la disciplina sull’abbattimento delle barriere architettoniche prevale sul regolamento contrattuale.

La Corte di Cassazione, con recentissima sentenza (Cass. civ. II sez. 28 marzo 2017 n. 7938),  riafferma la valenza sociale delle norme in tema di barriere architettoniche e la prevalenza della relativa disciplina sulla autonomia privata.

La riconducibilità della normativa sui disabili alla funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) è stata più volte espressa dalla giurisprudenza anche costituzionale (Corte Costituzionale 29 aprile – 10 maggio 1999 – n. 167).

La circostanza che, per l’applicazione di quei principi, non sia necessaria l’effettiva presenza di un soggetto disabile fra i condomini rappresenta altresì costante orientamento della giurisprudenza di merito e legittimità fin dalle prime applicazioni della L. 13/1989.

L’odierna pronuncia contiene un principio di diritto di sicuro rilievo ed interesse, ma per le ampie e approfondite considerazioni sul tema merita lettura integrale: “In materia di eliminazioni di barriera architettoniche la legge 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, sì che la soprelevazione del preesistente impianto di ascensore e il conseguente ampliamento della scala padronale, non possono essere esclusi unicamente in forza di una disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione di qualunque opera che  interessi le strutture portanti, modifichi impianti generali o comunque alteri l’aspetto architettonico dell’edificio, all’autorizzazione del condominio.

Tale disposizione del regolamento condominiale risulta infatti recessiva rispetto alla esecuzione di opere indispensabili ai fini di un effettiva abitabilità dell’immobile, dovendo in tal caso verificarsi che dette opere, se effettuate a spese del condomino interessato, rispettino i limiti previsti dall’articolo 1102 codice civile.

Nel compiere tale verifica il giudice di merito dovrà tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi  anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettiva utilizzazione  da parte di costoro degli edifici interessati.”

© massimo ginesi 29 marzo 2017

art. 63 disp.att. cod.civ. : il computo del periodo per il quale acquirente e venditore rispondono solidalmente

Una recentissima pronuncia (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 22 marzo 2017, n. 7395, Relatore Scarpa) affronta un tema inedito.

L’art. 63 Iv comma disp.att. cod.civ. prevede che  “Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.”.

Accade con grande frequenza che sorga contenzioso su quali importi  debbano essere ascritti – in via solidale – a colui che diventa proprietario di una unità immobiliare in condominio, poiché l’individuazione di spesa riferibile all’anno precedente è espressione che può dar luogo ad interpretazioni contrastanti.

La vicenda giunta all’esame della  Suprema Corte attiene a spese relative a lavori di manutenzione straordinaria della facciata, in ordine alle quali il collegio rileva che “Dovendosi individuare, ai fini dell’applicazione dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c. (nella formulazione ante L. 220/2012, n.d.r.) al caso in esame, quando sia insorto l’obbligo di partecipazione a spese condominiali per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni (ristrutturazione della facciata dell’edificio condominiale)”, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di tale intervento (30 giugno 2008), avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24654 del 03/12/2010).

Questo momento rileva sia per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, sia per accertare l’inclusione del medesimo obbligo nel periodo biennale di responsabilità solidale di entrambi verso il condominio.

L’obbligo del cessionario dell’unità immobiliare, invero, è solidale, ma autonomo, in quanto non propter rem, e, piuttosto, costituito ex novo dalla legge in funzione di rafforzamento dell’aspettativa creditoria dell’organizzazione condominiale; ma il meccanismo del subentro dell’acquirente nei debiti condominiali del suo dante causa opera unicamente nel rapporto tra il condominio ed i soggetti che si succedono nella proprietà della singola porzione immobiliare, e non anche nel rapporto interno tra alienante ed acquirente, proprio per la natura personale (e non reale) delle rispettive obbligazioni.

Sicchè il compratore risponde verso il venditore soltanto per le spese condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui egli sia divenuto condomino, mentre ha diritto di rivalersi nei confronti del suo dante causa allorché sia stato chiamato dal condominio a rispondere di obbligazioni nate in epoca anteriore all’acquisto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1956 del 22/02/2000).

L’anno, cui fa riferimento l’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., deve, peraltro, essere di sicuro inteso con riferimento al periodo annuale costituito dall’esercizio della gestione condominiale, non necessariamente, perciò, coincidente con l’anno solare.

La conclusione raggiunta è coerente col principio, elaborato da questa Corte, della cosiddetta “dimensione annuale della gestione condominiale” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7706 del 21/08/1996; ma anche Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 21650 del 20/09/2013), annuali essendo la durata dell’incarico dell’amministratore (art. 1129 c.c.), il preventivo delle spese ed il rendiconto (art. 1135, comma 1, n. 2 e 3 c.c.), e trova conferma in via interpretativa anche dal comma 9 dell’art. 1129 c.c., introdotto dalla legge n. 220/2012, ove si fa espresso riferimento alla “chiusura dell’esercizio”.

© massimo ginesi 23 marzo 2017

installazione ascensore: la suprema corte ribadisce il principio solidaristico in condominio.

L’installazione di un ascensore in condominio risponde a principi di solidarietà sociale che affondano le proprie radici nella funzione sociale della proprietà prevista dall’art. 42 Cost.

La Suprema Corte ( Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza  9 marzo 2017, n. 6129 Rel. Scarpa) tale principio e lo estende ad  caso specifico deciso dalla Corte di Appello di Trieste, che aveva invece avuto riguardo al mero dato letterale della norma.

Il Giudice di secondo grado aveva riformato la sentenza del Tribunale che aveva invece ritenuto che l’imapindo dovesse essere ricondotto alle previsioni della L. 13/1989: “S.T. , A.O. , L.D. ed F.A. (quest’ultima anche quale procuratrice di F.L. ) hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza 4 agosto 2015, n. 483/2015, resa dalla Corte d’Appello di Trieste, che ha riformato la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Trieste l’11 febbraio 2014, accogliendo l’impugnazione principale di B.N. , S.E. , O.F. e Ba.Ag. .
Il Tribunale di Trieste, in accoglimento della domanda degli attuali ricorrenti, aveva accertato il diritto degli stessi, ai sensi dell’art. 2 delle legge 9 gennaio 1989, n. 13, ad installare un ascensore occupando una parte del sedime del giardino comune, a ridosso della facciata, ove è ubicato il portone d’ingresso del Condominio di via (omissis) . La domanda degli attori conseguiva al rigetto espresso due volte dall’assemblea condominiale alla proposta di installazione dell’ascensore e deduceva la difficoltà di deambulazione di due condomine.
La Corte d’Appello, riformando la sentenza impugnata e rigettando le domande degli appellati, osservava che “l’ascensore è manufatto diverso dal concetto di servoscala o altre strutture mobili e facilmente amovibili”, di cui all’art. 2, comma 2, legge n. 13/1989, e che l’ascensore per cui è causa comunque non avrebbe consentito alle condomine L. ed O. di raggiungere senza problemi i rispettivi appartamenti, dovendo fermarsi sul pianerottolo dell’interpiano con dieci gradini da percorrere a piedi. La Corte di Trieste ha perciò ritenuto l’installazione dell’ascensore lesiva dell’art. 1102 c.c., ed in particolare della destinazione a giardino dell’area comune, e quindi illegittima in difetto di deliberazione assembleare approvata con il quorum di cui all’art. 1136 c.c.”

La Suprema Corte riprende un orientamento consolidato e cassa la pronuncia: “La decisione dei giudici di appello si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l’installazione di un ascensore rientra fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, di cui all’art. 27, comma 1, della legge 3 marzo 1971, n. 118, e all’art. 1, comma 1, del d.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, e perciò costituisce innovazione che, ai sensi dell’art. 2, legge 2 gennaio 1989, n. 13, è approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28920 del 27/12/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8286 del 20/04/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14384 del 29/07/2004). Lo stesso art. 2, legge n. 13/1989, stabilisce che, nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni aventi per oggetto le innovazioni volte all’eliminazione delle barriere architettoniche, i portatori di handicap possono installare, a proprie spese, le strutture occorrenti al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages, fermo quanto disposto dagli articoli 1120, comma 4, e 1121, comma 3, c.c. (all’esito delle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220). L’installazione di un ascensore, allo scopo dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata su parte di aree comuni (nella specie, un’area destinata a giardino), deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14096 del 03/08/2012). Di tal che, nel valutare il contrasto delle opere, cui fa riferimento l’art. 2 della legge n. 13/1989, con la specifica destinazione delle parti comuni, sulle quali esse vanno ad incidere, occorre tenere conto altresì del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18334 del 25/10/2012).

Ai fini della legittimità dell’intervento innovativo approvato ai sensi dell’art. 2 della legge n. 13 del 1989, è sufficiente, peraltro, che lo stesso (pur non potendo, come nella specie accertato dalla Corte di Trieste, in ragione delle particolari caratteristiche dell’edificio, raggiungere l’ascensore direttamente gli appartamenti dei portatori di handicap, dovendosi fermarsi sul pianerottolo) produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 18147 del 26/07/2013).

Il ricorso va perciò accolto, limitatamente al suo secondo motivo, rimanendo assorbiti i restanti motivi. Conseguono la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.”

© massimo ginesi 13 marzo 2017 

 

il singolo condomino può pagare direttamente il terzo creditore del condominio?

Girando per il web alla ricerca di aggiornamenti si incappa, con inquietante frequenza, in letture approssimative delle pronunce che riguardano la materia condominiale.

Commenti imprecisi che tuttavia ci danno spunto – alcune volte – per riflettere su temi di deciso rilievo.

In realtà la sentenza 199/2017 , a firma di illustre relatore, rappresenta un interessante passaggio del percorso interpretativo – che da CAss. SSUU 9148/2008 arriva ai giorni nostri – sul tema della parziarietà  dell’obbligazione condominiale, cui devono oggi essere applicati i temperamenti di cui all’art. 63 disp.att. cod.civ.;  non contiene affatto il principio che si legge nella intestazione del commento.

Accadeva, nel caso all’esame della Corte, che un condomino avesse versato l’intero importo dei lavori all’appaltatore e pretendesse poi di agire, in via di regresso nei confronti degli altri condomini; tale azione presuppone la sussistenza di un obbligo solidale che la Suprema Corte ritiene non potersi  individuare in condominio  in virtù dei principi affermati dalle Sezioni unite del 2008, specie per vicende che sono regolate – ratione temporis – dalle norme non ancora modificate dalla L. 220/2012.

Tuttavia il problema del condomino che invece di versare all’amministratore la quota millesimale di propria competenza per alcuni lavori di manutenzione svolti nel condominio, la versi direttamente all’appaltatore – che ha svolto le opere e che vanta il relativo credito nei conforti del condominio – è stato espressamente affrontato dalla suprema corte in tempi non lontani.

La giurisprudenza non ha peraltro mai evidenziato un divieto quanto, semmai, l’inidoneità di quel pagamento a liberare il singolo.

Cassazione civile, sez. VI, 17/02/2014, n. 3636 ha affermato “Il condominio si pone, verso i terzi, come soggetto di gestione dei diritti e degli obblighi dei condomini, attinenti alle parti comuni, sicché l’amministratore è rappresentante necessario della collettività dei partecipanti, sia quale assuntore degli obblighi per la conservazione delle cose comuni, sia quale referente dei relativi pagamenti. Ne consegue che non è idoneo ad estinguere il debito “pro quota” il pagamento eseguito dal condomino direttamente a mani del creditore del condominio, se tale creditore non è munito di titolo esecutivo verso lo stesso singolo partecipante”.

Sul punto si è soffermato con interessanti riflessioni critiche, anche A. Scarpa in uno scritto del 2015 “Sempre la giurisprudenza (v. Cass., 17 febbraio 2014, n. 3636) ha affermato il principio secondo il quale, ponendosi il condominio, nei confronti dei terzi, come soggetto di gestione dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini attinenti alle parti comuni, l’amministratore di esso assume la qualità di necessario rappresentante della collettività dei condomini, e ciò sia nella fase di assunzione degli obblighi verso i terzi per la conservazione delle cose comuni, sia, all’interno della medesima collettività condominiale, in quanto unico referente dei pagamenti ad essi relativi; se ne è fatta discendere la conclusione secondo cui il pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del creditore del condominio non è idoneo ad estinguere il debito pro quota dello stesso relativo ai contributi ex art. 1123 c.c., a meno che il terzo creditore non si sia già munito di titolo esecutivo nei confronti del singolo condomino. Se allora il pagamento al terzo creditore deve indispensabilmente avvenire per il tramite dell’amministratore, dovrebbe per minima coerenza negarsi che il singolo condomino sia immediato debitore di quello, facendosi salva l’ipotesi in cui il terzo si sia ormai premunito di un titolo esecutivo verso quel determinato partecipante. Ove si ritenesse ancora che ciascun condomino sia direttamente obbligato verso il creditore della gestione condominiale, non si potrebbe obliterare l’interesse di quel debitore ad adempiere spontaneamente pro quota nelle mani del terzo, in modo da procurarsi la liberazione dal vincolo anche invito creditore, senza dover attendere, per assurdo, che questi consegua dapprima un titolo esecutivo, con modificazione aggravativa del debito (in relazione alla maturazione degli accessori), contrasto con il principio di correttezza e buona fede, nonché lesione del principio costituzionale del giusto processo, traducendosi l’ineliminabile soggezione del condomino alla domanda giudiziale del terzo, diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria, in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte pur sempre nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.” Quaderni SSM febbraio 2015  

l’obbligazione condominiale è retta dal principio della parziarietà

La Cassazione torna sul regime dell’obbligazione condominiale, escludendo che possa ritenersi applicabile il principio della solidarietà.

La vicenda affonda le radici in tempi antecedenti la novella del 2012, la sentenza dunque  non affronta ex professo l’incidenza dell’art. 63 disp.att. cod.civ. nella formulazione introdotta dalla riforma, tuttavia i principi espressi su materia complessa –  ricca di conseguenze ed implicazioni – sono di utile orientamento nella lettura delle vicende patrimoniali all’interno della compagine condominiale.

L’illustre relatore condensa con mirabile sintesi i principi cardine della vicenda, sicché è opportuno riportare integralmente la motivazione della decisione.

Cass. sez. II Civile, 9 gennaio 2017, n. 199 Relatore Scarpa: ” Nel caso in esame, secondo quando dato per accertato dal Tribunale di Napoli, si ha riguardo ad obbligazione per l’esecuzione dei lavori di rifacimento del solaio di un lastrico solare di proprietà esclusiva assunta dall’amministratore del condominio, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti dell’appaltatore. Come insegnato da Cass. Sez. U, Sentenza n. 9148 del 08/04/2008 (con principio che va integralmente confermato, non trovando qui applicazione, ratione temporis, neppure il meccanismo di garanzia ex art. 63, comma 2, disp. att. c.c., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall’appaltatore, incombente su chi abbia l’uso esclusivo del lastrico e sui condomini della parte dell’edificio cui il lastrico serve, è retta dal criterio della parziarietà, per cui l’obbligazione assunta nell’interesse del condominio si imputa ai singoli componenti nelle proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c., essendo tale norma non limitata a regolare il mero aspetto interno della ripartizione delle spese.”

Dovendosi negare che l’obbligo di contribuzione alle spese di rifacimento del terrazzo di copertura si connotasse verso l’appaltatore, terzo creditore, come rapporto unico con più debitori, ovvero come obbligazione solidale per l’intero in senso proprio e quindi ad interesse comune, alla T. , quale condomina (in particolare, titolare della proprietà esclusiva del terrazzo) che aveva adempiuto nelle mani dell’appaltatore al pagamento dell’intero prezzo dei lavori, non poteva accordarsi un diritto di regresso nei confronti degli altri condomini, sia pur limitatamente alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi, ex art. 1299 c.c.. Il regresso, che ha per oggetto il rimborso di quanto sia stato pagato a titolo di capitale, interessi e spese, consiste in un diritto che sorge per la prima volta in capo al condebitore adempiente sulla base del c.d. aspetto interno dell’obbligazione plurisoggettiva. Né, smentito il debito solidale dei condomini, al condomino che abbia versato al terzo creditore anche la parte dovuta dai restanti condomini, allo scopo di ottenere da costoro il rimborso di quanto da lui corrisposto, può consentirsi di avvalersi della surrogazione legale in forza dell’art. 1203, n. 3, c.c., giacché essa – implicando il subentrare del condebitore adempiente nell’originario diritto del creditore soddisfatto in forza di una vicenda successoria – ha luogo a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo. Dunque, il pagamento da parte della condomina T. delle quote del corrispettivo d’appalto dei lavori di rifacimento del terrazzo a livello dovute dai restanti condomini poteva al più legittimare la stessa ad agire, come pure prospetta il Tribunale, per ottenere l’indennizzo da ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto dagli altri condomini (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 9946 del 29/04/2009).
Correttamente, poi, il Tribunale ha negato l’applicabilità nel caso in esame tanto dell’art. 1110 che dell’art. 1134 c.c.. Queste due norme recano, invero, una diversa disciplina in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, disciplina che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell’altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza. Il Tribunale di Napoli ha osservato come i lavori di rifacimento del terrazzo fossero stati comunque commissionati dall’amministrazione condorniniale, e non derivassero, quindi, da iniziative di gestione prese dal singolo partecipante. D’altro canto, si ha riguardo, nella specie, a spese non inerenti una cosa comune (come postulato dagli artt. 1110 e 1134 c.c.), quanto un lastrico o terrazzo di proprietà esclusiva, sicché il dovere di contribuire ai costi di manutenzione rinviene la sua ragione, ex art. 1126 c.c., nell’utilità che i condomini sottostanti traggono dal bene.

© massimo ginesi 11 gennaio 2017

impresa e direttore lavori rispondono in solido per la cattiva esecuzione dell’opera

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Il Condominio fa causa all’impresa e al direttore dei lavori che hanno provveduto a importanti lavori di rifacimento del tetto, chiedendo che entrambi vengano condannati al risarcimento dei danni, in via solidale fra loro.

Il Tribunale di Torino, e poi la Corte di appello sabauda, accolgono la domanda con condanna condanna che viene confermata dalla Cassazione, II sezione civile, 21 settembre 2016 n. 18521.

La Suprema corte ha  ribadito  che quando emerga una concorrente responsabilità per negligenza del professionista che ha diretto i lavori, costui risponde in solido con l’appaltatore dei danni subiti dal committente, essendo sufficiente a tal fine che le due condotte – seppur autonome – abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano violazione di norme distinte o fatti illeciti autonomi e diversi.

© massimo ginesi 22 settembre 2016

una sentenza che grida vendetta e una prassi assai poco virtuosa…

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E’ fatto arcinoto che l’amministratore può ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti dei condomini morosi.

Altrettanto pacifico che tale iniziativa giudiziale rientri fra i poteri autonomi dell’amministratore (sino al 2013 lo affermava pacificamente la giurisprudenza, oggi è scritto nel novellato art. 63 disp.att. cod.civ. ) e che lo stesso sia provvisoriamente esecutivo al fine di consentire una rapida ed efficiente gestione della vita patrimoniale del condominio.

LA norma richiede unicamente, per la concessione del provvedimento monitorio, la sussistenza di una ripartizione  approvata: ” Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione”

In tal senso vi è costante giurisprudenza, così come le pronunce più recenti escludono la possibilità di sindacare in sede di opposizione vizi della delibera che rientrano nella previsione di cui all’art. 1137 cod.civ.,  che devono essere fatti valere in separato giudizio ed entro il termine di decadenza previsto dalla stessa norma: “Il titolo per agire ex art. 63 disp. Att. c.c., è costituito dalla delibera che integra, da sola, idonea prova del credito anche nella fase dell’opposizione; in ogni caso, il merito delle delibere emesse dall’assemblea di un condominio non è sindacabile in sede di opposizione ex art. 645 c.p.c. in quanto il legislatore prevede uno specifico e tipico mezzo per l’impugnazione dei vizi dell’atto della volontà dell’assemblea e dei fatti nello stesso rappresentati e che pertanto le questioni accertate o i fatti anteriori alla delibera non possono essere introdotti se non nella sede espressamente prevista dal legislatore”. Tribunale Roma, sez. V, 09/01/2015, n. 378, Cass. 17206/05 e Cass. SSUU 4421/07.

Poiché l’assemblea approva lo stato di ripartizione e le relative scadenze, si tratta di un tipico caso di mora ex re, in cui il debitore non deve necessariamente essere costituito in mora trovandosi in posizione inadempiente al semplice maturare del termine (Cass., 25 febbraio 2014, n. 4489), né la norma fa menzione di ulteriori condizioni per la concessione del decreto oltre allo stato di ripartizione e alla relativa delibera di approvazione.

Il preventivo sollecito  non potrà essere condizione per la richiesta del decreto ingiuntivo neanche sia obbligatoriamente previsto dal regolamento contrattuale: “La mancata preventiva messa in mora del condomino inadempiente, in violazione di norma regolamentare che preveda come obbligatoria la formale contestazione della morosità, non preclude all’amministratore condominiale di agire in via monitoria, potendo – al più – la violazione di tale regola di condotta far discendere in capo all’amministratore medesimo una responsabilità da inesatto adempimento del mandato” Cassazione civile, sez. II, 16/04/2013, n. 9181

Ebbene, accade con frequenza che i Giudici di Pace ignorino o –  peggio – leggano in maniera creativa l’art. 63 disp.att. cod.civ. e omettano di concedere la provvisoria esecutorietà (fatto frequentissimo, ad esempio, presso gli uffici di Roma) oppure pretendano la produzione del  sollecito.

Se ciò rappresenta un piccolo e facilmente “sanabile” abuso in corso di procedimento (Giudice di Pace La Spezia 4.4.2016), diventa davvero inquietante quando tali peculiarità  interpretative conducono a sentenze che destano più di una perplessità (Giudice di Pace Taranto 1.3.2016).

La pronuncia del Giudice pugliese accoglie l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo proposta dal comproprietario di un immobile, sull’assunto che sia onere dell’amministratore effettuare un preventivo sollecito di pagamento, in assenza del quale il decreto deve ritenersi nullo.

Sono diverse le affermazioni “forti” contenute nella pronuncia tarantina.

di fondamentale importanza il decreto ingiuntivo non era stato preceduto da alcuna intimazione e messa in mora; in data 15.10.2014, infatti, il dott. S. riceveva unicamente copia del verbale relativo all’assemblea del 06.10.2014 di approvazione del rendiconto 22.07.2013 – 31.08.2014 nonché copia dello stesso rendiconto senza che, con la relativa lettera di accompagnamento o separato atto di diffida stragiudiziale, gli venisse intimato alcunché;”

“si consideri, infine, che il dott. S. è comproprietario, insieme ad altri eredi, dell’unità (immobiliare sita nel Condominio di via (…) sicché ancora più evidente è l’avventatezza dell’azione giudiziale senza prima accertamento dell’interessamento degli altri partecipanti al pagamento delle quote richieste.”

A tal riguardo, il Condominio opposto non ha provato di aver eseguito la messa in mora nei confronti di tutti gli aventi diritti e comproprietari dell’unità immobiliare e poi la successiva richiesta del decreto ingiuntivo e successiva notifica del precetto ad uno solo degli intestatari dell’unità immobiliare interessata, se ne ricorrono le condizioni, atteso che tutte le spese (compresa la corrispondenza) vanno a carico del condomino inadempiente o moroso. Dette circostanze non possono essere provate tramite testi, in quanto devono essere private solo documentalmente”.

Con buona pace dell’art. 63 disp.att. cod.civ., della solidarietà fra comproprietari di una stessa unità (Cassazione civile, sez. II, 21/10/2011, n. 21907), della mora ex re e anche della Conservatoria RR.II. (la lettura della sentenza farà comprendere le ragioni di tale ultima notazione).

© massimo ginesi 29 luglio 2016