Parrebbe un principio pacifico ma così non deve essere parso alle parti della causa, se la vicenda è dovuta arrivare sino in Cassazione.
Se alcuni condomini pongono in essere interventi lesivi del decoro dell’edificio, la legittimazione passiva per la relativa azione di ripristino compete unicamente a costoro e non può, a tal fine, essere evocato in giudizio direttamente l’amministratore, al quale, semmai, si può rimproverare un autonomo e diverso titolo di responsabilità per l’eventuale inerzia nel reagire all’atto illecito, sotto il profilo della inosservanza del dovere di compiere atti conservativi ex art. 1130 cod.civ.
Lo afferma Cass.Civ. sez.II ord. 20 novembre 2018, n. 29905, che rigetta il ricorso di un condomino assai poco lungimirante, che aveva visto respinta la domanda in primo grado e respinto l’appello ex art 348 bis e tre c.p.c..
I fatti:” il condominio dell’(omissis) evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Messina L.R. , proprietaria di un appartamento sito all’interno dello stabile in condominio, per sentirla condannare alla rimozione della chiusura in metallo e vetro realizzata sul balcone prospiciente la via pubblica, nonché al risarcimento del danno derivante dalla lesione del decoro architettonico dell’edificio. Si costituiva la convenuta allegando la natura precaria della chiusura del balcone e dichiarando di non opporsi alla sua eliminazione, a condizione che anche gli altri condomini avessero eliminato i diversi manufatti (caldaie, armadi e condizionatori) da loro installati sul prospetto condominiale o sui balconi, sul presupposto che anche detti manufatti fossero lesivi del decoro architettonico dell’edificio, spiegando domanda riconvenzionale sul punto. All’esito di C.T.U. il Tribunale accoglieva la domanda principale, sul presupposto che la convenuta ne avesse riconosciuto la fondatezza, mentre respingeva la riconvenzionale per carenza di legittimazione passiva del condominio.”
la motivazione della pronuncia di legittimità: “La censura non è fondata. Le ipotetiche lesioni del decoro della facciata lamentate dalla ricorrente sono infatti state compiute da altri condomini e quindi la predetta avrebbe dovuto evocare direttamente in giudizio, come comproprietaria del bene comune pregiudicato, i singoli responsabili delle violazioni.
L’amministratore, invece, non ha alcuna legittimazione passiva a rispondere degli effetti pregiudizievoli derivati all’edificio da interventi realizzati da singoli condomini.
Al massimo, il rappresentante dell’ente di gestione sarebbe stato passivamente legittimato in relazione all’azione volta all’accertamento dell’illiceità della sua inerzia nell’agire a tutela del decoro dell’edificio, ma la ricorrente non ha proposto simile domanda, avendo ella – piuttosto – invocato direttamente nei confronti dell’amministratore del condominio l’eliminazione dei manufatti ritenuti lesivi del decoro della facciata dell’edificio.”
La materia dei parcheggi pertinenziali, a fronte della legislazione vincolistica che si è succeduta nel corso degli ultimi 50anni, ha dato luogo a notevole contenzioso, con una coacervo interpretativo di non facile lettura.
La corte di legittimità torna sul tema ( Corte di Cassazione, sez. II Civile, 25 maggio 2017, n. 13210Rel. Giusti), chiarendo che – ove il costruttore non abbia materialmente realizzato le aree che a la legislazione vincolistica impone, a coloro compete un mero diritto risarcitorio ma non possono agire per richiedere il ripristino degli spazi mancanti.
I fatti e il giudizio di merito: “Con atto di citazione del 28 maggio 1984, la società CI-DI Edilizia Immobiliare a r.l. conveniva in giudizio Bo.Gi. , G.G. , L.S. , D.M. , B.T. , Ca.Ri. , Ca.Em. , D.P.F. , V.L. , D.M.M. e Ce.Br. , tutti condomini dello stabile in (omissis) , nonché il Condominio del medesimo edificio, per sentirli condannare all’immediato rilascio della spazio adibito a parcheggio antistante il fabbricato, nonché al pagamento di una indennità di occupazione, dichiarando che i convenuti non hanno diritto di comproprietà, di servitù, di parcheggio o comunque di uso dello spazio antistante il fabbricato. L’attrice chiedeva in subordine di condannare il Condominio al pagamento del valore dell’area sulla base delle spese sostenute per attrezzarla, da determinare a mezzo di consulenza.
I convenuti resistevano in giudizio, chiedendo il rigetto delle pretese avversarie e formulando domanda riconvenzionale affinché fossero riconosciuti i parcheggi vincolati ai sensi della 6 agosto 1967, n. 765, poiché realizzati in forza di licenza edilizia rilasciata dopo il 1 settembre 1967, come richiesto dall’art. 18 della citata legge.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Roma rese la sentenza n. 10488 dell’8 agosto 1988, con cui condannò i convenuti al rilascio dell’area e al pagamento per ciascuno di Lire due milioni, con gli interessi dalla domanda. Contestualmente dichiarò il B. comproprietario del detto terreno con diritto ad utilizzarla a posto auto, poiché soltanto questi aveva dimostrato in giudizio di avere acquistato l’appartamento con le pertinenze prima del 4 giugno 1973, data di vendita dell’area dalla costruttrice a Cu.Ul. .
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1004 del 1995, rimetteva la causa al Tribunale di Roma quale giudice di primo grado, stante la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di Cu.Ul. .
Con sentenza in data 16 giugno 2003, il Tribunale di Roma, a parziale modifica della precedente sentenza, dichiarava l’area in questione, di proprietà della CI.DI., soggetta al vincolo legale di destinazione a parcheggio in favore del G. e degli altri litisconsorti, determinando in dodici metri quadri per ciascuno di essi la superficie assoggettata al diritto d’uso, condannando i predetti, con esclusione di B.T. , al pagamento del corrispettivo per il predetto diritto di uso da liquidarsi in separato giudizio, rigettando le ulteriori domande e confermando le altre statuizioni della precedente sentenza n. 10488 del 1988 del medesimo Tribunale.”
La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 novembre 2011, in parziale accoglimento dell’appello principale ed in riforma, sul punto, della sentenza gravata, ha condannato il G. , il L. , il D. , il D.P. , il B. , la Ca. , la Ce. , il Bo. , la Ca. , il V. e il D.M. a rilasciare in favore dell’appellante il suolo edificatorio per cui è giudizio, ha rigettato l’appello incidentale, ha confermato nel resto la pronuncia appellata e compensato integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
La Corte d’appello ha rilevato che, secondo le risultanze dell’indagine peritale, il provvedimento concessorio prevedeva la localizzazione degli spazi destinati a parcheggio al piano ingresso dell’edificio, parte in corrispondenza del fabbricato, in una sorta di piano pilotis, e parte in due zone laterali sulle testate dell’edificio. La Corte distrettuale ha poi evidenziato che il fabbricato realizzato risultava diverso da quello rappresentato negli elaborati relativi alla concessione e non presentava aree di sosta veicolare al piano ingresso, e ciò per l’intervento di modifiche in corso d’opera, in assenza, peraltro, di concessioni in variante. La Corte di Roma ha quindi ricordato che, in tema di disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, ove lo spazio da adibire a parcheggio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a tal fine in corso di costruzione e sia stato impiegato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura (diversamente dall’ipotesi in cui allo spazio realizzato conformemente al progetto sia stata data una diversa destinazione in sede di vendita), se possono ravvisarsi a carico del costruttore responsabilità di vario genere, non possono, per contro, individuarsi responsabilità d’ordine privatistico né oneri di ripristino dello status quo ante. Infatti, in tale caso, il bene soggetto ex lege al vincolo pertinenziale (il parcheggio) non è mai venuto ad esistenza e il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione di esso né può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai venuto ad esistenza, ma semmai solo ad una tutela risarcitoria, in ragione dell’ampio campo applicativo proprio degli artt. 871 e 872 cod. civ., in favore degli acquirenti delle singole unità immobiliari. Per questo, la Corte d’appello ha giudicato errata la sentenza gravata nella parte in cui ha, diversamente, ritenuto di poter individuare l’area asservita sulla scorta di unilaterali manifestazioni di volontà della società costruttrice espresse per il rilascio di ulteriori provvedimenti concessori aventi ad oggetto opere diverse dall’edificio cui l’area avrebbe dovuto essere asservita.”
La Corte di legittimità conferma integralmente i principi di diritto espresso dalla Corte di Appello: “La Corte d’appello si è correttamente attenuta al principio secondo cui, in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita a un uso incompatibile con la sua destinazione: qualora lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso (Cass., Sez. II, 22 febbraio 2006, n. 3961; Cass., Sez. II, 7 maggio 2008, n. 11202).
I ricorrenti contestano l’applicazione di questo principio, negando che nella licenza del 1968 i parcheggi fossero al piano pilotis e sostenendo che il provvedimento abilitativo era subordinato alla realizzazione dei parcheggi. Ma si tratta di deduzione generica, che non tiene conto della circostanza che il riconoscimento giudiziale del diritto reale di uso degli spazi destinati a parcheggi può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative (Cass., Sez. Il, 11 febbraio 2009, n. 3393). E, sotto questo profilo, il motivo non spiega come il terreno esterno al lotto ove è avvenuta l’edificazione, acquistato da parte dell’impresa costruttrice nell’agosto del 1970, avesse una destinazione riservata a parcheggio già secondo la licenza del 1968: non spiega, cioè, come la suddetta area risultasse vincolata in base al progetto definitivo relativo alla licenza di costruzione del 1968. D’altra parte, la Corte d’appello ha escluso, con congruo e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, privo di mende logiche e giuridiche, che l’asservimento di tale area possa derivare da unilaterali dichiarazioni del costruttore rivolte al rilascio di ulteriori provvedimenti abilitativi aventi ad oggetto nuove opere, diverse dall’edificio cui l’area avrebbe dovuto essere funzionalmente destinata; e ciò dopo avere accertato, in punto di fatto, sulla scorta dell’indagine compiuta dal tecnico incaricato, che il progetto originario per la costruzione dell’edificio ed il provvedimento concessorio prevedevano la localizzazione degli spazi destinati a parcheggio all’interno dello stesso lotto edificando (in una sorta di piano pilotis e, in parte, in due zone laterali sulle testate dell’edificio).”