Il consuntivo condominiale, laddove in sede di ripartizione determina le somme dovute da ciascuno condomino, reca usualmente anche i saldi delle gestioni precedenti che Fano capo a ciascun partecipante.
Tale voce, in assenza di espresso riconoscimento dell’interessato, non costituisce elemento che il condominio può usare a proprio favore come le altre ordinarie portate dal consuntivo, che invece costituiscono dato probatorio idoneo ad ottenere decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 63 disp.att. cod.civ.
E’ prinpcio affermato di recente da Cass.Civ. sez II. ord. 22-02-2018, n. 4306 che ha confermato una decisione della Corte di appello di Genova
la vicenda processuale: ” La Corte distrettuale, con la decisione oggi gravata innanzi a questa Corte, in parziale riforma della sentenza inter partes in data 23 ottobre 2008 del Tribunale di Genova ed in parziale accoglimento dell’appello del Condominio stesso, condannava il P. al pagamento in favore del medesimo Condominio della somma di Euro 19.865,10.
In precedenza – va specificato, per completezza – il Tribunale del capoluogo ligure, a seguito di opposizione del P.G., aveva revocato il D.I. del 30 novembre 2004, con cui – su ricorso del Condominio – era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 23.812,07 a titolo di dovute spese condominiali arretrate.
In particolare va evidenziato che il Tribunale di prima istanza aveva accolto l’opposizione a D.I. per difetto della delibera di spesa (riapprovazione di consuntivo e non delibera ad hoc) nel mentre la Corte di Appello genovese – per effetto di nuova documentazione prodotta dal Condominio – aveva condannato, in parte, il condomino moroso.”
il principio di diritto: “Il motivo ripropone innanzi a questa Corte la problematica della questione della “rideliberazione delle spese”, in particolare con riguardo ai residui passivi, in relazione ai quali un tal genere di “rideliberazione” non sarebbe idonea a costituire prova del credito.
Viceversa il Condominio de quo contesta la soluzione di inidoneità della Corte distrettuale ritenendo che, ai sensi delle norme invocate col motivo qui in esame, vi sia comunque attribuzione di valore prescrittivo al consuntivo approvato dall’assemblea condominiale senza distinzione alcuna fra debiti dell’anno di esercizio in corso e debiti pregressi.
La questione è, nella sostanza, quella del valore probatorio attribuibile al riconoscimento, in sede di approvazione di bilancio condominiale, di debiti pregressi dei condomini: tale specifico riconoscimento è – in assenza di partecipazione e di idoneo atto ricognitivo del singolo condomino – riconoscimento/accertamento effettuato dal creditore condominio in proprio favore, quindi, come tale non utilizzabile a proprio favore dal condominio stesso.
Nella concreta fattispecie in esame, mancando ogni opportuna allegazione circa la partecipazione del P. all’assemblea di riapprovazione del bilancio con indicazione dei debito pregressi, deve ritenersi non sussistente la necessaria partecipazione ed il riconoscimento da parte del singolo condominio dei medesimi debiti.”
Non servirà osservare che il problema non si pone ove quei saldi risultino da somme ritualmente approvato negli esercizi precedenti, con l’avviso che tuttavia saranno quelle delibere a costituire prova e non quelle che procedono, successivamente, alla riapprovazione dei saldi di esercizio, di talchè – in sede di richiesta monitoria – sarà opportuno produrre tutte le delibere che si riferiscono agli esercizi in cui sono state approvate le somme richieste e ancora dovute dal condomino. .
Qualche tempo fa, in quelle piacevoli chiacchierate che capita di fare con le persone che stimi nei tempi a margine dei convegni o durante i viaggi di trasferimento, un valentissimo magistrato e affilatissimo interprete del diritto mi diede una icastica rappresentazione del principio di non contestazione, così come ridisegnato dall’art. 115 c.p.c. a seguito della novella introdotta dalla L. 69/2009.
La norma, come è noto, prevede oggi che “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita“
In linea con le sue origini partenopee notò acutamente che se oggi l’attore afferma in citazione che i ciucci volano e il convenuto non lo contesta, in quel giudizio i ciucci effettivamente voleranno…
Era ovviamente una notazione iperbolica, ma non sfornita di verità, sulla agilità processuale che la nuova norma consente e sulla grande cautela che oggi il difensore deve osservare a tal proposito, nella speranza che svaniscano per sempre quelle formulette orribili di contestazione generica, tanto care agli avvocati e che a nulla mai sono servite (chi non ha mai letto cose come “impugnativamente contestato tutto quanto avverso dedotto”?)
Il tema peraltro non era nuovo alla giurisprudenza formata sotto la vigenza della vecchia norma, che aveva comunque delineato confini piuttosto severi all’obbligo di contestazione poi codificato dal legislatore.
LA Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 14652/16; depositata il 18 luglio) ha di recente affrontato la portata di tale obbligo sotto la vigenza della legge antecedente, con riflessioni che non possono non interessare chi quotidianamente affronta le aule di giustizia.
Osserva il Giudice di legittimità: “Col primo motivo del ricorso principale, la soc. L. P. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 C.P.C. e dell’art. 2697 c.c., censurando la Corte per non avere applicato il principio secondo cui “la mancata specifica contestazione di un fatto costitutivo del diritto dedotto da uno dei due contendenti lo rende incontroverso e non più bisognevole di prova”: rileva, infatti, che non era stato contestato il fatto storico dell’ammanco nell’importo indicato dall’attrice ed assume che ciò rendeva irrilevante e superflua la prova sul punto, mentre la contestazione dell’an, involgente esclusivamente il profilo della responsabilità, non esonerava i convenuti dall’onere di contestare il quantum della pretesa. 2.1. Al riguardo, la S. ha dedotto – in fatto – che, costituendosi in giudizio, aveva contestato la domanda risarcitoria sia nell’an che nel quantum e che, con la memoria di replica alla conclusionale avversaria, aveva rilevato che l’attrice non aveva dimostrato né la natura né l’entità del danno lamentato; in diritto, ha rilevato come il nuovo testo dell’art. 115 C.P.C. introdotto dalla l. n. 69/2009 non era applicabile ad attività processuali risalenti all’anno 2000, aggiungendo – in relazione al principio di non contestazione elaborato dalla giurisprudenza anteriormente all’anzidetta novella – che l’avvenuta contestazione di qualsivoglia responsabilità a suo carico non poteva che ritenersi “estesa al quantum… poiché la contestazione del fatto a monte è incompatibile con l’ammissione del fatto a valle”; ha escluso, altresì, che fosse risultato violato l’art. 2697 c.c. in quanto la Corte aveva correttamente posto a carico dell’attrice l’onere di provare l’entità del danno. 2.2. Pur dovendosi escludere che nel presente giudizio (iniziato nell’anno 2000) possa operare direttamente il novellato art. 115, 1 co. C.P.C. (applicabile, ex art. 58, co. 1 l. n. 69/2009, ai giudizi iniziati dopo il 4.7.2009), deve tuttavia valutarsi se la Corte abbia comunque violato il principio di “non contestazione”) già da tempo elaborato dalla giurisprudenza di legittimità alla luce della previsione dell’art. 167, 1 co. C.P.C., che impone al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda;il tutto in relazione al dato pacifico – che la S. ha incentrato le proprie difese sulla radicale negazione della propria responsabilità senza contestare specificamente l’entità della somma asportata dalla cassaforte. Al riguardo si osserva: – la circostanza che non risulti applicabile l’art. 115 c.p.c. comporta la necessità di fare riferimento esclusivamente al principio di non contestazione così come configurabile sulla base della previsione dell’art. 167 c.p.c. (“nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda”), a prescindere dalla previsione del novellato art. 115 c.p.c. (“il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”), che, con l’utilizzo dell’avverbio “specificamente”, richiede al convenuto che intenda contestare i fatti dedotti dall’attore di farlo in modo “specifico”; – in riferimento al principio di non contestazione – come desumibile dall’art. 167 c.p.c. – questa Corte ha affermato che, “in tema di prova civile, una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica – in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica – se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento” (Cass. n. 23816/2010); il principio è stato recentemente ribadito dalle SS.UU., che hanno rilevato come la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta possa rendere superflua la prova del fatto allegato dall’attore e hanno precisato che “ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo” (Cass., S.U. n. 2951/2016); – ne consegue che, nel caso in esame, la mancata contestazione circa l’entità delle somme trafugate (che avrebbe esonerato l’attrice dall’onere della relativa prova) avrebbe potuto conseguire – alternativamente – all’espresso riconoscimento dell’importo da parte della convenuta o all’articolazione di una difesa incompatibile con la negazione della somma indicata dall’attrice; circostanze tutte non risultanti né dal contenuto della comparsa di costituzione della S. (come trascritta in ricorso) né dal tenore delle censure articolate dalla ricorrente, che si incentrano sul dato della mancanza di contestazione circa l’ammontare indicato dall’attrice, senza però spiegare perché la recisa contestazione della domanda in punto di responsabilità comportasse comunque – il riconoscimento della somma indicata o fosse incompatibile con la sua contestazione; – va peraltro considerato che “l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ignoti” (Cass. n. 3576/2013) cosicché, nel caso di specie, essendo il dato dell’effettivo importo trafugato estraneo alla sfera di diretta conoscibilità da parte della convenuta, la ricorrente avrebbe dovuto suffragare la deduzione della violazione del principio di non contestazione con l’indicazione delle circostanze che avevano reso tale dato noto alla S.“