servitù, il passaggio coatto e il passaggio necessario

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La Suprema Corte  ( CAss. civ. Sez.II 5 luglio 2016 n. 13655) fa il punto sulla interclusione del fondo, a  seconda che la stessa sia assoluta o relativa.

Nella interessante e recente   sentenza chiarisce che si da luogo a passaggio necessario ai sensi dell’art. 1051 cod.civ. ove il fondo non abbia materialmente accesso alla via pubblica  debba quindi costituirsene uno (Art. 1051 cod.civ. ) mentre si deve dar luogo a sentenza costitutiva di passaggio coatto ove esista comunque un accesso al fondo, ma si riveli inidoneo per le esigenze di conveniente sfruttamento dello stesso (art. 1052 cod.civ. )

In tal caso compete al Giudice, con applicazione discrezionale e motivata dei criteri indicati  dall’art. 1051 II comma cod.civ., la valutazione sulla sussistenza della interclusione e sulle modalità opportune per superarla.

Le premesse in diritto alla decisione sono una ottima sintesi degli orientamenti giurisprudenziali sul punto: “In giurisprudenza si distingue tra passaggio coatto, cioe’ passaggio che puo’ essere concesso officio iudicis a norma dell’articolo 1052 c.c., e passaggio necessario di cui all’articolo 1051. Quest’ultima ipotesi ricorre quando il fondo sia circondato da fondi altrui e non abbia uscita sulla strada pubblica (interclusione assoluta) o non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione relativa) mentre il passaggio coatto puo’ disporsi quando il fondo abbia un accesso alla via pubblica e sia, quindi, non intercluso, ma l’accesso sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo medesimo e non possa essere ampliato (Cass. 27 giugno 1994, n. 6184; Cass. 5 luglio 19 (OMISSIS), n. 2270). In particolare, il diritto potestativo alla costituzione della servitu’, per il fondo non intercluso, e’ accordato in presenza della inadeguatezza del passaggio sulla via pubblica rispetto alle esigenze dell’agricoltura e dell’industria, oltre che dell’impossibilita’ di ampliamento di detto passaggio (Cass. 21 febbraio 2001, n. 2515; Cass. 18 dicembre 1997, n. 12814). L’interclusione del fondo necessaria per ottenere il passaggio coattivo sul fondo del vicino, a norma dell’articolo 1051 c.c. – e’ esclusa solo allorche’ esista un diritto reale (jure proprietatis o servitutis) di passaggio (Cass. 18 luglio 1991, n. 7996; Cass. 6 dicembre 1975, n. 4060). La possibilita’ di costituire un passaggio coattivo in favore di un fondo che, benche’ circondato da altri, fruisca di accesso alla via pubblica in forza di servitu’ volontaria su altro fondo, al fine di consentirne un altro sbocco sulla via pubblica, esula, dunque, dalla previsione dell’articolo 1051 c.c., restando regolata dal successivo articolo 1052 c.c.; in questo caso il diritto alla costituzione della servitu’ e’ condizionato all’esistenza dei seguenti presupposti: che il preesistente accesso sia inidoneo od insufficiente, che il suo ampliamento sia materialmente irrealizzabile od eccessivamente oneroso e che il nuovo passaggio risponda in concreto alle esigenze di sfruttamento agricolo od industriale del fondo dominante, senza impedire o compromettere analoghe utilizzazioni del fondo servente (Cass. 20 febbraio 2012, n. 3125; Cass. 8 giugno 1984, n. 3451). Compete poi al giudice di merito verificare l’esistenza dell’interclusione e accertare il luogo di esercizio di una servitu’ di passaggio coattivo: accertamento che deve essere compiuto alla stregua dei criteri enunciati dall’articolo 1051 c.c., comma 2 (Cass. 19 ottobre 1998, n. 10327; Cass. 5 ottobre 2009, n. 21255). Nel caso in cui la domanda abbia ad oggetto un fondo non intercluso e l’attore lamenti l’insufficienza del passaggio rispetto ai bisogni del fondo, lo stesso giudice di merito dovra’ accertare se ricorrono le condizioni, sopra richiamate, atte a giustificare la costituzione della servitu’ a norma dell’articolo 1052 c.c.”

© massimo ginesi 18 luglio 2016 

parcheggi condominiali, valgono titolo e legge vigente all’epoca della costruzione

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Gli spazi destinati a parcheggio sono fra i temi di maggior constrasto nella vita condominiale, sia per ciò che attiene alla loro regolamentazione ed utilizzo che per la complessa legislazione che si è succeduta nel tempo, con  riflessi diversi anche sulla loro circolazione quali beni autonomi: Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 aprile – 30 giugno 2016, n. 13445 Presidente Migliucci – Relatore Bianchini.

I fatti: “L.E. citò innanzi al Tribunale di Bari la spa N.G.I., dalla quale aveva acquistato un appartamento e le relative parti comuni, nello stabile sito in (omissis) , perché fosse accertato il suo diritto all’utilizzo di uno spazio a parcheggio – alternativamente: a titolo di proprietà; di comproprietà condominiale; quale esplicazione di un diritto di servitù o come diritto reale d’uso di cui all’art. 18 delle legge 765/1967- sito nel seminterrato dell’edificio condominiale; chiese inoltre di esser risarcita dei danni subiti, atteso che la privazione dell’esercizio del diritto a parcheggio l’avrebbe costretta a prendere in affitto apposito spazio. La società convenuta si oppose all’accoglimento della domanda con l’osservare che nella vendita dell’appartamento non veniva fatta menzione del trasferimento di un qualsiasi diritto sullo spazio in questione. “

Le pronunce di merito: “il Tribunale riconobbe in favore della L. il solo diritto reale d’uso richiesto in via subordinata, liquidando anche il danno per la mancata disponibilità dell’area; respinse inoltre la domanda riconvenzionale subordinata, volta al riconoscimento alla venditrice di una integrazione del prezzo. La Corte di Appello di Bari, adita in via principale dalla N.G.I. ed in via incidentale dalla L., statuì non esservi stata una pronuncia ultra petita – in ragione del fatto che il primo giudice aveva riconosciuto in favore dell’attrice un diritto di uso oneroso e non già, come richiesto, a titolo gratuito- richiamando la interpretazione di legittimità sui diritti autodeterminati e sulla conseguente non vincolatività per l’interprete del titolo posto a base della domanda; negò che potesse applicarsi la sopravvenuta legge 246/2005 che stabiliva che gli spazi a parcheggio potessero essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle unità abitative; riconobbe in favore dell’appellante principale il diritto all’integrazione del prezzo di vendita, espressamente richiamando l’esigenza di ristabilire -se del caso, anche d’ufficio- il sinallagma contrattuale; aumentò altresì la stima del valore dello spazio a parcheggio, rispetto a quella formulata dal consulente di ufficio; riformò infine anche il capo di decisione relativo alla quantificazione del danno liquidato L. in quanto ritenne che il riconoscimento del danno emergente – commisurato al canone per la locazione di un parcheggio – non potesse essere aggiunto a quello per il lucro cessante, atteso che la originaria attrice, se avesse avuto tempestivamente la disponibilità del parcheggio, o non avrebbe sopportato le anzidette spese o avrebbe goduto di un reddito per la locazione a terzi dello spazio in questione, non potendo invece trovare realizzazione contemporanea le due ipotesi risarcitorie. Quanto all’appello incidentale – per quello che conserva di interesse in sede di legittimità – la Corte di Appello ritenne applicabile alla fattispecie il regime dettato dall’art. 2 della legge n. 122 del 1989 che stabiliva la inalienabilità degli spazi a parcheggio in modo autonomo rispetto all’unità abitativa alla quale appartenevano, in ciò distinguendosi dalla precedente disciplina – art. 18 della legge 765 del 1967 – così dunque escludendo, tra l’altro, la possibilità che gli spazi in questione potessero rientrare nella previsione di afferenza condominiale secondo quanto disposto dall’art. 1117 cod. civ. – nella formulazione all’epoca vigente – o che, come pure richiesto dall’appellata, potesse alla stessa riconoscersi la piena proprietà o comproprietà sugli stessi spazi.”

La Corte di legittimità cassa con rinvio ad altra sezione della corte di appello osservando che: ” Il primo motivo è fondato, atteso che la legge n. 122/1989 disciplina gli atti di disposizione relativi a spazi a parcheggio realizzati dopo la sua entrata in vigore, mentre nella fattispecie in esame è rimasto accertato che l’edificio in cui era stato ricavato il parcheggio era stato costruito nel 1968 e l’appartamento alienato alla ricorrente aveva formato oggetto di vendita del 7 agosto 1998; la contestata interpretazione avrebbe dunque comportato l’attribuzione di una efficacia retroattiva alla legge – così contravvenendosi al disposto dell’ars 11 delle c.d. preleggi – altresì violando le norme che stabiliscono un nesso pertinenziale tra bene principale e spazio a parcheggio (artt. 26, comma V della legge 47/1985). L’erronea individuazione del referente normativo, in luogo dell’art. 18 della legge n. 765/1967, lascia dunque aperta la possibilità, per il giudice del rinvio, cassata in parte qua la gravata decisione, di una divergente delibazione dell’atto di trasferimento dell’appartamento alla L. , al fine di verificare se la inesistenza di una riserva di proprietà in capo al venditore degli spazi a parcheggio, unita alla considerazione della locazione a terzi dell’intero piano seminterrato, da epoca precedente alla compravendita (per come riportato a fol. 37 del controricorso ed a fol. 5 delle memorie ex art. 378 cpc), consentano il riconoscimento del più ampio diritto di comproprietà ex art. 1117 cod. civ. (v. ex militis Cass. Sez. II n. 11261/2003; Cass. Sez. TI n 730/2008; Cass. Sez. II n. 1214/2012).”

© massimo ginesi 4 luglio 2016

 

la tettoia costruita sul lastrico solare non aggrava la servitù di veduta

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Se sul lastrico esistente si collocano coperture e profilati isolanti ciò non costituisce necessariamente aggravamento della servitù di veduta sul fondo del vicino.

Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 13444/2016, cassando la pronuncia della Corte di appello che ne aveva imposto la demolizione.

Osserva il Giudice di legittimità che: “non costituisce aggravamento della servitù di veduta, ai sensi dell’art. 1067 cod.civ., la copertura di una terrazza da cui si esercita la veduta stessa, in quanto la copertura, pur potendo consentire un uso più intenso ed assiduo del diritto, non ne amplia il contenuto essenziale, perché lascia inalterati i limite dalla inspetio e della prosperità sul fondo vicino.”

La fattispecie deve dunque intendersi erroneamente qualificata dalla Corte di Appello che ha ha richiamato, per la propria decisione, giurisprudenza della Suprema Corte che attiene invece alla diversa fattispecie in cui i nuovi manufatti comportino anche aumento della finestratura, assente  nel caso di specie: “ben diversa è l’ipotesi, presa in considerazione dal Giudice dell’impugnazione… che si concreta nempliamento di aperture esistenti: e ciò proprio in quanto tale ampliamento rende più agevole l’inspirare e il prospere in alienum, che è di contro escluso nella fattispecie qui in esame.”

© massimo ginesi luglio 2016 

T.A.R. Liguria, il Comune non ha potestà impositiva su aree condominiali private

Su un cortile condominiale si affacciano alcuni box e un fondo commerciale destinato a  supermercato, l’area è utilizzata come accesso veicolare sia dai proprietari dei box, in favore dei quali è costituito  un diritto di servitù sulla stessa, sia dai clienti del supermercato che viceversa sono terzi senza alcun titolo.

Il Condominio, per tutelare la proprietà condominiale e impedire l’indiscriminato accesso a chiunque, ha apposto due paletti e una catena all’ingresso. Ciò ha indotto il Comune a notificare un provvedimento al Condominio con cui ingiunge di “rispristinare lo stato preesistente dei luoghi mediante la rimozione dei paletti metallici con catenella” e  con cui  subordina il rilascio del richiesto titolo paesistico all’accordo di tutti i partecipanti.

Il provvedimento è stato ritenuto illegittimo dal TAR, cui ha fatto ricorso il Condominio, che ha rilevato come “L’esclusiva proprietà della via abilita infatti gli interessati a posizionare idonei strumenti volti ad impedire il transito dei terzi sul fondo, eccezion fatta per chi deve accedere e recedere alle proprietà che vantano il diritto di servitù come osservato in precedenza; la correttezza della destinazione del piano terreno del condominio (box ovvero magazzini utilizzati come autorimesse) non esclude l’interesse dei condomini all’accesso ed al recesso che presuppongono l’utilizzo della piccola strada privata”

Quanto all’assenso paesistico per l’installazione dei dissuasori a scomparsa  osserva il TAR che ” In proposito il comune impone che: il condominio dovrà presentare una dichiarazione giurata sull’esclusiva proprietà del fondo in contestazione; l’installazione dei dissuasori dovrà essere preceduta dall’assenso degli aventi diritto, e che costoro avranno comunque una facoltà interdittiva sul rilascio del successivo titolo edilizio. Al riguardo il tribunale nota che, sempre nei limiti fissati dall’art. 8 del d.lvo 2.7.2010, n. 204, è sufficientemente appurata la proprietà dei condomini sulla fascia di terreno per cui è lite, sì che la determinazione è illegittima a tale riguardo. In ordine alla volontà dell’amministrazione di assumere funzioni simili a quelle giurisdizionali si osserva che ad essa non compete la preventiva soluzione dei contrasti tra i privati: è verosimile che l’amministrazione sia stata da tempo interessata dai differenti interessi tra le parti sul bene di che si tratta, ma il corretto rapporto tra la regolamentazione di diritto comune e quella che pertiene ad un’amministrazione postula che il titolo venga eventualmente rilasciato agli aventi diritto sulla base delle norme edilizie, mentre competono al giudice ordinario le controversie sulle eventuali doglianze relative all’esercizio dei diritti esistenti sul bene interessato dal titolo di fonte amministrativa”.

In sostanza la P.A. non può e non deve spingersi oltre il proprio ruolo di tutela imposta dalla norma pubblicistica, spettando la valutazione e la soluzione delle controversie fra privati al Giudice ordinario.

Una sentenza interessante, a fronte di condotte spesso non lineari dei Comuni.

© massimo ginesi giugno 2013

niente servitù coattiva per i tubi del gas

Così ha stabilito la Cassazione con sentenza 11563 del 6 giugno 2016.

Mentre con il consenso delle parti si può costituire qualunque servitù che sia ascrivibile allo schema generale previsto dalla norma (un peso imposto sopra ad un fondo per il vantaggio di un altro), le servitù coattive costituiscono un numero chiuso di fattispecie tipiche e non è consentito al Giudice procedere alla applicazione analogica delle relative norme.

Ne consegue che non è consentito richiamarsi alle norme sulla servitù coattiva di acquedotto per imporre a carico di un fondo (ed a vantaggio di altro c.d. intercluso) il passaggio di tubazioni di adduzione di gas riconducendo tale fattispecie alla previsione dell’art. 1033 cod.civ.

Precisa la Corte che, inoltre,  l’adduzione di acqua e gas – per la diversità di funzione, la diversa pericolosità e le diverse caratteristiche del fluido condotto non sono riconducibili ad identica ratio che consenta di applicare la medesima norma, che il legislatore ha previsto solo per il passaggio dell’acqua.

per chi volesse leggere l’intera sentenza

 © massimo ginesi giugno 2016 

 

gennaio 2016 – le servitù in condominio e il diritto di parcheggio

il diritto reale di servitù può essere costituito anche nel condominio a carico di beni comuni ed a favore di beni individuali, non applicandosi in tale contesto il principio “nemini in res sua servit”.

Il diritto di parcheggio non costituisce diritto autonomo ma semplice facoltà di godimento del proprietario. (massima non ufficiale)

Tribunale di Massa 20 gennaio 2016

La vicenda all’esame del Tribunale è davvero peculiare. Un condomino si duole che altri condomini parcheggino nel cortile antistante il fabbricato, comune anche a soggetti terzi estranei al condominio e sul quale è costituita per titolo servitù di passo a favore della sua unità; a tal proposito sostiene che l’esistenza di servitù a carico del cortile è incompatibile con l’uso a parcheggio in assoluto – anche laddove non intralci il passaggio – e deve essere dichiarata l’inesistenza di tale diritto in capo ai comproprietari del fondo servente.

Il fatto è così delineato nella sentenza: “La complessa e non sempre lineare qualificazione giuridica che l’attore ha inteso dare alla propria istanza – così come anche risulta dalle conclusioni rassegnate all’udienza del 25 novembre 2015 – sembra volta a richiedere una pronuncia dichiarativa circa l’inesistenza di un diritto di parcheggio sull’intero mappale 3.. f. 1.. poiché, a suo dire, la mera attività del parcheggiare non sarebbe consentita ai comproprietari del fondo servente (fra i quali peraltro figura lo stesso attore) e sarebbe, in re ipsa, lesiva del diritto di servitù di passo pedonale e carraio, costituito su tale mappale con atto Notaio M. 15.9.53, in forza del quale veniva gravata di detto peso “una striscia di terreno della larghezza di metri 3,50 che partendo dalla via M. raggiunge con andamento rettilineo perpendicolare alla facciata del predetto edificio lì avancorpo della fabbrica stessa ove si apre la porta principale di ingresso”

Il Tribunale respinge la domanda ed osserva che “ l’attore non deduce specifiche condotte ostative nell’atto introduttivo né le lamenta e offre di provarle nelle memorie ex art. 183 c.p.c., ove si limita a dedurre prove circa l’appartenenza delle auto rappresentate nelle foto; immagini, da lui stesso prodotte, che peraltro mostrano tutte veicoli che sono parcheggiati in maniera tale da consentire pacificamente e ampiamente il transito veicolare nella striscia che costituisce proiezione del cancello di ingresso all’area”.

Richiamato un orientamento giurisprudenziale, che appare consolidato, in ordine all’esistenza della servitù in condominio (“ Premesso che può sussistere servitù ove il proprietario del fondo dominante sia anche comproprietario del fondo servente (Cassazione civile, sez. II, 17/07/1998, n. 6994”), il Giudice osserva che il diritto di parcheggio non costituisce un autonomo genere di posizione soggettiva ma è semplicemente una delle modalità con le quali, nell’ambito dei limiti previsti dall’art. 1102 cod.civ., il proprietario esercita il proprio diritto e che – ove tale esercizio non leda il pacifico godimento degli altri diritti sul bene – deve ritenersi perfettamente legittimo: “i comproprietari del fondo servente (fra i quali risulta lo stesso attore), esercitano la facoltà di parcheggio come una delle possibili manifestazioni della (com)proprietà di cui sono titolari (cass. 23708/2014). Non esiste un genus autonomo di diritto riconducibile al parcheggio di autoveicoli, che costituisce invece mera facoltà del titolare del diritto dominicale, che dovrà esercitarsi nei limiti dell’art. 1102 cod.civ. e nel rispetto di eventuali diritti di terzi. Tutti i comproprietari, per pacifica giurisprudenza, hanno diritto di trarre dal bene le utilità che lo stesso può dare, con l’unico limite di rispettarne la destinazione e di non impedirne agli altri di farne parimenti uso. L’attore non ha dedotto che a lui venga impedito di parcheggiare, mentre non è sostenibile che l’intero mappale sia destinato al passaggio e transito, essendo tale vincolo impresso solo alla striscia gravata di servitù che, peraltro, non risulta lesa nella sua funzione dalle condotte denunciate dall’attore. “

© massimo ginesi

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