E’ quanto ha stabilito il Tribunale della Spezia con provvedimento camerale del 30 marzo 2018.
La vicenda riguarda un condominio composto di soli quattro condomini, che ha provveduto alla revoca dell’amministratore senza contestualmente nominare altro soggetto, impegnandosi nella stessa delibera di revoca a convocare a breve altra riunione per provvedere alla nomina di nuovo soggetto.
L’ amministratore uscente ha più volte sollecitato tale adempimento, anche al fine di essere sgravato dagli oneri previsti dall’art. 1128 comma VIII cod.civ.
Nella totale inerzia del condominio, l’amministratore uscente decideva di ricorrere al Tribunale per chiedere la nomina di un amministratore ai sensi dell’art. 1129 I comma cod.civ. oppure – ove il Tribunale avesse ritenuto tale incombente non ammissibile – l’individuazione di un soggetto a cui poter passare le consegne ai sensi dell’art. 1129 VI comma cod.civ., atteso che oltre ad essere tenuto agli obblighi della ordinaria gestione, continuavano a pervenirgli anche i solleciti dei fornitori insoddisfatti.
In particola l’amministratore uscente ha osservato che “la dottrina e la giurisprudenza unanimi identificano il Condominio quale ente collettivo a rappresentanza necessaria, (seppur spaziando dalla teoria dell’ente di gestione al soggetto giuridico autonomo). Il necessario rappresentante di quella collettività è oggi individuato dalla legge (art. 1129 VI comma cod.civ. ) nell’amministratore – ove la compagine sia composta da più di otto elementi – oppure da un soggetto che – in contesti numericamente più contenuti – ne svolga le funzioni, con effetti di necessaria pubblicità anche verso i terzi (art. 1129 VI comma cod.civ. ). Ne deriva che un soggetto che rappresenti il Condominio e che – in caso di cessazione o dimissioni dell’amministratore – ne subentri nelle funzioni deve necessariamente essere individuato, dal Condominio o – nella sua inerzia – dall’Autorità Giudiziaria. In tal senso il ricorso è stato proposto, evidenziando la necessità che in caso di inerzia del Condominio nella nomina di un successore, l’amministratore non sia obbligato a permanere nello svolgimento di alcune funzioni sine die. Che l’amministratore sia oggi soggetto pienamente legittimato al ricorso iure proprio, al fine di far cessare la propria situazione di permanenza nelle funzioni una volta cessato dall’incarico, è circostanza espressamente affermata dall’art. 1129 I comma cod.civ. Sul punto autorevole dottrina (Celeste – Scarpa – Il Condominio negli edifici – Giuffrè 2017 pagg. 586 e ss) afferma: “ Quanto al procedimento di nomina giudiziale la riforma innovativamente ha contemplato la legittimazione, oltre che dei condomini, altresì dell’amministratore uscente dimissionario (che pure non abbia la qualità di condomino) a proporre ricorso al tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, affinché provveda alla nomina di un nuovo amministratore. La nuova formulazione sembra riferirsi esclusivamente all’amministratore che abbia dato le dimissioni allorché il condominio non abbia provveduto la sua sostituzione, nonostante che l’assemblea sia stata sollecitata in tal senso, può tuttavia desumersi che identica legittimazione ad agire per la nomina giudiziale del successore possa ora riconoscersi all’amministratore uscente altresì nell’ipotesi in cui l’assemblea non lo abbia confermato”
I condomini si sono difesi, richiamando Trib. Milano 16 novembre 2015, che ha ritenuto non ammissibile il ricorso per la nomina dell’amministratore in fabbricati composti da non più di otto condomini e, nelle more, hanno nominato nuovo amministratore.
La vicenda è dunque andata in decisione, seppur con rito camerale, solo relativamente al regime delle spese, secondo i criteri della soccombenza virtuale.
Lo ha stabilito una recente sentenza (Tribunale di Massa 6 novembre 2017 n. 917 ), che ha dichiarato nulla la nomina di un amministratore che non aveva indicato analiticamente la propria richiesta di compenso. La pronuncia affronta anche diversi altri motivi fatti valere dalle parti, che tuttavia si rivelano infondati.
Il compenso dell’amministratore non risultava da alcun documento, né antecedente né posteriore alla assemblea, né sussisteva formale accettazione. Alcuni mesi dopo la riunione il presiedente ed il segretario della riunione avevano predisposto, a loro firma, una nota di correzione del verbale ove si dichiarava che l’assemblea – prima di procedere alla nomina – era stata resa edotta dell’importo richiesto dall’amministratore.
Il condominio si è difeso osservando anche che il compenso dell’amministratore era stato comunque indicato come voce del preventivo approvato.
il Tribunale ha osservato che “Risulta (…) fondata la censura sulla nullità della nomina dell’amministratore, in assenza di una valida accettazione che contenga specifica indicazione del suo compenso; il dettato dell’art. 1129 comma XIV cod.civ. è tassativo e non ammette equipollenti: “È nulla la nomina dell’amministratore di condominio – con conseguente nullità della delibera in parte qua – in assenza della specificazione analitica del compenso a quest’ultimo spettante per l’attività da svolgere, in violazione dell’art. 1129, comma 14, c.c. Tale norma, che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, si applica sia nel caso di prima nomina dell’amministratore che nel caso delle successive riconferme” . Tribunale Milano, sez. XIII, 03/04/2016, n. 4294 A tal fine va osservato che nel verbale di assembla nulla risulta in ordine al compenso, né potrà a tal fine rilevare – come pretenderebbe il convenuto – la mera indicazione di una somma complessiva, per nulla dettagliata, inserita fra le voci del preventivo che – anche ove si possa ritenere che comprenda tutto quanto dovuto all’amministratore alla luce di Cass. 22313/2013 – non soddisfa quella esigenza di chiarezza documentale, trasparenza e formalità che traspaiono dal meccanismo di nomina ed accettazione individuati dal novellato art. 1129 cod.civ., meccanismo che non può prescindere da un atto formale dal quale risulti l’espressa e analitica indicazione del compenso.
Mette conto di rilevare, in proposito, che il preventivo di spesa costituisce una semplice stima – che potrebbe anche essere variata in sede di consuntivo – e non rappresenta invece quell’assunzione di un obbligo negoziale da parte dell’amministratore in ordine al corrispettivo (che rappresenta l’obbligazione assunta dal condominio) che oggi appare indispensabile a mente del novellato art. 1129 cod.civ., a tutela della posizione contrattuale del mandante. Il Condomino non ha peraltro provato che tale indicazione fosse stata allegata alla convocazione, che neppure è stata prodotta, né che vi sia stato un formale atto di accettazione conforme al dettato di cui all’art. 1129 commi II e XIV cod.civ., norma inderogabile ex art 1138 cod.civ.”
La sentenza contiene anche ulteriori statuizioni che possono essere di interesse, attenendo ad aspetti frequentemente controversi in ambito condominiale:
PRESIDENTE E SEGRETARIO ASSEMBLEA – gli attori si dolevano che gli organi assembleari non fossero stati ritualmente nominati e che avessero provveduto, altrettanto irritualmente, a correggere a posteriori il verbale, integrandolo con i dati del compenso richiesto dall’amministratore. Osserva il Tribunale che “paiono altresì non provate (e comunque destituite di fondamento) le istanze circa l’invalidità della delibera per la irregolare nomina di presidente e segretario. Va a tal proposito evidenziato che dal verbale risulta che costoro siano stati eletti dalla assemblea e che le parti attrici, seppur presenti, non abbiano in quella sede contestato alcunché: era peraltro in capo a loro l’onere di provare, ex art 2697 I comma cod.civ., la sussistenza del vizio lamentato, prova che non risulta fornita: “.Il verbale di una assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova. Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l’onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale.” Cass. 11375/2017 Né, peraltro, risulta alcuna norma che preveda l’esistenza di tali figure nella assembla condominiale e, anche a voler mutuare la loro funzione dai principi generali in tema di funzionamento degli organi collegiali, non si rinviene alcun dato normativo – ne parte attrice lo individua – che preveda che eventuali vizi afferenti alla nomina di tali soggetti comportino nullità dei deliberati della assemblea, sussistendo anzi giurisprudenza in senso assolutamente contrario (Tribunale Milano, 24/07/1997)”
SULLA POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE SUCCESSIVA DEL VERBALE – “non può avere alcun rilievo il bizzarro atto di integrazione del verbale inviato ai condomini alcuni mesi dopo l’assemblea e che reca almeno tre date diverse: tale scrittura rappresenta una mera dichiarazione – parrebbe a posteriori – di coloro che lo sottoscrivono ed al quali non si può riconoscere alcun valore se non quello di semplice dichiarazione riconducibile agli estensori, atteso che è lecito ritenere che gli organi assembleari (presidente e segretario) cessino la loro funzione – e vengano meno i relativi poteri – con la chiusura della riunione e non potendo ritenersi consentito emendare, a posteriori e in sedi diverse dalla assemblea (con il relativo assenso dei partecipanti), la carenza di elementi essenziali del verbale e delle delibere che quel verbale attesta esser avvenute.”
SULLA LEGITTIMAZIONE DEGLI USUFRUTTUARI – Deve preliminarmente essere dichiarata infondata anche l’eccezione, avanzata dal convenuto, relativa alla asserita di carenza di legittimazione attiva degli usufruttuari M F e C F, per le delibere che riguarderebbero lavori straordinari, atteso che a fronte della solidarietà fra usufruttuario e nudo proprietario, oggi prevista dall’art. 67 disp.att.cod.civ., la delibera è direttamente ed immediatamente azionabile contro entrambi, sì che a costoro va riconosciuta la pari facoltà di agire per far dichiarare la sua invalidità.
SULL’OBBLIGO DI INDICAZIONE NOMINATIVA DEI VOTANTI – Parimenti del tutto infondata si rivela la doglianza rispetto alle irregolarità che inficerebbero la votazione per non essere stati nominativamente indicati tutti i soggetti che hanno votato a favore e contro: il verbale contiene, in apertura, l’elenco di tutti i soggetti presenti e, per ogni punto in votazione, l’indicazione di chi abbia eventualmente votato contro, con l’espressa quantificazione del loro valore millesimale complessivo. Si tratta, in accordo con la giurisprudenza consolidata, di modalità più che sufficienti a garantire la facoltà di impugnazione ai dissenzienti e la possibilità di individuare i soggetti che abbiano votato a favore e il loro valore millesimale. (Cass. 6552/2015; Cass. 2413272009, cass. 10329/1998);
SULLA FACOLTA’ DI TESTIMONIARE DEI CONDOMINI -Altrettanto singolare che parte attrice si ostini a reiterare istanze istruttorie in cui elenca quali testimoni unicamente soggetti che rivestono la qualità di condomino, sostenendo che costoro “sono gli unici a poter testimoniare sulla materia condominiale e, in particolare, sulle circostanze avvenute in sede di assemblea” (pag. 7 comparsa conclusionale). Sulla mancata ammissione delle testimonianze sarà sufficiente osservare che “I singoli condomini sono privi di capacità a testimoniare nelle cause che coinvolgono il condominio, poiché l’eventuale sentenza di condanna è immediatamente azionabile nei confronti di ciascuno di essi.” Cass. 17199/2015; l’inammissibilità è stata tempestivamente eccepita dal convenuto nella terzamemoria ex art 183 VI comma c.p.c.
SUL MANCATO INVIO DEI PREVENTIVI PER LAVORI STRAORDINARI –Infondata risulta la censura relativa alla approvazione di spese straordinarie, che si assume illegittima poiché non sarebbero stati preliminarmente inviati preventivi: posto che tale procedura non è prevista da alcuna norma in materia di condominio e che l’assemblea, ove raggiunga le maggioranze necessarie, è assolutamente sovrana nella scelta delle opere da eseguire, ivi compresi i relativi costi, ciò nell’ambito delle attribuzioni dell’organo collegiale stabilite dall’art. 1135 cod.civ. e salvi solo i limiti delineati dagli artt. 1102 e 1120 cod.civ
SULLA CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE – la dedotta nullità della delibera impedisce qualunque sanatoria, di tal chè la delibera successivamente assunta in data 3.6.2017 – con cui è stato nominato lo stesso amministratore B. – si pone come atto autonomo e distinto da quello impugnato, avente effetti dal momento della sua adozione ed inidoneo a sanare il vizio dedotto nel presente procedimento, circostanza che se da un lato consente di ritenere ovviato il problema concreto della nomina dell’amministratore a far data dal 3.6.2017, dall’altro lascia intatto l’interesse dagli attori di veder dichiarare la nullità della precedente nomina e impedisce di ritenere cessata la materia del contendere, sì che si dovrà pronunciare anche in punto di soccombenza, ai sensi dell’art. 91 cod.proc.civ., senza alcun criterio virtuale.
I tribunali delineano confini sempre più stringenti all’obbligo di mediazione, sicché si considera ingiustificata la partecipazione – con tutte le conseguenze che ne derivano sotto il profilo processuale – della parte che, antecedentemente al primo incontro, comunica mediante pec inviata all’organismo la propria volontà di non partecipare, fornendone motivazione.
E’ quanto afferma il Tribunale di Vasto con ordinanza 6 dicembre 2016: “la condotta della parte che non si reca al primo incontro di mediazione e si limita a rappresentare per iscritto all’organismo di mediazione la decisione di non partecipare allo stesso, eventualmente anche illustrandone le ragioni, va interpretata alla stregua di una assenza ingiustificata della parte invitata, che la espone al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie, sia sul piano processuale che su quello pecuniario, previste dall’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10. Questo perché, nello spirito della norma che disciplina lo svolgimento del procedimento di mediazione (art. 8), la partecipazione delle parti, sia al primo incontro che agli incontri successivi, rappresenta una condotta assolutamente doverosa, che le stesse non possono omettere, se non in presenza di un giustificato motivo impeditivo che abbia i caratteri della assolutezza e della non temporaneità.Posta in questi termini l’obbligatorietà della partecipazione, deve ritenersi che la prassi, talora adottata dalla parte invitata, di anticipare per iscritto il proprio rifiuto di partecipare al primo incontro, costituisce un atto di mera cortesia, che però non ha alcuna idoneità a giustificare la deliberata assenza della parte e ad esonerarla dalle conseguenti responsabilità”
Non soccorre neanche esporre le ragioni del rifiuto: “Quanto, poi, alla enunciazione dei motivi della mancata partecipazione, ove essi – come sovente accade – non riguardino le cause che impediscono oggettivamente alla parte (che pure vorrebbe, ma non ha la materiale possibilità) di essere presente al primo incontro, ma invece concernino le ragioni per cui la stessa ritenga di non volere iniziare la procedura di mediazione, occorre chiarire che, nell’attuale sistema normativo, non è mai consentito alle parti di anticipare la discussione sul tema della possibilità di avviare la mediazione, senza avere prima partecipato personalmente al primo incontro e recepito le informazioni che il mediatore è tenuto a dare circa la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. In altri termini, il diniego del consenso ad intraprendere un percorso di mediazione può essere validamente espresso solo se la manifestazione di volontà negativa che la parte esprime sia: a) innanzitutto, preceduta da un’adeguata opera di informazione del mediatore circa la ratio dell’istituto, le modalità di svolgimento della procedura, i possibili vantaggi rispetto ad una soluzione giudiziale della controversia, i rischi ragionevolmente prevedibili di un eventuale dissenso e l’esistenza di efficaci esiti alternativi del conflitto; b) per altro verso, supportata da adeguate ragioni giustificatrici che siano non solo pertinenti rispetto al merito della controversia, ma anche dotate di plausibilità logica, prima ancora che giuridica, tali non essendo, ad esempio, quelle fondate sulla convinzione della insuperabilità dei motivi di contrasto (cfr., sul punto, precedente pronuncia di questo tribunale sulle caratteristiche del rifiuto di proseguire oltre il primo incontro – Trib. Vasto, ord. 23.04.2016).Parafrasando una terminologia invalsa in ambito medico, il dissenso alla mediazione, ai fini della sua validità, deve essere non solo personale, ma anche consapevole, informato e, soprattutto, motivato.Orbene, quando la parte invitata, senza partecipare alle attività informative e di interpellanza da espletarsi al primo incontro, annuncia per iscritto la propria assenza, provvedendo ad illustrare le ragioni che la inducono a decidere di non voler iniziare una mediazione, si deve ritenere che il dissenso così manifestato non sia stato validamente espresso, perché – a prescindere dalla validità delle argomentazioni giustificative – la parte non si è posta nelle condizioni di esprimere una volontà consapevole ed informata.Ne deriva che l’organismo di mediazione non è tenuto a prendere in considerazione o ad esaminare nel merito detta comunicazione scritta, se non a fini strettamente attinenti a profili organizzativi e logistici per la celebrazione del primo incontro.”
Il Giudice abruzzese è poi particolarmente severo in ordine alle conseguenze, ritenendo immediatamente applicabile la sanzione del contributo e riservandosi di valutare la condotta anche all’esito del procedimento: “Per tali motivi, visto che la parte invitata non ha partecipato senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10, una pronunciata di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. La lettera della citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna in questione ogniqualvolta la parte che non ha partecipato al procedimento non fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta.Sulla questione della applicabilità della predetta disposizione anche in corso di causa, questo giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non sia necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia. Conformemente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la sanzione pecuniaria in questione può, dunque, ben essere irrogata anche alla prima udienza o, comunque, in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio. In disparte della irrogazione della sanzione pecuniaria, questo giudice si riserva di valutare la condotta della banca di ingiustificata renitenza alla mediazione, sia ai fini della ammissione di eventuali mezzi di prova che ai fini della successiva decisione della causa, ai sensi degli artt. 116, secondo comma e 96, terzo comma, c.p.c., tanto più alla luce del successivo comportamento processuale assunto dalla banca convenuta, che in prima udienza ha chiesto, unitamente all’attore, un rinvio per effettuare un tentativo di definizione bonaria della causa, così manifestando un atteggiamento di apertura ad un possibile esito conciliativo della controversia, che avrebbe dovuto trovare la sua sede naturale di sperimentazione non all’interno del processo, bensì nell’ambito della procedura di mediazione, nella quale le parti potevano cogliere l’opportunità di arrivare ad una soluzione concordata del conflitto con possibilità di successo sicuramente maggiori di quelle raggiungibili nel corso del processo.”
Una sentenza interessante e importante su un tema assai caldo, oggetto di avvicendamenti legislativi e giurisprudenziali sempre lineari.
Secondo Tribunale Milano 6782/2016 con l’articolo 13 della legge 431/98 (così come modificato dall’articolo 1, comma 59, della legge 208/2015 ) “il legislatore ha esercitato il potere di disciplinare le situazioni in precedenza regolate dalla normativa dichiarata incostituzionale e tale facoltà di intervento è stata attuata dettando una nuova disciplina della materia, con incidenza limitata e diversa rispetto al precedente intervento, che aveva semplicemente “prorogato”, fino al 31.12.2015, gli effetti della norma illegittima. Tra l’altro, il legislatore ha ora previsto conseguenze ancor meno “invasive” sul diritto di proprietà, escludendo la durata legale del contratto fino ad una scadenza successiva (come era, invece, previsto dal D.L.vo 23/11 e dalla L.80/14). In sostanza, la nuova normativa non incorre nelle censure mosse dalla Corte alle precedenti , affrettate, iniziative: la disciplina è ora contenuta nell’art.13 della L.431/98, norma stabile e fondamentale in materia di locazione di immobili urbani e che per i contratti, quale quello di specie, prevede un regime temporaneo idoneo a salvaguardare l’interesse dei conduttori, improvvisamente divenuti gravemente morosi per aver fatto affidamento su una disciplina legale del canone, caducata per effetto delle sentenze di illegittimità costituzionale; interesse dei condutt01i che è stato, però, equamente contemperato con quello dei locatori, limitando a un periodo contenuto la riduzione legale del canone ed escludendo (a differenza delle precedenti disposizioni dichiarate illegittime) vincoli sulla durata del rapporto”…
“Deve, invece, ritenersi che la nullità di cui trattasi, introdotta dal legislatore nell’ambito dell’azione di contrasto all’evasione fiscale e con l’evidente intento di provocare l’emersione delle c.d. locazioni in nero, abbia a ragion veduta richiamato la sanzione della nullità, condizionando la validità del contratto all’adempimento della registrazione. Con la conseguenza che, fino al completamento della fattispecie (stipulazione del contratto fra le parti e registrazione dello stesso) il negozio non può considerarsi valido. Tale chiave interpretativa è chiaramente determinata dall’opzione normativa per la sanzione della “nullità”: il legislatore, cioè, non può aver usato il termine “nullità” se non in senso tecnico e letterale, intendendo evidentemente richiamare integralmente la disciplina degli artt.1418 e ss. e.e. (nullità prevista dalla legge -ultimo comma dell’art. cit.). Ne consegue l’esclusione, anche concettuale, di una “convalida” successiva (art.1423 e.e.) per effetto del tardivo adempimento fiscale”.
L’incarico all’amministratore ha durata annuale e si rinnova per un altro anno senza necessità di alcuna delibera assembleare, salvo revoca. Al termine del secondo anno l’assemblea dovrà procedere a nomina con le modalità ordinarie. (massima non ufficiale)
Tribunale di Cassino 21 gennaio 2016, decreto n. 1186
Il Tribunale di Cassino, nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione attinente alla nomina dell’amministratore, ritorna sulla vexata questio della durata dell’incarico e delle attività che l’assemblea deve porre in essere, allineandosi alla lettura già data dai giudici milanesi alcuni mesi or sono e commentata su queste pagine.
Alcuni condomini ricorrono al Tribunale affinché nomini un amministratore giudiziale, attese le gravi irregolarità commesse da quello in carica e, soprattutto, evidenziando che costui “avrebbe omesso di inserire all’ordine del giorno, nemmeno dell’ultima assemblea del 24.8.15, l’argomento relativo alla conferma o revoca del suo incarico, vista la scadenza annuale”
Il Tribunale, con il provvedimento in commento, respinge il ricorso, osservando che : “a norma di quanto disposto dall’art 1129 comma 10° c.c., l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata; pertanto, non v’era necessità alcuna di convocare l’assemblea per decidere se rinnovare o meno l’incarico all’amministratore, salva sempre la facoltà per la medesima di deliberarne la revoca; per altro, l’assemblea del 24.10.15, discutendo sull’istanza della sig.ra V. per la sua revoca, espressamente affermò di riservarsi di esaminare la questione allo scadere del biennio esprimendo ringraziamento nei suoi confronti per il lavoro di ricostruzione contabile delle amministrazioni precedenti ed apprezzamento in toto per il lavoro svolto “
Il provvedimento, infine, merita menzione per l’ampia disamina di merito che svolge delle possibili gravi irregolarità così come delineate oggi dalla nuova formulazione dell’art. 1129 cod.civ. “ Ebbene, come replicato dai convenuto, il Collegio riscontra preliminarmente che nessuna di tali denunziate inadempienze e scorrettezze rientrerebbe in ogni caso nell’analitico elenco delle gravi irregolarità dell’amministratore di cui all’art 1129 comma 12 c.c., nel suo testo riformato dall’art 9 della L n. 220/12. Nello specifico, poi, deve osservarsi: essendo l’amministratore mero esecutore di quanto deliberato in seno all’assemblea, in alcun modo egli può esser ritenuto investito della sua conduzione e della previa verifica della regolarità del suo insediamento e dei suoi deliberati (operazione rimessa agli stessi partecipanti sotto la direzione del presidente); l’amministratore ha fornito prova documentale della spedizione tramite la “Sail Post” delle lettere raccomandate di convocazione della ricorrente a tutte le indicate assemblee: tanto basta a ritener assolto il suo compito, l’eventuale mancata ricezione delle missive dovendo costituire oggetto di riscontro in seno all’assemblea; a fronte della sua nomina avvenuta nell’agosto del 2014, già in occasione dell’assemblea tenutasi il 31.1.15 risultavano pervenuti 7 preventivi a fronte dei quali l’assemblea, e non certo l’amministratore, deliberò di affidare ad una commissione costituita da condomini l’esame dei medesimi; il ricorso ex art 700 c.p.c. venne notificato il 7.1.15 per l’udienza del 16.1.15, sicché legittimamente egli diede immediato incarico a legale di sua fiducia; la Cassazione ha precisato: “Alla luce delle considerazioni svolte va enunciato il seguente principio di diritto: “L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione” (ss.uu. n. 18331/10); nel nostro caso, stante l’evidente impossibilità di convocare preventivamente l’assemblea, tale operato dell’amministratore venne ratificato dall’assemblea tenutasi il 31.1.15 (all. 3 parte ricorrente); l’intervento di asfaltatura del viale condominiale ben può esser considerato, per la modestia del suo complessivo ammontare e per la sua incontestata necessità, quale atto di ordinaria manutenzione per la conservazione delle parti comuni
il sindacato dell’Autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale comprende anche l’eccesso di potere, ravvisabile quando la decisione sia deviata dal suo modo di essere, perché in tal caso il giudice non controlla l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dalla delibera impugnata i posti auto nel cortile comune è una manifestazione del potere di regolamentare l’uso della cosa comune del tutto legittimo per l’assemblea condominiale. Nell’ipotesi in cui non vi sia accordo tra le parti, è altrettanto legittimo ricorrere al giudice per raggiungere lo stesso obiettivo. (massima non ufficiale)
Tribunale di La Spezia 27.1.2016 n. 58
Un sentenza che ribadisce un orientamento espresso in maniera costante dalla Corte di Cassazione, applicandolo ad una serie fattispecie assai comune per gli amministratori.
L’amministratore pone a consuntivo una serie di esborsi sostenuti per l’invio delle convocazioni e per la redazione dei solleciti, l’assemblea approva il rendiconto ed un condomino impugna la delibera ritenendo che ne l’uno né l’altro importo sarebbero congrui.
Altri aspetti di impugnativa riguardano una serie di interventi di manutenzione ordinaria fatti effettuare dall’amministratore, di importi assai modesti (nell’ordine di qualche centinaio di euro) per inconvenienti alll’ascensore, all’impianto centralizzato di antenna e ad altre parti comuni.
Infine l’ultimo motivo di impugnazione appare singolare: l’amministratore, esasperato dalla condotta emulativa proprio di quel condomino, aveva comunicato dimissioni irrevocabili ma – in assemblea – a fronte delle insistenti richieste degli altri condomini aveva ritenuto, melius re perpensa, di accettare l’incarico anche per l’anno successivo.
Il fatto è così sintetizzato dal Giudice: “Gli attori hanno allegato di essere condomini dello stabile di via Le S in L ed hanno impugnato la delibera assunta dall’assemblea condominiale il…; hanno chiesto l’annullamento di tale decisione per i seguenti motivi: 1. la delibera in relazione al punto 2 dell’o.d.g. ha approvato i consuntivo spese esercizio anno 2… e relativo riparto; i ricorrenti lamentano che nel consuntivo vi sarebbero spese non documentate o non giustificate o non autorizzate 2. la delibera al punto 8 ha approvato il preventivo dell’esercizio 2… e relativo riparto; lamentano i ricorrenti che anche nel preventivo approvato vi sarebbero voci di spesa non documentate, non giustificate o non autorizzate; 3. evidenzia che non sono pervenuti nei 15 gg il prospetto ratei ascensore e che l’amministratore aveva dato dimissioni irrevocabili”
Il Tribunale, richiamato il principio riportato in massima, esprime alcuni principi di diritto che devono essere evidenziati:
“a fronte della esistenza di documentazione di spese, laddove esse risultino regolarmente approvate dall’assemblea (con le maggioranze di legge), nessuna censura contro di esse può essere posta a fondamento dell’impugnazione della delibera perché il giudizio di impugnazione sconfinerebbe in una valutazione di opportunità di tali spese
circa le spese che gli attori hanno indicato come non previamente autorizzate deve osservarsi che, in realtà, si tratta di spese tutte riconducibili a poteri propri dell’Amministratore, e, cioè, ad attività che lo stesso può svolgere senza preventiva autorizzazione dell’assemblea (ex art 1130 cc); invero si tratta di spese ordinarie di natura conservativa della cosa comune (antenna, ripristino ascensore, accertamenti tecnici preliminari in presenza di infiltrazioni nel vano scala)
nulla di rilevante da dire circa il motivo relativo alla nomina ad amministratore di soggetto che in quanto già amministratore in carica aveva rassegnato dimissioni irrevocabili; decisivo è il fatto che, dopo quelle dimissioni, un’assemblea, con le maggioranze di legge, ha (ri)nominato tale soggetto; tuttalpiù sarà il soggetto nominato a rassegnare nuove dimissioni laddove non voglia accettarle o proseguire”
Ai fini dell’emissione del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., il condominio deve dimostrare, concretamente, la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile per la tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni non potendo essere considerato in re ipsa nella stessa attività di affittacamere, pur se realizzata in contrasto con il regolamento condominiale.
Tribunale di Milano, sez. XIII Civile, ordinanza 4 – 10 febbraio 2016 Presidente Manunta – Relatore Rota
Un provvedimento di merito di grande interesse: “il Condominio ha azionato un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. avverso una condomina, proprietaria di un monolocale di mq 35 ubicato al quinto piano dello stabile, nonché avverso il conduttore di tale unità immobiliare, al fine di impedire loro l’utilizzo di detto immobile a scopo di bed and breakfast in quanto uso contrario al regolamento di condominio e tale da menomare grandemente la tranquillità e sicurezza dei condomini atteso il continuo via vai a tutte le ore del giorno e della notte di soggetti estranei alla compagine condominiale”. Il Giudice monocratico ha rigettato il ricorso d’urgenza e anche il Collegio, cui è stato proposto reclamo, è pervenuto alle stesse conclusioni. Le motivazioni che hanno indotto i Giudici a decidere in tal senso potranno essere di grande aiuto all’amministratore che spesso in assemblea vede sollevarsi sonore lamentele su attività ricettive aperte in condominio. E’ noto il precedente giurisprudenziale di CAss. 24707/2014 che ha affermato la compatibilità del B&B con la destinazione a civile abitazione: “L’esercizio dell’attività di affittacamere non modifica la destinazione d’uso a civile abitazione degli appartamenti in cui è condotta. Conseguentemente, anche in presenza di regolamento condominiale che vieti di destinare gli appartamenti “ad uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato”, l’attività di bed & breakfast è da ritenersi consentita, essendo inammissibile un’interpretazione estensiva della suddetta norma regolamentare che riservi ai soli proprietari, ai loro congiunti e ai singoli professionisti il godimento delle unità immobiliari site nel condominio”.
Anche ove vi sia espressa clausola del regolamento di condominio che vieti di adibire le unità a B&B, la possibilità di ottenere in via d’urgenza la sospensione di tale esercizio non è così scontata. I Giudici milanesi, dovendo decidere su una istanza cautelare che presuppone un pregiudizio grave ed imminente, rilevano che incombe al ricorrente dimostrare che quella attività sia foriera di grave danno alla collettività condominiale non potendo ritenersi tale caratteristica intrinseca alla attività di B&B: “Nel merito devesi osservare che, sia pur ad una delibazione sommaria propria della presente fase cautelare, l’attività di affittacamere e/o di bed and breakfast che la proprietaria ed il conduttore dell’unità immobiliare sita nel Condominio di Via P. S. in Milano hanno inteso realizzare all’interno della predetta unità immobiliare si pone in contrasto con quanto stabilito dall’art. 3, lettera b), dei regolamento di condominio; ciononostante tale considerazione non appare sufficiente ad accogliere la domanda cautelare azionata dal Condominio di Via P.S. stante il manifesto difetto del pregiudizio imminente ed irreparabile a fondamento della tutela cautelare d’urgenza da quest’ultimo invocata. Senza volere nella presente sede entrare nell’annosa questione del se la lesione di diritti aventi contenuto di natura non patrimoniale – quale la tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni – richieda una pronta tutela per il fatto che il pericolo del pregiudizio irreparabile sia insito nella lesione stessa dell’interesse protetto dall’ordinamento, ad avviso del Collegio, nel caso al vaglio del presente giudizio, il Condominio di Via P.S. non ha fornito alcun elemento da cuì desumere la effettiva e concreta messa in pericolo della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni ad opera dell’espletamento dell’attività di affittacamere e di bed and breakfast che la proprietaria ed il conduttore dell’unità immobiliare sita nel Condominio hanno inteso realizzare all’intero della predetta unità immobiliare: piuttosto il Giudice di prime cure ha messo in risalto come, tenuto conto delle modeste dimensioni del bene all’interno del quale viene svolta la censurata attività, delle modalità operative con cui veniva e viene espletata l’attività incriminata desunte dal materiale estrapolato dal sito in cui viene pubblicizzato l’immobile, nonché infine tenuto conto dei complessivo stato dei luoghi, la effettiva e concreta messa in pericolo della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni fosse radicalmente da escludere nel caso in esame. In definitiva la difesa di parte reclamante ha desunto la sussistenza del pregiudizio imminente ed irreparabile a fondamento della tutela cautelare d’urgenza da quest’ultima invocata dalla mera violazione, ad opera dei convenuti, della disposizione di natura regolamentare in precedenza menzionata che vieta di destinare `gli alloggi a uso collegi, quasi si trattasse di un danno in re ipsa non bisognevole di prova: resta comunque sullo sfondo se, ferma rimanendo la legittimazione del Condominio ad invocare il rispetto delle disposizioni del regolamento ad opera dei singoli condomini ed ad agire a tale scopo anche in via d’urgenza ex art.. 700 c.p.c., il Condominio possa altresì agire a tutela della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni in luogo di questi ultimi a presidio di beni giuridici spettanti ai singoli compartecipi”. Gioverà infine osservare che Giudice relatore nel procedimento di reclamo è il dr. Giacomo Rota, noto e profondo studioso della materia condominiale.