caduta nelle scale condominiali: non sempre il condominio ne risponde

il fatto colposo della vittima vale ad interrompere il nesso di causalità previsto dall’art. 2051 c.c.: il soggetto che cade lungo le scale condominiali a causa di una macchia ben visibile e percepibile potrà rimproverare solo se stesso e non potrà reclamare alcun risarcimento dal condominio.

 La cassazione (Cass.civ. sez. VI 16 ottobre 2019 n. 26258)  richiama un orientamento consolidato

Sostiene il ricorrente, infatti, che la Corte di appello avrebbe preteso da lui l’onere di fornire la prova che la macchia sulla quale cadde fosse invisibile; e che, non avendo egli fornito tale prova, la sua domanda sia stata per questa ragione rigettata.

In realtà, esaminando la sentenza impugnata nel suo complesso, ci si avvede che la Corte d’appello non ha affatto risolto la questione ad essa devoluta applicando il principio actore non probante, remi absolvitur.

La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto:

(a) in punto di fatto, che la macchia sulla quale scivolò l’odierno ricorrente fosse “ben visibile” (così la sentenza d’appello, p. 4, primo capoverso);

(b) in punto di diritto, che la circostanza che la vittima non si sia avveduta d’una insidia percepibile con l’ordinaria diligenza costituisca, per il proprietario della cosa dannosa, un “caso fortuito”, come tale idoneo a liberare il custode dalla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. (ibidem, p. 4, ultimo capoverso).

La decisione d’appello, pertanto, non ha affatto risolto la controversia in base al criterio dell’onere della prova: ha, al contrario, ritenuto che la condotta della vittima (consistita nel non percepire un’insidia agevolmente percepibile) abbia rappresentato la causa unica del danno, esonerando da responsabilità il condominio.

Tale valutazione è conforme al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di danni causati da cose in custodia, il fatto colposo della vittima può escludere il nesso di causa tra la cosa e il danno, in misura tanto maggiore, quanto più il pericolo era prevedibile ed evitabile. E’, pertanto, possibile anche che la distrazione o imprudenza della vittima siano di tale intensità o di tale anomalia, da porsi quale fattore causale esclusivo nella produzione dell’evento (per tutti i rilievi che precedono si veda, da ultimo, Sez. 3 -, Ordinanza n. 2482 del 01/02/2018, Rv. 647936 – 02).”

© massimo ginesi 30 ottobre 2019 

la spesa per l’illuminazione e la pulizia delle scale va ripartita in forza dell’art. 1124 cod.civ., salvo diversa convenzione.

 

E’ quanto statuisce Cass.Civ. sez.VI-2 ord. 13 novembre 2018 n. 29217 rel. Scarpa nel censurare la sentenza di merito (corte d’appello di Milano) che aveva ritenuto lecito il riparto ai sensi dell’art. 1123 comma I cod.civ. della spesa:Va soltanto premesso che le clausole di un regolamento di condominio hanno natura regolamentare, organizzativa o contrattuale, sicché l’interpretazione o l’applicazione di esse fatta dal giudice del merito non può essere denunciata in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per tali intendendosi soltanto quelle risultanti dal sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico. L’omesso o errato esame di una disposizione del regolamento di condominio da parte del giudice di merito è, piuttosto, sindacabile in sede di legittimità soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica oppure per vizi logici sub specie del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406; Cass. Sez. 2, 14/07/2000, n. 9355; Cass. Sez. 2, 31/07/2009, n. 17893).

Ora, una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., va ritenuta nulla per impossibilità dell’oggetto, giacché tale statuizione, incidendo sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata dalla legge o per contratto, eccede le attribuzioni dell’assemblea e pertanto richiede, per la propria approvazione, l’accordo unanime di tutti i condomini, quale espressione della loro autonomia negoziale (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233; Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651).

Si ha riguardo, nella specie, alla ripartizione delle spese di pulizia e di illuminazione delle scale.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale più recente, la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale va effettuata in base al criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano cui esse servono, in applicazioneanalogica, in parte qua, dell’art. 1124 c.c., il quale è espressione del principio generale posto dall’art. 1123, comma2, c.c., e trova la propria ratio nella considerazione di fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi (Cass. Sez. 2, 12/01/2007, n. 432) .

Ai fini di tale ripartizione, rimane ininfluente la destinazione in atto delle singole unità immobiliari.

Analogamente tale interpretazione risolve la questione della ripartizione delle spese per l’illuminazione delle scale. Anche tali spese attengono, invero, ad un servizio del quale i condomini godono (o al quale danno causa) in misura maggiore o minore a seconda dell’altezza di piano, visto che il proprietario dell’ultimo piano utilizza l’illuminazione di tutta la tromba delle scale, mentre il proprietario del primo piano utilizza solo l’illuminazione della prima rampa: non potendosi riconoscere all’assemblea un potere discrezionale nella suddivisione dei contributi, la soluzione adottata in giurisprudenza è quella dell’applicazione analogica dell’art. 1124 c.c., utilizzando per intero l’indice dell’altezza di piano.

Dal fondamento delle spese di pulizia e di illuminazione delle scale discende, in difetto di diversa convenzione, l’obbligo di contribuzione gravante pure sui condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché anche tali condomini fruiscono delle scale (arg. da Cass. Sez. 2, 20/4/2017, n. 9986; Cass. Sez. 2, 10/07/2007, n. 15444; Cass. Sez. 2, 06/06/1977, n. 2328).

Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello di ripartizione delle spese di pulizia e di illuminazione delle scale può essere derogato mediante convenzione modificatrice della disciplina codicistica contenuta o nel regolamento condominiale “di natura contrattuale”, o in una deliberazione dell’assemblea approvata all’unanimità da tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 24/02/2017, n. 4844; Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).

È in ogni caso necessario, perché sia giustificata l’applicazione di un criterio di ripartizione delle spese diverso da quello legale, commisurato alla quota di proprietà di ciascun condomino, che la deroga convenzionale sia prevista espressamente (Cass. Sez. 2, 29/01/2000, n. 1033).

A tali principi non si è uniformata l’impugnata sentenza, avendo essa ritenuto sussistente una disciplina convenzionale idonea a ripartire sia le spese di pulizia che quelle di illuminazione delle scale per millesimi di proprietà, in deroga al criterio legale altrimenti operante di cui all’art. 1124 c.c., in base ad una clausola del regolamento di condominio (articolo 14) che, per quanto accertato in fatto dalla stessa Corte d’Appello di Milano, individua espressamente fra le spese che “saranno ripartite tra tutti i condomini proporzionalmente alle misure di tanti millesimi come l’articolo 18″… “quelle di interesse generale … come illuminazione comune”.

Il fatto che per le spese di illuminazione, specificamente indicate nel regolamento tra quelle comuni, la misura della partecipazione di ciascun condomino risulti determinata in misura a quella corrispondente alla rispettiva quota millesimale di proprietà esclusiva, non implica che tale misura si estenda alle restanti spese di manutenzione delle scale, ovvero, nella specie, a quelle di pulizia, per le quali, in assenza di una diversa convenzione, va applicato, come, visto, il criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano a cui esse servono, in applicazione analogica dell’art.1124 c.c.”

 

art. 1124 cod.civ.: fondi terranei e valutazione del parametro dell’altezza nella ripartizione della spesa per scale ed ascensori

L’art. 1124 cod.civ. prevede che le spese per scale ed ascensori siano ripartite per metà in funzione della quota millesimale di ciascuna unità e per metà in funzione dell’altezza dal suolo.

La riforma del 2012 ha recepito nel tessuto normativo l’indicazione giurisprudenziale che estendeva la norma al riparto delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori ed ha specificato, con riguardo all’altezza dal suolo, che metà della spesa dovrà essere imputata  “esclusivamente” in funzione di quel parametro.

Ci si è chiesti se, in presenza  di più unità poste allo stesso piano, queste rispondano per la metà suddivisa in funzione dell’altezza in misura paritaria oppure se, ferma l’identità di piano, la quota relativa dovesse tener conto anche della diversa estensione millesimale.

Nel primo caso 4 unità poste al terzo piano avrebbero risposto per metà della spesa in misura uguale, nel secondo la spesa – fermo il coefficiente di piano – sarebbe stata comunque ripartita in funzione del diverso valore millesimali delle quattro unità.

E’ il tema affrontato da un recente sentenza del Tribunale apuano  (Trib. Massa 12 ottobre 2018 n. 712) che pronuncia in via definitiva su una complessa vicenda che ha visto l’accertamento della proprietà comune di una scala:“… i due punti controversi attengono unicamente alla imputazione delle spese ai fondi terranei (e dunque alla attribuzione di un valore nella relativa tabella per il riparto degli oneri relativi alle scale) e le modalità di calcolo del coefficiente di altezza con riguardo al 50% che l’art. 1124 c.c. prevede sia calcolato secondo tale parametro.

Con riguardo ai fondi terranei posti nel condominio C., va osservato che tale complesso edilizio appare formato – come già rilevato nella sentenza che ha accertato la proprietà comune delle scale a tutti i condomini – da diversi corpi di fabbrica, serviti da diverse copertura che tuttavia, per la loro natura e ubicazione, non appaiono riconducibili ad ipotesi di parzialità ex art 1123 comma III c.c., come ha ampiamente documentato il CTU, che pure ha tenuto conto nella valutazione delle specifiche caratteristiche di ubicazione di ogni immobile.

Ne deriva che la scala per cui è causa va ritenuto comune anche ai fondi terranei poiché, aldilà della sua specifica idoneità ad accedere al tetto, rappresenta comunque un elemento strutturale ed indispensabile per accedere all’edificio multipiano, le cui strutture (non solo di copertura) rimangono comunque beni comuni a tutti ex art 1117 c.c.

Per tali ragioni le relative spese andranno imputate anche ai fondi, secondo un orientamento della giurisprudenza che appare ormai consolidato (ex multis Cass. 12 settembre 2018 n. 22157, Cass. 20 aprile 2017 n. 9986, Cass. 10 luglio 2007 n. 15444); appare peraltro evidente che tali unità contribuiranno unicamente per la metà relativa al valore millesimale (App. Napoli 1.6.2017 n. 2404), essendo pari a zero il coefficiente di altezza, secondo principi già espressi nella relazione al codice del 1942 e come è chiaramente espresso dall’art. 1124 comma II c.c.

Più complessa appare la problematica relativa all’applicazione del parametro altezza previsto dall’art. 1124 c.c., posto che talune delle parti in causa – ovviamente in funzione del vantaggio che alle stesse ne deriva – sostengono che fra più unità poste allo stesso piano debba comunque valutarsi anche la loro diversa consistenza ed altre ritengono invece che il parametro dell’altezza – in base al quale va ripartito il 50% delle spese – vada considerato puro, ovvero calcolando il solo dato della elevazione dal suolo, indipendentemente dalla diversa caratura millesimale delle unità ivi poste.

Tale ultima soluzione appare più rispondente alla ratio della norma, che considera già la diversa consistenza delle unità immobiliari imputando metà delle spese secondo i valori generali previsti dall’art. 1123 c.c.

Quanto all’altra metà delle spese, l’art. 1124 c.c. – così come modificato dalla novella del 2012 – prevede siano calcolate “esclusivamente” in base all’altezza dal suolo.

L’introduzione dell’avverbio esclusivamente pare collocarsi in un’ottica di continuità e ulteriore conferma rispetto a quanto già era contenuto nella relazione del Guardasigilli al codice civile del 1942 ove si affermava “”per quanto riguarda le scale ho abbandonato il sistema del codice del 1865 che poneva le relative spese a carico dei proprietari di quei piani a cui serviva ciascun tratto di scala, in ragione del valore dei piani stessi… Ho ripartito invece le spese per la manutenzione e ricostruzione tra i proprietari dei diversi piani, a cui le scale servono, per metà in ragione dei singoli piani e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. E’ giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano in misura maggiore, perché è da presumere che con il maggior uso diano luogo a maggior consumo delle scale”

Tale criterio misto rappresenta indubbiamente una applicazione ponderata della norma generale di cui all’art. 1123 comma II c.c., con predeterminazione della quota di contribuzione parametrata alla diversa utilità tratta dal bene a seconda della posizione della unità immobiliare a cui la scala serve (Cass. 12.1.2007 n. 432)

La diversa consistenza delle unità e quindi la necessità di evitare disparità con riguardo a beni di diversa entità, valore e ampiezza è già considerata nella metà della spesa che l’art. 1124 c.c. impone di ripartire secondo i principi generali di proporzionalità previsti dall’art. 1123 comma I c.c., sì che parrebbe un’ulteriore e non consentita reiterazione di tale principio – con diluzione del parametro di piano voluto dal legislatore – tornare a distinguere, per la determinazione della quota ripartita in funzione dell’altezza, il valore delle singole unità poste a quel piano; non appare secondario, in tal senso, tenere conto della attuale indicazione della norma (“esclusivamente”), che pare ribadire e puntualizzare i principi generali sottesi alla adozione del precetto sin dal codice del 1942, tenuto conto che, per il parametro dell’altezza, deve valere unicamente il criterio del maggior uso e della maggior utilità – in senso potenziale – effettuato dai condomini dei piani alti, criteri con riferimento ai quali la estensione delle relative unità poste a ciascun livello non ha diretta ed effettiva incidenza (arg. dalle cit. cass. 22157/2018 e Cass. 432/2007).

Peraltro che il criterio dell’altezza di piano debba essere applicato in maniera pura, con riguardo a quelle utilità che si ritraggono in funzione della posizione della unità di proprietà individuale all’interno dell’edificio in condominio, è principio che pare conforme alla natura mista della norma codicistica che, da un lato, valorizza il parametro legato all’uso e alle utilità potenziali (che certamente le unità collocate ai piani alti traggono in misura maggiore) e, dall’altro, tiene comunque conto del valore millesimale delle diverse unità poiché, come si è osservato acutamente in dottrina, “il legislatore sa pure che il godimento delle scale non è bene perfettamente misurabile, e, dunque, è irrinunciabile tenere in considerazione paritariamente la quota millesimale”

© Massimo Ginesi 16 ottobre 2018 

 

scivolata sulle scale condominiali: compete al danneggiato la prova del nesso di causalità.

Il condominio è custode dei beni comuni e risponde ai sensi dell’art. 2051 cod.civ. dei danni che derivino da tali beni; la norma prevede notoriamente un’inversione dell’onere della prova, sì che sarà il custode a dover dimostrare di aver fatto tutto quanto in proprio potere per evitare il danno (il.c.d. fortuito).

Rimane tuttavia in capo al danneggiato l’onere di provare il nesso  di causa fra il bene e il danno lamentato: in forza di tale principio la suprema corte (Cass.Civ. Sez. VI 8 maggio 2018 n. 10986) ha respinto il ricorso di un condomino che assumeva di aver subito lesioni in conseguenza di una caduta nelle scale condominiali, dovuta alla presenza di sostanza oleosa sui gradini, poichè risultava che lo stesso stesse percorrendo le medesime con entrambe le mani occupate dalle borse della spesa, adottando dunque  una condotta colposa che si inserisce quale elemento interruttivo del nesso causale fra la res e l’evento.

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© massimo ginesi 10 maggio 2018

 

Ancora sulla responsabilità da cosa in custodia: caduta nelle scale del condominio.

 

Una fattispecie davvero particolare affrontata dalla Cassazione (Cass. civ. sez. III 31 ottobre 2017 n. 25856) in tema di responsabilità del condominio .

Una donna scivola lungo le scale condominiali ,  a causa di un materiale sparso  da un sacchetto dell’immondizia lasciato sulle scale, riporta lesioni e fa causa  al condominio per essere risarcita, vedendo la sua domanda respinta sia in primo che in secondo grado.

Il giudice di legittimità si richiama a princpi consolidati in tema di imputabilità del fatto dannoso e di responsabilità da cosa in custodia.

Da un lato osserva che il sacchetto lasciato sulle scale da qualche condomino è fatto imprevedibile che interrempe il nesso causale con il condominio, dall’altro richiama gli ordinari princpi in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato, che deve comunque adottare l’opportuna diligenza nei fatti quotidiani della vita.

“la corte di merito ha ritenuto in fatto  e con valutazione fondata su adeguata motivazione, come tale non sindacabile in questa sede,  che la ricorrente era caduta scivolando sui residui di un sacchetto di immondizia lasciato aperto sulle scale condominiali, e che tale circostanza rappresentava un evento estraneo alla sfera di custodia dell’amministratore del condominio, eccezionale, imprevedibile e non evitabile, tale da poter configurare il caso fortuito, e quindi costituiva l’unica causa del danno, il che era sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..

L’esclusione della sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, escludono in radice, d’altra parte, la possibilità di affermare una responsabilità per colpa ai sensi dell’art. 2043 c.c. da parte dello stesso amministratore del condominio”

La corte coglie poi l’occasione per ripercorrere i criteri generali della responsabilità da custodia, aldilà dell’ambito condominiale, parametri che sono comunque utili a delineare i confini entro i quali  il condominio potrebbe essere chiamato a rispondere del danno subito dal terzo.

“a) in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S. C. ha ritenuto eziologiamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada) (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01);

b) ai sensi dell’art. 2051 c. c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01);

c) in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato» (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01)”

© massimo ginesi 7 novembre 2017

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videosorveglianza: non è reato riprendere le scale condominiali.

L’installazione di una telecamera da parte di un singolo condomino all’esterno della propria unità, che riprenda il pianerottolo e parte delle scale, non costituisce condotta a rilevanza penale.

In particolare, secondo la Cassazione ( Cass.pen. sez. V 12 luglio 2017, n. 34151) tale condotta non integra gli estremi dell’art. 615 bis cod.pen. che punisce le interferenze illecite nella vita privata.

i fatti avevano portato alla condanna dell’imputato in primo grado, poi assolto in appello: “Ti. Ro. – condomino di uno stabile condiviso con i coniugi Al./Bi. – era stato condannato dalTribunale di Palermo per il reato di cui all’art. 615/bis cod. pen. per aver installato una telecamera sul muro del pianerottolo condominiale, nella parte contigua alla porta d’ingresso della propria abitazione, con cui inquadrava la porzione di pianerottolo prospiciente la porta suddetta, nonché “la rampa delle scale condominiali e una larga parte del pianerottolo condominiale”, in tal modo videoregistrando chiunque entrasse nel raggio d’azione della telecamera. Secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, la telecamera inquadrava anche la porta d’ingresso dei coniugi Al.-Bi., prospiciente quella dell’imputato, allorché era chiusa l’anta della finestra che illuminava il pianerottolo condominiale: anta che, proprio per evitare l’indebita interferenza, i coniugi Al.-Bi. cercavano di tenere sempre aperta.

La Corte d’appello di Palermo – andando di contrario avviso rispetto al giudice di prima cura – ha assolto Ti. per insussistenza del fatto. Ad avviso del giudice di secondo grado, il pianerottolocondominiale non rientra nella nozione di privata dimora, di cui all’art. 614 cod. pen. (richiamato dall’art. 615/bis cod. pen.), e la telecamera di cui si discute – puntata sulla rampa di scale poste accanto alla porta d’ingresso dell’imputato – “aveva un raggio di ripresa che evidentemente interessava soltanto l’uscio di casa del Ti. e solo parte del pianerottolo”, tant’è che neppure la rampa di scale che porta al piano superiore era completamente ripresa.”

LA cassazione ha confermato la lettura di secondo grado, rilevando che pianerottolo e parti comuni non possono, in genere, essere ritenuti luoghi di privata dimora: L’art. 615/bis è funzionale alla tutela della sfera privata della persona che trova estrinsecazione nei luoghi indicati nell’art. 614 cod. pen.; vale a dire, nell’abitazione e nei luoghi di privata dimora, oltre nelle “appartenenze” di essi. Si tratta di nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli svolge la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza.

Peraltro, proprio l’oggetto giuridico della tutela presuppone uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui, sia nel senso che altri non possano accedervi senza il consenso del titolare del diritto, sia nel senso che sia destinato a rimanere riservato ciò che avviene in quello spazio.

Le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all’art. 615 bis c.p. non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese (si vedano: Cass. 10-11-06 n. 5591, Rv. 236120, la quale ha escluso che comportino interferenze illecite nella vita privata le videoriprese del “pianerottolo” di un’abitazione privata, oltre che dell’area antistante l’ingresso di un garage condominiale; Cass., n. 37530 del 25-10-06, Rv. 235027, con riguardo alle videoregistrazioni dell’ingresso e del piazzale di accesso a un edificio sede dell’attività di una società commerciale; Cass., n. 44701 del 29/10/2008, Rv. 242588, ancora una volta con riguardo alle riprese di un’area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso).”

Il fatto che tale condotta non costituisca reato, non significa che sotto il profilo civile l’installazione possa risultare comunque illecita, atteso che sia il garante della privacy (provv. 8.4.2010) che la Cassazione (Cass. 26.11.2008 n. 44156) hanno ritenuto illecita la telecamera installata dal singolo il cui angolo di ripresa non sia limitato unicamente alla sua proprietà esclusiva (ad esempio il portone di ingresso9).

© massimo ginesi 27 luglio 2017 

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scale e androne: pagano anche i fondi con accesso esterno

La Cassazione conferma un orientamento ormai consolidato, secondo il quale le scale costituiscono elemento imprescindibile per l’esistenza di un fabbricato multi piano e quindi sono comuni anche ai fondi che hanno accesso autonomo dalla strada che sono, quindi, tenuti alle spese per la loro conservazione, salvo diversa convenzione pattizia e seppure in misura ridotta.

La sentenza ( Cass. civ. sez. II 20 aprile 2017 n. 9986) richiama orientamenti risalenti, con indubbie aperture di riflessione, anche se l’iter argomentativo non brilla per linearità e armonia.

Il ricorrente, per escludere la propria obbligazione in ordine alle scale, avanza la tesi che che “ai fini della approvazione dei lavori di sistemazione dell’androne e delle scale (…) la validità della delibera debba essere verificata con riferimento ai millesimi dei soli condomini interessati ai lavori in parola (…) e non di tutti i condomini del fabbricato”, tesi che la corte disattende in maniera drastica.

A tal proposito  la corte di legittimità richiama “l’insegnamento secondo cui l’androne e le scale di un edificio sono oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 cod.civ. anche dei proprietari dei locali terrene, che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato come diviso in proprietà individuali, per piani o porzioni di piano, e rappresentano inoltre, tramite indispensabile per il godimento e la conservazione, da parte od a vantaggio di detti soggetti, delle strutture di copertura, a tetto od a terrazza” (Cfr. Cass. 5.2.1979 n. 761)  

Dunque “le scale, essendo elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, conservano la qualità di parti comuni, così come indicato nell’art. 1117 cod.civ., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi con accesso dalla strada, in assenza di titolo contrario, poiché anche tali condomini ne fruiscono quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio”   

La Corte ricorda comunque un orientamento del 1994 (Cass. 27.9.1994 n. 7885) in forza del quale ben potrebbe darsi, in tale ipotesi, la figura del condominio parziale, “quantomeno in dipendenza della estraneità ad esso dei proprietari dei locali terranei aventi accesso direttamente dalla strada”

Al fine di ricondurre tuttavia la figura del condominio parziale  al solo aspetto gestionale e non relativo alla titolarità del bene, il giudice di legittimità ricorda altre due pronunce (Cass. 21.1.2000 n. 651 e Cass. 2.3.2016 n. 4127) rilevando che, salvo diversa convenzione, per  l’utilità comunque marginale che – anche in caso di più scale destinate a servire diversi ‘blocchi’ dell’edificio – le stesse rendono a tutti i condomini dell’edificio, devono comunque ritenersi comuni a tutti, che  saranno tenuti in virtù di quella utilità ridotta e astratta che si è sopra evidenziata e che impedisce l’applicazione sic et simpliciter dell’art. 1123 III comma cod.civ.

La Corte, con un percorso non privo di qualche scossone logico, fa proprio un precedente del 1977 (Cass. 6.6.1977 n. 2328) ” a tenor  del quale, ove nell’edificio condominiale siano compresi locali forniti di accesso diverso dall’androne e dal vano scale, anche i proprietari di detti locali sono tenuti a concorrere, sia pure in misura minore, alle spese di manutenzione … in rapporto e in proporzione alla utilità che anche essi possono in ipotesi trarne quali condomini”

Coloro che sino ad oggi hanno ritenuto l’edificio con più scale ipotesi paradigmatica della disciplina dettata dall’art. 1123 cod.civ. non possono che porsi qualche domanda e smarrirsi fra le righe della parte motiva  della sentenza chiedendosi – aldilà dell’ipotesi disciplinata in via convenzionale – se ed in quale misura debba applicarsi l’ipotesi del condominio parziale in un edificio con più scale e se davvero in tale ipotesi – come sembra affermato nella pronuncia odierna – tutti i condomini siano comunque tenuti, in qualche misura, alla contribuzione di tutte le scale in quanto potenzialmente utili a ciascuno di loro.

Per coloro che intendano meglio riflettere sull’orientamento della suprema corte,  è opportuna la lettura integrale della sentenza.

© massimo ginesi 30 maggio 2017 

ascensore e regolamento di condominio: le spese vanno ripartite in forza dell’art. 1124 cod.civ.

Una interessante e recentissima pronuncia della Cassazione (Cass. civ. VI – 2 sez. 28 marzo 2017 n. 8015, rel. Scarpa) affronta un caso bizzarro: in un fabbricato in condominio sussiste regolamento di natura contrattuale in cui è previsto che le spese per la manutenzione delle scale avvenga ai sensi dell’art. 1124 cod.civ.; negli atti di acquisto dei condomini è altresì previsto che “la ripartizione delle spese condominiali verrà fatta in proporzione ai millesimi di proprietà e in conformità a quanto disposto dal regolamento di condominio”.

Nulla si dice in tema di ascensore, sicchè il Condominio ha ritenuto che ciò costituisse deroga convenzionale ai criteri di riparto ed ha attribuito le spese di ascensore in ragione dei millesimi generali  ex art. 1123 I comma cod.civ.: la tesi è  quantomeno singolare, eppure  ha trovato avvallo sia dal Tribunale di Verona che dalla Corte di Appello di Venezia, che hanno respinto nel merito  l’impugnativa di uno dei condomini.

Costui ricorre in Cassazione, rilevando anche un altro vizio della decisione di secondo grado relativo alla celebrazione della assemblea e alla partecipazione per delega dei condomini: in quel fabbricato il regolamento prevedeva che i partecipanti non potessero recare più di due deleghe, mentre nella delibera impugnata l’amministratore era portatore di tre deleghe (i fatti sono anteriori al 2012 e quindi non vedono diretta applicazione dell’art. 67 disp. att. cod.civ. oggi in vigore). I giudici di merito hanno ritenuto che, poichè il voto espresso da colui che portava deleghe in numero superiore non risultava decisivo, la doglianza era infondata (c.d. prova di resistenza).

La Suprema Corte riconosce invece fondati entrambi i motivi, con argomentazioni che è opportuno riportare per esteso.

SUL RIPARTO DELLE SPESE DI ASCENSORE: “Secondo l’orientamento del tutto consolidato di questa Corte, la regola posta dall’art. 1124 c.c. relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo) in mancanza di criteri convenzionali, è applicabile per analogia, ricorrendo l’identica “ratio” (e poi proprio ex lege, a seguito della riformulazione dell’art. 1124 c.c. operata della legge n. 220/2012, qui non operante ratione temporis), alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (su cui incide il logorio dell’impianto, proporzionale all’altezza dei piani). Pertanto l’impianto di ascensore è di proprietà comune – secondo la presunzione di cui all’art. 1117 n. 3 c.c., in mancanza di titolo contrario – fra tutti i condomini in proporzione al valore dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva (art. 1118 c.c.) e la ripartizione delle spese relative all’ascensore è regolata dai criteri stabiliti dall’art. 1124 c.c. e dall’art. 1123 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 17/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5975 del 25/03/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2833 del 25/03/1999).

Anche il criterio di ripartizione delle spese condominiali stabilito dall’art. 1124 c.c., e quindi operante per la manutenzione dell’ascensore, può essere derogato, come prevede l’art. 1123 c.c., e il relativo accordo modificatore della disciplina legale di ripartizione può essere contenuto sia nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), sia in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini. La deroga ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali suppone, tuttavia, un’espressa convenzione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16321 del 04/08/2016, non massimata; Cass. Sez. 2, Sentenza n.28679 del 23/12/2011).

Proprio perche, in base all’art. 1124 c.c., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e degli ascensori vanno assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e le altre, la clausola del regolamento condominiale che dispone che le spese di manutenzione delle scale vadano ripartite secondo l’art. 1124 c.c. non può affatto essere intesa come convenzione contraria alla suddivisione delle spese di manutenzione degli ascensori secondo lo stesso criterio; né tanto meno vale quale deroga all’art. 1124 c.c. la clausola contenuta nell’atto di acquisto che prevede che la ripartizione delle spese condominiali avvenga secondo i millesimi e in conformità a quanto disposto dal regolamento.”

SULLE DELEGHE: “La Corte d’Appello, invocando la cosiddetta prova della resistenza, ha escluso l’invalidità della deliberazione impugnata, nella quale l’amministratore ha esercitato il diritto di voto munito di tre deleghe, in violazione dell’art. 18 del regolamento condominiale, che stabilisce che nessuno possa rappresentare in assemblea più di due condomini.

Secondo, però, l’orientamento di questa Corte, la clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, riducendolo, come nella specie, a non più di due deleghe, regola l’esercizio del diritto di ciascun condomino di intervenire in questa a mezzo di delegati (art. 67, comma 1, disp. att. c.c., anch’esso modificato dalla legge n. 220/2012 con riformulazione qui non applicabile ratione temporis), inderogabile (secondo quanto si evince dal successivo art. 72) giacchè posto a presidio della superiore esigenza di garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5315 del 29/05/1998).

Sicchè la partecipazione all’assemblea condominiale di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento di condominio, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un’ipotesi di annullabilità della stessa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7402 del 12/12/1986), senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l’approvazione della deliberazione stessa.”

© massimo ginesi 4 aprile 2017

 

 

la disciplina sull’abbattimento delle barriere architettoniche prevale sul regolamento contrattuale.

La Corte di Cassazione, con recentissima sentenza (Cass. civ. II sez. 28 marzo 2017 n. 7938),  riafferma la valenza sociale delle norme in tema di barriere architettoniche e la prevalenza della relativa disciplina sulla autonomia privata.

La riconducibilità della normativa sui disabili alla funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) è stata più volte espressa dalla giurisprudenza anche costituzionale (Corte Costituzionale 29 aprile – 10 maggio 1999 – n. 167).

La circostanza che, per l’applicazione di quei principi, non sia necessaria l’effettiva presenza di un soggetto disabile fra i condomini rappresenta altresì costante orientamento della giurisprudenza di merito e legittimità fin dalle prime applicazioni della L. 13/1989.

L’odierna pronuncia contiene un principio di diritto di sicuro rilievo ed interesse, ma per le ampie e approfondite considerazioni sul tema merita lettura integrale: “In materia di eliminazioni di barriera architettoniche la legge 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, sì che la soprelevazione del preesistente impianto di ascensore e il conseguente ampliamento della scala padronale, non possono essere esclusi unicamente in forza di una disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione di qualunque opera che  interessi le strutture portanti, modifichi impianti generali o comunque alteri l’aspetto architettonico dell’edificio, all’autorizzazione del condominio.

Tale disposizione del regolamento condominiale risulta infatti recessiva rispetto alla esecuzione di opere indispensabili ai fini di un effettiva abitabilità dell’immobile, dovendo in tal caso verificarsi che dette opere, se effettuate a spese del condomino interessato, rispettino i limiti previsti dall’articolo 1102 codice civile.

Nel compiere tale verifica il giudice di merito dovrà tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi  anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettiva utilizzazione  da parte di costoro degli edifici interessati.”

© massimo ginesi 29 marzo 2017

scale in supercondominio: di chi sono e a che titolo? quanti problemi…

Accade con frequenza che un immobile posto in un edificio complesso,  ascrivibile alla fattispecie del c.d. supercondominio (oggi espressamente disciplinata dall’art. 1117 bis. cod.civ. )  e munito di più ingressi  distinti da autonomi numeri civici,  sia servito dalle scale che si dipartono  sia dall’uno che dall’altro androne.

Le une servono un’ala dell’edificio e le altre la restante parte, tuttavia una specifica unità immobiliare si giova – per la sua conformazione – di entrambe e, poiché nel suo titolo di acquisto si specifica che su una delle scale ha “diritto di passo”, il titolare ritiene di essere esonerato dalle spese della scala su cui ritiene di transitare solo a titolo di servitù di passo.

Nel fabbricato, proprio per la sua complessità (e litigiosità), da tempo non si riescono ad approvare le tabelle millesimali e così le diverse spese – ivi comprese quelle per i lavori straordinari a detta scala – vengono ripartite, salvo conguaglio, in forza di una tabella provvisoria e  mai approvata, che tuttavia attribuisce anche a quel condomino i millesimi scale su entrambi i manufatti.

Costui impugna le delibere, assumendone l’illiceità e chiedendo al Tribunale – oltre alla cassazione dei deliberati –  che venga accertata che la proprietà della scala incriminata è da riconoscere solo  in capo ai condomini del numero civico X , che in suo favore sussiste su tale scala unicamente di una servitù di passo, con conseguente esonero dalle spese e – in via subordinata – che vengano adottate in via giudiziale  le tabelle millesimali che il condominio, nonostante diversi tentativi, non è mai riuscito ad approvare.

Il Tribunale di Massa, con sentenza parziale 5 dicembre 2016, si pronuncia sulle diverse domande, evidenziando diversi profili che possono risultare di interesse applicativo generale.

Il giudice di merito osserva che: “La domanda di parte attrice risulta fondata unicamente in ordine alla richiesta di determinazione dei millesimi in via definitiva e solo in tal senso dovrà e potrà essere accolta.
Risultano invece infondate le domande dell’attrice relative all’accertamento sulla proprietà altrui della scala cui accede alla propria unità dalla via R. A. 13, sull’assunto che ella sarebbe proprietaria unicamente della scala a proprio esclusivo servizio che affaccia sul civico 7 sempre della via R.A., godendo sull’altro manufatto unicamente di servitù di passo nonché  quelle conseguenti e relative alla impugnazione della delibera 18.7.2009. “

a) la titolarità delle scale,  bene tendenzialmente comune. 

Il Tribunale si sofferma preliminarmente sulla natura delle scale quale bene necessariamente comune, salvo diversa qualificazione del titolo o in base alla funzione eventualmente limitata   ad alcuni condomini  cui siano destinate, laddove la funzione principale e comune di mobilità e accesso all’interno del complesso edilizio sia assolta da altro manufatto.

“…non può non rilevarsi come il complesso edilizio denominato oggi Condominio C. debba essere ascritto al genus dei fabbricati edilizi complessi, disciplinati dall’art. 1117 bis cod.civ. (così come introdotto dalla legge 220/2012) fattispecie in precedenza delineata – con esiti pressoché coincidenti – dalla prevalente giurisprudenza.
Si tratta indubbiamente di fabbricato dalle caratteristiche peculiari, con parti destinate a fornire utilità maggiore (o esclusiva) ad alcuni dei condomini, ma tale ultimo aspetto ove esistente e rilevante dovrà essere risolto nell’ambito dell’art. 1123 III comma cod.civ., senza che possa fungere da  presupposto logico e necessario per affermare l’esistenza di condominii distinti.
Risulta infatti che l’intero complesso immobiliare, per ciò intendendo l’intero involucro edilizio cui si accede dai civici 7 e 13 della via R.A., seppure articolato su più corpi di fabbrica e con coperture parzialmente autonome, non si distingua in unità edilizie funzionalmente autonome e separate dalle altre ma comporti una commistione delle strutture murarie principali, delle falde di copertura, degli ingressi e delle parti comuni che risultano, di volta in volta, destinate a fornire una utilità indistinta all’intero complesso, cui – in forza della norma sopra richiamata – devono ritenersi comuni per funzione ex art. 1117 nn. 1 e 3 cod.civ. , ove ciò già non risulti dal titolo.
La stessa unità immobiliare della attrice risulta posizionata in maniera trasversale rispetto ai due civici contraddistinti dal 7 e dal 13, sicché può accedere da entrambi gli androni e fruire delle scale posizionate in ciascuno, così come – elemento che si rivela ulteriormente qualificante – si estende, seppure parzialmente, anche sotto la copertura della porzione di edificio riconducibile al civico 13 e servita dalla scala oggetto di contesa (poco importa se con verande o portici o stanze, rilevando a tal fine unicamente il perimetro della proprietà esclusiva servita dalle parti comuni).
Tali elementi sarebbero sufficienti a considerare l’immobile un organismo edilizio complesso (c.d. supercondominio), che vede in comune – a mente del disposto di cui agli artt. 1117 e 1117 bis cod.civ. – le parti comuni necessarie alla sua stessa sussistenza.
Non vi è dubbio che, fra queste, vi siano – per costante giurisprudenza – le scale, che non solo servono di accesso alle singole unità, ma sono ritenute elemento necessariamente comune negli edifici multipiano: “Le scale e i relativi pianerottoli, negli edifici in condominio, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile.” Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2016,  n. 4664
Nel caso di specie non risultano titoli, anche alla luce di quanto si dirà in appresso, che attribuiscano le scale in proprietà specifica ad alcuni condomini, mentre esiste con ogni evidenza una destinazione funzionale delle scale oggetto di contesa ad accedere alla unità della attrice, nonchè al tetto che in parte la copre in quella porzione di fabbricato. Ad ulteriore connotazione della funzione collettiva dell’androne del civico 13 e delle scale che dallo stesso si dipartono, va osservato che diversi impianti funzionali all’unità della attrice trovano ivi allocazione.
Non potrà dunque non ritenersi comune anche a detta unità sia l’androne che le scale che hanno accesso dal civico 13 di via R.A. e che svolgono funzione comune all’interno del Condominio C. complessivamente inteso.”

b) eventuali ipotesi di titolarità parziale 

“Semmai, per quelle parti che risultino unicamente destinate a servire solo alcuni condomini, varrà l’esclusione in forza dell’art. 1123 III comma cod.civ. e della conseguente giurisprudenza che – in tal caso – ravvisa anche una proprietà limitata ai soli soggetti che se ne giovano: “Le scale danno accesso alle proprietà esclusive e per tale ragione sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, essendo necessarie all’uso comune. Le obiettive caratteristiche strutturali, per cui dette scale servono in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, ne fanno venire meno in questo caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.” Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016,  n. 7704
In sede di redazione delle tabelle il tecnico dovrà dunque valutare se dette scale, in quanto inidonee a rendere una funzione per taluni dei condomini (anche solo potenziale per l’accesso ad una porzione di tetto che li riguarda), debbano ritenersi di proprietà solo di alcuni, così come dovrà valutare – ai fini della  caratura millesimale – l’effettiva entità della proprietà servita dalla parte comune (in ossequio ai principi stabiliti da Cass. 1451/2014).
Si tratta tuttavia di principi che attengono alla effettiva imputazione della spesa ai singoli condomini relativamente a parti comunque comuni e non già di circostanze che si rivelino idonee ad incidere sulla titolarità delle stesse.
Con la considerazione ulteriore che l’utilità deve essere valutata in senso ampio, astratto e potenziale, per quelle stesse ragioni che attribuiscono anche ai fondi che hanno accesso autonomo dalla strada le relative spese, seppure nella dimidiata misura di cui all’art. 1124 cod.civ. (Cass. n. 4419/2013; n. 15444/2007)
Non vi è dubbio, dunque, che ai fini del giudizio, la scala per cui è controversia risulti con certezza rendere una funzione nei confronti della attrice e debba pertanto essere ritenuta comune anche a costei.

C) il rilievo del titolo, proprietà o servitù?

“A superare tale qualificazione non valgono i titoli addotti dalla A., in forza dei quali l’attrice assumerebbe di essere mera titolare di una servitù di passo e di dover essere dunque esonerata dalle relative spese.
A tal proposito coglie nel segno la difesa della convenuta B., laddove ravvisa nell’atto notaio C. 1.7.1949 l’elemento costitutivo del Condominio C..
Con quella disposizione E.C.C., originaria unica proprietaria dell’intero complesso, cedeva per la prima volta ad un terzo – tal L. R. – una unità posta nel complesso immobiliare, creando così i presupposti per la nascita dell’edificio in condominio che sorge – senza necessità alcuna di atti costitutivi specifici o di regolamenti ad hoc – nel momento in cui almeno due unità immobiliari iniziano ad appartenere a soggetti diversi (Cass.Sez.II 19429/04).
In tale atto non emerge alcuna volontà della E.C.C. né di costituire servitù a favore della proprietà a lei rimasta (e che successivamente alienerà – in parte – al dante causa della odierna attrice) né tantomeno appare desumibile in alcun modo la volontà di dar luogo a più condominii separati, come afferma l’A., apparendo il richiamo al civico di accesso meramente descrittivo della unità effettivamente ceduta.
Non appare qualificante, in tal senso, neanche l’atto di vendita a C. – dante causa della odierna attrice e che acquista con atto notaio C.del 24.10.1953 – in cui il termine “diritto di passo” appare utilizzato in modo atecnico e meramente descrittivo, volto a qualificare unicamente la facoltà di accesso e uso dell’unità venduta anche dalla scala che diparte dal civico 13, che non a caso non è definita appartenete ad altro edificio ma semplicemente “secondaria”, ovvero intesa come manufatto appartenente al medesimo complesso immobiliare ma destinata, per funzione ed uso, a rendere utilità anche a quella specifica unità immobiliare compravenduta e, quindi, anche a lei comune, seppur in affiancamento ad altro accesso che si ritiene principale (rectius, personale).

D) la costituzione di servitù in condominio dopo la sua nascita

Del resto alla possibilità di costituire servitù sulle parti comuni da parte di E. C. C., una volta che il Condominio aveva iniziato ad esistere con l’atto del 1949, osta la circostanza che l’imposizione di pesi reali su beni ormai comuni non è più consentita all’originario unico proprietario in assenza del consenso degli altri condomini (ovvero, nella fattispecie, del R.).

E) riparto provvisorio e approvazione delle tabelle

Alla riconosciuta proprietà comune della scala de quo, consegue l’infondatezza della impugnativa delle delibere azionata con la domanda principale, anche alla luce dei seguenti principi:

  • è sempre consentito al condominio disporre un riparto provvisorio delle spese, su base proporzionale, al fine di procedere alle necessarie opere di manutenzione
  • le tabelle millesimali e comunque i criteri di riparto provvisori non richiedono approvazione all’unanimità, laddove si ispirino a criteri proporzionali assimilabili al disposto di cui all’art. 1123 cod.civ. (o, nella fattispecie, di cui all’art. 1124 cod.civ. ) e possono essere approvai con la maggioranza prevista dall’art. 1136 II comma cod.civ. (Cass. SS.UU 18477/2010), nel caso ampiamente raggiunta.
  • tutte le delibere sono sempre state assunte in via provvisoria, in attesa di approvazione di tabella millesimale definitiva, ivi compresa quella del 27.5.2011 (come espressamente risulta dal relativo verbale), circostanza quest’ultima che rende priva di fondamento anche l’eccezione relativa a cessazione della materia del contendere sollevata dal convenuto condominio.

F) il titolare di servitù usa le scale gratis?

Non sarà inutile rilevare che, anche ove per ipotesi si fosse voluto riconoscere l’esistenza di servitù a favore della attrice, non muterebbero le conseguenze concrete in ordine alla imputazione delle spese, circostanza comunque dirimente in ordine alla legittimità delle delibere impugnate: a mente dell’art. 1069 III comma cod.civ. ove le opere giovino anche al fondo servente costui deve partecipare alle spese (App.-Genova 5.1.2011) ed è plausibile che nel caso peculiare la modalità dei rispettivi contributi debba e possa essere modulata sul disposto dell’art. 1124 cod.civ.

G) domande di accertamento di diritti reali e litisconsorzio 

Sussisteva indubitabilmente legittimazione necessaria dei singoli condomini in ordine alla domanda di accertamento relativa a diritti reali sulle parti comuni, mentre sussiste pacificamente legittimazione autosufficiente del condominio per il giudizio relativo alla impugnativa.

H) la richiesta di adozione dei millesimi

Parimenti sussiste interesse del singolo condomino a veder adottata una tabella millesimale definitiva, volta al riparto delle spese in accordo con i principi codicistici (Trib. PAlermo, 22 marzo 2011).

il Giudizio è dunque destinato a proseguire: nella sentenza parziale il Tribunale “Dichiara che le scale di accesso del Condominio C., con accesso dal civico 13 della via R. A., costituiscono bene condominiale ex art. 1117 cod.civ. e sono comuni anche alla attrice C. A. 
respinge le domande relative alla impugnativa della delibera 18.7.2009
Dispone la remissione della causa in istruttoria e statuisce in ordine alla prosecuzione del giudizio relativo alla formazione delle tabelle millesimali come da separata ordinanza”

© massimo ginesi 2 febbraio 2017