La Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II ord. 21 maggio 2020 n. 9383) richiama una costante giurisprudenza in tema di titolarità del sottotetto, osservando come -al fine di stabilirne la riconducibilità ai beni comuni ex art 1117 c.c. – valga, in prima istanza, il titolo e, ove quello non disponga sul punto, l’effettiva destinazione al soddisfacimento di esigenze comuni.
La pronuncia non brilla per argomenti e valenza espositiva, tuttavia appare interessante laddove sottolinea un aspetto assai frequente nella morfologia del fabbricato in condominio, ovvero l’esistenza di un unico accesso posto nel vano scale dal quale accedere ai volumi sommitali.
La Corte osserva che la condominialità del bene non può essere desunta dalla sola circostanza che l’accesso a tale vano avvenga da una botola posta nel vano scale:” la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune; il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (Sez. 2, n. 17249 del 12/08/2011, Rv. 619027);
con l’ulteriore precisazione che per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicchè, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., comma 1; viceversa, allorchè il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento (Sez. 2, n. 6143 del 30/03/2016, Rv. 639396); – dalla laconica e ingiustificatamente apodittica motivazione, comunque erronea in punto di asserzione in diritto, non si comprende quali accertamenti abbiano convinto il Giudice a reputare che quella frazione di sottotetto (invero assai piccola, 15 mq.) fosse destinata all’uso comune, nel senso sopra specificato; – non supplisce il difetto di sussunzione il mero riferimento a non meglio specificate foto, nè l’affermata presenza di una botola d’accesso nel vano scala e di un cavo televisivo; – il fatto che il sottotetto svolga funzioni isolanti per tutto l’edificio non dimostra affatto lo specifico uso condominiale, ma, anzi, al contrario, conferma che esso riveste prevalente funzione di coibentazione dei singoli appartamenti posti all’ultimo piano; – manca, in definitiva, ogni compiuto accertamento in fatto sulla base del quale potersi affermare che le originarie caratteristiche strutturali dell’edificio fossero tali da doversi concludere per la destinazione dell’intiero sottotetto (quindi, anche della frazione sovrastante l’appartamento del ricorrente) a servizi comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., comma 1, n. 2, non potendosi affermare raggiunta una tale prova attraverso il nudo riferimento all’esistenza di una botola d’accesso dal vano scala e di un cavo televisivo; considerato che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, perchè il Giudice del rinvio riesamini la vicenda alla luce del principio di diritto sopra riportato, nonchè dell’ulteriore specificazione seguente: “lo spurio richiamo a una botola d’accesso dal vano scala e a un cavo televisivo, non dimostra che il sottotetto, “per le (sue) caratteristiche strutturali e funzionali” sia destinato all’uso comune, senza previamente aver verificato la consistenza strutturale originaria del sottotetto e, nel caso di accertata originaria destinazione all’uso comune, se essa concerna l’intiera superficie dello stesso e, comunque, se la stessa sia tale da assumere carattere di oggettiva prevalenza sulla tipica funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano”;
La Cassazione (Cass.civ. sez. II ord. 17 febbraio 2020 n. 3860 rel. Scarpa) affronta in maniera approfondita – confermando orientamenti consolidati – la natura giuridica del sottotetto di un edificio condominiale, ribadendo che – laddove tale vano appaia funzionalmente destinato ad assolvere funzioni comuni – dovrà ritenersi tale ai sensi dell’art. 1117 c.c., competendo a colui che invece ne pretende la titolarità esclusiva l’onera di dar prova dei relativi presupposti : “Secondo, tuttavia, la consolidata interpretazione di questa Corte, che la sentenza impugnata ha del tutto trascurato, sono comunque oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, proprio dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (Cass. civ. III, n. . Sez. 6-2, 14/02/2018, n. 3627; Cass, Sez. 6 – 2, 10/03/2017, n. 6314; Cass. Sez. 2, 02/03/2017, n. 5335; Cass. Sez. 2, 23/11/2016, n. 23902; Cass. Sez. 2, 30/03/2016, n. 6143; Cass. Sez. 2, 20/06/2002, n. 8968; Cass. Sez. 2, 20/07/1999, n. 7764).
Altrimenti, soltanto ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c., tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacché lo stesso sottotetto assolve all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non ha dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento.
La proprietà del sottotetto si determina, dunque, in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto: nel caso in esame, la Corte di Appello di Milano non ha compiuto alcun accertamento sulle funzioni e sulle caratteristiche strutturali del locale sottotetto, né, al contrario, sulla destinazione pertinenziale dello stesso a servizio di appartamenti di proprietà esclusiva, erroneamente supponendo che la natura condominiale di tale bene dovesse negarsi soltanto perché non stabilita convenzionalmente nel contratto del 2 febbraio 1979 o nel regolamento condominiale
Ove dunque il sottotetto dell’edificio di via C… , Milano, risultasse destinato, per sue caratteristiche funzionali e strutturali, all’uso comune, occorrerà verificare il momento di costituzione del condominio, con riferimento all’atto con cui l’originario unico proprietario ne operò il frazionamento, alienando ad un terzo la prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione...
In presenza di un sottotetto posto in rapporto di accessorietà con l’intero edificio o parte di esso, e dunque di uso comune, e non invece destinato pertinenzialmente ad una determinata unità immobiliare di proprietà individuale, per escluderne la condominialità si dovrà accertare che il titolo costitutivo del condominio, ovvero il primo atto di trasferimento di una porzione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, recasse una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente al venditore o ad uno dei condomini la proprietà di detta parte, sì da escluderne gli altri (Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766; Cass. Sez. 2, 19/11/2002, n. 16292).
La circostanza che gli atti di vendita, come le correlate note di trascrizione, non contenessero espressa menzione del trasferimento della comproprietà dei sottotetti, se destinati all’uso comune, non è in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall’art. 1117 c.c., la quale, al contrario, comporta che all’atto stesso consegua l’alienazione, unitamente alla porzione esclusiva, della corrispondente quota di condominio su dette parti comuni. Stando, infatti, al consolidato orientamento di questa Corte, una volta accertata la sussistenza di una situazione di condominio di edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio “accessorium sequitur principale”, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria (Cass. Sez. 2, 06/03/2019, n. 6458; Cass. Sez. 6 – 2, 26/10/2011, n. 22361; Cass. Sez. 2, 27/04/1993, n. 4931).
Secondo uniforme interpretazione giurisprudenziale, spetta in ogni caso al condomino, che pretenda l’appartenenza esclusiva di un bene, quale appunto un sottotetto destinato all’uso comune, compreso tra quelli elencati espressamente o per relationem dall’art. 1117 c.c., dar prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da titolo contrario (non essendo determinanti, a tal fine, né le risultanze del regolamento di condominio, né l’inclusione del bene nelle tabelle nnillesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino, né i dati catastali); in difetto di tale prova, infatti, deve essere affermata l’appartenenza dei suddetti beni indistintamente a tutti i condomini.”
La Cassazione ( Cass.Civ. sez.II ord. 5 febbraio 2019 n. 3310) conferma un orientamento consolidato in tema di beni comuni ex art 1117 cod.civ.: l’oggettiva attitudine del bene a fornire utilità comune e in assenza di titolo contrario è idonea a far ritenere sussiste la condominiali del bene, senza la necessità per il condominio di adempiere ai ferrei principi probatori in tema di rivendica.
“la Corte territoriale ha – con motivazione logica ed ampiamente esaustiva – accertato come la ricorrente non abbia provato l’esistenza di alcun titolo dal quale desumere la proprietà esclusiva del sottotetto dedotto in controversia, ponendo in risalto come tale bene era, invero, risultato di fatto strutturalmente destinato ad un servizio o ad un’utilità comune per la collettività condominiale di cui fanno parte i controricorrenti quali condomini.
A tal proposito lo stesso giudice di appello ha supportato tale ricostruzione ponendo in luce come dagli stessi atti di trasferimento dei singoli appartamenti fosse emersa la rilevante circostanza in base alla quale era rimasto garantito in favore degli acquirenti il diritto alla proporzionale quota di proprietà degli enti e degli spazi comuni dell’immobile, tra i quali il conteso sottotetto, che, infatti, era stato – sul piano fattuale – in concreto utilizzato dai condomini in virtù della consegna delle relative chiavi avvenuta all’atto della stipula dei vari atti di vendita dei singoli appartamenti proprio da parte della ricorrente (che, del resto, non ha contestato tale circostanza, peraltro realizzatasi fin dal 1970: cfr. pag. 8 dell’impugnata sentenza).
Decidendo in tal senso la Corte milanese di è conformata all’univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 3862/1998; cass. n. 15372/2000 e, da ultimo Cass. n. 20593/2018), alla stregua della quale, in tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova (onere, nel caso di specie, non assolto dalla ricorrente), senza che, peraltro, a tal fine sia sufficiente l’allegazione del suo titolo di acquisto ove lo stesso non contenga in modo chiaro ed inequivocabile elementi idonei ad escludere la condominialità del bene.
Il giudice di secondo grado ha anche spiegato adeguatamente l’ininfluenza a fini probatori del regolamento condominiale e delle cc.dd. schede alloggi, poiché tali documenti non potevano sortire alcuna rilevanza sul piano degli effetti traslativi di immobili. In particolare, la Corte territoriale ha attestato che dalle schede alloggi risultavano solo delle aree circoscritte con due zone quadrangolari, come tali assolutamente inidonee ad assumere la valenza di un documento comprovante l’emergenza di un titolo autonomo e separato di proprietà; allo stesso modo il giudice di appello ha ritenuto l’irrilevanza a questo scopo del regolamento condominiale in cui sono, in linea essenziale, riportate le tabelle millesimali necessarie per la ripartizione delle spese condominiali tra i singoli condomini.”
Qualora un condomino si appropri di un bene comune e lo utilizzi in via esclusiva, sottraendolo alla disponibilità degli altri condomini, è tenuto a risarcire il danno conseguente senza necessità che coloro che lo richiedono diano prova di un effettivo pregiudizio.
E’ quanto afferma Corte di Cassazione, sez. II Civile 8 maggio 2017, n. 11184, con specifico riferimento al sottotetto comune.
“Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, l’utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte del singolo condomino in assenza del consenso degli altri condomini, ai quali resta precluso l’uso, anche solo potenziale, della “res”, determina un danno “in re ipsa”, quantificabile in base ai frutti civili tratti dal bene dall’autore della violazione (Sez. 2, n. 19215 del 28/09/2016). Sul punto, va precisato che, a seguito della occupazione illegittima della cosa comune da parte di un condomino, le facoltà dominicali del condominio possono risultare compromesse sia per il venir meno di un pregresso godimento del bene, sia per l’impossibilità di trarre in futuro dalla resle utilità che la stessa è idonea a produrre in base a calcoli di tipo figurativo. Tale danno, qualificabile in entrambi i casi come “lucro cessante” (interrotto o impedito), in tanto ricorre in quanto la parte comune sia suscettibile di utilizzazione e sia di natura potenzialmente fruttifera, potendosi da essa ricavare una utilità. Nella specie, la Corte territoriale si è adeguata al richiamato principio di diritto ed ha verificato la natura potenzialmente fruttifera del locale occupato dalla M. . Esattamente, perciò, ha ritenuto la sussistenza del danno in re ipsa, peraltro liquidato in misura minima, neppure contestata dalla ricorrente.”
La Corte ribadisce inoltre il proprio orientamento sui criteri per individuare la natura comune o meno del vano sottotetto (seppur in una lettura che si rifà all’art. 1117 cod.civ. ante L. 220/2012 che, peraltro, sul punto poco ha cambiato): “Una volta escluso che dai titoli possa ricavarsi la proprietà del sottotetto, esattamente i giudici di merito hanno fatto applicazione del criterio sussidiario della destinazione del bene dettato dall’art. 1117 primo comma n. 1 cod. civ. (nel testo vigente ratione temporis), ritenendo il sottotetto di proprietà condominiale per il fatto di essere destinato all’uso comune (tale uso comune i giudici di merito hanno dedotto dal fatto che il locale è costituito da un unico spazio comune compreso tra la scala A e quella B, con accesso dalla scala condominiale; e dal fatto che in esso sono collocate tubazioni condominiali, parti dell’impianto condominiale di riscaldamento centralizzato e dell’antenna centralizzata TV, nonché il vano tecnico dell’ascensore installato nella scala B)”.
“la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune.
Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (Cass., Sez. 6 – 2, n. 17249 del 12/08/2011).
In particolare, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117, comma 1, cod. civ.; viceversa, allorché il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento (Cass., Sez. 2, n. 6143 del 30/03/2016; Sez. 2, n. 24147 del 29/12/2004; Sez. 2, n. 8968 del 20/06/2002).
Nella specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto. Prima i giudici di merito hanno motivatamente escluso che i titoli prodotti dalle parti attribuissero la proprietà del sottotetto alla M. . Sul punto, i giudici hanno sottolineato che, seppure dai titoli non risulta che il sottotetto dell’edificio sia di proprietà comune dei condomini, dall’atto di acquisto della M. non risulta affatto che il sottotetto sia stato trasferito in proprietà alla stessa.”
La Suprema Corte, con recente sentenza, ripercorre il consolidato orientamento in tema di sottotetti: la pronuncia non costituisce lettura innovativa, poiché i principi affermati sono da tempo nelle corde della Cassazione, ma rappresenta un ottima sintesi della disciplina in materia.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 marzo 2017 n. 6314, Rel. Scarpa: “La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti del Codice Civile, si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto. Secondo le emergenze documentali del giudizio, il Condominio di Via S.M., Pisa, deve intendersi sorto con l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà M. in data 29 novembre 1989.
Originatasi a tale data la situazione di condominio edilizio, dallo stesso momento doveva intendersi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo del 29 novembre 1989 non risultasse, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla venditrice o ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26766 del 18/12/2014).
L’art. 1117 c.c. attribuisce, invero, ai titolari delle singole unità immobiliari dell’edificio la comproprietà di beni, impianti e servizi – indicati espressamente o per “relationem” – in estrinsecazione del principio “accessorium sequitur principale”, per propagazione ad essi dell’effetto traslativo delle proprietà solitarie, in quanto necessari all’uso comune, ovvero destinati ad esso, se manca o non dispone diversamente il relativo titolo traslativo.
Nella specie, si controverte ancora di soffitte-sottotetto e di un gabinetto posto tra il secondo ed il terzo piano dell’edificio. Si tratta di beni tutti non espressamente nominati nell’elenco esemplificativo contenuto nell’art. 1117 c.c. (formulazione applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220). Secondo consolidata interpretazione di questa Corte, sono comunque oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6143 del 30/03/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8968 del 20/06/2002; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7764 del 20/07/1999).
Altrimenti, ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c., tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacchè lo stesso sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento.
La proprietà del sottotetto si determina, dunque, in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto: nel caso in esame, la Corte di Appello di Firenze, con apprezzamento di fatto spettante in via esclusiva al giudice del merito, ha accertato che i locali sottotetto fossero posti in destinazione pertinenziale a servizio del terzo piano e sottratti all’uso comune. Con analogo apprezzamento di fatto, insindacabile in questa sede, la Corte di merito ha accertato che non rientrasse tra le parti necessarie, o che comunque servono all’uso e al godimento comune, il gabinetto posto al piano ammezzato. Non sussistendo, pertanto, i presupposti di fatto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria dei sottotetti e del gabinetto, e dunque non operando la presunzione di attribuzione al condominio ex art. 1117 c.c., non ha senso interrogarsi sulla necessità di rinvenire un titolo contrario per derogarvi.”
Il sottotetto è da sempre vano con una travagliata identità: se il titolo nulla dispone, deve ritenersi pertinenza dell’unità immobiliare posta immediatamente aldisotto, ove la sua funzione sia limitata a mero vano tecnico (tendenzialmente impraticabile) volto all’isolamento dal tetto di quell’appartamento, mentre dovrà ritenersi condominiale se – per caratteristiche e funzioni – sia destinato ad assolvere ad una utilità comune.
Si tratta di un’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che la L. 220/2012 ha pedissequamente trasformato in (inutile) dato normativo, inserendo nell’art. 1117 cod.civ. l’espressione “i sottotetti destinati per le caratteristiche funzionali all’uso comune”, inciso che obbliga comunque il giudice ad un apprezzamento di fatto sulle oggettive caratteristiche funzionali di ciascun sottotetto.
Altro caposaldo giurisprudenziale riguarda il possesso idoneo ad usucapire, quando si eserciti su beni comuni: il godimento anche esclusivo da parte del singolo ben può essere espressione delle facoltà previste dall’art. 1102 cod.civ., sicché per usucapire è necessario un atto di interversione di particolare apprezzabilità, che trasformi con chiarezza il compossesso in possesso esclusivo.
La Suprema Corte distilla tali principi, con grande precisione, in una recente sentenza (Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 2 marzo 2017, n. 5335- Relatore Scarpa) che conclude una vicenda iniziata in terra ligure, con qualche interessante e didattica riflessione anche sulla nascita del condominio.
i fatti e il processo di merito “B.S. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 1170/2012 del 21 novembre 2012 della Corte d’Appello di Genova, che aveva rigettato l’appello proposto dalla stessa B.S. avverso la sentenza n. 4189/2005 del Tribunale di Genova ed invece accolto l’appello incidentale proposto dal CONDOMINIO (omissis) , ordinando alla B. di liberare le intercapedini perimetrali del sottotetto condominiale dalle masserizie ivi collocate. La causa era iniziata con citazione del 26 gennaio 1997 proposta dalla condomina Ca.Ol. (della quale B.S. è erede costituitasi in corso di giudizio) per impugnazione della deliberazione assembleare del 18 dicembre 1996, che invitava la signora Ca. a non utilizzare dette intercapedini perimetrali a livello del suo appartamento, in quanto di proprietà comune. Avendo l’attrice proposto altresì domanda di usucapione di tali locali, venivano chiamati in giudizio anche i condomini dell’edificio D.M.G. , C.A. , CE.LU. , R.P. , A.N. , I.G. , CI.MA. e D.F.E. “
in diritto la Corte di legittimità osserva che …“La Corte d’Appello di Genova ha affermato che la proprietà condominiale dei sottotetti si ricava dal “titolo pre-costitutivo del condominio a rogito not. S. in data 19.08.53, col quale tutti i soggetti interessati alla costruzione dell’edificio acquistarono pro quota l’area edificabile in vista della futura edificazione del caseggiato. L’atto conteneva già l’identificazione e la descrizione degli appartamenti che per effetto della descrizione del caseggiato sarebbero diventati di proprietà dei singoli condomini”. Alla condomina M.A. era attribuita la proprietà dell’appartamento interno 7 (poi divenuto di proprietà Ca. ), i cui confini venivano descritti come “porzioni condominiali del sottotetto e muretto attico sui terrazzini”.
IL MOMENTO IN CUI SORGE IL CONDOMINIO: “Per unanime interpretazione giurisprudenziale, in ipotesi di edificio costruito da una sola persona, la situazione di condominio edilizio si ha per costituita nel momento stesso in cui l’originario unico proprietario ne operi il frazionamento, alienando ad un terzo la prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione. Se, invece, si tratti, come nel caso in esame, di edificio costruito da più soggetti su suolo comune, il condominio insorge al momento in cui avviene l’assegnazione in proprietà esclusiva dei singoli appartamenti. Spetta, invero, al giudice del merito stabilire, in base al contenuto della convenzione ed all’interpretazione della volontà dei contraenti, se i comproprietari pro indiviso di un suolo, i quali stabiliscano di costruirvi un fabbricato condominiale, per conseguire la proprietà esclusiva dei singoli appartamenti senza necessità di porre in essere, a costruzione ultimata, ulteriori atti traslativi o dichiarativi, abbiano stipulato un negozio di divisione di cosa futura, ovvero una reciproca concessione ad aedificandum (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 102 del 15/01/1990; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4868 del 15/07/1983). Costituitosi, in ogni caso, il condominio, per effetto dell’assegnazione delle singole porzioni, insorge altresì la presunzione legale di comunione “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano, in tale momento, destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26766 del 18/12/2014; Sez. 2, Sentenza n. 16292 del 19/11/2002).
IL SOTTOTETTO: Sono quindi oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (già così, peraltro, indipendentemente dall’integrazione dell’art. 1117 c.c. nel richiamato senso, disposta dalla Riforma del 2012: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23902 del 23/11/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6143 del 30/03/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8968 del 20/06/2002; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7764 del 20/07/1999). Altrimenti, ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c., tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacché lo stesso sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento.La proprietà del sottotetto si determina, dunque, prioritariamente in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. La Corte d’Appello di Genova si è attenuta a tali principi e, poiché l’indagine diretta a stabilire, attraverso l’interpretazione dei titoli d’acquisto, se sia o meno applicabile la presunzione di comproprietà ex art. 1117 c.c., costituisce un apprezzamento di fatto, essa non è censurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di un fatto storico decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012 (applicabile nella specie ratione temporis). Non può certamente rilevare, ai fini dell’interpretazione del contenuto del contratto e del suo programma obbligatorio (la quale consiste in apprezzamento tipico del giudice di merito volto a ricostruire l’intenzione delle parti), la qualificazione giuridica degli elementi dell’accordo che abbia raggiunto il consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di accertamento che esula dai compiti delegabili all’ausiliare.
IL POSSESSO DI PARTI COMUNI E L’USUCAPIONE: “Quanto al terzo motivo di ricorso, riguardante la pretesa della ricorrente di aver usucapito le soffitte in contesa, la Corte di Genova ha negato che vi fosse prova di condotte di possesso esclusivo dei beni, a tanto non valendo la mera occupazione dei locali con vari oggetti. La censura lamenta la mancata considerazione del fatto che l’accesso ai vani per cui è causa possa avvenire soltanto attraverso l’appartamento della stessa ricorrente, sicché non v’era ragione di escludere gli altri dal possesso. La doglianza è infondata, atteso che il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei comproprietari, in ragione della peculiare ubicazione del bene e delle possibilità di accesso ad esso, non è comunque, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso “ad usucapionem”, essendo, per converso, comunque necessaria, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla “res” da parte dell’interessato attraverso un’attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19478 del 20/09/2007) La valutazione degli atti di possesso, agli effetti indicati, è peraltro rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, sempre al di fuori dei limiti attualmente segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”
un recente sentenza che ribadisce principi consolidati.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 luglio – 6 ottobre 2016, n. 20038 conferma l’esito dei giudizi di primo e secondo grado, affermando che “Secondo i principi affermati dalla giurisprudenza, l’appartenenza del sottotetto di un edificio va determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo esso compreso nel novero delle parti comuni dell’edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all’uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. è, in ogni caso, applicabile nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato all’uso comune oppure all’esercizio di un servizio di interesse condominiale, quando tale presunzione non sia superata dalla prova della proprietà” esclusiva”.
Spetterà dunque a chi intenda vantare un proprio diritto esclusivo su un vano che sia suscettibile, anche astrattamente, di fornire una utilità comune fornire la prova del diritto esclusivo che intende vantare, adducendo i titoli in forza dei quali tale diritto gli è pervenuto.
Il principio risulta consolidato in giurisprudenza e non pare toccato dalla novella del 2012, che nell’introdurre nell’art. 1117 cod.civ. la locuzione “i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune” da la misura della matrice giurisprudenziale della L. 220, con la quale il legislatore ha attinto a piene mani – spesso senza grande consapevolezza – al diritto vivente generato dalle massime della suprema corte.
La pronuncia, per l’ampia disamina di fatto e diritto, merita lettura integrale.