non anche l’intero debito, ed ha conseguentemente quantificato il debito residuo gravante sullo Zor. (cfr. Cass. Sez. 1, 17/11/2016, n. 23418; Cass. Sez. 1, 07/10/2015, n. 20107; Cass. Sez. U, 30/12/2011, n. 30174).”

© massimo ginesi 29 settembre 2017

la responsabilità del direttore dei lavori per vizi di costruzione

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Il Condominio lamenta danni da infiltrazioni e promuove azione nei confronti della ditta costruttrice, la quale costituendosi in giudizio si difende sostenendo che “i danni, ove sussistenti, erano ascrivibili alla esclusiva responsabilità del progettista-direttore dei lavori” e chiedendo di essere autorizzata a chiamarlo in causa.

In primo grado costruttore e direttore vengono ritenuti  solidalmente responsabili e condannati dal Tribunale di Mantova  a risarcire il Condominio per oltre 80.000 euro.

La Corte d’Appello di Brescia ribalta il verdetto, rigettando tutte le domande e  “osservando – per quanto ancora interessa – che il diritto al risarcimento danni nei confronti dell’impresa si era prescritto e che l’assenza di responsabilità (di natura extracontrattuale) del progettista/direttore dei lavori nominato dall’impresa poteva ritenersi sufficientemente accertata in giudizio”

La vicenda approda alla Corte di Cassazione, II sezione civile,  che decide con sentenza 03/05/2016, (ud. 02/03/2016, dep.03/05/2016), n. 8700

La Corte di legittimità censura la decisione di secondo grado, ritenendo che sussista agli atti prova scritta di reiterate interruzioni della prescrizione relativa all’anno previsto dall’art. 1669 per la proposizione dell’azione dopo la denunzia dei vizi, cosicché da quegli atti di interruzione è decorso nuovo periodo annuale a favore del committente che ha poi promosso nei termini il giudizio.

Interessante è  il rilievo circa la responsabilità del soggetto – che nel caso di specie rivestiva la duplice qualifica di progettista e direttore dei lavori –  figure cui non è sempre chiaro quale coinvolgimento estendere nelle liti che riguardano Condominio e appaltatore.

 

Afferma la Corte che il Condominio, nel ricorso in cassazione, “Richiamati i principi di diritto che disciplinano la responsabilità del direttore dei lavori, rileva che dagli accertamenti compiuti dal consulente tecnico erano emersi difetti (mancanza di manto impermeabilizzante sul solaio di copertura, cattiva esecuzione dei pozzetti esterni, intonaco non realizzato con stabilitura di calce aerea, unicità dello strato di tinteggiatura, porosità del calcestruzzo utilizzato per la trave di fondazione, rigonfiamenti dell’intonaco) che non avrebbero potuto sfuggire al direttore dei lavori e che pertanto ne avrebbero giustificato la affermazione di responsabilità per i danni conseguenti.”

Viene riaffermato un consolidato orientamento che qualifica la natura extracontrattuale della  responsabilità ex art. 1669 cod.civ. “Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, configurando l’art. 1669 c.c. una sorta di responsabilità extracontrattuale, analoga a quella aquiliana, nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore – costruttore del fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, anche tutti quei soggetti, che prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano comunque contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione (v., tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 17874 del 23/07/2013 Rv. 627344;, Cass. nn. 19868/09, 3406/06, 13158/02, 4900/93).”

Nel caso di specie la Suprema Corte rileva che dagli accertamenti tecnici svolti nei giudizi di merito non è emersa responsabilità per le scelte progettuali e quindi il professionista può andare esente da colpa sotto tale profilo, mentre lo stesso non può dirsi per la sua qualifica di Direttore Lavori: “E’ stato affermato in giurisprudenza che la natura della responsabilità del direttore dei lavori nominato dal committente o dell’appaltatore – da valutare alla stregua della diligentia quam in concreto in relazione alla competenza professionale dallo stesso esigibile – per un fatto dannoso cagionato ad un terzo dall’esecuzione di essi, è di natura extracontrattuale e perciò può concorrere con quella di costoro se le rispettive azioni o omissioni, costituenti autonomi fatti illeciti, hanno contribuito causalmente a produrlo. In relazione poi al direttore dei lavori dell’appaltatore egli risponde del danno derivato al terzo se ha omesso di impartire le opportune direttive per evitarlo e di assicurarsi della loro osservanza, ovvero di manifestare il proprio dissenso alla prosecuzione dei lavori stessi astenendosi dal continuare a dirigerli in mancanza di adozione delle cautele disposte (v. Sez. 3, Sentenza n. 15789 del 22/10/2003 Rv. 567581; Sez. 2, Sentenza n. 11359 del 29/08/2000 Rv. 539873).
Per quanto attiene in particolare al direttore dei lavori dell’appaltatore (ed è il caso che qui interessa) è’ stato altresì precisato che egli risponde del fatto dannoso verificatosi sia se non si è accorto del pericolo, percepibile in base alle norme di perizia e capacità tecnica esigibili nel caso concreto, che sarebbe potuto derivare dall’esecuzione delle opere, sia se ha omesso di impartire le opportune direttive al riguardo nonchè di controllarne l’ottemperanza, al contempo manifestando il proprio dissenso alla prosecuzione dei lavori stessi ed astenendosi dal continuare la propria opera di direttore se non venissero adottate le cautele disposte (v. Sentenza n. 15789/2003 cit. in motivazione)”.

© massimo ginesi giugno 2016