il condomino che cede la propria unità non può escludere dal trasferimento le parti comuni.

Lo ha stabilito la Cassazione (Cass.civ. sez. II 21/08/2017,  n. 20216), esaminando una ipotesi in cui alcuni condomini avevano venduto la propria unità immobiliare, inserendo nell’atto la clausola che escludeva il cortile condominiale dal trasferimento.

Secondo la Corte di Appello di Firenze “ posto che il cortile in questione era pacificamente di proprietà del Condominio (OMISSIS), doveva ritenersi nulla e inopponibile agli altri condomini la clausola di riserva con cui essi, nel trasferire la proprietà di un appartamento a terzi, si erano riservati la comproprietà del cortile sia perchè gli altri condomini non avevano partecipato all’atto sia perchè le proprietà comuni non sono scindibili dalle proprietà condominiali cui accedono. Non avendo dunque gli attori appellanti provato l’esistenza di un valido titolo di comproprietà del resede, la loro pretesa, secondo la Corte di merito, non meritava accoglimento.”

La Corte di legittimità conferma la lettura del giudice di merito: Non è nuova la questione di diritto che il Collegio è chiamato ad affrontare (validità, negli atti di trasferimento di singole unità immobiliari facenti parte di un condominio, della clausola di esclusione dalla vendita di alcune parti comuni dell’edificio condominiale).

La Corte, infatti, si è già espressa sulla questione pervenendo alla conclusione che la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni, è nulla, poichè con essa si intende attuare la rinuncia di un condomino alle predette parti, vietata dal capoverso dell’art. 1118 cod. civ. (v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 1680 del 29/01/2015 Rv. 634967; Sez. 2, Sentenza n. 6036 del 29/05/1995 Rv. 492556; Sez. 2, Sentenza n. 3309 del 25/07/1977 Rv. 386857). Si è aggiunto in proposito che se si considerasse valida la vendita che escluda un diritto condominiale, si inciderebbe sulle quote millesimali, in violazione dell’art. 1118 c.c., comma 1. (Sez. 2, Sentenza n. 1680/2015 in motivazione).”

© massimo ginesi 26 settembre 2017

quando il cortile sottostà al regime della comunione

Se al momento in cui sorge il condominio l’originario unico proprietario dell’edificio si riserva la proprietà dell’area esterna, questa non diventa condominiale ai sensi dell’art. 1117 cod.civ.

Ove successivamente costui alieni a più soggetti quell’area, costoro ne godranno in forza del regime di comunione e non di condominio, ivi compresa la presunzione di uguaglianza delle quote.

Lo ha stabilito Corte di Cassazione, sez. VI Civile  24 marzo 2017, n. 7743,  Rel. Scarpa: “Secondo le emergenze documentali di giudizio invocate dalla stessa ricorrente, il Condominio (omissis) , deve intendersi sorto con l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà di V.S.I. mediante alienazione, per atto del 27 luglio 1973, dell’unità immobiliare al secondo piano a S.M. e D.P.L. . Originatasi a tale data la situazione di condominio edilizio, dallo stesso momento doveva intendersi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26766 del 18/12/2014). Va detto che il cortile fa parte delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c., per tale intendendosi qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti, ma anche comprensivo dei vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate degli edifici – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi – sebbene non menzionati espressamente nell’art. 1117 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7889 del 09/06/2000).

Tuttavia, dal titolo del 27 luglio 1973 risultava, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla venditrice V.S.I. la proprietà dello scoperto. La negazione della condominialità dell’area scoperta risale, quindi, irreversibilmente al momento costitutivo del condominio stesso.

Ne consegue che, nel caso in esame: 1) essendo sorto “ipso iure et facto” il condominio (omissis) al momento dell’atto del 27 luglio 1973, quando l’originaria unica proprietaria V.S.I. ebbe ad alienare a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata; 2) ed essendosi la medesima venditrice, in quello stesso momento, riservata la qualità di proprietaria esclusiva dell’area scoperta; 3) V.S.I. ha poi disposto della stessa area scoperta come proprietaria unica di detto bene con la compravendita del 17 marzo 1981, la quale comprendeva nella comproprietà ceduta a S.G. anche lo scoperto.

Non avendo tale atto costitutivo della comproprietà sull’area scoperta determinato la quota spettante a ciascuno dei due comproprietari sulla cosa comune, opera in questa ipotesi la presunzione di pari entità delle quote dei partecipanti alla comunione, fissata dall’art. 1101, comma 1, c.c..”

© massimo ginesi 28 marzo 2017

lastrico solare, solo una espressa pattuizione nel titolo fonda la proprietà esclusiva

Il lastrico solare, in quanto destinato a copertura dell’edificio, costituisce uno dei beni funzionalmente destinati all’uso comune e che pertanto si devono ritenere condominiali ai sensi dell’art. 1117 cod.civ.

E’ la stessa norma che prevede tale presunzione di condominialità per i beni ivi elencati (in via esemplificativa e non tassativa), salvo che il contrario risulti dal titolo.

Il costruttore  del fabbricato condominiale dovrà dunque provare di aver riservato a sè, negli atti di vendita ai condomini, la proprietà esclusiva del lastrico, essendo unicamente tale presupposto a fondare la titolarità esclusiva del bene che – in difetto – deve ritenersi comune.

A tal fine sono irrilevanti sia gli interventi di modificazione compiuti dal costruttore  sul bene sia il fatto che i condomini che ne rivendicano la proprietà comune non abbiano accesso diretto alla copertura.

Si tratta di principi noti e consolidati, che la Cassazione ha anche di recente ribadito nella

sentenza 16 febbraio – 5 maggio 2016, n. 9035