La questione era stata rimessa alle sezioni unite con ordinanza del 2017 , volta a chiarire la discrasia introdotta fra una giurisprudenza ormai decennale e l’isolato dictum delle sezioni unite del 19663/2014 (in tema di azioni ex legge Pinto), che sembrava affermare una autonomia soggettiva del condominio distinta da quella dei singoli condomini che lo compongono.
Che la pronuncia del 2014 non introducesse il criterio della personalità giuridica, come da taluni troppo affrettatamente si era ipotizzato, risultava chiaramente dalla impostazione della novella del 2012, che ha radicalmente escluso tale assetto, cui – senza una espressa previsione normativa – non si poteva certo prevenire in via giurisprudenziale.
Tuttavia le Sezioni Unite del 2014 hanno fatto assai discutere, aprendo un vulnus nella tradizionale interpretazione, con l’esclusione della legittimazione del singolo condomino in caso azione intentata dall’amministratore.
Le Sezioni Unite attuali (Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 17 aprile 2018 – 18 aprile 2019, n. 10934) fanno chiarezza, riportando la bilancia in favore della piena legittimazione concorrente del singolo condomino (slavo che per le azioni inerenti al mera gestione) ed escludendo al sussistenza di alcuna personalità o oggettività autonoma del condominio.
“Quanto alla impostazione tradizionale, va subito detto che essa valorizza l’assenza di personalità giuridica del condominio e la sua limitata facoltà di agire e resistere in giudizio tramite l’amministratore nell’ambito dei poteri conferitigli dalla legge e dall’assemblea e per questa via giunge ad attribuire ai singoli condomini la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti comuni e di quelli personali. Dello stesso segno è la giurisprudenza successiva a SU 19663/14, giurisprudenza che ha continuato a ritenere che nelle controversie aventi ad oggetto un diritto comune, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, nè di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore (cfr, anche argomentando a contrario, Cass. 29748/17; n. 1208 del 18/01/2017; n. 26557 del 09/11/2017, Rv. 646073; n. 22856/17; n. 4436/2017; n. 16562 del 06/08/2015; 10679/15). 3.1) Questo orientamento, salvi i poteri di rappresentanza dell’amministratore di cui all’art. 1131 c.c., trova il suo perdurante ancoraggio nella natura degli interessi in gioco nelle cause, come quella odierna, relative ai diritti dei singoli sulle parti comuni o sui propri beni facenti parte del condominio.
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Una volta riscontrato che il legislatore ha respinto in sede di riforma dell’istituto – lo testimonia il confronto tra testo provvisorio e testo definitivo della L. n. 220 del 2012 – la prospettiva di dare al Condominio personalità giuridica con conseguenti diritti sui beni comuni, è la natura dei diritti contesi la ragione di fondo della sussistenza della facoltà dei singoli di affiancarsi o surrogarsi all’amministratore nella difesa in giudizio dei diritti vantati su tali beni.
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Il mantenimento della tradizionale facoltà dei singoli condomini è coerente con alcuni insegnamenti in materia provenienti dalle Sezioni Unite. Occorre richiamare Cass. SU 18331 (e 18332) del 2010, la quale ha configurato i poteri rappresentativi processuali dell’amministratore coordinandoli, per subordinazione, con quelli dell’assemblea. Si è in quell’occasione chiarito che il potere decisionale in materia di azioni processuali spetta “solo ed esclusivamente all’assemblea” che può anche ratificare ex tunc l’operato dell’amministratore, “organo meramente esecutivo” del condominio”, che abbia agito senza autorizzazione. Al di là dell’ambito di applicazione di questa pronuncia, che non è qui necessario indagare, mette conto evidenziare che allorquando si sia in presenza di cause introdotte da un terzo o da un condomino che riguardino diritti afferenti al regime della proprietà e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato, e che incidono sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune, non può negarsi la legittimazione alternativa individuale. Non sarebbe concepibile la perdita parziale o totale del bene comune senza far salva la facoltà difensiva individuale.”
Per l’importanza del tema la sentenza merita comunque integrale lettura.
Una recente pronuncia della Suprema Corte torna su un tema discusso in dottrina e giurisprudenza, ovvero la natura soggettiva del Condominio, sostenendo l’obbligo di notificare al condomino, nei cui confronti si voglia procedere in via esecutiva, il decreto ingiuntivo ottenuto nei conforti del Condominio.
Il contenuto di Cassazione civile, sez. VI, 29/03/2017 n. 8150 risulta tuttavia di deciso interesse anche e soprattutto per le riflessioni in ordine alla natura giuridica del Condominio, dalla quale la Corte trae il condivisibile principio affermato.
Appare davvero peculiare il percorso giurisprudenziale che da una trentina d’anni conduce la giurisprudenza a riconoscere al Condominio caratteristiche ibride di soggetto collettivo imperfetto, spesso indicato quale ente di gestione (definizione oggetto di approfondita critica dalla nota Cass. SS.UU. 9148/2008, che effettuò una ricostruzione sistematica accuratissima della natura del Condominio, per pervenire alla tesi della parziarietà della obbligazione condominiale) o comunque quale soggetto collettivo imperfetto, una sorta di chimera giuridica dai contorni incerti e dalla natura mai definita dal legislatore che – anche con la riforma del 2012 – ha seminato tracce di soggettività autonoma in diverse norme (art. 1129 e 1130 bis cod.civ.), senza tuttavia pervenire ad una precisa ed univoca individuazione del fenomeno condominiale.
La vicenda trae origine dalla impugnazione di una sentenza del Tribunale di Roma, resa in giudizio di opposizione a precetto: “La sentenza impugnata si è consapevolmente discostata dai principi di diritto già affermati da questa Corte, con sentenza n. 1289 del 2012 e con ordinanza n. 23693/2011, non massimate, ai quali si ritiene invece debba essere data continuità. Denunciando violazione dell’art. 479 c.p.c., e art. 654 c.p.c., comma 2, nonchè vizi di motivazione, la ricorrente afferma che – qualora si voglia agire esecutivamente nei confronti di un singolo condomino in forza di decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del Condominio occorre che il titolo esecutivo sia notificato al condomino esecutato, essendo il principio di cui all’art. 654 cit.,secondo comma, secondo il quale ai fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto ingiuntivo, applicabile solo nei confronti dell’ingiunto.”
L’art. 654 c.p.c. prevede che “L’esecutorietà non disposta con la sentenza o con l’ordinanza di cui all’articolo precedente è conferita con decreto del giudice che ha pronunciato l’ingiunzione scritto in calce all’originale del decreto di ingiunzione. Ai fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto esecutivo; ma nel precetto deve farsi menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula”
Si tratta di norma che riguarda il decreto non provvisoriamente esecutivo (quindi fattispecie diversa dal decreto ottenuto per le quote condominiali, che è esecutivo ex lege in forza dell’art. 63 disp.att. cod.civ. ): in tal caso il legislatore prevede che, decorso il termine di quaranta giorni senza che sia stata proposta opposizione, il decreto diviene definitivo e il creditore può ottenere formula esecutiva, potrà poi procedere alla notifica del precetto e alla successiva esecuzione senza necessità di notificare nuovamente il titolo.
La Corte correttamente osserva che tale principio può valere solo ove vi sia identità fra soggetto ingiunto e destinatario della esecuzione, ritornando – per il vero in maniera decisamente apodittica – sulla natura della condominio: un soggetto ibrido, autonomo rispetto ai condomini ma dalla soggettività imperfetta; il condomino diviene poi un soggetto diverso dall’ingiunto Condominio, seppur responsabile dei debiti di lui.
La distanza concettuale dalle sezioni unite del 2008 appare geologica, laddove allora la Corte affermava: “le ragguardevoli diversità della struttura dimostrano la inconsistenza del ripetuto e acritico riferimento dell’ente di gestione al condominio negli edifici. Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti…rilevato, infine, che – in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità – l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote”
Nella pronuncia odierna la Corte utilizza definizioni che sottendono istituti ben diversi: “Il Condominio è soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorchè si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l’art. 654, comma 2, è da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato.
Qualora il creditore intenda far valere la responsabilità patrimoniale di un soggetto diverso dall’ingiunto – pur se in ipotesi responsabile dei debiti di lui – a cui il titolo esecutivo non sia stato mai notificato, la norma dell’art. 654, comma 2, è da ritenere inapplicabile, dovendosi sempre riconoscere al soggetto passivo dell’esecuzione il diritto di avere notizia e piena cognizione della natura del titolo in forza del quale si procede nei suoi confronti. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto che l’amministratore abbia la rappresentanza dei singoli condomini ed, in quanto tale, sia legittimato a ricevere la notificazione di atti con effetti immediatamente riconducibili ai condomini.
In caso di titolo esecutivo giudiziale, formatosi nei confronti dell’ente di gestione condominiale in persona dell’amministratore e azionato nei confronti del singolo condomino quale obbligato pro quota, la notifica del precetto al singolo condomino, ex art. 479 c.p.c., non può prescindere dalla notificazione, preventiva o contestuale, del titolo emesso nei confronti dell’ente di gestione.
Se infatti una nuova notificazione del titolo esecutivo non occorre per il destinatario diretto del decreto monitorio nell’ipotesi di cui all’art. 654 c.p.c., comma 2, detta notificazione, invece, è necessaria qualora si intenda agire contro il singolo condomino, non indicato nell’ingiunzione ma responsabile pro quota della obbligazione a carico del condominio. Costui, invero, deve essere messo in grado non solo di conoscere qual è il titolo ex art. 474 c.p.c., in base al quale viene minacciata in suo danno l’esecuzione, ma anche di adempiere l’obbligazione da esso risultante entro il termine previsto dall’art. 480 c.p.c.”
Risulta a tal proposito interessante anche l’esame delle due sentenze oggi richiamate dalla Corte e relative allo stesso problema: se sotto il profilo processuale è condivisibile la tesi che il condomino non possa vedersi esecutato in forza di un titolo che è stato notificato ad altri e che potrebbe non conoscere, non può rilevarsi che la Corte – in tutte tre le occasioni – lascia impregiudicata sia la questione della natura giuridica del Condominio e della sua soggettività, sia le facoltà riconosciute al singolo verso quel titolo al momento della notificazione.
Cass. 1289/2012 osservava che “Posto che nel caso in esame l’opponente non pone in questa sede la questione se il titolo esecutivo giudiziale, intervenuto nei confronti dell’ente di gestione condominiale in persona dell’amministratore prò tempore, possa essere validamente azionato nei confronti del singolo condomino quale obbligato solidale (questione che, secondo Cass. Sez. Un., n. 9148/2008, è ormai definitivamente risolta nel senso che, esclusa la solidarietà, la responsabilità del condomino è solo parziale in proporzione alla sua quota, anche nel rapporti esterni), osserva, tuttavia, questa Corte che, anche sotto l’erroneo presupposto che il titolo esecutivo ottenuto contro il condominio possa essere fatto valere in executivìs contro il singolo condomino quale preteso obbligato in solido, il precetto, intimato a tal fine allo stesso condomino, non avrebbe comunque potuto prescindere dalla notificazione, preventiva o contestuale, del decreto ingiuntivo emesso nei confronti dell’ente di gestione, ancorchè detta ingiunzione fosse risultata del tipo ex art. 654 c.p.c., comma 2. E’ di tutta evidenza, infatti, che, se una nuova notificazione del titolo esecutivo non occorre per il destinatario diretto del decreto monitorio nell’ipotesi di cui all’art. 654 c.p.c., comma 2, detta notificazione, invece, è necessaria qualora si intenda agire contro soggetto, non indicato nell’ingiunzione, per la pretesa sua qualità di obbligato solidale. Costui, invero, deve essere messo in grado non solo di conoscere qual è il titolo ex art. 474 c.p.c., in base al quale viene minacciata in suo danno l’esecuzione, ma anche di adempiere l’obbligazione da esso risultante entro il termine previsto dall’art. 480 c.p.c.”
Cass. 23693/2011 appare invece del tutto coincidente con l’attuale pronuncia: “Il Condominio e’ soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorche’ si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l’art. 654, comma 2, e’ da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato. Qualora il creditore intenda far valere la responsabilita’ patrimoniale di un soggetto diverso dall’ingiunto – pur se in ipotesi responsabile dei debiti di lui – a cui il titolo esecutivo non sia stato mai notificato, la norma dell’art. 654, comma 2, e’ da ritenere inapplicabile, dovendosi sempre riconoscere al soggetto passivo dell’esecuzione il diritto di avere notizia e piena cognizione della natura del titolo in forza del quale si procede nei suoi confronti. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto che l’amministratore abbia la rappresentanza dei singoli condomini ed, in quanto tale, sia legittimato a ricevere la notificazione di atti con effetti immediatamente riconducibili ai condomini. L’amministratore ha la rappresentanza del Condominio, non dei singoli condomini e, si ripete, si tratta di soggetti – ovverosia di centri di imputazione di rapporti giuridici – autonomi e diversi l’uno rispetto all’altro; pur se, agli effetti della responsabilita’ patrimoniale, i condomini possono essere chiamati a rispondere dei debiti del Condominio (entro i limiti delle rispettive quote: infra,par. 5).”
L’effettiva natura del Condomino resta irrisolta, mentre appare il presupposto logico e sistematico per dare definitiva soluzione a numerosissime questioni sostanziali e processuali.
La tesi del soggetto giuridico imperfetto appare invece un ibrido di cui non si sentiva la necessità, poiché lascia di volta in volta aperta all’interpretazione del giudice, investito delle singole questioni di merito, la qualificazione soggettiva del fenomeno condominiale.
Non vi è dubbio, tuttavia, che le pronunce segnalate possano costituire le tappe intermedie di un percorso interpretativo che conduca nel breve periodo ad una più completa definizione sistematica della materia (cui ben avrebbe potuto e dovuto attendere il legislatore del 2012).